No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100630

varie (ed eventuali)


E' arrivato il caldo vero, io sono stanchissimo e oberato di lavoro, devo ancora prenotare l'auto a noleggio per l'Islanda ma soprattutto devo (far) riformattare il laptop che è pieno di virus.

Avrei voluto scrivere qualcosa su Silvio, che anche ieri in Brasile ha dato spettacolo, ma come si fa. Leggete il reportage di Repubblica qui. La parte della fila di ragazze che lo vogliono sposare ora che è ridiventato single l'aveva già detta in Bulgaria quasi un anno fa, e quella della ciulatina è una barzelletta vecchia come quelli della mia generazione. Questa è la persona che ci rappresenta nel mondo, che tiene alta la nostra bandiera, ma ovviamente è sbagliato prendersela con lui, perchè sicuramente la maggioranza degli italiani lo apprezza, vede in lui un politico che non è un politico, l'uomo del fare eccetera. Quindi, sbaglio io.

Sbaglio, perchè ad esempio ieri sera mi è capitato di ascoltare una trasmissione alla radio, durante la quale un signore, evidentemente elettore del PdL, si inalberava perchè il conduttore aveva messo a confronto i titoli dei telegiornali, facendo notare che il TG1 aveva messo il titolo sulla condanna a Dell'Utri in modo che sembrasse fosse stato assolto. Il signore diceva che è giusto così, perchè tanto se ascolti i titoli del TG3 invece li mettono al contrario, che son comunisti. Questo è il ragionamento.


Quindi, quotando in toto il post di Monty su Taricone, perchè anch'io ho seguito il GF1 come se fosse un esperimento scientifico (schifando poi tutti gli altri sempre di più, a parte quello dove c'era Carolina Marconi - foto -, per ovvi motivi intellettuali), è giusto dare 10 minuti di spazio, in un tg della sera, alla morte di Pietro (Taricone), e magari toglierlo a, che ne so, la Finanziaria, lo sciopero generale, le donne del Mali e le elezioni in Colombia.


Forza Italia.

dei


Gods And Goddesses - Brant Bjork (2010)


Il buon vecchio Brant, che come tutti quelli che devono sapere, sapranno essere stato il primo batterista dei Kyuss, cantante, polistrumentista e produttore, si è costruito una carriera solista di tutto rispetto, seppure lontanissimo dai riflettori e dalle major (oltre 20 dischi senza contare le collaborazioni).

Anche questo nuovissimo Gods And Goddesses coglie nel segno: dosi controllate di lisergicità, classici suoni "desertici", cantato accattivante, songwriting invidiabile.

Rapido (poco più di 30 minuti), ma più che gradevole. Tutti i pezzi sono buoni, la mia personale preferenza va al pezzo di chiusura Somewhere Some Woman.

el otro lado de la cama


L’altro lato del letto – di Emilio Martínez Lázaro 2002


Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)

Giudizio vernacolare: 'nzomma

Commedia sentimentale, quattro amici, tre coppie, due delle quali finiscono per “scambiarsi” dei “favori”.


Niente di profondo, dinamiche semplici e morale semplicistica, attori, anche promettenti (Paz Vega, vista in “Lucía e il sesso”, Natalia Verbeke, vista ne “Il figlio della sposa”), usati così così.


Gag viste miliardi di volte (la partita di tennis sembra un dejà vu), ovviamente da “commedia degli equivoci”, ma una decina di risate si fanno.

20100629

città invisibili



finalmente è pronto il nuovo disco:
CITTA' INVISIBILI

7pezzi in stile estere.
rock pop altenative blue jeans.
registrato ancora una volta al tray studio di inzago e masterizzato al newmastering di milano.

ecco la scaletta:
I.genova naïf
2.zoe
3.vestita di pelle
4.invisibile
5.la cura
6.irene
7.furore


olè olè olè!!!!!!

vw

E fatevi due risate.


bambini


Certi bambini – di Andrea e Antonio Frazzi 2004


Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Giudizio vernacolare: boia bello, firme inniorante

In una città che, anche se non viene mai detto esplicitamente, pare proprio Napoli, Rosario, quasi 12enne, senza genitori, una nonna in preda all’Alzheimer, è sospeso tra il bene (un centro d’accoglienza) e il male (la “carriera” di malavitoso).
La vita lo mette tutti i giorni alla prova, e lui, nella confusione adolescenziale, agisce di conseguenza e come meglio crede.

E’ un film duro, che fa star male; il paragone con “City Of God”, che ho letto in una recensione, mi è parso azzeccato.
Il montaggio, che alterna flashback e rimandi ad un viaggio in metropolitana di Rosario, è ben fatto e ottimamente concepito; le recitazioni tutte ottime.
Unico appunto, visto che ormai non è un eresia, dei sottotitoli per i non campani, in alcune scene almeno, sarebbero stati graditi.
Ottimo film.

20100628

as tres Marias


Il cuore criminale delle donne – di Aluizio Abranches 2002


Giudizio sintetico: da evitare (1,5/5)

Giudizio vernacolare: o quanto 'iaccherano?

In un Brasile “western”, la famiglia di un vedovo rifiutato da una vedova piacente, ne uccide il figlio; la capofamiglia assegna allora alle tre figlie femmine il compito di assoldare tre pericolosi killer per vendicarsi dei tre componenti del “clan” assassino.
Quando i tre killer si riveleranno inaffidabili, le tre donne si faranno giustizia da sole.

Una tragedia greca scontata, verbosa e francamente noiosa; fotografia troppo nitida inadatta ad un film del genere a meno tu non sia Tarantino.

20100627

telefono


Phone – di Ahn Byung-Ki 2002


Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)

Giudizio vernacolare: du' palle

Corea del sud, una giornalista durante una sua inchiesta sulla pedofilia viene molestata telefonicamente da uno sconosciuto; terminata l’inchiesta decide di prendersi un periodo di riposo in una casa di una coppia di amici, e di cambiare il numero del cellulare. Con questo nuovo numero i problemi saranno ancora di più.

Denso di citazioni, il film, strombazzatissimo dalla pubblicità, gioca tutto sul fattore sorpresa per gli indispensabili (così si ritiene) balzi sulla sedia; purtroppo, per lo spettatore smaliziato, le “apparizioni” e le sorprese risultano tutte telefonate (ah ah).

Visto che la trama appare piuttosto irreale, il risultato è noiosissimo. Menzione speciale per la piccola Eun Seo-Woo, autrice di un’interpretazione molto convincente.

20100626

buon viaggio


Bon Voyage – di Jean-Paul Rappeneau 2004


Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)

Giudizio vernacolare: boia che sonno...meno male c'è isabelle

Francia 1940, arrivano i nazisti, e la nazione è piegata e frastornata. Si incrociano le storie di una famosa attrice, il suo spasimante che fa lo scrittore, un ladruncolo, un ministro, un giornalista che si rivela una spia tedesca, uno scienziato e la sua assistente.

Accolto dalla critica osannante, il film di Rappeneau è poco più che un esercizio di stile, omaggiante il cinema e la commedia, anche sentimentale, d’altri tempi. Si ride, si fa satira politica, ma il ritmo è lento e l’intreccio a tratti stucchevole. Si distinguono le donne, la Adjani perfetta nei panni della stralunata attrice e la Ledoyen che interpreta l’assistente passionale del vecchio scienziato.
Non imprescindibile.

20100625

equilibrio


Come sa chi mi conosce o chi segue il blog da molto, da diversi anni non riesco più a tifare per la Nazionale italiana. Son cose strane, difficili da spiegare anche a se stessi. Nel 1982 ero in strada a festeggiare con un bandierone enorme comprato al mercatino americano di Livorno, un bandierone che, mi ricordo, ricopriva interamente la Renault 4 con la quale scorrazzavamo per le strade a passo d'uomo (non ricordo neppure di chi era, non mia, avevo 16 anni). Bagno in mare all'una di notte, avvolti nel bandierone. Cose da giovani.


Chissà come è successo. Colpa di Silvio, del fatto che mi sento sempre meno italiano, dell'antipatia di Lippi, Cannavaro, e di ognuno di quelli che si avvicinano loro, del fatto che la bandiera italiana, ingiustamente, è diventata un simbolo di un fascismo latente (nemmeno troppo), insomma una roba che non so, come detto, spiegare bene neppure a me stesso.


Quattro anni fa ho sofferto, lo scrissi. Stavolta avrei potuto infierire. Ma, ad essere sinceri, ieri un po' tutti mi hanno fatto proprio pena. Tutti, meno Marcello Lippi. E' riuscito a stupirmi. Non avevo mai visto nessuno riuscire a risultare spocchioso anche mentre si autoaccusa di aver sbagliato a fare qualcosa.


E' un primato anche questo.


Ad ogni modo, l'eliminazione dell'Italia apre le porte anche ai tifosi più accesi, la possibilità di godersi una fase finale dei Mondiali senza patemi, e soprattutto alla ricerca del bel gioco. Non che se ne sia visto molto, ma almeno qualcuno ci ha provato.

Da parte mia, spero vinca una sudamericana di lingua spagnola, non importa quale. Sarebbe un bel traguardo, e pure un paradosso enorme, se ci pensate bene. Uruguay, Argentina, Paraguay, Cile (forse, ancora non è passato alla prossima fase), e ci voglio mettere anche il Messico (anche se ad essere pignoli qui si tratta di centro e non sud America), non sono esattamente paesi del G8. Se trionfassero in uno sport che è sempre più dominato dal dio denaro, a scapito di paesi quali Germania, Inghilterra, Olanda, Spagna, Giappone, Stati Uniti, e che esportano calciatori anziché importarli, sarebbe una cosa sulla quale riflettere anche al di fuori dell'ambito sportivo, non trovate?

soccer


Visto che siamo in tempi di Mondiali di calcio, una foto che risale a ben 28 anni fa. La squadra di calcio della mia classe delle superiori. Grazie a Leo che l'ha ritrovata e scannerizzata.

la promessa


La promesse – di Luc e Jean-Pierre Dardenne 1996


Giudizio sintetico: da vedere (4/5)

Giudizio vernacolare: addiacciante dé

Liegi, Belgio; un padre cresce il figlio quindicenne, Igor, nel totale disprezzo della legge, facendosi aiutare da lui nel traffico e nello sfruttamento degli immigrati clandestini. La curiosità di Igor verso una famiglia di africani e la morte, per una caduta da un’impalcatura, del capofamiglia, che prima di morire prega il ragazzo di occuparsi della moglie e del figlioletto, cambierà l’inerzia e la vita di padre e figlio.

Angosciante ed agghiacciante, il debutto dei Dardenne è un film che lascia uno spiraglio di scampo solo alla fine, e solo l’indulgenza dello spettatore potrà lasciare aperto uno spiraglio di speranza. Asciutto ed implacabile, il film ci lascia scossi ed impietriti di fronte alla barbarie moderna.

Da vedere anche ad anni di distanza dall’uscita.

20100624

la grande seduction


La grande seduzione – di Jean-François Pouliot 2003


Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Giudizio vernacolare: ir regista di si'uro è un compannio

In un piccolissimo villaggio di pescatori (meglio, ex pescatori) del Quebec, la stragrande maggioranza degli abitanti vive del sussidio di disoccupazione, e la felicità sembra svanita; per quelli che rimangono, c’è l’opportunità dell’apertura di una piccola fabbrica, ma per questo sono necessari alcuni requisiti (oltre a una cospicua mazzetta), tra i quali la presenza fissa di un medico. Tutti gli abitanti allora, fanno in modo che arrivi un medico in prova per un mese, e in quel mese fanno di tutto per far si che decida di rimanere.

Film spassoso, con gag divertenti e belle battute, ma soprattutto delicata riflessione sulla dignità umana e sul diritto al lavoro.
Piacevole sorpresa.

20100623

cr



Due maglie dei grandi Casino Royale, comprate a distanza di 10 anni.

wedding


Il vestito da sposa – di Fiorella Infascelli 2003


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: 'nzomma

Stella vive felice in campagna, con la madre, e sta per sposarsi (ha già pronto un bellissimo vestito, che il sarto Franco le ha già approntato); ma subisce un terribile stupro, da parte di un gruppo di quattro amici, uno dei quali è proprio Franco. Lo shock e il tentativo di ricominciare la faranno abbandonare gli studi e il fidanzato insieme ai propositi di matrimonio, mentre troverà lavoro in una pasticceria e si avvicinerà decisamente a Franco, ignara del fatto che lui sia uno dei quattro stupratori.

L’idea non è male, ma lo svolgimento lascia dubbiosi e insoddisfatti. Una serie di cose non convincono fino in fondo, ma in effetti il problema di fondo è che il film parte come dramma psicologico (a due; Stella che subisce un trauma e cambia forzatamente, e Franco che ha dei problemi e ne è cosciente, ma non riesce a cambiare pur sentendosi colpevole) e finisce per diventare quasi un poliziesco. Il finale sembra una scorciatoia per non affrontare la resa dei conti.

20100622

prima del terremoto

Da Internazionale nr. 851
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Haiti 1 - Italia 0
The New York Times, USA
Il 15 giugno è stato l'anniversario di quello che può essere considerato il più grande giorno della storia sportiva di Haiti. Il 15 giugno del 1974, ai Mondiali di calcio in Germania, al 46esimo del primo tempo della sua prima partita, la squadra haitiana segnò un gol contro l'Italia.
Alla fine gli haitiani furono sconfitti per 3 a 1, poi persero altre due partite e furono eliminati.
Da allora, la nazionale di Haiti non si è più qualificata per i Mondiali. Però quel gol l'ha segnato, e contro una delle squadre più forti del mondo. Anzi, contro uno dei migliori portieri del mondo, Dino Zoff, che non ne subiva uno da oltre mille minuti di gioco.
La nazionale haitiana ha una storia sportiva modesta, quindi la gioia di quel gol emoziona ancora i suoi tifosi. E il giocatore che lo segnò - Emmanuel Sanon, detto Manno - è un eroe nazionale. Sanon, che poi ha giocato negli Stati Uniti da professionista, è morto nel 2008, ma il suo momento di gloria sopravvive nella memoria degli haitiani e su YouTube, dove si può ammirare Manno che corre, salta un difensore italiano, supera Zoff a tutta velocità, tira e...gol! L'equivalente haitiano di "Gool!" è il "Buuuuuut! But d'Haitiiiii!", gridato dal telecronista.
Oggi anche ad Haiti la gente seguirà i Mondiali in tv, nei bar, nei ristoranti e sotto le tende costruite negli accampamenti per gli sfollati del terremoto o davanti agli schermi installati allo stadio di Port-au-Prince. E molti haitiani, mentre tiferanno per altre squadre, ripenseranno a quel giorno che il resto del mondo ha dimenticato.
Certo, la realtà riprese subito il sopravvento. Golia sconfisse Davide, il mondo andò avanti e Haiti tornò ad essere un piccolo paese con molti problemi.
Però le resta la partita, il ricordo di quegli istanti di trentasei anni fa, quando toccò il cielo con un dito: Haiti 1 - Italia 0. Almeno quel ricordo, nessuno può portarglielo via.
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Leggere questo trafiletto mi ha fatto tornare indietro, appunto, di ben 36 anni. Credeteci o no, io nel 1974 ero già molto appassionato di calcio, come già ebbi a dirvi in occasione di questo post, dove vi raccontavo un'altra partita storica che si svolse in quei Mondiali. Aggiungo che lo stesso anno, se non ricordo male, mentre ero a Gavinana, alla colonia estiva montana insieme ad altri bambini, ero l'unico che ogni mattina, quando le "signorine" che ci sorvegliavano ci portavano nella piazza principale del paesino (in provincia di Pistoia), entravo nell'unica edicola e compravo almeno due quotidiani sportivi (e per questo ero soprannominato "sportivo", cosa che, perdonatemi, ero un bambino piuttosto complessato, mi faceva arrabbiare e spesso piangere, pensate un po', poi uno si domanda perchè faccio autoanalisi su un blog).
Torniamo ad Haiti. Mi ricordo benissimo quella partita. Mi ricordo che oltre a Sanon, avevano un portiere fortissimo, Francillon, che sulla sua figurina (Panini) aveva delle labbra spaventose. L'Italia come sempre giocava con spocchia e con sufficienza, incapace di costruire gioco davanti a squadre che facessero la partita, e alla fine prese questo gol incredibile, che scatenò un'euforia incontenibile nello staff tecnico haitiano, talmente incontenibile che molti italiani furono colpiti.

Haiti perse 3 a 1 quella partita, poi perse 7 a 0 con la Polonia, e 4 a 1 con l'Argentina. Non fu la peggior squadra di quel Mondiale: nel gruppo 2 (l'Italia era nel gruppo 4, a quei tempi c'erano solo 16 squadre) c'era lo Zaire, che non segnò neppure un gol, ma in compenso ne prese 2 dalla Scozia, 3 dal Brasile e, pensate, addirittura 9 dalla Jugoslavia). L'Italia non passò il gironcino, perchè passarono Argentina e Polonia. La Polonia aveva un altro portiere fortissimo, Jan Tomaszewski, che giocava col numero 2 sulla maglia, una cosa a quei tempi inconcepibile.

Che tempi. Beh, quantomeno come nazione abbiamo regalato un momento felice ed indimenticabile ad un paese molto sfortunato. E' una ben magra consolazione.

apocalisse


The Day After Tomorrow - L’alba del giorno dopo – di Roland Emmerich 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: 'na 'atastrofe dé

Per effetto dello scioglimento di un enorme “pezzo” di Antartide, all’improvviso si scatena una glaciazione dell’intero emisfero nord del pianeta. Due climatologi se ne accorgono, e cercano di mettere in guardia il vicepresidente degli USA, che per tutta risposta li snobba.

Il difetto enorme di questo filmone catastrofista è di essere una classica “americanata” dove tutto è esagerato, con sottotrame un po’ insulse e romanzate, con un happy end mieloso; ma è innegabile la forza eversiva di una previsione non così lontana dalla realtà, dipinta, anche se grossolanamente, come un enorme contrappasso anti-USA (incredibile paradosso per un film che da lì viene).

La statua della libertà ghiacciata e semi-sommersa dalla neve, l’incrociatore russo alla deriva in una Manhattan inondata, tornado giganteschi che radono al suolo Los Angeles e spazzano via la scritta cartonata di Hollywood, il vicepresidente USA che ammette i suoi errori in diretta tv in “esilio” forzato, il Presidente che prima di morire in una tempesta cancella il debito dei paesi sudamericani e del terzo mondo (dopo che il Messico aveva chiuso le frontiere di fronte ai profughi provenienti dagli USA!!), i profughi USA che attraversano clandestinamente il Rio Grande.
Basta questo per rendere interessante un film, o almeno, l’idea di un film, nonostante i punti deboli citati poco prima.

20100621

anatemi



A differenza dell'amica Titta, non mi sono affatto stupito quando ho ascoltato (piuttosto distrattamente, devo dire) la notizia della nota polemica dell'Osservatore Romano a proposito della morte di Saramago. Me lo aspettavo. Me lo aspettavo perchè sono presuntuosamente convinto di essere migliore di tutto l'entourage della Chiesa.

Come ho detto più volte, sono credente a modo mio, anche se provo da tempo a diventare ateo, ma non ho alcun problema a confrontarmi con "versioni" differenti rispetto a quelle ufficiali, a proposito della storia della Chiesa e dei suoi più illustri rappresentanti. E' un po' il discorso che feci, ai tempi, di fronte a L'ultima tentazione di Cristo, di Martin Scorsese (1988), che arrivo in Italia accompagnato da anatemi e minacce di scomunica, intimidazioni a non vederlo da parte della Democrazia Cristiana eccetera eccetera. Solo degli ottusi possono pensare che le cose andarono proprio come scritto sui quattro vangeli ufficiali.

Pensate che mi capitò di leggere Il Vangelo secondo Gesù Cristo, di Saramago appunto, in un periodo in cui lessi pure In diretta dal Golgota, di Gore Vidal, un libro, a parte la feroce ironia, spassoso, al contrario di quello di Saramago, intenso e profondo, doloroso quasi. Perchè negarsi la possibilità di ascoltare altri punti di vista, altre possibili versioni, perfino fantascientifiche?

Magari sbaglio. Ma almeno io mi faccio venire dei dubbi. C'è chi non lo fa. Almeno, in apparenza.
Due libri molto belli, comunque.

aw




Comprata nel gennaio 1994, se non ricordo male, al concerto degli Afghan Whigs al Flog di Firenze. Che tempi.

l'abbraccio diviso


El abrazo partido – L’abbraccio perduto – di Daniel Burman 2004


Giudizio sintetico: da vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: fa ridé e fa anco piangé

Ariel è di Buenos Aires, ed è di famiglia ebrea polacca; il padre ha lasciato la famiglia quando lui era un neonato, divorziando dalla madre e andando in Israele per la guerra dello Yom Kippur, e lì è rimasto; praticamente vive nella comunità ebraica di commercianti che occupano una galleria di un centro commerciale; insieme alla madre ha un negozio di intimo.
E’ un giovane insicuro, e non capisce perché la madre quando parla del padre lo difende così tanto, visto che l’ha abbandonata con la famiglia (Ariel ha anche un fratello più grande, che ha un’altra attività commerciale nella galleria).

A metà tra Woody Allen e Clerks, camera a mano nervosa, Burman dipinge una galleria (appunto!) di personaggi talmente grotteschi da essere più che reali, con quel sarcasmo che è proprio delle comunità ebree (tanto da far pensare che anche il regista lo sia), intreccia una serie infinita di sottotrame, definisce i personaggi e contemporaneamente, ci porta ad una conclusione a sorpresa che lascia affascinati e quasi commossi.

Il protagonista Daniel Hendler (Ariel), premiato a Berlino, è la punta di diamante di una serie di recitazioni ben fatte.

20100620

mondiali

a proposito di mondiali, due le domande:
- perchè quasi tutti i giocatori indossano le stesse bruttissime scarpe dai colori osceni?
- perchè non si può esonerare un allenatore dopo la seconda partita se ci si rende conto che è una merda?

febbre mondiale

Non ne abbiamo ancora parlato, su Fassbinder. Ma sia io che Lafolle siamo appassionati di calcio, per cui non ne abbiamo parlato perchè siamo troppo impegnati a seguire i Mondiali sudafricani.
Ora, soprattutto perchè per alcune cose sono pigro, il giorno prima che cominciassero i Mondiali mi sono reso conto che la beneamata RAI, il cosiddetto servizio pubblico televisivo italiano, per il quale paghiamo una cospicua tassa annuale, e che, a tale proposito, si permette di inviare lettere minatorie e minacce varie a chi è sospettato di non pagare il canone, avrebbe fatto vedere una partita su tre giornaliere, durante la fase eliminatoria, facendo perdere, a chi magari era interessato e non aveva Sky, le partite di Brasile, Argentina, e altre.
Ora, in parte, uno appassionato ma non troppo malato (e nemmeno troppo masochista, visto per esempio che uno che è costretto a guardare le partite sulla RAI si deve sorbire telecronache soporifere ma soprattutto i commenti tecnici dell'insopportabile Bagni) potrebbe sopperire con le cronache della Gialappa's, sempre micidiali e divertentissime. Ma, c'è un ma. Chi è appassionato vuole vedere le azioni e non solo sentirle; a parte questo, dovete sapere che i gialappi a questo giro trasmettono su RTL 102,5, e prima cosa non commentano la partita delle 13,30, seconda non commentano le partite dell'Italia perché la stessa RTL ha acquisito i diritti per radiotrasmettere le partite della Nazionale Italiana, per cui lasciano spazio alle telecronache "serie". E quindi, mi sono lamentato i primi giorni, e i miei lamenti sono serviti. I sempre validi amici internettiani (poi uno si chiede a cosa serve internet) mi hanno fornito tutta una serie di link interessanti per vedere le partite in diretta, magari commentati in altre lingue (fortunatamente, conoscere rudimenti di francese, inglese, spagnolo e addirittura portoghese aiutano, in questi casi), e velocemente ho posto rimedio.
Ma un link in particolare mi ha, come si dice, "aperto un mondo". Spero che non porti male a dirlo, ma su www.futbolarg.com, si accede a una televisione che definire fantastica, per gli appassionati di calcio, è poco: Directv, del gruppo (se ho capito bene) HBO, una televisione sudamericana, con forte presenza argentina ma che non lesina spazio e sguardi a Cile, Paraguay, Uruguay, Colombia, Ecuador, Perù e Colombia (con uno sguardo "diverso" al Brasile, con il quale non spartiscono la lingua, ma che è comunque un "vicino"), che insomma, siccome conoscete il mio debole per questo continente e soprattutto per la zona Argentina/Uruguay, come ho detto ad alcuni amici, mi ha fatto sentire come fossi là.

Un paio di cose mi hanno colpito. La prima, l'obiettività dei commentatori e dei partecipanti ai programmi di approfondimento, sempre calcistico, verso tutte le squadre, senza spocchia o complessi di inferiorità, e il tutto sempre con un pizzico di sdrammatizzazione, e quindi di leggerezza e simpatia. La seconda, la presenza di alcune donne carine, non svestite, ma soprattutto professionali e preparate. Complimenti.
Sempre per gli appassionati di sport, questo è uno spot di questa rete, con la presenza di sei ex calciatori sudamericani, alcuni famosi anche da noi (Valderrama, Zamorano, Batistuta), altri meno (Aguinaga, Cubillas, Dudamel), ma rigorosamente rappresentativi del continente (Colombia, Cile, Argentina, Ecuador, Perù, Venezuela).

Un'ultima annotazione politica. Uno degli spot che mi ha più colpito, su questa tv, è uno spot del governo colombiano, sicuramente (almeno sulla carta), l'unico non di sinistra del continente, dove una bambina chiede a suo padre se paga le tasse, perchè a scuola le hanno insegnato che le tasse sono importanti per il suo futuro, e quindi la bambina si rivolge al padre chiedendogli "Papà, e tu ti preoccupi del mio futuro? Le paghi le tasse?". (qui il link per vederlo)
Uguale uguale all'Italia...




risiko


Kamchatka - di Marcelo Piñeyro 2002


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: te l'hanno fatte piccine le stronzate laggiù dé


1976, Buenos Aires; Videla sale al potere con un golpe, partono gli arresti di quelli che diventeranno i desaparecidos.

Una famiglia medio-borghese, della quale non conosceremo mai i nomi, si nasconde per non incappare nei rastrellamenti, per conservare più a lungo possibile l'unità familiare (padre, madre e due figli piccoli).


Il film rimane sobrio, anche troppo, questo è il suo difetto principale, per l'intera durata; il dramma rimane sullo sfondo, e fino all'epilogo, a parte piccoli momenti di sincera commozione, si apprezza soprattutto la fotografia, e viene voglia di fare un viaggio in Argentina.

Ma il finale, che non sveleremo, rende giustizia all'opera e, dopo l'incertezza sul giudizio definitivo, fa pendere la bilancia a favore del film.

Tutti sufficienti gli attori, ma la Roth e soprattutto Darín possono dare di più alle prese con copioni diversi.

20100619

green line

Questa mattina sono riuscito a far ascoltare una band fondamentale ad Alessio, e lui ha deciso che gli piacciono molto. Abbiamo ascoltato praticamente tutto Blues For The Red Sun in auto, e la sua preferita, come la mia del resto, è risultata Green Machine. A casa poi abbiamo visto il video, ma non ne è rimasto troppo entusiasta.




dj


Danko Jones. Regalo.

Bom yeoreum gaeul gyeoul geurigo bom


Primavera, Estate, Autunno, Inverno…e ancora Primavera – di Kim Ki-Duk 2003


Giudizio sintetico: culto (4,5/5)

Giudizio vernacolare: anche vesto ti viene da spingilo guasi sempre eh


Un monaco buddista coreano e il suo discepolo, vivono in una casa/tempio galleggiante nel mezzo ad un laghetto che, a sua volta, si trova in mezzo ad una vallata lontana dalla civiltà. La narrazione si snoda attraverso cinque “passaggi” (quelli del titolo), durante i quali il discepolo cresce, impara dai suoi errori grazie al maestro, diventa vecchio e saggio come il maestro e il ciclo ricomincia.


Kim Ki-Duk è un regista interessantissimo, ed ha uno stile personale anche se il “passo” è quello orientale, comune a molta produzione che viene da quelle parti; questo film, diversissimo dai suoi due precedenti (“L’isola” e “Indirizzo sconosciuto”), è vellutato, spirituale, è nutrimento per l’anima, una maniera per uscire dagli schemi occidentali, lieve ma intenso allo stesso tempo. Ognuno di voi, guardando questo film, abbinerà alle vicissitudini dell’allievo le proprie vicissitudini, e ognuno di voi uscirà più forte dal cinema.

20100618

josé


"Con la sua storia, la sua cultura, la sua innegabile grandezza, l’Italia non merita il destino che Berlusconi ha tracciato con cinica freddezza e senza la minima traccia di pudore politico, senza il più elementare senso di vergogna per se stesso."


José Saramago


Il grande portoghese si è spento poco fa, nel suo buen retiro delle Canarie. Leggete e rileggete i suoi libri.

impresa

Meno regole per le imprese: il governo vara la riforma costituzionale

Se tra qualche tempo, voi amici piccoli imprenditori avrete a che fare con la stessa, identica burocrazia e le stesse complicazioni, potete stare certi che le regole sono venute meno solo per alcune imprese.
Quali, lo lascio indovinare a voi.

castelli


Crystal Castles - Crystal Castles (2010)


Vengono da Toronto, Canada, e sono due: Alice Glass alla voce e Ethan Kath a tutto il resto. La loro musica è profondamente elettronica, e basicamente cerca di inglobare elementi di elettronica datata con una sorta di sensibilità ed armonia lounge, addirittura in stile Sigur Rós (non per niente nella traccia Year Of Silence sono campionate le parti vocali di Inní mér syngur vitleysingur (da Með suð í eyrum við spilum endalaust). Non pensiate però a qualcosa che somigli agli islandesi: la personalità c'è, anche se a mio giudizio è affogata in un mare di riferimenti elettronici sparsi negli anni dai Kraftwerk in poi.

Il risultato è, a momenti alterni, ipnotico e noioso. Questo è il loro secondo disco, ed anche il primo era eponimo.

parole


Palabras - di Corso Salani 2004


Giudizio sintetico: da vedere (4/5)

Giudizio vernacolare: boia deli'ato dé


Corso Salani è un piccolo grande eroe del cinema indipendente italiano.

Anche discreto attore (qualcuno forse se lo ricorderà in "Il muro di gomma"su Ustica, o in "Nel continente nero", entrambi di Marco Risi), da tempo si è dato alla regia non tralasciando la recitazione, lavorando sempre a bassissimo budget, prediligendo location particolari (Isola di Capraia, Gibilterra, questa volta il Cile) e storie "normali", semplici.

I sentimenti e i rapporti interpersonali sono alla base di questo bel film, che purtroppo, come tutti gli altri suoi lavori, sarà distribuito poco e male (stavolta aggraverà la situazione la scelta, obbligata, di distribuirlo in lingua originale - spagnolo - con sottotitoli; del resto non c'era altra soluzione, visto che alcuni dei dialoghi sono in italiano - 3 dei protagonisti lo sono - e si intrecciano con lo spagnolo in alcuni frangenti).


Una madrilena trapiantata a Santiago del Cile, racconta alle sue due più care amiche della storia vissuta un anno prima; Salani alterna flashback veri e propri con simpatiche situazioni di semplice narrazione (altra ottima caratteristica del film), con le tre amiche nelle situazioni ordinarie di tutti i giorni che proseguono il racconto (Adela, la protagonista che racconta, e le due amiche, Natalia e Susana, che chiedono e partecipano).


Recitazioni spontanee, storia semplice che risulta avvincente, raccontata con semplicità e attenzione ai particolari, il film risulta delicato e testimonia la forza devastante dei sentimenti, la loro imprevedibilità, ma anche il fatalismo con il quale vanno giustamente affrontati.


Si esce dal cinema veramente arricchiti, anche se in realtà non si è scoperto niente di nuovo.

20100617

idee

Diaz, condannato De Gennaro
Maroni e Alfano: "Siamo con lui"

In galera? Sarebbe un'idea però eh?

o cane

corso


Nella notte è morto Corso Salani, non ancora 49enne. Fiorentino, regista, sceneggiatore e attore, a mio giudizio un grande, perennemento sottostimato. Un infarto, all'improvviso. La notizia mi ha molto dispiaciuto. Purtroppo, molti dei suoi lavori non si riuscivano a trovare neppure in dvd.

Due recensioni dove ne parlo, seppur brevemente: quella di Fortapàsc, film al quale lui non ha partecipato, ma diretto dal regista (Marco Risi) per cui ha girato i suoi due film probabilmente più famosi, Il muro di gomma e Nel continente nero, e quella di Mar Nero, diretto da un fiorentino come lui, Federico Bondi.

Domani pubblicherò un'altra mia vecchia recensione di un suo film come regista, Palabras, bellissimo, poetico e intenso, come al solito distribuito malissimo. Lo ricordo con ammirazione anche per uno dei suoi primi film da regista, Gli ultimi giorni, girato in larga parte sull'isola di Capraia, e con un paio di scene ambientate a Livorno, una addirittura dove sullo sfondo si intravede Piazza XX settembre e l'ormai vecchio "mercatino americano", se la memoria non m'inganna.

Il suo era un cinema poco italiano, rarefatto, alla ricerca di luoghi estremi, che potessero mettere a nudo l'anima.

Anche se riuscivamo con grande difficoltà a vedere i tuoi lavori, ci mancherai Corso.

retired

Berlusconi: Quasi quasi me ne vado in pensione. O torno a fare l'imprenditore.

Boia, aspetta dell'altro.

ToD



And You Will Know Us By The Trail Of Dead. 2009.

mia madre


Ma mère – di Christophe Honoré 2004


Giudizio sintetico: orribile (0,5/5)

Giudizio vernacolare: una superzotta

Pierre cresce con la nonna, i genitori sono sempre impegnati. Inibito nelle relazioni interpersonali, il giovane disprezza il padre ma adora la madre. Quando li raggiunge nella loro villa alle Canarie, il padre muore e la madre si rivela per quello che è (una cagna, sessualmente parlando), stanca dell’adorazione del figlio (ma non troppo). Inizia qui una spirale di degenerazione dei rapporti tra madre, figlio e il piccolo universo che gira intorno ad essi.

Tratto da un romanzo incompiuto di Bataille, il risultato è supponente, ridicolo, inverosimile e falso; il film risulta noioso e, nonostante le nefandezze, poco disturbante, sintomo, appunto, di pochezza.
Si salva, ovviamente, Isabelle Huppert, ormai icona del disagio, probabilmente messa in crisi solo dalla normalità, in questi ultimi anni.
Sconsigliatissimo.

20100616

splendore

Lustre - Ed Harcourt (2010)

Artista poco conosciuto dalle nostre parti, conobbi l'inglese Ed (non personalmente) tramite una tipa inglese che lavorava per la sua casa discografica degli esordi, la Heavenly Records. L'ho sempre associato a Mark Lanegan, e se ascoltate When The Lost Don't Want To Be Found capirete perchè la similitudine è ancora valida. Dopo i primi dischi, l'ho perso un po' di vista, ma so che è rimasto in attività: questo nuovissimo disco lo testimonia, insieme al fatto che non ha perso neppure la vena creativa. Oltre ad assomigliare, a tratti, a Lanegan, mi pare di poter dire che richiama vagamente anche Rufus Wainwright, seppur non essendo così melodrammatico. Certo è che sa scrivere gran belle canzoni: tutto il disco è molto bello, ma trova i suoi picchi in Haywired, So I've Been Told, Fears Of A Father, la già citata When The Lost Don't Want To Be Found e in A Secret Society.

the stepford wives


La donna perfetta - di Frank Oz 2004


Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)

Giudizio vernacolare: dov'è questo posto?


Joanna (Nicole Kidman; ci ha ormai abituati a prestazioni superbe, e qui, paradossalmente, appare sottotono) è una rampantissima, cinica e spietata direttrice di un network televisivo americano, è sposata e madre di due figli; uno dei suoi due nuovi reality show (vomitevoli) provocano una complicazione imprevista, con annessa causa legale contro il network; il network la liquida, e lei cade in depressione.

Per salvare il matrimonio il marito Walter (Matthew Broderick, insignificante quindi adatto alla parte) propone di trasferirsi fuori città, e la scelta cade su una (fin troppo) ridente cittadina stile disneyano dal nome Stepford. Qui i mariti e le mogli sono tutti felici, ma le donne sono troppo perfette e servizievoli per essere vere.


Remake de "La fabbrica delle mogli" del 1975, tratto a sua volta da un libro di Ira Levin, il film parte alla grande sia tecnicamente che potenzialmente, divertendo e seminando sarcasmo su tv, strutture sociali, famiglia e modello americano, ma si affloscia paurosamente nella seconda parte, non trovando tutta la grinta della quale aveva bisogno per diventare un film spietato, e diventa un compitino patinato.

Occasione sprecata.

20100615

politichese

Su Pomigliano, dall'Ansa:

UGL,RAGGIUNTO OBIETTIVO DI VITALE IMPORTANZA - "E' un accordo positivo, abbiamo raggiunto un obiettivo di vitale importanza: per la prima volta nella storia riusciamo a riportare una macchina in Italia". Lo ha detto il vicesegretario nazionale dell'Ugl metalmeccanici, Antonio D'Anolfo, commentando l'accordo su Pomigliano per la produzione della Panda, che però non è stato siglato dalla Fiom. Alla domanda se con questo accordo vengano lesi i diritti dei lavoratori, "D'Anolfo ha risposto: "assolutamente no, perché possiamo parlare di tutto, di diritti, di sciopero, di malattia, ma senza lavoro non si può parlare di nulla".

...che tradotto vuol dire "è vero quello che sostiene la FIOM: questo accordo era in pratica un ricatto".

BERSANI, SI' ACCORDO MA E' VICENDA ECCEZIONALE - "Adesso bisogna fare in modo, e lo dico in particolare al governo, che questa vicenda eccezionale non prenda il carattere di esemplarità".

....Bersani.....ma perchè non vai in ferie da qualche parte?

SACCONI, FIOM NON E' PIU' QUELLA DI UNA VOLTA - A Pomigliano "c'é un sindacato che coraggiosamente si mette in gioco, si compromette e accetta la sfida della competitività". Lo ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, aggiungendo: "Poi invece c'é un sindacato paralizzato dal blocco ideologico. Purtroppo la Fiom - ha sottolineato il ministro nel corso della presentazione di un suo libro scritto a quattro mani con Gianni De Michelis - non è più quella di una volta. Una volta era un'aristocrazia operaia che non avrebbe mai commesso l'errore di allontanarsi dalla sua base".

Si certo, un sindacato che coraggiosamente si mette a novanta gradi....comunque complimenti a Sacconi che ha scritto un libro a quattro mani con De Michelis....no dico: De Michelis eh, mica uno qualunque....

POMIGLIANO E' RIVINCITA RIFORMISTI - L'accordo su Pomigliano "é la rivincita dei riformisti su tutti gli altri". Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti.

Ah beh, allora adesso siamo tutti più tranquilli.

se avessi uno stereo


If I Had A Hi-Fi - Nada Surf (2010)


La traccia due, che è una cover di Enjoy The Silence dei Depeche Mode, a mio modo di vedere è una sorta di manifesto dei Nada Surf: un pezzo già di per sé bellissimo, coverizzato tantissime volte, ma sempre accentuando il lato dark, viene reso spettacolarmente solare e gioioso, se non fosse appunto che è già un grande pezzo nell'originale, in una delle migliori versioni mai realizzate.

Mi piacciono i dischi di cover, sono divertenti, mettono alla prova non solo l'abilità musicale di una band (nel far proprie canzoni non proprie), ma pure la passione musicale dei componenti della band in questione. Ed è sempre curioso leggere chi canta gli originali.

Detto questo, e sottolineato che i Nada Surf non hanno più niente da dimostrare a nessuno, il disco in questione è piacevole e molto interessante. I pezzi originali svariano in tutto lo scibile rock (dai Moody Blues a Kate Bush, dagli Spoon ai The Go-Betweens), reinterpretati con personalità e leggerezza, e, nella loro globalità, i Nada Surf ci fanno pure scoprire alcune chicche internazionali: Bye bye beauté di Coralie Clément (cantata - naturalmente - in francese), e la splendida, meravigliosa (credeteci e ascoltatela) Evolución degli spagnoli Mercromina (cantata ovviamente in un perfetto castigliano).

dracula a L'Aquila


Draquila - L'Italia che trema - di Sabina Guzzanti 2010

Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: siamo nelle mani dell'urtimo padrone (o alle porte 'o sassi, come volete voi)

6 aprile 2009, ore 3,32: un terremoto di 5,9 gradi Richter scuote L'Aquila e gran parte dell'Abruzzo. 308 vittime accertate, 65.000 sfollati, danni importantissimi alla città capoluogo e alle sue opere d'arte. Il Primo Ministro italiano, Silvio Berlusconi, dopo alcuni giorni sposta il previsto vertice del G8 alla Maddalena, proprio a L'Aquila, perchè non si dimenticasse il fatto. L'Abruzzo diventa meta di una sorta di pellegrinaggio da parte di politici internazionali e perfino celebrità non legate alla politica. Silvio Berlusconi promette che di lì a pochi mesi si cominceranno a distribuire nuove case nelle new town, lontane dal centro storico de L'Aquila, e si reca continuamente in Abruzzo, quasi 30 volte. La Protezione Civile prende in mano le redini di tutta la complessa operazione per gestire gli sfollati, la ricostruzione e la consegna delle nuove case.
C'è chi pensa che il governo italiano abbia fatto un miracolo, e in special modo Silvio Berlusconi, con la sua mentalità da imprenditore e di "uomo del fare". C'è invece, chi ci vede qualcosa di molto poco chiaro sotto, a partire dalle dichiarazioni di un tecnico dell'Istituto Nazionale di Astrofisica che qualche giorno prima avvertì dell'imminente pericolo, passando per la polemica tra Enzo Boschi (forse il più eminente geofisico italiano) e Guido Bertolaso (direttore della Protezione Civile), per la gestione delle tendopoli, per la ricostruzione delle new town e per tutta una serie di emergenze italiane.
Sabina Guzzanti ci ha fatto sopra un film-documentario che sa di profonda inchiesta giornalistica, non senza dimenticare la satira che lei ben conosce.

Alcune premesse: se siete die-hard fans di Silvio Berlusconi e dei suoi governi, fate come il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Sandro Bondi, che non è andato a Cannes perchè c'era questo film in concorso. Di certo, nonostante personalmente continui a non capire come fate, non cambierete idea su di lui e sulle sue opere. Se siete tra gli indecisi, questa decisa stilettata contro Silvio ed il suo modo di gestire la cosa pubblica (ma pure quella privata, in fondo) potrebbe anche farvi venire dei sospetti. Infine, se siete anti-berlusconiani, e magari anche abbastanza rassegnati ad un lungo regno incontrastato di Berlusconi, questo film potrebbe farvi molto male: rischierete la depressione.

Passiamo al film. Le cose fondamentali da dire sono due, a mio giudizio. La prima è che Sabina Guzzanti ha realizzato un documentario/inchiesta decisamente serio e maturo. Anche se non rinuncia ad usare l'ironia e il sarcasmo, in Draquila appare nella sua imitazione di Berlusconi solamente per pochi secondi, dopo di che si "applica" con impegno a mostrare allo spettatore molte cose che i telegiornali non sono riusciti a farci vedere, e a tessere la sua interessante teoria sulle fortune di Silvio e sulla sua disinvolta gestione dello Stato.
La seconda è che Michael Moore sta facendo scuola, e la Guzzanti sembra averla studiata attentamente. Lo stile è molto simile, e di questo non possiamo far altro che rallegrarci: finchè ci sarà chi, tramite il cinema, fa le pulci al potere, in Italia ci sarà ancora speranza.

Concluderei facendo pure una sorta di comparazione del percorso di Sabina Guzzanti con quello di Beppe Grillo. Del resto, se alla fine in un paese le uniche persone serie sono comici, qualcosa vorrà dire. Probabilmente, che i politici sono dei buffoni.

20100614

trafori


E' interessante leggere questa intervista all'ex Ministro Lunardi. E' interessante vedere con quale disinvoltura si fanno e si ricevono "favori", e poi si critichi Bertolaso...divertitevi.

ma


Comprata il 9 maggio 1998, concerto dei Massive Attack al Vox di Nonantola (MO). Conservata benissimo.

dr. strangelove


Il Dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba – di Stanley Kubrick 1964


Giudizio sintetico: must (4,5/5)

Giudizio vernacolare: ganzabbestia

Nel periodo in cui eravamo bombardati (appunto) dal video del singolo dei Muse “Time Is Running Out” che richiama esplicitamente questo film, decisi di vederlo e di parlarne.

In poche parole, un capolavoro.

Un fuoco d’artificio di sarcasmo e atti d’accusa al militarismo dell’epoca (paurosamente tornato in voga), con un film intenso e appassionante, reso leggero dal tono ridicolo di ogni scena.

Un generale reso folle dall’ossessione del complotto planetario comunista (vi ricorda qualcuno?), lancia un attacco nucleare alla Russia senza possibilità di essere fermato.

Cast superbo, superstar Peter Sellers che interpreta tre ruoli.

Dal romanzo “Red Alert” di Peter Gorge, che contribuì anche alla sceneggiatura insieme a Terry Southern e allo stesso regista.

Dopo averlo visto, quasi tutti i film del genere vi appariranno ad esso debitori.

20100613

piano b


The Defamation Of Strickland Banks -Plan B (2010)

Per me è un'assoluta sorpresa, e mi perdonerete. Mai sentito il suo primo disco Who Needs Actions When You Got Words del 2006, questo suo nuovo disco appena uscito (aprile) mi ha decisamente colpito, e mi è piaciuto molto. Scopro tra l'altro che era in Harry Brown, e che ha diretto un film intitolato proprio come il suo nuovo disco. Benjamin Paul Ballance Drew, conosciuto come Ben Drew o, più semplicemente, appunto, Plan B, originariamente rapper (sulla sua scheda Wikipedia inglese potete leggere che in patria - UK - è stato definito "l'Eminem inglese" e addirittura "Eminem incontra Damien Rice"), rilascia un disco, anzi, un concept album (ovviamente legato alla storia del film omonimo) che è solo sfiorato dall'arte hip-hop, ed è invece fortissimamente venato di soul e di influenze anni '60 (ma non certo nei testi), suonando moderno. Permettetemi di dire che in molti momenti ricorda il miglior T. T. D'Arby.
Canzoni pressoché perfette, perfino romantiche, e una altrettanto strepitosa prova vocale. In una recensione di un noto mensile musicale lo hanno paragonato a Neffa, ma mi viene quasi da pensare che qui ci sia del talento in più.

riget


The Kingdom – di Lars Von Trier 1994


Giudizio sintetico: da vedere (4/5)

Giudizio vernacolare: ospedale si, ma di matti, pare l'ottavo

Diventato un film (di 4 ore!!) dopo essere stato pensato per la televisione, con questo lavoro si intuiscono molti punti di contatto del regista danese con David Lynch.
Assolutamente spassoso e scorrevole, nonostante la durata, The Kingdom si svolge tutto dentro l’ospedale (appunto, The Kingdom, il regno) o, al massimo, nel parcheggio antistante.
Con un intreccio tra i personaggi tipicamente “televisivo”, sfoggia invece ironia, suspence e nonsense introvabili, se non, appunto, nel Twin Peaks di Lynch, in un prodotto per la tv.
Mai abbastanza horror per fare paura, mai abbastanza demenziale per allontanarsi troppo dalla realtà, il lavoro di Von Trier ci farà “prendere posizione”, odiando il primario antipatico e spocchioso e tifando per la vecchia pseudo-medium che si inventa, studiando attentamente il manuale di sintomatologia, ricoveri continui per “salvare” il fantasma che vaga senza pace per l’ospedale.
E così anche per gli altri personaggi, strambi quanto basta per farci simpatizzare per loro nonostante più di una situazione inquietante di fondo; imperdibile la scena della visita a sorpresa del Ministro della Sanità all’ospedale.
Largo uso della camera a mano e una fotografia che tende ai toni del verde, che rispecchia l’asetticità di ogni ospedale, i tratti distintivi di quest’opera.

20100612

endless love


I cannot
and I will not lose you
For all the ways I have dismay, aggrieved or failed you I swear I will atoned.
But I'm not sorry.
I refuse to apologize for what you have awakened in me.
You...you are my miracle.
For the first time in a hundred and forty years, I felt something, I've thought ain't may try forever.
I love you. And for that I should never feel sorry.

Non posso
e non ti perderò.
Per tutte le volte che ti ho sgomentato, addolorato o deluso
ti giuro che farò ammenda.
Ma non sono dispiaciuto.
Mi rifiuto di scusarmi per quello che hai risvegliato in me.
Tu...tu sei il mio miracolo.
Per la prima volta in 140 anni, ho provato qualcosa, che pensavo non avrei mai più provato.
Ti amo. E per questo, non sarò mai dispiaciuto.

=================
Bill Compton a Sookie Stackhouse verso la fine del primo episodio della seconda stagione. Ovviamente, Bill è un vampiro, come si evince dal monologo. A parte questo, secondo me chi ha scritto questo monologo, è bravo in retorica, ma si merita un dieci. Ovviamente, ho pianto, e l'ho riguardato decine di volte. Applausi.
Perchè, come dice il nostro Primo Ministro...

mi sento elio

Siccome mi sveglio presto, e siccome vado a letto presto e di solito non guardo la tv, mi perdo anche cose belle. Come questa.
Un lucido manifesto politico, unito ad una rara maestria musicale.




sg




Comprata il 27 giugno 1992, concerto Guns 'n' Roses, Faith No More e Soundgarden allo stadio Delle Alpi.

love love love


Love Actually - L'amore davvero - di Richard Curtis 2003


Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)

Giudizio vernacolare: pallosetto


A dire la verità, il primo tempo mi sono anche divertito. Qualche battuta godibile, film leggero leggero, belle facce. Ma nel secondo tempo, anche se le storie sono ruffiane al punto giusto per il facile struggimento, e le situazioni portano sempre al sorriso (il politico con impegni istituzionali con love story tormentata - ovviamente -, vedi ad esempio "Il Presidente; una storia d'amore", con Michael Douglas su tutti; lo scrittore tradito, l'amico perdutamente innamorato della moglie del miglior amico, la coppia di mezz'età in crisi causa segretaria giovane del marito, addirittura la single 40enne con fratello psico-disturbato che non riesce ad avere un rapporto come si deve, ecc.ecc.), ci si annoia terribilmente e la melassa del finalone tutto-tutto bene-bene ci impasta la bocca come una parrucca con i riccioli.

Certo, riflettendo su due particolari precisi (il fattorino che non trova l'anima gemella e parte per gli USA perchè lì ci sono le ragazze "facili", e l'episodio della visita del Presidente USA nel Regno Unito con annesse molestie alla segretaria del Primo Ministro inglese e lo "scazzo" nella conferenza stampa), possiamo dedurre che lo sceneggiatore sia un Laburista decisamente a sinistra, ma certo non basta a salvare il film, e noi dalla noia.

20100611

amici,

in un periodo intenso di vita. letture interessanti: ho finito hitler di giuseppe genna, un libro che consiglio a tutti, più di dies irae che consiglio comunque, la confidential mi ha preso più del film che non ho visto, poi altri gioiellini. ora sto leggendo al versione 3.0 di assalto a un tempo devastato e vile sempre di genna.
tra l’hellas che domenica si gioca la serie b e l’inizio dei mondiali, la voglia di tirare due calci al pallone è tanta, quasi come quella di comprarsi un televisore full hd 32pollici.
la registrazione del nuovo degli estere è finalmente terminata. mai stato così soddisfatto di un mio lavoro. ancora qualche tempo per la masterizzazione per poi divulgare.
mentre mio figlio impara a mangiarsi i piedi e a girarsi su se stesso.

vacation


Sono reduce da tre giorni di ferie, dedicate all'abbronzatura (ero un fan di Obama, del resto). Sono servite anche ad altro: infatti sono riuscito ad ascoltare un po' di "musica nuova" che recensirò per voi nei prossimi giorni.

So che non state più nella pelle, ma abbiate pazienza.

let it work

Com'è che diceva qualche anno fa? "Lasciateci lavorare...".
Secondo me, hanno anzi ha quasi terminato. Qualche altro ritocco, e l'Italia è pronta. E secondo me qui si va oltre il piano della P2. Questo è più furbo.

febbre


Fever Ray - Fever Ray (2009)

Incuriosito dalla personale classifica dei migliori album del 2009 di Anthony Fantano (The Needle Drop, recensioni musicali su youtube), mi sono aggiornato su questa figura femminile interessantissima, che viene dalla Svezia, è matta (più o meno), e fa parte del duo elettronico The Knife insieme al fratello Olof. Lei si chiama Karin Dreijer Andersson, in arte Fever Ray, e il suo (unico, per adesso) disco solista esce agli albori del 2009.

C'è l'elettronica quasi trance, un po' di new age/ambient, i Depeche Mode, Bjork, la sua voce al naturale e passata attraverso mille filtri, suggestioni native americane, world music in generale, e perfino i Japan, se ci fate caso. Diversi pezzi molto belli (If I Had A Heart, When I Grow Up, Concrete Walls, Keep The Streets Empty For Me), grande atmosfera quasi da sabba.
Se c'è un problema, è la struttura monocorde, che si ritrova un po' in tutti i brani, ma c'è effettivamente del buono, ed inoltre c'è un qualcosa di piuttosto originale. Il che non è poco.

poliziotti


Kops - di Josef Fares 2003


Giudizio sintetico: da vedere (4/5)

Giudizio vernacolare: fa stiantà!


Esaurita la vena polemica (perchè, se in lingua originale - svedese -, il film si intitola Kopps con due P, in Italia viene distribuito come Kops con una P sola?!?), possiamo tranquillamente affermare che Fares è un genietto.


Se avete visto Jalla Jalla, già lo sospettavate, visto questo, ve ne convincerete.

Partendo da un fatto di cronaca reale (la minacciata chiusura di alcuni commissariati di polizia in Svezia, causa assenza di crimini, che ha causato a sua volta falsi crimini inventati o perpetrati dai poliziotti "a rischio"), Fares costruisce sopra, col solito cast del primo film, una esilarante parodia sul genere poliziesco, con effetti speciali efficaci ma a basso costo, con un'ironia fuori dal comune.

Una serie interminabile di battute e situazioni grottesche, abbinate a delle facce espressive in maniera eccezionale.

Divertimento assicurato, al punto che gli si perdona pure il lieto fine. Da non perdere.

20100610

rhcp


Comprata il primo marzo 1992, concerto all'allora PalaTrussardi in Milano, special guest Rollins Band, con i RHCP tutti attoniti a guardarlo a bordo palco, dopo di che durante il loro concerto Frusciante non prese una nota che fosse una. Ben conservata ancora oggi. Ne comprai pure una a manica corta, bianca, che ho regalato all'amico Omovero.

vodka al limone


Vodka Lemon - di Hiner Saleem 2003


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: boia ti fa venì freddo con tutta vella neve


A rischio di dire un'ovvietà, questo film non è un capolavoro ma, come tutti i film "di frontiera", o comunque provenienti da luoghi estremi e lontani dall'influenza occidentale, risulta interessante e ci può servire.

Sequenze suggestive e surreali (quella iniziale, con un letto trainato a mo' di slitta, le attese delle telefonate, le vendite degli ultimi beni del protagonista), dialoghi estremamente limitati e al limite del demenziale ma essenziali, campi lunghi mozzafiato che sembrano fermare il tempo, ma anche una sceneggiatura dove gli episodi sembrano un susseguirsi di scenette, a volte slegate tra loro.

Il risultato è a tratti divertente, a tratti soporifero. La storia d'amore che nasce al cimitero, in fondo, è solo un pretesto.

Degna di nota però, almeno a mio giudizio, la fotografia di un popolo (quello curdo, qui in una nazione quasi altrettanto povera, l'Armenia) che, nella miseria più assoluta, conserva ironia e dignità, sinceramente, a noi sconosciute.

Infine, se vedrete il film, ditemi se la scena finale non vi fa venire in mente il Venditti di Guzzanti alla guida del pianoforte sul Grande Raccordo Anulare.

20100609

sana e robusta

Ho letto bene questo articolo. A me quest'uomo fa paura. Ma dico davvero eh.

The Knife - Pass This On

La canzone è da Deep Cuts del 2003. Da Wikipedia: La persona che canta la parte di Karin nel video di "Pass This On" è la drag queen Rickard Engfors.
Per Karin si intende Karin Dreijer Andersson.

heart of my own


Basia Bulat + Paula I Karol + Paul Frith & The Considerate Lovers
12 maggio 2010, Varsavia, Café Kulturalna
13 maggio 2010, Cracovia, Forty Kleparz

Basia Bulat ha le mani piccole. Piccolissime. Ma ha un cuore grande, non si spiegherebbe altrimenti come faccia a scrivere canzoni così belle e appassionate.
L'avevo promesso a me stesso, di cominciare così questa recensione doppia. Questa doppia recensione, dalla quale tutto vi dovete attendere, fuorché obiettività e giudizi misurati. Perchè come ho già avuto occasione di dire, amo questa artista canadese di origini polacche (ce lo dirà lei stessa), e finalmente sono riuscito perfino a dirglielo di persona.
Andiamo con ordine. Sono in Polonia, per la terza volta nel giro di tre anni, per riuscire a vedere finalmente Basia, autrice di due dischi stupendi. Per la seconda volta in meno di un anno è in giro in Europa non toccando l'Italia, negli ultimi mesi del 2009 non sono riuscito ad organizzarmi, ma ho convinto l'amico Massi ad assistere alla sua data di Varsavia, sempre qui, al Café Kulturalna, e il giudizio è stato super-positivo. All'annuncio di nuove date a cavallo di aprile e maggio 2010, per alcune settimane ho pensato di andare a Manchester, poi quando ha aggiunto due date spagnole e due polacche ho optato per Barcellona, acquistando volo e biglietto, e prenotando un ostello. Ma la cenere del vulcano ha costretto Basia stessa ad annullare le prime quattro date di questo nuovo tour europeo: Parigi, Amsterdam, Madrid e Barcellona. La sera stessa in cui il locale di Barcellona, l'Apolo 2, mi ha scritto una e-mail avvertendomi dell'annullamento, dopo il cortese invito di Massi e della consorte, ho subito prenotato un volo per Varsavia. Stasera siamo qui fuori dal Kulturalna a mangiarci uno zapiekanki prima di entrare.
Il Café Kulturalna è un bar al piano terra dell'immensa struttura che è conosciuta come Palazzo della Cultura e della Scienza (qui potete vedere un video di Basia che canta The Shore dentro al Kulturalna vuoto, mentre qui la vedete che canta Hush davanti al Palac Kultury i Nauki), e consta di due grandi stanze arredate con poltrone, tavolini e sedie datate; al fondo della stanza più grande, un bancone. Un'apertura dà sull'esterno e fa circolare un po' d'aria, in questa serata di maggio particolarmente calda. Con stupore apprendiamo che non si può fumare all'interno: una novità assoluta, in Polonia. Il palco è disposto su un lato del locale dove si trova il bancone. Tra il palco, piccolo ma fortunatamente rialzato di almeno mezzo metro, e il banco mixer, si e no quattro metri. Ci mettiamo in prossimità del palco, centrali. Non esageriamo, ma siamo in seconda fila. Su tre "possibili" fisicamente.
Non me ne accorgo, ma Basia mi passa di fronte. Sembra nervosa, e stringe gelosamente uno dei suoi autoharp, come se qualcuno volesse rubarle il suo tesoro. La vediamo confabulare prima con una bionda di pelle molto chiara (scopriremo poi che si tratta di Holly Coish, che suona con lei l'ukulele da anni), poi con una ragazzona castana, che scopriremo essere Paula dei Paula I Karol, la band polacca che aprirà i due concerti. Non sono ancora le 22,00, e sale sul palco Paul Frith, del quale non conoscevamo l'esistenza fino a poco fa. Paul è inglese, suona la chitarra (ma non solo), e canta le sue canzoni da solo, facendosi chiamare Paul Frith & The Considerate Lovers. Ha baffi e basette da fare invidia, e ci sta simpatico a pelle. Suona quattro pezzi, uno dei quali accompagnato ai cori da Holly e Basia, il più bello, Mother, che non è contenuto nel suo EP d'esordio All Wisdom Ran Away, ma che potete ascoltare nel suo myspace. Sono pezzi che mi verrebbe da definire sinfonici, se non fosse che li esegue chitarra e voce, ma hanno un respiro romantico e soffice; la sua voce risulta più profonda di quanto, me ne accorgerò poi ascoltando l'EP, non sia su disco. Sorride e ringrazia con un dziękuję (grazie in polacco) impacciato.
Dopo di lui, Paula I Karol, con l'aggiunta di Igor alle percussioni e tastiere (Massi mi racconta che hanno aperto anche nel dicembre scorso per Basia, e Igor non c'era). Giocano in casa, e il pubblico, molto caloroso per tutta la sera, li acclama. Karol suona la chitarra e canta alcune parti, Paula suona una sorta di vibrafono in miniatura, il violino, e si accolla la maggioranza delle parti vocali, Igor sostiene vigorosamente il tutto. La musica è una sorta di folk giocoso, quasi bambinesco, che in molti momenti sfiora la filastrocca. Sorridono sempre. L'apoteosi è quando, quasi in conclusione, eseguono Goodnight Warsaw. Basia si presta per un pezzo dove sostiene i cori (Hold Onto, ascoltatela sul loro myspace perchè si capisce anche qui, con pochi vocalizzi, la grandezza di Basia), poi c'è anche un'altra ospite, locale, che suona il basso su un paio di pezzi. Archiviata la pratica, ecco che arriva il momento tanto atteso. Il palco è suo, e, per i primi tre pezzi, suo soltanto. In effetti, prima che salga sul palco, si smonta pure la batteria. Non ci sarà, quindi, suo fratello Bobby, e neppure la violoncellista Allison che, mi dice Massi, la accompagnava la volta scorsa (e che ho visto in diversi video live su youtube). Ma non c'è tempo di temere: Basia si accomoda su uno sgabello altissimo (per lei), stivali da cowgirl e vestitino leggero fantasia, zazzera bionda che spesso le copre gli occhi celesti molto chiari, e con il suo autoharp suonato con i thumbpick attacca A Secret. Esecuzione impeccabile, ma soprattutto, la voce è qualcosa di difficilmente descrivibile a parole. Prosegue in solitaria con In The Night, uno dei pezzi di punta del primo disco, anche se a distanza di 3 anni non mi è chiaro il perchè non ci sia su alcune versioni (probabilmente è un'aggiunta della seconda edizione). Anche qui, difficile da credersi, ma un pezzo che in versione originale è denso di percussioni, acquista un senso eseguito in questa maniera scarna, soprattutto perchè Basia è brava a suonare l'autoharp e ad "aprire il gas" della sua ugola che impressiona in quanto a potenza. Il terzo pezzo che esegue da sola, ancora con l'autoharp, è una cover: il titolo è To Nie Ptak ("non è un uccello"), ha il testo in polacco, ed è contenuta originariamente nel disco Kayah i Bregović, collaborazione del 1999 tra la famosa (in patria) cantante polacca e il compositore nato a Sarajevo. Basia la spoglia dai ricami balcanici e arabeggianti e la fa sua, con grande trasporto, scusandosi per la pronuncia, ma ovviamente conquistando una platea ridotta (saremo duecento, forse), ma adorante.
A questo punto ecco sul palco Holly con il suo ukulele e la sua voce, e, a sorpresa, Paul Frith, visto prima, che imbraccia il basso (ma, più tardi, anche la tromba) e non disdegna ovviamente di sostenere i cori. In effetti, ci vuole sostegno, non essendoci le percussioni, per la canzone che apre questa parte del concerto: Gold Rush. L'impegno dei tre non fa percepire la mancanza di una sezione ritmica completa; Basia svaria con una padronanza impressionante della sua voce. Il pezzo seguente è Run, con un apporto importante ai cori di Holly, e come sempre convincente nella sua riuscita complessiva. Basia a questo punto cambia autoharp, ne prende con grande attenzione uno che sembra essere più vecchio, che suona poggiandolo sulle ginocchia, a differenza dell'altro (che invece poggia sul petto), e, altra differenza, percuotendo le corde con un martelletto (vi rimando al video linkato prima, per capirne di più). Nonostante l'apparente complessità dell'esecuzione strettamente musicale (alcune note non escono perfettamente, e mi sembra quasi di capire che le luci le impediscono di vedere bene lo strumento), Basia non rinuncia a "giocare" con le note della sua voce, e ne esce un altro momento (di circa cinque minuti) da fiato sospeso. Ecco che per la prima volta imbraccia la chitarra per eseguire Little Waltz, un altro pezzo struggente dal primo disco, un'altra occasione per rimanere a bocca aperta davanti alla quantità di variazioni della sua voce. Ritmo che si alza per If Only You, che paradossalmente risulta velocizzata dall'assenza della batteria e, anche se leggermente meno ricercata e arrangiata per via dei cori meno "spessi", semina allegria dentro il Kulturalna.
Paul lascia il basso e prende la tromba, per questo pezzo, e se la cava alla grande, arricchendo l'arrangiamento.
L'allegria di cui sopra non si placa, perchè la piccola canadese ha in serbo una sopresa tutta polacca: ecco W Zielonym Zoo, un pezzo polacco degli anni '60, che parla d'amore allo zoo, di Ludmiła Jakubczak che, da vagamente ammiccante come nell'originale, diventa simpatico e ingenuo nella versione di Basia, che alla terza strofa si dimentica completamente il testo e si fa aiutare da un'amica nelle prime file. Apoteosi.
Arriva anche Snakes And Ladders, un pezzo che mi dà sempre quella sensazione di qualcuno che mi apre il petto e mi toglie il cuore, e mi rendo conto che ormai sono suo. Di lei, qui, a due metri scarsi da me, che canta "I love the way we come undone". Ecco anche Go On, cantata (ancora) splendidamente (quando "alza" mette i brividi), con quell'incedere un po' western, ed ecco I Was A Daughter, durante la quale il ritmo dell'audience viene messo alla prova da un clap-hands ritmatissimo. Il risultato è buono, e quando arrivano gli stop ci si commuove quasi, col cantato struggente e i cori angelici di Holly.
E' il momento della title-track del nuovo disco, Heart Of My Own, un pezzo dedicato, a quanto comprendo, al "sentirsi a casa", cosa che Basia sostiene di sentire qui in Polonia, grazie agli amici. Sono un po' invidioso. Degli amici, intendo. Cominciano a mancarmi gli aggettivi, dopo la versione che ci regala. Il pezzo ha un che di marziale, e credo che tutto il Kulturalna battesse il piedino, durante l'esecuzione.
Pausa. Sono in pace con me stesso. Mi sento bene. Però adesso torna, ti prego.
Si va avanti con un pezzo che avevo quasi dimenticato, e mi pento amaramente, perchè è di una bellezza quasi offensiva: The Pilgriming Vine. Così come il pezzo che segue, sempre dal disco di debutto, esattamente il pezzo di apertura, quello che dice "Oh, it was the first time I fell in love": Before I Knew, durante tutto il quale l'intero Kulturalna si spella le mani in un clap-hands completo fino all'applauso finale che travolge Basia che ha, per questo pezzo, lasciato la chitarra, Holly che l'ha sostenuto tutto con il suo ukulele, e pure Paul.
Ringraziamenti in polacco e non, emozionata e contenta, scende e poi risale sul palco. Chiede ai tecnici di spegnere completamente i microfoni, e ci lascia con una gemma preziosa (ancora una volta, vedi uno dei link in apertura): Hush, la bonus-track di Heart Of My Own per iTunes, un gospel cantato a capella, con battito di mani e sbattimento di tacchi sulle assi del palco, che lascia attoniti e ammirati.
Ci sarebbe, a questo punto, da raccontare secondo per secondo quello che accade. Ma non sarebbe molto professionale, anche se so benissimo che questo blog, e soprattutto questa recensione, è tutto meno che professionale. Ma non vorrei annoiarvi.
Riassumerò il tutto. Almeno, provo a non farla troppo lunga. Consci che l'indomani andremo fino a Cracovia per rivederla, ci prendiamo una meritata birra al banco, e ci sediamo su due comode poltrone (una delle quali è proprio quella su cui è seduta Basia in questo video), aspettando che sfolli un po' di gente, compresa quella al banco del merchandise. Non pensate però a folle oceaniche. A metà birra ci avviciniamo, Basia chiacchiera gentilmente con chiunque le si avvicini, io compro una copia del disco nuovo dalle mani di quello che scopriremo essere il tour manager europeo, e gli racconto in breve che vengo dall'Italia e che avevo pure comprato il biglietto per il concerto di Barcellona. Lui a queste parole strappa Basia dalla sua conversazione e ci presenta (io e Massi). Mi autografa il dischetto chiedendomi lo spelling esatto di Alessandro, le racconto la stessa storia, lei mi ringrazia e fa tutta una serie di esclamazioni, Massi le racconta che in dicembre le aveva parlato di me e le aveva fatto autografare il primo disco (sempre per me), le diciamo che domani la "seguiremo" a Cracovia, arrivo a dirle addirittura che la amo e amo la sua musica, le chiediamo delle date annullate, ci spiega di un problema con i voli annullati e i biglietti che le hanno rimborsato, Massi le dice che dalla volta scorsa il suo polacco è migliorato, e alla fine esagero: le indico col ditino Walk You Down sul retrocopertina di Heart Of My Own e le chiedo se me la suona domani sera.
Mi aspetto una risposta vaga, e invece lei mi dice tranquillamente che si, ci proverà. Rischio di rimanerci secco, ma resisto, Massi addirittura le dice che se le serve un batterista io me la cavo, le dico che si, non sono bravo come suo fratello Bobby, ma giustamente fa finta di niente. Si congeda per dare soddisfazione ad altri e noi imperterriti blocchiamo Holly e le raccontiamo per un po' le solite cose, poi iniziamo a parlare di tutt'altro, e ne ricaviamo l'impressione che se non fosse per il tour manager che la richiama all'ordine per raccogliere le sue cose dal palco, saremmo ancora lì a parlare di tutto e di niente.
Usciamo, e la notte di Varsavia è fresca, ha piovuto ma si sta proprio bene. Ridiamo e ci inventiamo flirt canadesi. Non mi rendo conto, scherzandoci su, di quanto mi ha regalato questa serata, e non penso neppure a quella di domani, ma solo al viaggio per arrivarci.

L'orario di inizio è alle 20 anzichè alle 22 come quello di ieri sera a Varsavia. Il Forty mi ricorda Le Catacombe di Volterra, un locale fatto in mattoncini con tanti vani comunicanti. Compriamo il biglietto alla cassa, e si conferma il fatto che qui in Polonia, se compri il biglietto in prevendita lo paghi meno. Il biglietto non ce lo danno proprio, ci fanno direttamente la contromarca sulla mano. Entriamo nella sala dove c'è il palco, che è bassissimo, rispetto a quello del Kulturalna; da notare però che c'è una tastiera/piano. La sala non è grandissima, e ci sono dei cubi a divanetto per le prime file. Incredibile, ci sediamo in prima fila. Massi stasera ha portato la macchina fotografica, si prepara. Aspettiamo fiduciosi, si inizia leggermente in ritardo, e c'è sempre Paul che stasera per il suo pezzo forte si fa accompagnare solo da Holly ai cori. Le sue canzoni hanno un deciso respiro poetico e romantico, delicato.
Ecco poi Paula I Karol, che cambiano leggermente l'ordine della scaletta; Holly li accompagna per un pezzo, niente Basia, sembra che non stia benissimo (e qui ci preoccupiamo un po'), e Paul suona il basso con loro per alcuni altri pezzi.
Quando finiscono, ecco Basia che prepara il suo pezzetto di palco, sempre con l'autoharp, e dispone le scalette. La sbircio, l'ha cambiata, ha inserito Walk You Down. Nonostante comprenda la tensione pre-concerto, la disturbo per un attimo, la saluto e la ringrazio facendole capire di aver letto la setlist. Lei è gentilissima seppur indaffarata, sorride. La facevo molto più timida, penso. Niente di tutto questo, era un'idea mia e chissà come mi era venuta in mente.
Passano alcuni minuti, ed è tutto pronto. Nessun segno di indisposizione, Basia è lì sul palco, su uno sgabello più basso e probabilmente più confortevole di quello di ieri sera, col suo autoharp, e sta per iniziare il suo concerto. Si parte.
La scaletta, nella sua parte iniziale, segue pedissequamente quella alla quale abbiamo assistito la sera precedente a Varsavia. Primi tre pezzi da sola con l'autoharp suonato a mano con i thumbpick, A Secret, In The Night e To Nie Ptak, senza nessun cedimento, con il solito trasporto passionale che Basia mette nella sua musica. Arrivano i rinforzi, i soliti Holly e Paul, e si passa a Gold Rush, Run e The Shore. Su questa ultima, sempre eseguita con l'autoharp che chiameremo "a martelletto", l'esecuzione soddisfa più di quella di ieri. Note più precise, anche Basia mi sembra più soddisfatta. Mi convinco definitivamente che era colpa della luce, infatti il palco del Forty, seppur più basso, è decisamente più professionale e meglio illuminato. Su Run invece mi rendo conto che ormai è da ieri sera che canto quasi a memoria ogni pezzo, e sto cominciando a fare i cori a voce alta e a percuotermi le gambe alla ricerca della batteria perduta. Dopo The Shore si passa alla prima variazione, sempre rispetto a ieri sera: If Only You, quindi salta Little Waltz, W Zielonym Zoo, dove Basia salta una strofa (ce ne accorgiamo perchè non la sentiamo pronunciare hipopotamy, cosa che mi aveva colpito la sera prima), viene "anticipata" Heart Of My Own e poi ripresa Go On. Il pubblico è meno numeroso ma ugualmente coinvolto, l'attenzione alla prestazione e la simpatia modesta di Basia, insieme al profilo bassissimo dei suoi due partner sul palco, non possono non impressionare favorevolmente anche chi si trovasse qui per caso. I pezzi scorrono veloci e non vorrei che finisse mai. Basia si siede al piano, e Holly imbraccia la chitarra. Basia dice che per Holly è la prima volta con una chitarra su un palco. Eseguono Walk You Down, e per la prima volta influisco su una scaletta di un concerto. Alcune piccole sbavature, che riesco a sentire però sapendo che è stata provata tra ieri e oggi, quindi figuriamoci quanto, non sono sufficienti per scalfire la bellezza di questo pezzo che secondo me è enorme. Basia non si risparmia, e la versione alla fine è più che apprezzabile. Chiude la prima parte della scaletta I Was A Daughter, dove Holly fa una parte importantissima, sia con i battimani che con i cori.
Dopo la pausa, ecco Snakes And Ladders, "saltata" prima, in una versione intensissima con Basia al piano. Da brividi veri. Avanti con la coppia The Pilgriming Vine e Before I Knew (col consueto clap-hands corale), e sappiamo che è quasi finita. Sono ipnotizzato ormai.
Basia torna sul palco da sola, chiede di spegnere i microfoni (i tecnici del Forty sono meno pronti di quelli del Kulturalna, si capisce da quanto ci mettono per fare questa manovra), ed esegue la ormai consueta, ma sempre impressionantemente (alla Cetto Laqualunque) bella Hush.
Con Massi ci prendiamo una birra, tanto per consolidare una tradizione nata ieri ma che ci preme, e dopo qualche minuto andiamo verso l'ingresso. Basia ci accoglie come vecchi amici. La ringrazio ancora per Walk You Down, anche se non le risparmio la mia pignoleria sull'esecuzione, e le dico che è riuscita a farmi piangere. Approfondiamo il discorso sull'annullamento delle prime date di questo tour europeo e sul fatto che non abbia tutta la band con sé. Ci spiega che, per via delle ceneri del vulcano islandese, le hanno rimborsato solo due passaggi, per cui ha deciso di "portarsi dietro" solo Holly. Con un ragionamento da bambini ci spieghiamo Paul: il tour manager europeo che è inglese, glielo ha probabilmente "reclutato", ottenendo così di farlo aprire le sue date. Holly suona con lei, se capisco bene, da sempre. Il discorso cade sul fratello Bobby, perchè lei sostiene che con questa scelta ha fatto, come si suol dire, di necessità virtù, dice che è una prova anche per lei, e che suo fratello prima o poi avrà una band tutta sua e la lascerà, per cui va bene così, e si provano nuove soluzioni. Scopriamo che l'indisposizione, della quale aveva accennato Paula durante il concerto, è solo che Basia non è riuscita a dormire granchè stanotte. E non solo: tra poche ore, alle 4,00 precisamente, dovranno prendere un aereo da Cracovia per Londra, perchè tra due giorni li aspetta l'ultima data europea a Brighton. Alla fine, la salutiamo con baci e abbracci, e le dico che sono felice di averla conosciuta. Facciamo due chiacchiere con Holly, che poi ha da fare e ci lascia momentaneamente, usciamo a cercare Paul che voglio comprargli il cd e lo voglio dalle sue mani. E' l'ora di andare, ma non abbiamo salutato Holly, rientriamo a cercarla, troviamo il tour manager che ci fa passare verso una delle stanze del locale adibite a sala mensa, e li troviamo tutti lì intorno ad un tavolo pieno di cartoni per la pizza e frutta. Salutiamo Holly, che non potevamo andarcene senza, e Basia quasi si commuove. Ci saluta con le sue mani piccole, e il suo grande cuore. Saliamo su un taxi nella notte cracoviana.

Non so spiegare bene cosa mi tocchi tanto profondamente nella musica e nella voce di Basia Bulat. Ma so che è così. Mi è costato del tempo scrivere questa recensione, ma solo perchè per un paio di settimane abbondanti dopo questo concerto, e dopo essere tornato a casa, non riuscivo più ad ascoltare le sue canzoni senza commuovermi, senza che mi venisse un groppo in gola. Adesso ci riesco di nuovo, ed ancora mi fanno provare sentimenti contrastanti, ma sempre forti. E' stato un po' come una seduta di autoanalisi scriverla. Come le ho detto di persona, come un adolescente fa al poster del suo artista preferito, "I love you, and I love your music".
Non so se c'entra qualcosa, ma in casi come questi mi viene sempre in mente Benvegnù. Siamo troppo suggestionabili. Yes I am.