No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20070107

apocalypse now!


Apocalypto – di Mel Gibson 2007

Giudizio sintetico: si può vedere. Si consiglia agli amanti del cinema d’azione.

Yucatan, la civiltà Maya è ormai in declino. Alcuni gruppi di loro vivono nella foresta, in piccoli gruppi. Cacciano, scherzano, crescono le famiglie. Nei grandi agglomerati vicini alle cave di gesso però, la fine fa paura, le carestie fiaccano il potere dei regnanti: si cercano così vite umane da sacrificare agli dei. Zampa di Giaguaro, insieme a donne e uomini del suo gruppo, viene catturato e condotto al cospetto del re, per essere sacrificato insieme ad altri. Riesce a nascondere il figlio e la moglie, Sette, incinta del secondo figlio, prima di essere catturato.

Forse è perché gli danno tutti contro, che mi trovo spesso a prendere le parti di Mel Gibson. Come per il suo precedente The Passion, anche questa volta furenti le polemiche prima dell’uscita di Apocalypto (come sempre, due le domande: ma perché le polemiche le scatenano sempre quelli che non l’hanno visto, e la seconda, ma siamo sicuri che non siano fomentate solo ed esclusivamente da chi poi ci guadagna?). Due i filoni portanti delle polemiche: troppa violenza nel film e troppe incongruenze storiche. Riguardo alla prima obiezione mi sento di dire che si, c’è un sacco di violenza nel film, ma come nel caso di The Passion la trovo molto funzionale e assolutamente in linea, necessaria alla storia. Riguardo alle incongruenze storiche mi trovo completamente d’accordo, anche se non scendo in particolari per non rovinarvi l’eventuale visione. Aggiungo, per il campo dei punti deboli, che la sceneggiatura soffre di almeno tre grosse ingenuità, che fanno sorridere, e ovviamente capitano tutte al protagonista. Sono quei colpi di scena che in casi diversi, se il film non fosse così accattivante, ti farebbero veramente incazzare. E invece si finisce per perdonare tutto o quasi al Braveheart australiano.

Una trama esile, semplice ma lineare, forse un po’ tirata per le lunghe. Però. Il film in se stesso ti incolla alla poltroncina, ti fa venire l'affanno, c'è violenza, c'è adrenalina, c'è paura, c'è la lotta per la sopravvivenza tua e dei tuoi cari, ci sono istinti primordiali ma basilari. Piace l’approccio al cinema di Gibson, un regista all'antica nel senso buono del termine, un po' alla John Milius (o anche alla Elia Kazan); una spiccata tendenza alla grandeur cinematografica, all'epicità, pur se con una storia elementare. Un regista adatto ai kolossal, ai film di ampio respiro, girati con mezzi moderni. Mi trovo d’accordo con il New York Times, che sostiene Gibson come “un regista serio, un uomo con molte ossessioni”. Una persona che si pone delle domande, e non cerca risposte filosofeggiando troppo. Più con la pancia che con la testa, potremmo semplificare. Ogni tanto, serve.

Come fu già per The Passion con l'aramaico e il latino, dopo neppure un minuto il "problema" della recitazione in Yucateco e dei sottotitoli scompare (aprendo scenari interessanti sul versante del doppiaggio obbligatorio in Italia). Direzione ambiziosa e spericolata, una lezione di cinema d’azione. Alcune sequenze rimarranno nella mente di molti spettatori per lungo tempo (e non parlo solo di scene d'azione). Convinto della buona fede di Gibson, suppongo ci siano anche diversi piani di lettura, ma mi fermo a quello immediatamente accessibile, senza ricercare metafore: già per la sua messa sullo schermo, il film è soddisfacente e coinvolgente. Mi auguro che prosegua su questa strada: c’è un tempo per Kiarostami, uno per Sokurov, uno per Woody Allen. E c’è anche un tempo per Mel Gibson.

Sono uscito dalla sala col fiatone.

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