No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20090831

filo


Le fil - Camille


Mi sono messo a riascoltare per caso il secondo disco della francese Camille, del 2005, e cercando notizie per parlarvene, ho finalmente capito il senso di un detto popolare non conosciutissimo: "gli ha tenuto bordone".

Infatti, la principale particolarità di questo bell'album soffuso e molto africano, è una nota che dura per tutto il disco, e che unisce le tracce. E' un Si, e in gergo, soprattutto classico, si definisce (appunto) bordone. Il "filo" del titolo.

Come già detto, l'album suona molto "africano": i pochissimi che conoscono le Zap Mama si stupiranno del fatto che Marie Daulne (la leader) non abbia accusato di plagio Camille. E questo nonostante Camille abbia tra le sue influenze soprattutto la bossa nova, e abbia collaborato, tra il suo debutto da solista (nel 2002 col precedente Le sac de filles) e questo disco, con i Nouvelle Vague al loro primo disco del 2004, esattamente nei pezzi Too Drunk to Fuck, In a Manner of Speaking, The Guns of Brixton e Making Plans for Nigel.

Molta voce, ovviamente, pochi strumenti, ritmo e ripetizioni, belle melodie, cantato in francese (e quindi affascinante quasi per forza) ad eccezione di Baby Carni Bird, dove ci ricorda qualcosa di Erykah Badu.

Se siete alla ricerca di atmosfere sofisticate, ecco qua il disco che fa per voi.

11 settembre 2001


Fahrenheit 9/11 - di Michael Moore 2004


Giudizio sintetico: da vedere


Innanzitutto, diamo atto a Moore di essere riuscito a "sdoganare" il documentario al cinema, aiutato da diversi fattori; era un po' che non si vedeva in giro un'eccitazione e un'attesa del genere per un "film" dai contenuti simili.

Insospettito da tanta attesa, impaurito dalla possibilità che Moore potesse essere diventato trendy, e che magari si fosse anche montato la testa, mi avvicino a questo "Fahrenheit 9/11"; e ne rimango folgorato.

Si parte dai sospetti sui presunti brogli elettorali che avrebbero permesso a George W. Bush di diventare presidente USA, si continua con un esame di quello che ha fatto e di quello che non ha fatto a livello decisionale e di "impiego del tempo" (spassoso), la sua parte nella tragedia dell'11 settembre, i suoi legami con la famiglia Bin Laden, le guerre nelle quali ha trascinato il suo paese.

Il taglio è sarcastico nella prima parte, com'è nel suo stile; ma provate ad immaginare di essere davanti ad un'inchiesta giornalistica alla televisione; tutto va in una direzione, ma è ben documentato, ed è l'obiettivo del "servizio" del resto.

Quello che soprende (ma, in effetti, non dovrebbe), è che questo lavoro è fortissimamente americano (o pro-americano); si comprendono (anche se sono ingiustificate) le accuse di aver fatto un film anti-arabo, mosse da alcune fonti arabe, appunto; ma si capisce soprattutto quanto Moore tenga alla "salute" del suo paese (non risparmia neppure i democratici, vedi la seduta presieduta da Gore, nella quale non si trova nemmeno un senatore disposto a firmare un'interpellanza di protesta sull'operato dei giudici sul conteggio dei voti in Florida, dopo le ultime elezioni).

Infatti, per l'ultima parte, la più toccante, con la madre e la famiglia del militare concittadino di Moore (Flint, Michigan) morto in Iraq, abbandona il sarcasmo. Anzi, forse preme un po' troppo sul pedale della retorica e del dramma umano (anche se del tutto reale).

Detto fuori dai denti, non ce ne può fregare di meno; la retorica, in questo caso, è giustificata dal fine: un mondo senza guerre.

Documento che, forse, sposta i confini del cinema moderno.

20090830

spaceman


Ace Frehley (1978) - Ace Frehley (Kiss)


Vi ho già parlato di questa sorta di "pausa" che i quattro componenti originali dei Kiss si presero nel 1978. Un'operazione forse senza precedenti: ogni componente della band se ne esce con un disco solista, copertine ognuna col loro faccione truccato e disegnato dallo stesso disegnatore (piccolo ma gustoso inciso: oltre agli Hellacopters, anche i Melvins sono da sempre grandissimi fans dei Kiss, tanto è vero che qualche anno fa fecero uscire tre EP per ogni componente con addirittura, se non ricordo male, lo stesso disegnatore che gli confezionò le copertine, come i quattro dischi solisti dei quattro uomini mascherati), ognuno virato sullo sfondo con il colore che li contraddistigueva, con il loro nome ma anche con il logo Kiss ben visibile.

Anche dal punto di vista stilistico, i quattro dischi furono al tempo stesso sorprendenti e interessanti: ognuno era diverso dall'altro, e nessuno era uguale al suono Kiss.

Quello che al primo impatto mi piacque, oltre al fatto che conteneva in pratica la canzone che me li fece conoscere, fu quello del chitarrista solista Ace Frehley. In pratica, era quello più heavy dei quattro, anche più di quello che abitualmente ci facevano sentire con la band. Certo, lo stile era riconoscibilissimo, tenendo di conto dei pezzi che Ace scriveva e cantava per i Kiss, molte molte meno di quelle dei due leader Paul e Gene, ma qualcuna in più di quelle di Peter.

Si parte con Rip It Out, un martellante heavy rock, ovviamente con un assolo fantastico, si rallenta con Speedin' Back To My Baby, heavy blues tirato con bei cori di Susan Collins, poi troviamo Snow Blind, che fu pure il lato B del super-singolo di cui vi parlavo prima, un mid tempo molto tirato e ben sviluppato, con un gran lavoro di batteria. Ozone (coverizzata dai Foo Fighters come B side del singolo I'll Stick Around) e What's On Your Mind sono due pezzi non fra i migliori, va detto, ma subito dopo arriva il singolo che trascinò le vendite del disco, fino a farlo diventare quello, dei quattro "solisti", che vendette di più. Si tratta di New York Groove, una cover di un pezzo del 1975 scritto da Russ Ballard per la sua band, gli Hello. Canzone semplice, ritmata, la strofa che diventa ritornello quasi senza farsene accorgere, ma che ti entra in testa e non ci esce più. Non so, vi giuro, quante volte, da quel 1978, ho canticchiato "I'm back, back in the New York Groove...".

I'm In Need Of Love è un altro bel pezzo teso e accattivante, e Wiped Out divertente. Chiude Fractured Mirror, uno strumentale con intreccio di chitarre effettate in diverse maniere, coverizzata poi, insieme a Snow Blind, da Dimebag Barrel, grande fan di Ace, che comincia e finisce con un suono di campane.

Non sarà una pietra miliare, ma neppure un disco sul quale passar sopra. Non dimentichiamoci che Frehley è stato probabilmente il primo chitarrista ad inserire un candelotto fumogeno nella sua amata Les Paul...

non ci posso credere


Havoc - Fuori controllo - di Barbara Kopple 2007


Giudizio sintetico: ridicolo


Allison vive a Pacific Palisades, una Los Angeles dei quartieri piuttosto alti, da una famiglia mediamente facoltosa perennemente in crisi ma civilmente. Fa parte di quella gioventù che ha talmente tutto che si annoia: addirittura i suoi amici di High School, ovviamente tutti regolarmente bianchi e ricchi, si divertono a fare i gangsta-rapper senza avere nessunissima possibilità di risultare credibili. Ma Allison, che dovrebbe essere intelligente perchè snobba i genitori nonostante i loro patetici tentativi di far funzionare le cose a forza di loft vista oceano, Mercedes e BMW extra-lusso e frigoriferi che paiono armadi quattro stagioni sopra le cui ante sono affisse le regole da ricordare per essere civili e tornare ad essere una famiglia, si annoia lo stesso, e insieme alla fedelissima Emily inizia a ronzare attorno alla gang della sedicesima strada della East Los Angeles, capitanata da Hector e formata interamente da ispanici (che non si capisce perchè non le abbiano massacrate la prima volta che le hanno viste, o al massimo la seconda), al punto che una sera nella quale, come le altre, dopo ettolitri di super-alcolici e massiccie dosi di qualsiasi tipo di droga (che, nello specifico, alterano tutti in maniera minima), chiedono di sottoporsi al rito di iniziazione per entrate nella gang. Il tutto proseguirà seguendo una sceneggiatura impresentabile, perennemente in bilico tra il ridicolo e il macchiettistico.


Un film del genere non meriterebbe nessun commento, ma è giusto mettervi in guardia se, per sbaglio, doveste imbattervi in una sala che lo proietta (sempre per sbaglio) o in una copia del dvd, o addirittura nel caso ne scaricaste una copia perchè qualche burlone lo ha rinominato sul web in modo da giocarvi uno scherzetto. Distribuito ovviamente sulla scia del successo (inspiegabile anche questo) di Il Diavolo veste Prada (anche se Havoc è precedente) e la conseguente notorietà di Anne Hathaway, il film della documentarista Barbara Kopple, sceneggiato da Stephen Gaghan (non è quello dei Depeche Mode), che evidentemente è bravo solo a trascrivere (per Syriana si è ispirato al libro di Robert Baer See No Evil: The True Story of a Ground Soldier in the CIA's War on Terrorism, mentre per Traffic si è basato (e fatto aiutare) da Simon Moore e la sua miniserie tv Traffik, e coadiuvato in parte nella sceneggiatura da Jessica Kaplan, morta nel frattempo e alla quale è dedicato il film, è talmente stereotipato e pieno di luoghi comuni da risultare metacinematografico: sembra tutto talmente finto che risulta disturbante (in modo non positivo). I personaggi sono inverosimili e si comportano in modi inspiegabili anche per malati di mente. Le recitazioni sono al limite del macchiettistico, la colonna sonora usata senza senso, le svolte della sceneggiatura non hanno ragione di esserci. Fastidioso e plastificato. Pensare che c'è anche Joseph Gordon-Levitt, che avevamo ammirato in Mysterious Skin: ma lì c'era un altro manico...

20090829

fiabe hawaiane


Brushfire Fairytales - Jack Johnson


Stavo riflettendo sul fatto che questo inizio estate ho sbagliato a non fare incetta delle bellissime infradito della Tribord in vendita da Decathlon, che adesso sono terminate, e mi è venuto in mente Jack Johnson, tanto che questa mattina mi sono portato a lavoro la sua discografia per riascoltarla.

Jack è un personaggio simpatico e molto apprezzabile, per l'impegno sociale, ecologista, per la semplicità del suo lavoro e anche per la faccia. Anche se, alla lunga, la sua musica risulta un po' fossilizzata su uno stile ormai prevedibile, secondo me non c'è niente di meglio del suo primo album del 2001, quando si oltrepassa la metà di agosto.

Si, perchè non so se capita anche a voi, ma a me succede che, nonostante tutto, dopo Ferragosto capisci che l'estate è finita, e ti prende una strana sensazione di vaga malinconia.

E allora, via con Posters, Flake (con special guest Ben Harper prima della deriva mainstream), la simpaticissima Bubble Toes, la delicatissima Fortunate Tools, e insomma, tutta una serie di canzoni semplici, allegre, divertenti, piacevoli, è vero, anche poco impegnative, ma molto adatte, come si dice spesso, al falò sulla spiaggia di notte con la chitarrina, ma pure a questa sensazione di "passaggio" tra una stagione solare, a quella, imminente, più introspettiva.

call Roger


Roger & Me - di Michael Moore 1989


Giudizio sintetico: da vedere


Quando Roger B. Smith, chairman (amministratore delegato) della General Motors dal 1981 al 1990 (e morto nel 2007), decise di chiudere alcune linee della GM a Flint, cittadina del Michigan che aveva prosperato a partire dagli anni '60 proprio per la presenza della stessa GM, licenziando svariate migliaia di persone (in principio il progetto ne prevedeva 30mila), sapeva che tutto ciò avrebbe fatto si che la cittadina si sarebbe impoverita al punto che sarebbero iniziati massicci trasferimenti in cerca di altri luoghi più prosperi, si sarebbe innalzata la criminalità fino al punto da venire "eletta" da Forbes una dei luoghi meno vivibili degli Stati Uniti? Probabilmente si.


Sfortunatamente per la sua reputazione (ma non per il suo conto in banca), un tizio di nome Michael Francis Moore, prima giornalista e poi regista di documentari (anche di videoclip, pochi ma buoni) di "denuncia", è nato nel 1954 proprio a Flint, e una grandissima parte della sua famiglia ha lavorato alla GM, per cui, visti i problemi che stava avendo con la direzione del prestigioso Mother Jones, lavoro per cui si era trasferito a San Francisco, decide di tornare a casa e di girare una sorta di documentario, in cui si prefigge, probabilmente sapendo già in partenza che non ce la farà, di parlare con Roger (Smith) e di portarlo a Flint, a vedere che cosa ha significato la sua decisione.

Moore inventa così uno stile tutto nuovo di "documentare", con quel fare ironico, sarcastico e un po' retorico che lo contraddistingue tutt'oggi, e che gli ha fruttato, tra l'altro, un Oscar, per Bowling For Columbine. Il finale, tanto per partire dal fondo, visto che non c'è bisogno di evitare spoiler, è dimostrativo del Moore-style: montaggio incrociato tra gli auguri di Natale di Roger (Smith) e lo sfratto forzoso di una famiglia nera (senza il padre), con annesso turpiloquio della madre. Ovviamente, non c'è solo questo. Il problema, se così lo possiamo chiamare, è che si ride davvero molto, le situazioni e i commenti di Moore sono spassosi in maniera incredibile, così come i riferimenti autobiografici. Nonostante ciò, Moore riesce a descrivere perfettamente il declino della sua città natale, e l'inconsapevolezza (per non dire stupidità) di molti suoi compatrioti, davanti al tremendo rullo compressore del capitalismo.

Un recupero necessario.

20090828

biglietti d'auguri per san valentino


Blue Valentine - Tom Waits




A volte, riprendo i suoi dischi, li ascolto, e mi domando come si fa a non amarlo. Poi, torno nel mondo reale, e mi accorgo che non sono poi così tanti quelli che lo conoscono, e meno ancora quelli che lo apprezzano. Tra l'altro, ho sempre avuto come l'impressione che a Waits non interessi poi più di tanto.


Non ricordo se questo Blue Valentine fu il primo disco che ascoltai di lui. Può essere. Non fa molta differenza, nel suo caso. Per dare comunque un dato, vi dirò che questo disco è del 1978.


Blues (Christmas Card From A Hooker In Minneapolis, $29.00) sporco, rallentato, sofferente, jazzato (Wrong Side Of The Road) quanto basta, il piano lascia man mano il posto alla chitarra e la voce diventa rauca, profonda e inverosimile. Le storie sono semplici e suggestive, di strada, chiaramente ispirate a Bukowski e a quegli USA di provincia, dei motel, delle bevute al bancone e degli ultimi. Si comincia ad affermare sempre più la vena teatrale e buffonesca di Waits (A Sweet Little Bullet From A Pretty Blue Gun, Whistlin' Past The Graveyard - fantastica, sentite come usa la voce -), e alcuni standard che ripeterà fino ai giorni nostri (Red Shoes By The Drugstore, dove si ascolta già un minimalismo alla Bone Machine, per fare un esempio di canzone rarefatta ma ugualmente dinamica, mentre invece citerei la splendida Kentucky Avenue come classica ballad Tom-Waits-style, e Romeo Is Bleeding per quanto riguarda invece le sue incursioni, sempre riuscitissime, in mezzo alla musica latino-americana). Per non parlare della "quasi" title-track, Blue Valentines, posta in chiusura, languida e soffusa, che chiude idealmente il cerchio con l'iniziale omaggio a West Side Story di Somewhere.

Non una canzone fuori posto, e una debordante personalità, unità ad una toccante vena poetico-freak che, a mio avviso, rimane irresistibile e, nonostante in molti, e più che rispettabili, ci abbiano provato negli anni, pure con discreti risultati, inarrivabile.

terra


Tierra - di Julio Medem 1996


Giudizio sintetico: si può perdere


Ángel, appena uscito da un ospedale psichiatrico, soffre di disturbi dovuti a sdoppiamento della personalità. E' convinto di essere metà uomo e metà angelo, mezzo vivo e mezzo morto. La voce che lo guida viene dal cosmo, e vede chiaramente l'altra sua metà, che lo spinge ad azioni che lui non si arrischierebbe mai a compiere. Essendo specializzato in disinfestazione, lavoro che ha appreso dallo zio, si reca in una zona di vigneti per liberarla dai parassiti che danno al vino il sapore di terra. Conoscendo i personaggi della zona, ecco che le sue due personalità vengono attratte da due donne diametralmente opposte: Ángela, timida, dolce, sposata con una figlia, e Mari, giovanissima, sensuale, assetata di sesso e selvaggia. Non finisce qui: le due donne sono legate da un uomo. Patricio, rozzo agricoltore, è il marito della prima e l'amante della seconda, ed è geloso di entrambe.


Terzo lungometraggio di Julio Médem, apprezzato da noi per Lucía y el sexo, e da me personalmente per il suo film precedente, il meraviglioso e delicatissimo Gli amanti del Circolo Polare, mostra in questo Tierra gli elementi che ritorneranno nei suoi film a venire, e cioè i doppi e le coincidenze. C'è da dire però che in questo film, girato soprattutto in Aragona e sostenuto da una bella fotografia che rende merito ai luoghi, risulta piuttosto confuso e forzato, denotando spunti interessanti ma non riuscendo a tirarne fuori una storia convincente. Cast composto soprattutto da attori fidati, che troviamo spesso nei suoi film, che fornisce una prova tutto sommato passabile. Spicca la bella Silke, nei panni di Mari, vista in Italia in Tre mogli di Marco Risi.

20090827

two times a live


Alive II - Kiss


Ancora per la serie "dischi che mi hanno cambiato la vita", vi voglio "presentare" ancora un doppio dal vivo, apparentemente meno "nobile", seppur rock. Introduzione: c'è chi, tra gli addetti ai lavori, non perde occasione per sottolineare le proprie "origini", la provenienza "alta" e rispettabile delle prime esperienze uditive a livello musicale. Dopo anni, ho capito che posso farmi vanto di certi ascolti "poveri" e addirittura all'epoca molto snobbati, per essere rivalutati fortissimamente molti anni dopo.


Perchè, se da una parte, grazie ad una zia giovane e filo-rivoluzionaria verso la metà degli anni '70, e che di ritorno da Londra qualche anno più tardi mi raccontava il decollo dell'epopea punk (quello vero), imparai ad apprezzare grandi band rock e prog quali Led Zeppelin, Area, Banco del Mutuo Soccorso, Emerson Lake & Palmer, Deep Purple, e fior di cantautori stranieri quali Dylan e Donovan, ma pure la crema di quelli nostrani come Guccini, De Gregori e il primissimo Venditti, dall'altra, nonostante la giovane età (attorno ai 10 anni) iniziavo, in via del tutto personale, o, al massimo, con qualche amico fidato, il viaggio nella scoperta di musica anche più dozzinale, ma non certo senza meno passione.


Ecco quindi che, dopo aver conosciuto i Kiss paradossalmente con un singolo di grande successo (New York Groove), una cover, da uno dei lavori singoli che fecero uscire i quattro componenti nel 1978 (e in questo caso stiamo parlando di Ace Frehley), mi compro il primo LP rock della mia vita: il doppio live del 1977 Alive II.


Nonostante molti estimatori della band, e anche qualche detrattore che però riconosce almeno la valenza storica dei quattro mascherati rispetto allo street rock and roll, ad un certo tipo di hard rock da "classifica" e all'hair metal, considerino il secondo volume di molto inferiore al primo, non posso non essere legato visceralmente a questo disco. Così come Alive, che era una summa dal vivo dei primi tre dischi in studio (Kiss, Hotter Than Hell e Dressed To Kill), questo Alive II lo è per il seguente gruppo di 3: Destroyer, Rock And Roll Over e Love Gun. C'è però una sorpresa: il live è solo sul primo disco e sulla prima facciata del secondo: il lato B del secondo disco è una sorta di live in studio con 5 inediti (su due dei quali suona la chitarra solista Bob Kulick, una sorta di presagio al primo cambio di formazione che avverrà qualche anno dopo).

La scaletta è ben congegnata, anche se il repertorio della band aveva anche altre frecce ben appuntite. Si apre con la classica introduzione (You wanted the best! You've got the best! The hottest band in the world... KISS!) a cui segue una bella versione di Detroit Rock City. Devo forzatamente omettere qualche pezzo, perchè altrimenti li citerei tutti, ma come non citare la maestosa partenza di Makin' Love, pezzo che termina poi con una indimenticabile rullata su otto tamburi del "gatto" Peter Criss, seguito dal mega-classico Love Gun; sempre riferendoci al vinile, la facciata 2 è aperta dalla divertentissima Calling Dr. Love, che ci offre un Gene Simmons in grande spolvero anche a livello vocale, immancabile assolone di chitarra all'interno di Shock Me, poi Ace Frehley passa il microfono a Peter Criss per Hard Luck Woman; il secondo disco si apre con una versione al fulmicotone di I Stole Your Love, si rallenta con il ballatone Beth ancora con Criss alla voce, Criss che nella seguente God Of Thunder, dove domina Simmons, snocciola l'assolone di batteria con tanto di "treno", e chiude il live Shout It Out Loud, una canzone allegra e sostenuta dove Paul Stanley e Simmons si scambiano il microfono.

La parte "in studio" non è meno interessante, anzi. All American Man diventerà un classico (l'hanno rifatta splendidamente The Hellacopters), Rockin' In The USA è simpatica, Larger Than Life è splendida e pesantissima, Rocket Ride anticipa un po' il disco solista di Frehley, e si chiude con la soprendente Any Way You Want It, un successo inglese anni '60 dei The Dave Clark Five, dove i Kiss fanno vedere che sanno fare anche altro, rispetto agli stereotipi.

Riascoltato oggi, si capisce che non è un disco epocale, ma è chiaro che nel mio caso si tratta di un vero e proprio caso di imprinting musicale; si sentono pure moltissimi ritocchi, ad essere sinceri.

Ciò non toglie che, anche chi apprezza meno, o non conosce la band per niente, ascoltando questo disco potrebbe esserne piacevolmente sorpreso: nella sua semplicità, ogni pezzo dei Kiss è un piccolo capolavoro, figuratevene 20 di seguito.


Una chicca per appassionati: in rete si trova un 16 tracce denominato Kiss: The Lost Alive II, con versioni imperfette dei pezzi che sono poi finiti sul disco ufficiale e con altri pezzi che non sono andati sulla scaletta definitiva.

la culpa de los padres...


Desierto adentro - di Rodrigo Plá 2008


Giudizio sintetico: si può vedere (riposati)


San Isidro, Messico, durante la Guerra Cristera (1926-1929): il timorato Elías causa senza volerlo una strage. Convinto (e aiutato in questa convinzione dal prete del villaggio) di avere sulle spalle la colpa, e di averla, per la proprietà transitiva, estesa a tutta la sua famiglia, porta tutti nel deserto e comincia a costruire una chiesa, che, spera, farà espiare a lui e a tutta la sua gente, la colpa di cui si è macchiato. Le sfortune non arrivano mai da sole, e Elías alla sfortuna dà anche una grossa mano, creando una comunità insana. E' Aureliano, il figlio più giovane, cagionevole e causa a sua volta della morte della madre durante il parto, costretto a vivere ancor più isolato a causa della sua fragilità, che dipinge ex voto (che dovranno adornare la chiesa terminata, e che servono per introdurre i capitoli della storia), a raccontarci questo dramma apparentemente senza via di scampo.


Non ancora uscito in Italia, questo Desierto Adentro è cronologicamente il film che segue La zona, anche se diverse fonti sostengono che sia stato girato prima. Giustamente, La zona ha riscosso un vasto consenso critico, per cui ci aspettiamo che questo film sia distribuito anche da noi, anche se non ne siamo così sicuri. Il perchè, è presto detto: paradossalmente partendo da una storia ambientata durante il governo anti-clericale di Plutarco Elías Calles, e mostrando anche le atrocità perpetrate dal suddetto verso la Chiesa, sostenendo che "la Chiesa è la sola causa di tutte le sventure del Messico", è un forte atto d'accusa verso la Chiesa stessa, e una denuncia verso l'ignoranza della superstizione.

E' per questo che, nonostante il risultato sia un film molto pesante dal punto di vista della fruizione, e lentissimo da quello del ritmo, merita, così come La zona, uno sguardo attento e disincantato.

La fotografia è senz'altro uno dei punti di forza del film, non così come il cast, senza infamia e senza lode, la divisione in capitoli e le brevi animazioni degli ex voto lo rendono un po' più dinamico e lo avvicinano un po' a Le onde del destino.

La tragicità degli eventi, funzionale al senso del film e della denuncia, non aiutano certo a rendere il film più scorrevole.

Come detto prima, però, resta un'opera che merita uno sguardo, e conferma, se ce n'era bisogno, la validità di un regista come Plá, che ancora una volta si dimostra coraggioso.
Qui il trailer originale.

20090826

something to tell you


Ho qualcosa da dirti - Hanif Kureishi


Jamal è il narratore di questa storia londinese, ma non solo. E' uno psicoanalista che ha passato i quarant'anni, nato e cresciuto a Londra, da madre inglese e padre pakistano, padre che lascia la moglie per tornare in Pakistan quando i figli, Jamal e la maggiore Miriam, sono ancora adolescenti.

L'azione si svolge nel 2005, Jamal si è da poco separato dalla moglie Josephine, con la quale ha avuto il figlio Rafi, adolescente simpatico che il padre adora e vede spessissimo. Vive solo, riceve in una stanza del suo appartamento, Maria, la governante, lo accudisce come una madre, ma tiene le distanze. Il suo più caro amico Henry, intellettuale famoso e acclamato regista teatrale, lo passa sovente a trovare e lo coinvolge continuamente nelle sue discussioni interminabili. Jamal è anche un discreto scrittore, una sorta di divulgatore della psicoanalisi per tutti. Nonostante il fallimento del suo matrimonio, Jamal vive un'esistenza tutto sommato tranquilla, e ama il suo lavoro. Ha però, uno scheletro nell'armadio, e questa cosa non smette di tormentarlo. Un paio di eventi che stanno per arrivare, cambieranno la sua vita, mentre lui stesso ci racconta com'è stata fino ad allora.


Hanif Kureishi, non so spiegarvi perchè, mi sta simpatico. Non che lo conosca personalmente, e neppure conosco a memoria le sue opere: prima di questo, sono certo di aver letto un altro suo libro, ma non riesco a ricordare quale. Eppure, lo sentivo.

Ho trovato questo libro molto, molto bello. Mi ha avvinto, completamente, e non sono riuscito ad empatizzare perfettamente con il protagonista solo a causa del suo succitato "scheletro nell'armadio", oppure forse perchè tutti i personaggi principali del libro hanno qualcosa di amabile.

I topics del suo stile ci sono tutti, forse amalgamati un po' vorticosamente, ma vi assicuro che la scorrevolezza e la profondità non ne risentono minimamente: immigrazione, società inglese, politica, sessualità, cultura, musica. Detto così, uno impreparato potrebbe aspettarsi un mattone serioso: invece, perlomeno nella prima metà del libro, c'è una grassa risata assicurata per ogni pagina. Grandi, grandissime battute, non so quante volte mi era capitato di ridere così di gusto per un romanzo.

La storia è complessa, ricca di flashback, necessari per conoscere meglio Jamal e gli altri personaggi, per carpire e per capire qualcosa delle loro vite, delle loro esistenze, ma, nonostante abbia letto alcune critiche negative, non ho trovato difficoltà a leggere queste 457 pagine superbamente scritte (e, pensate, proprio a pagina 457 mi sono in parte riconosciuto con la chiosa finale che Jamal usa per definirsi in quel momento).

Un libro che a persone come noi, come voi, sentimentali, passionali, musicodipendenti, calciofili, visceralmente politicizzati, sessualmente disinibiti e profondamente antirazzisti, non potrà che piacere e, al tempo stesso, far bene.

van gogh (si rivolta nella tomba)


A las 5 en el Astoria - La oreja de Van Gogh


Più che una recensione, un avvertimento. Dopo averne sentito molto parlare (hanno avuto un grande successo in Spagna, LatinoAmerica, addirittura collaborazioni con Eros Ramazzotti), aver ascoltato qualche canzone in qualche film, per la prima volta ascolto per intero un disco della band basca, il primo (è del 2008) dopo l'avvicendamento alla voce tra Amaia Montero (prima) e Leire Martínez (adesso), e devo dire che è bene starne parecchio alla larga. Pop scontatissimo, prevedibile, noioso, davvero brutto.

non aprire quel sequel


S. Darko - di Chris Fisher 2009


Giudizio sintetico: serio candidato al film più brutto del 2009


Donnie Darko, morto il 2 ottobre 1988 nella camera della casa di famiglia a Middlesex, in Virginia, a causa della caduta di un motore di un aereo, aveva due sorelle: la maggiore Elizabeth, e la più piccola Samantha. Quest'ultima, come tutta la famiglia, soffre ancora oggi, nonostante siano passati sette anni, ma decide di cambiare qualcosa nella sua vita. Parte in automobile con l'amica del cuore, Corey, con il desiderio di arrivare in California per lavorare come ballerine nel night club del padre di Corey.

L'auto sulla quale viaggiano, però, soffre di un guasto all'altezza di Conejo Springs (conejo in spagnolo significa coniglio, come avrete già intuito), nello Utah, un posto davvero dimenticato da Dio; un luogo, però, dove a partire dal momento in cui le due ragazze incontrano Randy, che si offre di aiutarle a riparare il guasto, cominciano ad accadere strane cose. Ad essere sinceri, non è che fino a quel momento la cittadina ne fosse stata esente...


Ho riflettuto alcuni giorni sulle parole adatte a descrivervi questo film, in pratica il film che apre la stagione cinematografica italiana 2009/2010, appurato una volta per tutte che l'Italia fa parte di una sorta di terzo mondo delle uscite al cinema, visto che, nonostante i continui proclami di qualche anno fa, da parte delle case distributrici, che intendevano prolungare la stagione e far uscire film nuovi e validi anche durante il periodo estivo, così come accade in qualsiasi altro paese del mondo civilizzato, anche quest'anno a partire da aprile non si è praticamente più visto un film degno di tale nome. Ed ecco quello che mi è venuto in mente.


Non mi stupisce che Richard Kelly, il regista di Donnie Darko, film del quale questo S. Darko si proporrebbe di essere il sequel, si sia dissociato da questo progetto. S. Darko, infatti, al contrario di Donnie Darko, è un film di una pochezza assoluta. Scimmiotta le atmosfere e i dialoghi vagamente lynchiani del prequel, ma, purtroppo per Fisher e soprattutto per gli sfortunati spettatori, il confine tra il re dell'assurdo e il coprirsi di ridicolo è sottilissimo. Il film non riesce mai e poi mai a far calare lo (sfortunato, ripetiamolo) spettatore in una trance esoterica, così come fu invece con Donnie e coniglio Frank, ed è governato da uno sceneggiatore (Nathan Atkins) evidentemente a corto di idee (oppure molto ubriaco); sbanda, stenta, prova ad impennare ma non ci riesce, e soprattutto, si affida a dei dialoghi che potrebbero essere scritti a volte da uno sceneggiatore di porno, a volte da un fanatico new age. Ma forse ho esagerato in positivo: ci sono porno che fanno sorridere molto di più, e i fanatici new age non sono così noiosi.

Si arriva con grandi difficoltà alla fine. La fotografia è una delle poche cose che si salva, insieme ai pezzi di Cocteau Twins e Dead Can Dance presenti nella colonna sonora (anche Ed Harcourt, presente con diversi pezzi, che una volta ci piaceva, non ha grande smalto), passabili gli effetti speciali, mentre le prove attoriali dei protagonisti sono da dimenticare: l'unica che riesce a fare una discreta impressione è Elizabeth Berkley (Ve la ricordate in Showgirls? Bellissima e bravina a ballare, ma completamente incapace di recitare) nei panni della fanatica religiosa Trudy. Per dire, la protagonista Daveigh Chase, che interpretava Samantha pure in Donnie Darko, qui ha l'espressività di una bottiglia di Coca Light (da 500 cl).

Un film che rischia di passare alla storia o per l'abuso di ralenty ingiustificato, oppure come uno dei film più brutti di inizio millennio. Se fossi Terry Gilliam o Kathryn Bigelow proverei a citare Fisher per danni: citare, neppure troppo sommessamente, due film importanti come L'esercito delle 12 scimmie e Strange Days, è davvero troppo in un film così brutto. Mi sono offeso io, figuriamoci loro.

20090825

notte fonda


Madrugada - Madrugada (2008)


E' giunta l'ora di parlarvi di una band norvegese poco conosciuta, purtroppo. Si tratta dei Madrugada, band formatasi attorno al 1995 e scioltasi al termine del 2008, dopo la morte del chitarrista Robert Burås (che ha pubblicato anche due dischi con la band My Midnight Creeps), avvenuta nel luglio del 2007: i rimanenti componenti decisero di ultimare le registrazioni di questo disco, ormai avviate, di fare un ultimo tour e di sciogliersi.

Forti della voce di Sivert Høyem (attivo anche come solista), che ho sempre ritenuto una specie di Nick Cave, forse meno epico con aperture vagamente più solari, sono sempre, nel corso della loro carriera, riusciti a creare atmosfere gotiche, romantiche, senza mai perdere di vista il "nord" della bussola rock. Canzoni eleganti, toccanti, evocative, in poche parole, belle.

Pezzi come Look Away Lucifer (ma vi assicuro, anche in questo ultimo album, mi è difficile trovare un pezzo brutto) non possono non toccarti nel profondo.

alzati e cammina


Delwende - di S. Pierre Yameogo 2005


Giudizio sintetico: si può vedere


Burkina Faso, villaggio di Saaba, non lontano dalla capitale Ouagadougou. Ci sono molte morti nel villaggio, troppe, soprattutto di giovani. La gente pensa alle streghe. Nel frattempo, Pougbila, promessa in sposa a un giovane di un altro villaggio, rivela in lacrime alla madre di essere stata stuprata, ma non vuole dirle chi è stato. Napoko cerca di parlare al marito, Diahrra, ma lui è troppo occupato con gli anziani per cercare un rimedio al malocchio che pare essere stato inviato sul villaggio; tra l'altro, preoccupato per le morti, decide di "anticipare" il matrimonio e invia la figlia alla famiglia dello sposo. Le morti non si fermano, per cui non rimane altro che "domandare" allo Siongho, una specie di siluro di giunchi che, guidato da uno stregone, viene considerato infallibile. Lo Siongho indicherà Napoko, che, invece di essere linciata, sarà soltanto allontanata dal villaggio. Nel frattempo, dalla radio di Elie, considerato il matto del villaggio, dalla radio che trasmette in francese, lingua che nessuno parla lì, arrivano notizie sull'epidemia di meningite, che sta mietendo vittime soprattutto tra i ragazzi...


Quinto lungometraggio per questo regista del Burkina, che nel 2005 è stato presentato nella sezione Un certain regard ed ha ottenuto due premi. Una storia semplice di ribellione a leggi ancestrali, una metafora neanche troppo nascosta del conflitto fra tradizione e modernità, che attraversa non solo il Burkina Faso. Apprezziamolo per questo, e perdoniamogli alcune ingenuità: se la fotografia è decente, il girato è in digitale, gli attori sono piuttosto scarsi e, a volte, ci si avvicina al ridicolo (la scena del tentato stupro: quando si è visto uno stupratore che appoggia l'arma per togliersi la maglietta?).
In Italia è stato distribuito solo in alcune città.

20090824

bulls on parade


The Black Parade - My Chemical Romance


Per esempio: uno dei riff di House Of Wolves è rubato di sana pianta a Detroit Rock City dei Kiss. L'inizio di I Don't Love You è identico a Yellow dei Coldplay. Questo per dare delle coordinate, non per dire che sono solamente dei "plagiatori". Perchè loro rifiutano l'etichetta emo, mentre mi sono reso conto che molti appassionati di musica non giovanissimi, li "rifiutano" perchè li vedono con i capelli "piastrati" e con la matita sugli occhi. Cancer potrebbe essere dei Muse, o uno scarto dei Queen (che poi, probabilmente, cantata da Freddy Mercury magari sarebbe diventato un gran pezzo, chi lo sa).

Quel che voglio dire, prima che esca il disco nuovo dei ragazzi del New Jersey, è che questo disco del 2006, che poi è diventato, rifatto pari pari dal vivo, il live The Black Parade Is Dead nel 2008, corredato anche da un DVD live con due concerti "opposti" (uno in un grande palazzetto a Città del Messico, uno in un piccolissimo club a Hoboken - praticamente a casa loro -), è un gran bel disco di rock duro e sinfonico al tempo stesso, che addirittura mostra l'attitudine "teatrale" del gruppo (Mama), e la capacità di scrivere belle canzoni come Sleep, Disenchanted, This Is How I Disappear (queste ultime due le mie preferite).

L'influenza dei Queen è fortissima, seppur la voce di Gerard Way (anche scrittore di fumetti, The Umbrella Academy, uscito per la Dark Horse) non sia all'altezza, il ragazzo ha grinta e dal vivo fa la sua figura. Bravi e con gusto i due chitarristi, sezione ritmica diligente e regolare, hanno aggiunto da poco un tastierista, James Dewees, come componente fisso; ovviamente quella delle "regine" non è l'unica influenza che si sente, c'è pure del punk, anche se annacquato, ma il risultato non è così scarso come molti immaginano.

storia argentina


La Rosales - di David Lipszyc 1984


Giudizio sintetico: si può vedere (come documento storico)


Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1892, il cacciatorpediniere La Rosales, della Marina Militare Argentina, inviato a Palos per presenziare ai festeggiamenti per i 400 anni dalla scoperta del continente americano, naufragò in una tempesta, a 200 miglia dalle coste dell'Uruguay, dopo essere stato danneggiato in alcuni speronamenti di secche. Dell'equipaggio, composto da 80 uomini, sopravvissero soltanto 19 uomini, quasi tutti ufficiali. Situazione quantomeno sospetta.

Quasi due anni dopo, la Marina fu costretta ad istituire un processo agli ufficiali sopravvissuti. L'accusa, affidata al Capitano Lowry, che godeva fama di incorruttibile, chiese la pena di morte per il comandante, e alte pene per gli altri. Sfortunatamente, sia il comandante che altri due ufficiali, avevano parentele "importanti" (il comandante Funes era addirittura nipote della moglie del Presidente argentino).


Interessante ricostruzione storica, da parte del regista argentino Lipszyc, messa in scena però con pochissima dinamicità e in maniera fin troppo teatrale, con una brutta fotografia e una colonna sonora insopportabilmente brutta, con un'elettronica che prova a scimmiottare il grande Vangelis ma non le si avvicina neppure. Impeccabile prova di un giovane Ricardo Darín, che qui curiosamente lavora in coppia con l'anziano ed esperto Héctor Alterio, anticipando la coppia padre/figlio de Il figlio della sposa. Oltre che a livello storico, il film è curioso perchè ci fa ascoltare il miscuglio di italo-spagnolo parlato tra gli emigranti arrivati in Sud America da poco, a quei tempi.

20090823

unreleased


The Great Divide - Unida


Che ci crediate o no, uno dei migliori dischi della storia dell'hard rock moderno è una sorta di araba fenice. Su internet, troverete questo disco accreditato come Unreleased, o da altre fonti lo troverete come intitolato The Great Divide. Un contenzioso con la casa discografica American Recordings ci ha negato l'ascolto di un disco bellissimo per anni. Dal 2001, o giù di lì.

Ovviamente, ne esistono varie versioni, con i finali tagliati, con 10 pezzi, con 15 e addirittura con 16 pezzi (una cover di The Thing That Should Not Be dei Metallica), ma credeteci, è un disco davvero eccezionale. Creatura di passaggio tra gli Slo Burn, post scioglimento dei mitici Kyuss, e gli Hermano (che qualcuno vuole addirittura formatisi proprio per l'impasse dovuto a questo disco e l'impossibilità di farlo uscire), nati ovviamente da un'idea di uno dei vocalist rock più grandi e più sottovalutati della storia della musica, John Garcia, il disco contiene anche due versioni di pezzi contenuti sul debut album Coping With The Urban Coyote (anche se prima c'era stato lo split con i Dozer), nello specifico Human Tornado e Thorn, due versioni tra l'altro miglioratissime (a me pareva impossibile migliorare un pezzo come Human Tornado, ma l'hanno fatto: è probabilmente una delle canzoni più belle e rocciose che mi sia mai capitato di ascoltare), e altri pezzi travolgenti, quali Coffe Song, Wet Pussycat, MFNO, prove vocali impressionanti, dal punto di vista grintoso ed emozionale, quali quelle di Trouble, Cain, o di Last Day.

Oltre a Garcia, il chitarrista Arthur Seay è portentoso nella semplicità del suo stile e soprattutto col suo gusto impeccabile (ascotatevi gli assoli fulminanti di Hangman's Daughter), e i bassisti che si sono avvicendati (non è chiaro chi abbia suonato su questo disco) anche. Miguel Cancino alla batteria picchia sodo ed è preciso, e questo è quanto.


Paradossale ed incredibile. Un disco eccellente che, in pratica, non esiste.

In mancanza, quindi, di una copertina, alleghiamo una foto di John Garcia durante una "rimpatriata" sul palco con l'ex compagno nei Kyuss, Josh Homme.

the road


La strada - di Federico Fellini 1954


Giudizio sintetico: da vedere


Zampanò è un "animale" (come lo descrive il "Matto"): un energumeno grande e grosso che fa l'artista ambulante, racimolando un po' di soldi con numeri di forza o da clown. Alla morte della Rosa, la sua assistente, "compra" per diecimila lire, dalla famiglia, povera in canna, la sorella, un po' sciroccata, Gelsomina, dall'aria perennemente assente da bambina, e la porta con se in giro, sulle strade e sulle piazze di un'Italia devastata dalla Seconda Guerra Mondiale, nel pieno della ricostruzione e del passaggio da un'economia contadina a quella industriale. Gelsomina, nella sua ingenuità, diventa perfino gelosa di Zampanò, al punto da tentare la fuga, più per i suoi "tradimenti" che per le sue botte e i trattamenti animaleschi. Durante la sua unica fuga, conoscerà il "Matto", un acrobata sempre sorridente, dalla battuta pronta, che costantemente prende in giro tutti. Dopo che Zampanò la ritrova, riprendendola a forza con sé, si ritroveranno in un circo, dove scoprirà che il Matto e Zampanò proprio non vanno d'accordo. Zampanò viene arrestato per aver rincorso il Matto (che gli aveva fatto un gavettone d'acqua) con un coltello, e Gelsomina, che avrebbe l'opportunità di abbandonarlo per sempre, si fa quasi convincere dal Matto a rimanere con lui, tentando di renderlo più "umano". Non ci riuscirà. O forse si.


Premio Oscar nel 1957 (usci negli USA nel 1956) come Best Foreign Language Film (è proprio vero che Ponti e De Laurentiis erano grandi produttori), sceneggiato dallo stesso Fellini insieme a Tullio Pinelli (è morto quest'anno alla ragguardevole età di 101 anni; una filmografia realmente impressionante, provate a guardarla) e a Ennio Flaiano, molto liberamente tratto dal romanzo omonimo di Jack London, probabilmente il film che lanciò Fellini a livello mondiale, La strada parla della solitudine dell'animo umano, nelle sue varie forme; sullo sfondo, un'Italia poverissima e un mondo di mezzi malviventi, ai limiti dell'illegalità, che cercano di sbarcare il lunario. Protagonisti una Masina (Gelsomina) che ha chiaramente ispirato la Mondaini per la creazione di Sbirulino (con un oceano di espressività in più, sia chiaro, seppur a sfondo esclusivamente triste), un Anthony Quinn (Zampanò) spietato e cattivissimo, doppiato da un Arnoldo Foà che dà sfogo al suo accento natale, e uno straordinario Richard Basehart (il Matto), doppiato da un divertente Stefano Sibaldi in fiorentino, anche se, qua e là, i suoi concittadini livornesi, potrebbero rilevare qualche traccia di vernacolo labronico, appena accennato.

Da manuale le inquadrature della processione. Maestro non per caso.

20090822

cambiamento


A New Morning, Changing Weather - The (International) Noise Conspiracy


L'album del 2001 del combo marxista svedese è probabilmente l'apice fin'ora da loro raggiunto; sempre per la serie "Rick Rubin non è esattamente Re Mida". Infatti, la produzione del barbuto, al quale dobbiamo, è vero, alcuni capolavori del rock contemporaneo, inizierà dall'album seguente, per proseguire con l'ultimo.

Il loro garage rock intriso di tastiere beat è sempre selvaggio, ma perfeziona il songwriting, raggiungendo picchi inattesi. L'apoteosi è senza dubbio alcuno l'inno Capitalism Stole My Virginity, il cui titolo, anche a livello di contenuti, parla da solo: una canzone pressoché perfetta, a partire dal colpo di rullante che dà il via ai 3 minuti e 38 secondi di "part Elvis Presley and part Che Guevara" (detta da Phil Ochs e ripresa dal cantante Dennis Lyxzén), fino ai finali fischi di amplificatore. Se non l'avete mai sentita, fidatevi: una volta fatto, non ve ne stancherete più.

Ma ci sono pure le, se non altrettanto belle, quasi perfette Up For Sale, Born Into A Mess e la title track, posta in chiusura. Nel mezzo, un altro pugno (termine adatto) di canzoni dure, hard rock, dove spuntano quasi a sorpresa pianoforti, tastiere, sassofoni e tamburelli. Chitarrone dure ma anche molto armoniche, batteria roboante, la voce di Lyxzén ben dosata.

Molto piacevole.

calendario


Calendar - di Atom Egoyan 1993




Giudizio sintetico: si può vedere




Un fotografo e sua moglie si recano in Armenia, paese dal quale entrambe le loro famiglie proviene, per realizzare delle foto di antiche chiese, che saranno utilizzate per un calendario. Il fotografo non conosce la lingua, la moglie si, per cui, quando l'autista comincia a raccontare curiose storie sulle varie chiese, la moglie si improvvisa traduttrice. Il fotografo e infastidito dalla rottura degli schemi: l'autista si trasforma in guida, la moglie in traduttrice, e per di più, il continuo dialogo tra la moglie e l'autista fa nascere palesemente un'intesa, che disturba ancora di più il fotografo, fino al punto che i due si lasceranno, alla fine del lavoro. La moglie rimarrà in Armenia, il fotografo torna in Canada, e si affida ad un'agenzia di escort. Ogni mese si incontra con una ragazza e ripete lo stesso schema ogni volta: bevono del vino (la bottiglia è sempre dello stesso vino, sempre allo stesso punto), mangiano qualcosa, poi la ragazza chiede di usare il telefono e lui lo indica loro, poi le ragazze si mettono a parlare nella loro lingua. Nella mente del fotografo scorrono le conversazioni con la moglie che traduce le storie dell'autista, i messaggi della sua segreteria telefonica (soprattutto della moglie, che gli chiede continuamente perchè non risponde alle sue lettere e ai suoi messaggi), i suoi pensieri verso la figlia.




Film indubbiamente ostico ed ermetico, che mostra i due temi che da sempre contraddistinguono il cinema di Egoyan, nato in Egitto ma cresciuto in Canada dall'età di due anni, da una famiglia egiziana (si chiama Atom in onore del primo reattore nucleare egiziano) di origini armene; i due temi sono la ricerca delle radici e la difficoltà dell'espressione dei sentimenti. La messa in scena è piuttosto semplice, anche se il lavoro sulla fotografia nella parte armena è interessante, e gli scenari impressionanti. La "traduttrice" è Arsinée Khanjian, moglie (vera) e musa di Egoyan, l'autista è Ashot Adamyan, bella presenza, il fotografo è lo stesso Egoyan, che appare quasi divertito dall'apparire nei panni di una specie di se stesso. Per curiosi e appassionati del regista canadese (ricordiamolo: False verità, Ararat, Il viaggio di Felicia, Il dolce domani, Exotica). Non mi risulta esista la versione italiana.

20090821

esami


Into The Exam Room - Hermano


2007: John Garcia è vivo e lotta insieme a noi. E chi non sa chi è John, beh, si legga la scheda Wikipedia su di lui. L'ultimo, per il momento, parto di quest'uomo e della sua essenza rock, è un disco che, al solito, non dice niente di nuovo, ma ricorda chi possiamo andare a cercare nei momenti bui, noi uomini dal cuore, appunto, rock.

Per esempio, prendete questo disco ed ascoltate Out Of Key, But In The Mood: poesia hard rock. Per non parlare della maestosità del pezzo d'apertura, Kentucky, così come quella di Hard Working Wall. Come spesso accade, non ci sono pezzi che spiccano particolarmente, ma a differenza di quanto accade (purtroppo) normalmente, qui è dovuto al fatto che l'album non ne ha di brutte. Chitarre monolitiche ma dinamiche, drumming possente, basso succoso.

Non possiamo chiedere di più.

bocca a bocca


Mouth To Mouth - di Alison Murray 2005


Giudizio sintetico: si può vedere


Sherry è una adolescente punk inglese. Viene incuriosita da alcuni ragazzi che reclamizzano il loro collettivo, lo S.P.A.R.K., Street People Armed with Radical Knowledge, tanto che dapprima scappa di casa per sentire le loro ragioni fino a Berlino, dopo di che si unisce a loro nel loro viaggio verso la Spagna, dove passeranno per un festival/rave, fino al Portogallo, dove posseggono una tenuta agricola con una vigna: là vendemmieranno e imbottiglieranno il loro vino, per venderlo e vivere in una specie di comunità vecchio stile, dove l'individualismo è al servizio del gruppo. Come sempre, non è tutto oro quel che luccica, e le utopie sono rovinate dall'egoismo. Sherry se ne renderà conto a sue spese.


Debutto sulla lunga distanza per la canadese, trapiantata a Londra all'età di 15 anni, Alison Murray, autrice fin'ora di un corto (Pantyhead) e di un documentario (Train on the Brain), il film è piuttosto interessante, sia a livello di concetto, sia a livello di realizzazione. Concettualmente (la Murray è autrice, da sola, anche della sceneggiatura), è una semplice metafora del fallimento degli ideali, trasposto sul piano della ribellione giovanile (qui c'è pure l'aggravamte della madre che sposa quelli della figlia, per amore incondizionato, e ne rimane invischiata senza riuscire a togliersi le fette di prosciutto sugli occhi); tecnicamente, ispirandosi a film shock sulla droga e sullo "sballo", usa riprese adrenaliniche e le imbeve di tragicità (la morte di Manson, la segregazione delle due ragazze in fondo al pozzo, la ricerca di Rose), come pure di momenti quasi onirici (il ballo/scontro di madre e figlia sul ciglio della strada), riuscendo a compattare tutta una serie di scene molto evocative, che lasciano il segno, dandosi una mano con una colonna sonora variegata, alternativa e suggestiva (Nick Cave, Noir Désir, Maximilian Hecker, The Stranglers): la scena finale è davvero bella, tanto per dirne una. La fotografia è sporca, probabilmente facendo (a causa del bassissimo budget) di necessità virtù, ma risulta, come dire, necessaria alla causa.

Bravi e ben diretti gli attori: carismatica la presenza di Ellen "Juno" Page (che probabilmente ha girato questo film immediatamente prima di Hard Candy, visto che la scena del taglio dei capelli è vera per tutti i componenti del cast), presenza alla quale il film deve in parte la sua piccola notorietà, ottime le prove della bella-senza-essere-supermodella Natasha Wightman (Rose), vista, in parti non principali, in V per Vendetta, State Of Play (quello televisivo della BBC), Gosford Park, e di Eric Thal (Harry), particine in La neve cade sui cedri e Sei gradi di separazione, più molta televisione.

20090820

n.s.

sui gruppi musicali,
non sopporto chi ne usa l' acronimo del nome invece del nome completo.
non sopporto.

luce sfuocata


Travelling Like The Light - V.V. Brown


Letta una recensione piuttosto incoraggiante su una rivista musicale straniera, mi accingo ad ascoltare questo disco. Ne rimango piuttosto deluso. Non c'è traccia di originalità, e questo potevo pure aspettarmelo. Poca classe, e una voce che non brilla particolarmente, pur essendo valida. Per intenderci, siamo dalle parti di quel mix alla Amy Winehouse (quando era ancora viva), fatto da r'n'b, doo-wop, soul & swing rivisitati. Nessuna canzone che spicca particolarmente, e personalità introvabile. Sconsigliato.

i will survive


Sobreviviré - di David Menkes & Alfonso Albacete 1999


Giudizio sintetico: si può perdere


Margarita è una brava ragazza, forse un po' irrequieta da giovane, che si fa cacciare di casa presto: la accoglie José, l'amico (gay) di una vita. Poi conosce Trini, e con lei, in doppia coppia e nella sua macchina, scopre il sesso. Con Trini e José insieme, conosce Roberto, ed ecco l'amore. Un lavoro, una casa, un compagno: la felicità. A volte, però, la vita può essere spietata. La tragedia è dietro l'angolo.


Alcuni motivi di interesse c'erano, per andare a scovare questo film, visto in Italia solo all'International Gay and Lesbian Film Festival di Torino del 2000: la partecipazione, nella scrittura della sceneggiatura, della scrittrice spagnola Lucía Etxebarría (insieme ai due registi), e la presenza di Juan Diego Botto, giovane e promettente attore argentino attivo in Spagna.

Il risultato di una sceneggiatura che, come avrete capito, strizza l'occhio alla comunità gay, è apprezzabile (ma ridondante, soprattutto nel finale, anzi, nei finali, almeno tre) dal punto di vista dello "sdoganamento" delle coppie e dell'orgoglio gay (pensiamo che il film è del '99), ma è veramente pessimo nella messa in scena. Fotografia brutta e decisamente televisiva, direzione legnosa, movimenti di macchina non all'altezza, direzione degli attori pessima. Il fondo lo si tocca con la scena della festa di matrimonio dell'amico José col suo compagno: una scena nel suo complesso imbarazzante, in particolare, il gruppo che suona sul palco sembra un consesso di statue di sale, e il dolly finale su Marga e Iñaqui è sinceramente da dimenticare.

Ci si ritrova a cercare la curiosità, il dettaglio interessante. Qualcosa c'è: le apparizioni, brevissime. Fernando Tejero, visto in Fuori Menù ma anche in Crimen Perfecto, Torremolinos 73 e I lunedì al sole, in una spassosa masturbazione iperveloce; Paz Vega (La masseria delle allodole, L'altro lato del letto, Parla con lei, Lucía y el sexo), nella scena del matrimonio gay, Lucía Etxebarría stessa, nella scena della festa per la mostra di Iñaqui, dove flirta con lui consegnandogli una copia di Nosotras que no somos como las demás dove ha appuntato il suo numero di telefono. Niente di più.

20090819

Polonia ago 09 - 2


Warsaw
Un breve post su questo breve soggiorno nella capitale polacca, soprattutto per ringraziare i due fantastici ospiti, Massimo e Sylwia, ai quali ho completamente tolto la privacy per 4 giorni.


Varsavia, dunque. La seconda volta per me, dopo la prima quasi due anni fa, sempre grazie a Massi (qui e qui). Questa volta è estate, e fa caldo. Il loro appartamento è minuscolo, ma mi ci affeziono prontamente, ed è a Praga, un quartierone di là dalla Vistola rispetto al centro storico, in uno dei tanti palazzoni di eredità comunista, che a me piacciono tantissimo. Usciamo di giorno, loro due sono impegnati con un festival che si svolge su un barcone ormeggiato sul fiume, ma non troppo. Pochissimi musei (solo uno, dei poster, interessante ma sobrio e piccolo), ma tante camminate e un fiume di chiacchiere, quasi sempre in inglese per essere tutti coinvolti. In pratica, la sera non siamo mai usciti, e abbiamo dato sfogo alla nostra passione comune, il cinema: del resto, loro due ci lavorano, e a me piace pensare di essere una sorta di ciarlatano sul tema. Quindi, abbiamo visto un sacco di film. Purtroppo, non siamo riusciti nell'impresa di vedere uno dei capolavori di Herzog, Aguirre, The Wrath Of God (ci piace il titolo in inglese), ma rimedieremo presto, ognuno per proprio conto. Aguirre è diventato un po' il tormentone di questa piccola vacanza. Aguirre, Herzog e il suo rapporto di amore/odio con Klaus Kinski.

Ho dormito 4 notti sul pavimento, e paradossalmente, ma neppure tanto, la mia schiena adesso sta meglio. Last but not least, sono contento di aver fatto una buona scelta "di viaggio", scegliendo all'ultimo momento un libro che era lì, nel mucchio di quelli da leggere, che è stato un ottimo compagno di viaggio, ed è durato esattamente i tempi che avevo a disposizione. La recensione a breve, nel frattempo, visto che incredibilmente, alla fine mi sono quasi completamente riconosciuto in una delle sue pagine, nonostante non ci siano grosse similitudini tra me e il protagonista, vi lascio con qualche "estratto" di Ho qualcosa da dirti di Hanif Kureishi, e ringrazio ancora una volta Massi e Sylwia:


Non sono più giovane, e non sono ancora vecchio. Ho raggiunto l'età in cui devo chiedermi come vivrò, e cosa farò, con il tempo e il desiderio che mi rimane. So che ho bisogno di lavorare, che voglio leggere e pensare e scrivere, e mangiare e parlare con amici e colleghi.

[...]

Sono sicuro di non avere chiuso con l'amore, sia nella sua forma benigna che in quella folle. E l'amore non ha chiuso con me.

paga i debiti!


Payin' The Dues - The Hellacopters


1997, secondo album per gli svedesi, ultimo con Dregen alla chitarra: tornerà definitivamente ai soli Backyard Babies, fulltime.

Non so se è l'album più bello, ma ci sono buone probabilità: la scaletta è un turbine di rock and roll metallico, un continuo deragliamento chitarristico, un filotto di grandi canzoni, tutte da cantare e da farci headbanging. Se parto non mi fermo più: You Are Nothin', marziale, Like No Other Man, da convulsioni, Looking At Me, gli AC/DC incontrano i Kiss, Riot On The Rocks, puro punk'n'roll, Hey! inaugura il nuovo corso degli Hellacopters, quello più melodico, di classe, meno wild, che verrà tra qualche anno e tra qualche disco, Soulseller, ancora oggi un classico irrinunciabile (e quell'uh all'inizio anche), Where The Action Is, che è un po' la seconda parte di (Gotta Get Some Action) NOW! che apriva il precedente Supershitty To The Max!, Twist Action, puro rock and roll alla Elvis velocizzato, Colapso Nervioso, hard blues semi-psichedelico.

Chiude Psyched Out And Furious, che è forse il pezzo più debole del disco: provate ad ascoltarla per prima, così vi fate un'idea della qualità dell'insieme!

Niente altro da aggiungere.

viole viola


Purple Violets - di Edward Burns 2007


Giudizio sintetico: si può vedere. Per teneroni.


Patti è sposata con Chazz, Patti fa l'agente immobiliare e Chazz il cuoco; sono sposati da sei anni, ma qualcosa non va. E' il compleanno di Kate, la migliore amica di Patti, dai tempi della scuola, e Patti vuole andare fuori a festeggiarla, ma Chazz non ne vuole sapere. Così, Patti e Kate vanno a cena da sole. E nel ristorante entrano Brian e Michael, insieme alla ragazza di Brian. Brian, scrittore di best seller, era il ragazzo di Patti, Michael, avvocato di Brian, era quello di Kate, ma si sono lasciati con rancore. Nessuno dei quattro vuol fare il primo passo, ma alla fine è Brian che si alza e va a salutare le ragazze. Kate è furiosa, e vomita addosso la sua rabbia verso Michael su Brian, mentre Patti è quasi emozionata. Si rivedranno.


Lo so, c'è chi lo odia. C'è chi odia Ed Burns, c'è chi lo definisce un wannabe handsome Woody Allen, ed è vero che, soprattutto per il suo amore verso New York, Burns sembra voler scimmiottare Allen, ovviamente perchè le cose che gli riescono meglio, a parte ambientare i suoi film nella Grande Mela, è parlare di rapporti di coppia tra thirty-something della classe bene. E' tutto vero. Probabilmente a me piace perchè in fondo, anche se è sposato con una supermodella (Christy Turlington), è un tenerone, e gli piace parlare degli amori che durano tutta una vita, passando attraverso bufere, altri rapporti, altri matrimoni, altre storie, altre vite.

E' vero anche che dopo neppure 10 minuti di Purple Violets si capisce come andrà a finire.

Nonostante tutto ciò, questo film mi è piaciuto molto, mi ha commosso, mi ha coinvolto, e, in fondo, ho apprezzato perfino l'happy end, anzi, mi sarei veramente innervosito se non ci fosse stato. Vi ho avvertito.

Il film è uscito nel 2007 distribuito esclusivamente su iTunes. In questi mesi è uscito in Italia in dvd. Il cast è gagliardo, tutti carini e discretamente bravi, ma Selma Blair (i due Hellboy) ha qualcosa in più, senza contare che è una delle poche donne che risulta sexy con i pug boots.

20090818

la musica è sempre la stessa...


The Song Remains The Same - Led Zeppelin


Per la serie i dischi che mi hanno cambiato la vita, ormai un luogo comune per il mondo dei blogger, ecco uno dei "miei" dischi. Non ricordo benissimo come ne venni in possesso, forse erano due C60 ovviamente non originali. Con gli anni, poi, è venuto il vinile, che per la cronaca ha preso un po' di sole e si è "imbarcato" (ondulazione dovuta a surriscaldamento), il film in vhs, il doppio cd. Nonostante tutto, c'è poco da dire, chi è interessato alla storia troverà, in rete e no, miliardi di aneddoti e curiosità su questo film/disco.

Doppio dal vivo, una tappa classica per le grandi rock band, esce nel 1976, non contiene precisamente tutti i grandi pezzi dei Led Zep (sarebbe stato necessario probabilmente un ottuplo, e alcune non erano ancora state scritte), ma cattura una band in stato di grazia durante tre serate del 1973 al Madison Square Garden di NY, evidentemente fantastiche. Lasciate che vi ripeta la scaletta: Rock And Roll, Celebration Day, The Song Remains The Same, Rain Song, Dazed And Confused, No Quarter, Stairway To Heaven, Moby Dick, Whole Lotta Love. C'è di che rimanerci secchi anche a distanza di 33 (trentatré) anni, poco da fare. Versioni energiche per alcuni pezzi (i due iniziali), dilatate fino ad essere "espanse" (Dazed And Confused da 26 minuti e 53 secondi, l'intero lato B del disco 1 nella versione in vinile, una follia pari a quelle delle suite delle band progressive) le altre, con lo sdoganamento delle cosiddette tag, l'inserimento di altri pezzi dentro brani della band (Boogie Chillen di John Lee Hooker dentro Whole Lotta Love). Quattro musicisti in forma probabilmente vicina alla santificazione, anche riascoltando questo disco oggi non si riesce a trovare qualcosa da cambiare, anzi, ci si ritrova a seguire per filo e per segno le note imparate a memoria, in quelle versioni, diversi lustri fa. Nonostante l'imbarazzo della scelta, il mio pezzo preferito era e rimane una sofferta e sognante versione di Rain Song. Nella versione film, da notare che al posto di Celebration Day c'è Black Dog, così, tanto per inserire una B side...

Un disco storico, fondamentale, una pietra miliare, irrinunciabile, indimenticabile, intramontabile.

copriti


Abrígate - di Ramón Costafreda 2007


Giudizio sintetico: si può perdere


Valeria, figlia di emigrati galiziani in Argentina, compie il percorso contrario e torna in Galizia: da Buenos Aires a Betanzos, provincia di La Coruña, un luogo piccolo, provinciale, a volte troppo. Il film comincia quando Yves, il suo maturo compagno, muore nel sonno. Valeria è bella, giovane e piena di vita, e repentinamente, dopo aver conosciuto Marcelo, il figlio di Yves, che si presenta alla camera ardente per la veglia, se ne invaghisce, ricambiata. Ma forse non è il modo giusto per dimenticare il suo defunto compagno.


Come sottolineano le locandine, il motivo di interesse principale per vedere questo film è il fatto che, insieme al regista, ne abbia scritto la sceneggiatura Fernando Castets, sceneggiatore che ha contribuito alle stesure della bellissima trilogia argentina di Juan José Campanella, formata da El mismo amor, la misma lluvia, El hijo de la novia e Luna de Avellaneda.

Purtroppo, Castets non basta, evidentemente, a fare un buon film. Per carità, non che questo Abrígate sia pessimo, tutt'altro. E' ben fotografato, è girato tra l'altro in location incantevoli, la regia è discreta, gli attori non da buttare; ma non colpisce più di tanto.

Uscito solo in Spagna e Argentina, un motivo di interesse, per chi mastica la lingua, è il fatto che sia recitato praticamente in tre lingue: castigliano spagnolo (comunemente conosciuto come spagnolo), castigliano argentino e galiziano. Interessante pure ascoltare come i galiziani passino al castigliano non senza difficoltà, "trascinandosi" dietro dei verbi o delle inflessioni forti.

20090817

estate

35 gradi all'ombra. sono tutti ancora al mare o in montagna. e io che sogno di avere una piscina in giardino , anche piccola, 20 metri andrebbe bene. dove farci una nuotatina verso sera, prima di cena o a mezzanotte tanto per rinfrescarsi dopo un sigaro e un libro di paul auster.

il mio alito ha scoperto che mi piace l'aglio viola della provenza, ne ho preso un bel pò quando sono stato lì in vacanza, squisito a pezzettoni sul pane col grana.

la tartaruga nuota che è un piacere.

dogodogo


Dogocrazia - Club Dogo


Ho letto lodi sperticate su questo disco; prima di questo, avevo sentito solo qualche pezzo qua e là, e i Club Dogo non mi avevano mai convinto. A volte, il rap è questione di pelle, di sensazioni: è difficile dividere quello buono da quello "cattivo", o scarso. Non voglio arrischiarmi nel fare classifiche o top qualcosa: quel che mi dice questo ennesimo disco dei Dogo è che non mi piace proprio. I testi mi paiono poco ispirati, le basi prevedibili. Le comparsate molte, come di consueto (J Ax, Kool G Rap, Marracash), ma non riescono a sollevare la media di un disco davvero di basso livello. Nonostante l'attitudine "dura" e i film porno alle spalle (Mucchio Selvaggio del 2007, niente male, ma troppo italiano per i miei gusti), a mio giudizio siamo poco più in là dei Gemelli Diversi.

matrioske


Bambole russe – di Cédric Klapisch 2005


Giudizio sintetico: si può perdere


Dopo cinque anni dall’avventura “Erasmus” a Barcellona, raccontata con “L’appartamento spagnolo”, Xavier vive (o sopravvive) a Parigi, barcamenandosi tra articoli senza senso per alcuni giornali, un lavoro di sceneggiatore per soap-opera alla televisione, l’ex fidanzata Martine, che ha avuto un figlio da un’altra relazione, in continua crisi esistenziale, decine di storie di una sera o poco più, la mamma che vuole essere a tutti i costi giovanile, il nonno che lo vuole fidanzato, l’amica Isabelle che lo ospita visto che non ha nemmeno una casa. Il suo romanzo, insieme alle sue velleità da scrittore, le ha chiuse in un cassetto, e tutto intorno a lui sembra congiurare perché tutti si sistemino e mettano su famiglia. Il lavoro di sceneggiatore sta per dissolversi, vista l’acquisizione del canale da parte di un network inglese; ma, improvviso come una bomba, l’amico inglese William piomba a Parigi, dato che da lì i voli per San Pietroburgo costano meno; sta per andare in Russia e sposarsi con una ballerina locale. William dà un’idea a Xavier: sua sorella Wendy fa la sceneggiatrice. Il matrimonio di William sarà l’occasione per una rimpatriata dell’Erasmus, oltre a risultare galeotto.


L’appartamento spagnolo” era un film divertente, anche se probabilmente rendeva caricaturali i giovani che usufruiscono del progetto Erasmus. Questo “Bambole russe”, che si propone come il sequel “adulto” di quel film giovanile, risulta un lavoro molto confuso, soprattutto dal punto di vista della sceneggiatura. Klapisch è bravo nell’usare tecniche di messa in scena, è spavaldo nelle inquadrature, ha il senso del ritmo, ma è molto meno bravo nel dare un filo logico alle storie, nell’approfondire i profili dei personaggi, nello scendere davvero in profondità quando si parla di sentimenti. Il suo debutto (“Chacun cerche son chat” del 1996, film del quale, da anni si mormora, Muccino dovrebbe dirigere il remake Made in USA), dopo alcuni film seguenti (“L’appartamento spagnolo”, appunto, ma anche “Autoreverse”), ci aveva illuso, evidentemente. Forse è meglio se si limita a far ridere.

Impalpabile.

20090816

altrove


Elsewhere - Scott Matthews


Sarò fissato, ma devo dire che la prima cosa a cui mi fa pensare Matthews quando inizia a cantare il primo pezzo Underlying Lies, è a Eddie Vedder dei Pearl Jam. Però state tranquilli: questo suo secondo disco Elsewhere è molto meglio dei pezzi di Ed per la colonna sonora di Into The Wild.

Scherzi a parte, è un disco delicato, delicatissimo, questo dell'inglese di Wolverhampton, che ricorda pure, a tratti, Buckley (Fractured, Suddenly You Figure Out). Forse un po' troppo delicato, tanto che tali atmosfere sognanti, riflessive, malinconiche, lente e romantiche, soffuse, rischiano a volte di fan venire sonno. Però non voglio essere troppo cattivo: c'è realmente del buono, seppur non sia originalissimo.

tempo da lupi


Il tempo dei lupi – di Michael Haneke 2004


Giudizio sintetico: ostico


Francia, una famigliola di madre, padre, figlia e figlio adolescenti, arriva nella casa in campagna e la trova occupata da sconosciuti; uno di questi uccide il capofamiglia. Inizia così una agghiacciante odissea per la sopravvivenza, visto che l’irruzione degli sconosciuti è legata ad una catastrofe non meglio identificata che lascia senza energia il paese, raziona acqua, cibo e medicinali, e lascia tutti nel caos.


Girato quasi seguendo le regole “Dogma” (niente colonna sonora, luci che sembrano sempre naturali), Haneke si conferma regista estremo, confezionando un film totalmente angosciante, che riflette sulla condizione umana e, soprattutto, sulla deriva egoistica che ha preso.

Un film che può risultare molto noioso, disturbante, e quindi non per tutti.