No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100930

petto-indice

Grazie a Garaz.


sacrifizi

10.19 di oggi. Senato della Repubblica Italiana.

"Abbiamo il dovere di continuare a governare, anche se non è facile, non è semplice. E tante volte verrebbe veramente la voglia di dire: lasciamo agli altri questo sacrificio" dice Berlusconi.

Dovremmo essergli tutti veramente grati: ci sta facendo un favore. Di quelli grossi.

open range


Terra di confine - di Kevin Costner 2004


Giudizio sintetico: si può perdere (1,5/5)

Giudizio vernacolare: chevi' asciugati


Nuovo western per Kevin Costner, nuovo tentativo di risollevare le proprie sorti. Il risultato non ha niente di eccezionale, non riuscendo a ricreare l'enfasi politically correct di "Balla coi lupi", e neppure il respiro epico de "Gli spietati" di Eastwood (film al quale è stato paragonato, non da me).


Un gruppo di allevatori di bestiame nomadi, dopo un acquazzone, si trova in contrasto con un allevatore "stanziale" molto influente nella zona nella quale si trovano; inizia una sorta di faida che ci porta al regolamento di conti finale.


Prima parte stucchevole, che indulge troppo su inquadrature più adatte ad Heidi che ad un western, seconda parte che si riprende leggermente con l'evoluzione del rapporto tra Boss e Charley, e la storia d'amore tra Charley e Sue, anche se di certo non a livello sufficiente per farne un buon film.

Dialoghi al limite del ridicolo, nella mediocrità generale spicca la disinvoltura con la quale Annette Benning "indossa" le sue rughe naturali.

Decisamente superfluo.

20100929

contro


Controcultura - Fabri Fibra (2010)


Ci credereste? Fibra è arrivato al sesto disco. E probabilmente, chi qualche anno fa pensava fosse finto, ha capito che non è così.

Fibra è attualmente il rapper italiano più credibile, e quello che non le manda certo a dire, sorpassando l'ormai discontinuo Frankie Hi NRG. Il nuovo Controcultura contiene come al solito svariati pezzi dal grande tiro musicale, così come molti pezzi con testi ammirevoli. Ammirevoli nel senso che nessuno, a livello musicale, in Italia parla così chiaramente. Per carità, rientra tutto nella "normalità" dei generi. E' giusto che l'hip-hop sia più chiaro degli altri, e quindi Fibra, seppur con qualche divagazione, e quindi qualche pezzo più debole, lo fa.

A livello musicale, siamo su un discreto livello, ma sinceramente si potrebbe fare qualcosa di più. Voglio dire, ancora non "suona" come un disco hip-hop straniero, ma siamo sulla buona strada (segno che anche Big Fish, sempre produttore insieme ad una lista interminabile di personaggi del giro, sta progredendo). E' vero anche che Fibra "gioca" campionando e ironizzando anche e soprattutto sulla musica "media" italiana, e quindi, come dire, si adegua a questa (3 Parole), prendendo quel che passa il convento, e migliorandolo fin dove si può.

Dicevamo dei testi; Fibra spara a raffica sulla politica e sul sociale, sferza il malcostume italiano, arriva dritto al punto e spesso fa ridere di brutto. Più che apprezzabile.

Il palese omaggio ai Clash del video-clip abbinato al singolo Vip in Trip potrebbe sembrare ruffiano, ma se pensate al pubblico al quale si rivolge, al suo "bacino d'utenza", vi renderete conto che non è propriamente così. E' dunque un piccolo sfizio, un omaggio sentito da parte del senigalliese.

Tra i pezzi più cattivi Escort, +- e, naturalmente, Vip in Trip.

Disco più che valido.

Les sentiments


I sentimenti - di Noémie Lvovsky 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: bellino


Film leggero leggero, ma divertente e ben recitato.


Una coppia apparentemente felice sui 50 (Jacques e Carole) è felice di ricevere i nuovi vicini, una coppia fresca di matrimonio (François ed Edith). L'amicizia va alla grande, ma Jacques perde la testa per Edith e lei pure.


La prima parte è divertente, grottesca, ben recitata, soprattutto da Nathalie Baye (Carole); il finale potrebbe far riflettere ma non approfondisce i sensi di colpa; rimangono, dunque, solo i sentimenti, appunto, ma trattati in modo giocoso.

Un divertissement e basta. Allucinanti i vestiti indossati da Isabelle Carré (Edith) e l'arredamento della casa di Jacques e Carole.

20100928

Mathangi "Maya" Arulpragasam


/\/\/\Y/\ - M.I.A. (2010)


Mi sono reso conto, di aver cercato, per diverse settimane, un motivo per non parlare bene fino in fondo di questo disco. Alla fine mi sono arreso. E' probabile che il mio inconscio non volesse ammettere di aver preso un abbaglio in occasione del disco precedente, piaciuto a molti, ma che a me non aveva convinto. Questo Maya (nome proprio di M.I.A., che segue i primi due dischi, intitolati rispettivamente coi nomi dei genitori, Arular e Kala; è probabile, a questo punto, che il prossimo si intitolerà Kali, come sua sorella, oppure Sugu, come suo fratello, tra l'altro suo collaboratore fisso, presente ovviamente anche su questo lavoro), è un disco del nuovo millennio, nel senso che vi appartiene, psichedelico, etnico, elettronico, noise, hip-hop e rock al tempo stesso.

A tutto questo melting pot, si aggiunge la capacità spiccata dell'artista inglese di origini Tamil, di creare melodie ruffianissime, o, all'occorrenza, di re-interpretare pezzi di altri e di usarne sample (Opal, Spectral Display, Suicide, Alabama Sacred Harp Singers, Fonejacker - una serie tv - e voci di operatori della Verizon Wireless, compagnia telefonica operante negli USA) per crearne di nuovi, simili o meno. Alla squadra di sempre, formata da lei, suo fratello Sugu, e i dj Diplo e Switch, si uniscono stavolta Blaqstarr e Rusko, alla produzione e al songwriting. Il risultato è un frullatore di suoni ed influenze, ma soprattutto di ritmi inarrestabili ed irresistibili.

L'attitudine "guerrigliera", a volte forse un po' troppo calcata (vedi polemica sul video di Born Free, con immagini di militari che compiono un blitz a colpi di manganello e lacrimogeni, militari che, sulle divise, hanno ben visibile la bandiera a stelle e strisce), testi ovviamente compresi, rimane, e contribuisce ad accrescere l'hype sul personaggio, comunque fuori dagli schemi.

Poco altro da aggiungere, si rischia di diventare ridondanti. Lovalot, Illygirl, Internet Connection, Steppin' Up, Teqkilla, Born Free, ancor più delle accessibili XXXO, It Takes A Muscle, Tell Me Why e Caps Lock, sono pezzi, come detto, irresistibili.

Ottimo disco.

facce di bronzo


Stamattina mentre facevo colazione, rivedevo l'intervento all'ONU, col quale Sarkozy ha proposto, in pratica, la Tobin Tax.

Ora, per fare riflessione politica proprio terra-terra, so che sono il primo a lamentarsi delle facce di bronzo italiche, ma come si fa a decidere il rimpatrio coatto dei Rom, e dopo qualche settimana, proporre la Tobin Tax all'ONU per salvare il mondo dalla povertà?

E soprattutto: com'è che Carlà, che pareva una persona tanto sensibile, l'ha sposato?

mosse

Sakineh, l'annuncio del procuratore
"Sarà impiccata per omicidio"

E adesso? In pratica, una "normale" pena di morte. Quindi, proseguendo la campagna contro questa (sola) pena di morte, non sarebbe corretto trasformarla in una campagna contro tutti gli Stati che ancora la mettono in pratica (in primis gli Stati Uniti d'America)?

Alla fine, una grande mossa politica dell'Iran. Purtroppo, sulla pelle di una donna, della quale colpevolezza (di complicità nell'omicidio del marito) non siamo neppure sicuri.

Tian xia wu shuang


Chinese Odissey - di Jeff Lau 2003


Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Giudizio vernacolare: boia, pareva una stronzata e 'nvece è ganzo


Forse sarà l'eleganza della ricostruzione storica, dei costumi; forse sarà l'innegabile bellezza dei protagonisti; forse sarà l'eleganza stilistica delle riprese, la maestria con la quale il grottesco viene diretto facendoci sorridere mai in maniera volgare.

Il fatto è che questo film leggero, divertente, apparentemente con poco senso, affascina in una maniera impensabile all'inizio.


Nella Cina degli imperatori, l'erede al trono e sua sorella si ribellano alla vita di palazzo; cercano in tutti i modi di uscire e vivere delle avventure. Ci riesce per prima la sorella, che però una volta fuori viene scambiata per un uomo. Di lei si invaghisce una ragazza che spesso viene scambiata per un uomo.


Si crea una spirale di situazioni divertenti, personaggi minori che danno vita a combattimenti di arti marziali affrontati con straordinaria ironia, storie d'amore si intrecciano e gag spassose si alternano a momenti di poesia narrativa e visiva. Anche l'uso reiterato delle voci off per i pensieri dei vari protagonisti risulta funzionale.

Si esce dal cinema leggeri come piume e soddisfatti per essersi divertiti con gusto.

20100927

gli anni di cristo

finalmente esce il sole dopo una mattinata coperta.
il cucciolo con qualche linea di febbre, "probabilmente dovuta alla stagione" dice il pediatra o forse ai dentini che escono rognosi.
con la riccia stamane abbiamo iniziato la trattativa per un importante acquisto. speriamo...
sono in ferie. 1 settimana. già in mente di fare 100 cose, vediamo che ne riuscirò a fare almeno 10-15. una di queste è andare all'ikea, so già cosa comprare: un porta tv con annessa libreria e scaffale tutto dello stesso stile.
venerdì invece andremo a berna, tutta la famiglia veronese al completo. tutti tutti appassionatamente per la prima volta. il museo di klee è la nostra meta. il cucciolo ne è appassionato!
ho iniziato a guardare the pacific. le prime due puntate, posizionati i personaggi, aspetto però qualche evoluzione d'artificio.chissà se arriverà.
devo cambiare anche le corde della chitarra che da questa settimana si riprende forte e duro.
sbrisolona o crostata?

what about us?


Che ne sarà di noi - di Giovanni Veronesi 2004


Giudizio sintetico: orribile (0/5)

Giudizio vernacolare: mavvilevatediulodé


Un diciannovenne innamorato di una ragazza in poco più grande, sapendo che lei andrà in vacanza a Santorini (per i pochi che non lo sanno, un'isola greca, secondo molti la più bella), convince i suoi due più cari amici a partire, all'indomani della maturità, alla volta dell'isola, nascondendo loro la verità. La ragazza ha una tresca con un giovanotto benestante e piuttosto losco, e il diciannovenne ha una ammiratrice più piccola, che segue a sua volta il ragazzo a Santorini convincendo la sorella più grande.

La trama rasenta la buffonata, ed è quanto di più scontato; i molti personaggi sono tutti quanti stereotipi; gli interpreti quasi tutti sopra le righe; si tocca poi il fondo in almeno due momenti di assoluto trash: due ralenti, uno dopo il tuffo dei due protagonisti, quando il ragazzo esce dall'acqua scuotendo la chioma (con bacio appassionato a seguire; siamo dalle parti di Laguna Blu de noantri), e l'altro sul fotogramma finale, con due dei tre amici che esultano sul traghetto di ritorno in preda ad un raptus inspiegabile, con l'aggravante del fermo immagine; per un attimo pare di rivedere Fuga per la vittoria.


Non si salva niente.

20100926

stuck on you


Fratelli per la pelle - di Bobby e Peter Farrelly 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: è ganzo


La storia di due fratelli siamesi, anzi congiunti, come preferisce dire Bob; Bob (Matt Damon), timido, sensibile e ottimo cuoco di carne, e Walt (Greg Kinnear), estroverso, donnaiolo e aspirante attore.

I fratelli Farrelly continuano nel loro percorso personale di raccontatori di storie particolarissime ma colorite, e da molti definite politicamente scorrette; questa volta raggiungono la loro personale vetta, facendo un film che fa divertire molto (gag prevedibili, ma divertenti, e grandi battute) e, allo stesso tempo, fa riflettere parecchio sugli atteggiamenti dei cosiddetti normali verso i cosiddetti diversi (anche se spesso si cade nel buonismo spicciolo, l'importante è che i cosiddetti diversi ci siano).

Una galleria irresistibile di personaggi, oltre a una Cher che fa la caricatura di se stessa con mirabile autoironia (chissà quanti altri registi avrebbero avuto il coraggio di chiederle lo stesso), e una colonna sonora molto interessante (Pixies, Kings Of Leon e Rolling Stones tra gli altri).

20100925

editoriAle flash


Non mi interessa della casa a Montecarlo. Non mi interessa se si va a nuove elezioni a breve oppure no. Non mi interessa se gli operai votano Lega (cazzi suoi) o PdL (ri-cazzi loro). Non mi interessa se c'è già stato un Primo Ministro gay ed era democristiano, o se addirittura erano due. Gli Area suonavano un pezzo che si intitolava Gerontocrazia.

In Inghilterra, i Laburisti sono impegnati ancora a raccogliere i cocci della sconfitta alle ultime elezioni. Oggi, l'elezione del nuovo leader. Che è Ed Miliband, nato il 24 dicembre 1969 a Londra. Avete letto bene: non ha ancora compiuto 41 anni.

A voi, per dire, Vendola vi sembra giovane? Forse perchè ha l'orecchino....

il comunista che mangiava i bambini


Evilenko - di David Grieco 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: dé ma un era comunista!


Trasposizione piuttosto fedele di un fatto di cronaca non lontano nel tempo, un film davvero duro da guardare (ma il regista sta bene attento ad evitare inquadrature particolarmente truculente o scabrose) e anche da immaginare; in effetti, pensare ad un essere umano che commette tali bassezze e atrocità è, già di per se, un esercizio che mette a dura prova.

Evilenko (nome col quale possiamo riconoscere Andrej Romanovic Cikatilo) era il comunista che mangiava i bambini (titolo del libro dello stesso regista, per la stesura del quale Grieco ha investigato per anni), il mostro di Rostov, autore di 55 omicidi, conditi da stupri, atti di cannibalismo, il tutto prevalentemente su minorenni.

Gli interpreti sono piuttosto nella parte (McDowell troppo invecchiato all'inizio del film per recitare uno nato nel 1940, dice il film, o nel 1936, dice la biografia, ma menzione particolare anche per l'ottimo Marton Csokas, il magistrato detective), e il film in definitiva ci offre spunti importanti sulla malattia mentale, sulla caduta del comunismo, e insinua un dubbio sulla fine di Cikatilo.

Musiche di Angelo badalamenti, una garanzia assoluta.

20100924

the junkies and the stars


Junky Star - Ryan Bingham & The Dead Horses (2010)


Prima di tutto, una piccola introduzione che vi fa capire quanto sia un novellino rispetto a un genere musicale come quello trattato da Bingham (fresco premio Oscar per The Weary Kind da Crazy Heart, pezzo presente in alcune versioni come bonus) e soci: fino a quando ho deciso di scrivere questa recensione, mai avevo sentito né letto il genere americana, sotto il quale è catalogato di solito. Apprezzate quindi non solo l'onestà, quanto il punto di vista fresco e pulito del vostro recensore preferito di sempre.

Il ragazzo che, come faceva giustamente notare l'amico Monty, si chiama esattamente come il protagonista di Up In The Air (o magari è il contrario), ha "solo" 29 anni, ma pare aver assorbito alla perfezione tutto lo scibile che, appunto, il genere indicato raccoglie. E, badate bene, americana è, come si disquisiva allegramente con amici (soprattutto loro), un'etichetta molto generica che, appunto, ingloba e raccoglie una vastità di generi, sottogeneri ed influenze.

Per chi, come me, è un po' fuori dal giro giusto (cit.), è naturale accostare Bingham anzitutto a Springsteen, fino ad arrivare a Dylan (ma senza scomodarlo, ci mancherebbe), mentre per dare un'idea a chi vi arriva dal lato rock, potrei comodamente accostarlo al lato country-folk dei Pearl Jam, o meglio, alle cose soliste di Eddie Vedder, come per esempio la colonna sonora di Into The Wild.

I più attenti fanno notare che per questo terzo disco (ma in realtà ne ha fatti almeno altri due, autoprodotti), Bingham ha cambiato produttore, passando dal Marc Ford di blackcrowesiana memoria, al veterano T-Bone Burnett, col quale in pratica ha cominciato a collaborare materialmente per la composizione del pezzo col quale ha/hanno vinto l'Oscar, citato prima; ne prendiamo atto. Quel che c'è, adesso, è un disco che, come capita sempre più spesso, è moderno pur avendo un sapore stantìo (nel senso buono del termine, se ce n'è uno), buone canzoni suonate da buoni musicisti, e quella voce che ricorda altre voci (c'è chi addirittura si è lanciato in un paragone con Tom Waits, e sinceramente non l'ho capito), ma che colpisce, e spesso affonda l'ascoltatore (sempre in senso positivo). Confesso che mi affascina anche la pronuncia (è nato in New Mexico e cresciuto in Texas), così come pezzi quali The Wandering, Hallelujah, Self-Righteous Wall, come pure la title-track.

Lo chef consiglia l'ascolto al tramonto, magari sul mare (va bene anche d'inverno), con qualcosa di alcolico e da fumare. Siccome penso anche a voi, che non beneficiate di questo plus, potete sopperire con la campagna sconfinata, e addirittura con un naviglio.

vanity


Il siero della vanità - di Alex Infascelli 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: 'nzomma


Dopo aver visto questo secondo lavoro di Infascelli, un po' più convincente del debutto "Almost Blue", rimango dell'opinione che il ragazzo abbia potenzialità che stenta a incanalare nella giusta maniera.

Travestito da thriller, la caccia a un presunto serial killer (che si rivela solo uno squilibrato in cerca di soddisfazione egocentrica, realizzando davanti ad un pubblico la prova della sua abilità come mago) da parte di una squinternata squadra di poliziotti, alle prese con i problemi della vita di tutti i giorni, è una denuncia forte alla deriva televisiva italiana, fantasticando su dove potremo arrivare.

Infascelli dà bella mostra di tecniche di ripresa, dirige piuttosto bene gli attori (senza picchi, ma, visto che in alcuni momenti ricorda Argento, senza neppure dirigere male come lui), mette sul piatto un ventaglio forse troppo ampio di personaggi (alcuni irrisolti), sembra non affondare né dalla parte della denuncia (anche se il finale rende tutto un po' più agghiacciante), né sulla parte thriller.

Le musiche di Morgan risultano un po' troppo "classiche".

Riprovare.

20100923

Ae Fond Kiss...


Un bacio appassionato – di Ken Loach 2005


Giudizio sintetico: da vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: ir compannio Ken un delude mai

Casim è l’unico figlio maschio di due genitori pakistani, ben inseriti nella comunità pakistana di Glasgow, Scozia; comunità che, però, vive una realtà a se stante dal resto. Laureato in economia e commercio, fa il DJ e vorrebbe farlo diventare il suo vero lavoro. E’ in procinto di sposarsi con una cugina che ha visto solo in foto, che arriverà dal Pakistan. Andando a prendere Tahara, la sorella più piccola, alla scuola (cattolica), conosce Roisin (Eva Birthistle, splendida, una Diana Krall – suona il piano, a chi la dovevo paragonare? – più bassa e più bella), la sua insegnante di musica. E’ amore, quello vero, ed è l’inizio di una via crucis, a causa dell’intransigenza della famiglia Khan (o del loro attaccamento ai valori, punti di vista), e della testardaggine della bionda insegnante, non per niente irlandese e divorziata (il secondo punto diventerà importante), che non accetta di perdere Casim, e sa benissimo che anche lui è innamorato.

Terzo e conclusivo capitolo, così pare, della trilogia scozzese di Loach, dopo My Name is Joe e Sweet Sixteen, Un bacio appassionato appare un film meno duro del resto della filmografia di Loach, è bene dirlo, e forse proprio perchè parla d’amore; ma, nonostante ci sia sempre quella ironia di fondo propria del "compagno" Ken, non è mai dovuta allo scontro tra tradizioni, come in molti esempi contemporanei (Il mio grosso grasso matrimonio greco, Jalla! Jalla!, East Is East, Sognando Beckham). Il pregio dei film di Loach è l’aderenza alla realtà, e, anche in questo caso, il pretesto della storia serve a focalizzare il problema dell’integrazione, che c’è e come.
A dirla tutta, ce n’è anche per l’integralismo religioso in genere; il punto chiave del film, infatti, è la scena nella quale Roisin va dal suo parroco a chiedere un certificato che solo lui le può rilasciare, e che le serve per avere finalmente un posto da insegnante di ruolo. Preparatevi ad incazzarvi.

Purtroppo il doppiaggio, come spesso capita, è un punto dolente; rende una macchietta il ruolo del padre di Casim, nonostante sia una figura davvero toccante, e leggendo qua e là, pare ci faccia perdere una serie di esempi di crossover linguistico piuttosto interessanti.

Non è un film manifesto, da lotta di classe, ma senz’altro un contributo ad una delle necessità di questo secolo (l’integrazione), fatto da un maestro; per il capolavoro ripasseremo.

20100922

dimenticare

Scusate, non resisto. L'aggettivo che si adatta di più a Basia Bulat è bucolico. Splendida.


walk on water


Camminando sull'acqua - di Eytan Fox 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: l'omo che un poteva piangé


Israele, Eyal è un agente del Mossad, bravo ad uccidere; al termine di una missione in Turchia, trova la moglie morta suicida. La tragedia sembra non scuoterlo, ma i superiori sono preoccupati e gli affidano un incarico di poco conto : spacciarsi per la guida turistica di Axel, un giovane tedesco in visita alla sorella Pia, che vive in un kibbutz (forse per espiare le colpe dell'intero popolo tedesco), per scoprire se il di loro nonno, ex ufficiale nazista rifugiato in Argentina, sia ancora vivo; dentro Eyal ribollono tanti sentimenti soffocati, Axel e Pia sapranno farglieli esternare senza volerlo.


Avevamo conosciuto Fox con "Yossi & Jagger", che prometteva bene ma risultò deludente; questo nuovo film risulta migliore, positivo e interessante, anche se non eccelso. Interessante il fatto che ci dia modo di conoscere come si vive in Israele, a prescindere da come la si pensi; non trascurabile il fatto che ce ne illustri alcuni scorci decisamente belli. Positivo il messaggio finale, il killer spietato che non sa più uccidere; bella la metafora dell'uomo che non sa piangere per un problema ai condotti di lacrimazione, crudele il contrappasso che subisce con la moglie suicida; interessante il mezzo dialogo con l'arabo, soprattutto perché girato da un israeliano. Impegnativo il confronto delle nuove generazioni tedesca ed ebrea col passato.

Già leggendo questo, si capisce che uno dei difetti sia l'abbondanza di tematiche; inoltre non convince fino in fondo il tema gay, che sembra introdotto forzatamente. Decisamente superfluo e stucchevole l'epilogo.

Gli daremo comunque un'altra opportunità.

20100921

serial father

Questa notizia direi che corrobora sia il post precedente, che il commento di exit.


Comprarsi un televisore? Una playstation magari...

giova-notti




Così parlò Giovanardi Carlo, sottosegretario alla Presidenza del consiglio con delega alla famiglia (aggiungerei vaticanofila, così per sfizio, ma anche reiterata, tipo quella del presdelcons).


So che alcuni di voi hanno delle riserve in merito, ma personalmente mi pare una enorme cazzata (quella che ha detto Giovanardi).


La "mappa" è presa da questo sito, che mi pare interessante.

confidences trop intimes


Confidenze troppo intime – di Patrice Leconte 2005


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: un attrighìo

Anna è in crisi col marito Marc, e decide di andare in cura da uno psicoterapeuta; al primo appuntamento, sbaglia porta nel corridoio dello studio, ed entra nella casa/ufficio di William, consulente fiscale. William, timido e anche leggermente intimorito dalla veemenza della donna, si presta ad un qui pro quo, incuriosito dalle confidenze che Anna gli fa da subito. Quando l’equivoco si chiarisce, Anna decide di continuare a vedere William, ma sempre in una forma strettamente colloquiale. Il marito Marc, facendo seguire Anna, arriva a William, prima lo invita ad accoppiarsi con lei, ma a casa di loro, poi, riappacificatosi con lei, si fa spiare da William mentre fanno l’amore. William diventa geloso.

Film interessante, ma non eccelso; teoricamente, la storia ricorda da lontano Le onde del destino, nella perversione del marito impotente che vuole la moglie nelle braccia di un altro uomo; in definitiva invece, un film su due solitudini che si incontrano casualmente (un tema caro a Leconte, vedi L’uomo del treno), e sulla difficoltà di trovare qualcuno disposto ad ascoltare i propri problemi fino in fondo. Molto "francese" nelle recitazioni, tutte molto appropriate, con ottime battute sparse qua e là, in momenti divertenti.
Movimenti di macchina difficili da comprendere nei primi piani, e un leggero senso di incompiutezza alla fine.

PS Donne, se fumate, imparate da Sandrine Bonnaire: che classe!!

20100920

¡Que viva Mexico!


Impressionante articolo de El Diario di Ciudad Juárez, città di confine con gli USA martoriata dalle gang del narcotraffico, ormai padrone assolute del territorio, che picchia duro verso il governo e si rivolge direttamente alle organizzazioni criminali:


Hasta en la guerra hay reglas. Y en cualquier conflagración existen protocolos o garantías hacia los bandos en conflicto, para salvaguardar la integridad de los periodistas que las cubren. Por ello les reiteramos, señores de las diversas organizaciones del narcotráfico, que nos expliquen qué quieren de nosotros para dejar de pagar tributo con la vida de nuestros compañeros.

Anche in guerra ci sono delle regole. E in qualsiasi conflitto esistono protocolli o garanzie tra le parti in conflitto, per salvaguardare l'integrità dei giornalisti che coprono l'evento. Per questo, vi chiediamo ancora, signori delle diverse organizzazioni del narcotraffico, spiegateci che cosa volete da noi affinché smettiamo di pagare tributo con la vita dei nostri colleghi.


Qui l'articolo completo, su segnalazione dell'amico Massi.

your gay friend


Si parte da un'intervista di Nichi Vendola a Le Iene (in onda stasera). Gli chiedono se un gay può diventare Presidente del Consiglio, e lui risponde che c'è già stato, ed era democristiano. Sicuramente mi ero perso qualche passaggio. La cosa si fa interessante.

Ne parlo con degli amici, e viene fuori che, tempo fa, Cecchi Paone, in un'intervista a Klaus Davi, disse che ce n'erano stati addirittura due, entrambi democristiani, uno defunto, iniziali MR. La conclusione è presto tratta, anche da Davi: Mariano Rumor.

Ma, indagando anche sulle affermazioni di Cecchi Paone, esce pure che nel 2007, in un articolo su L'Espresso, Eugenio Scalfari afferma che Emilio Colombo (democristiano, Presidente del Consiglio ) aveva esternato la sua omosessualità.


Ora, siccome quando in Islanda fu nominata Primo Ministro Jóhanna Sigurdardóttir, lesbica, tutti (fuorché gli islandesi) sottolinearono il fatto che fosse il primo Primo Ministro gay d'Europa, dico: vuoi vedere che siamo stati i primi ad avere un Primo Ministro gay e non lo sapevamo?

Beh, sarebbe tipico della nostra ipocrisia (che definirei vaticanofoba e quant'altro).

discesa agli inferi


Breaking Bad - di Vince Gilligan - Stagione 3 (Sony Picture Television per AMC) - 2010

Ci sarà un motivo, se Breaking Bad continua a fare incetta di premi, ma soprattutto, se continua ad essere additato da fans e critica come una delle migliori serie di sempre. Devo ammettere che, come dicevo nella recensione delle prime due stagioni, io ci ho messo un po' a capirlo. E, forse, sono riuscito a capire perchè non l'ho capito subito (scusate il gioco di parole).
Breaking Bad è ottimo cinema che diventa serie televisiva. Attenzione: è cinema di nicchia, americano ma influenzato da quello asiatico d'essai, e da tutto il meglio (perchè no, anche da quello di Sergio Leone). Attenzione maniacale per i particolari, particolari che diventano protagonisti a discapito dei protagonisti, incipit apparentemente inconcepibili, tempi dilatati (ma non morti, anche qui, attenzione), quasi reali (e qui si torna a quello che dico sempre rispetto ad un certo cinema asiatico: la realtà non è ritratta dal cinema americano da botteghino, che invece per descrivere le storie usa fare gli highlights della storia, la realtà è fatta di tempi morti e di silenzi, di balbettamenti e di gente che non sa cosa dire), sceneggiature ben scritte, splendida fotografia e recitazioni pressoché impeccabili. Non ultima, un'attenzione bastarda ai personaggi di contorno, che alla fine non si riesce più a capire quali siano.
Ancora una volta, lo sterminato mondo della rete mi viene in soccorso, ed ha ragione da vendere TuttoFaMedia nella sua ottima disamina della terza stagione, ma un po' sul senso dell'intero serial Breaking Bad. Una serie sulla dipendenza (da varie cose), oppure come ho schematizzato io più grossolanamente, nel titolo del post, una sorta di "discesa agli inferi" del protagonista, ma non solo. Un percorso che riesce ad ammaliare lo spettatore attento ed esigente, che si ritrova, pensate un po', complice soprattutto del protagonista, ritrovandosi in bilico sulle scelte etiche che Walt (il protagonista, ancora una volta, uno straordinario - o forse è il caso di dire stupefacente - Bryan Cranston) è costretto (ma questa è la sua giustificazione, giustificazione che diventa anche un po' quella dello spettatore) a compiere, per portare avanti la sua personale lotta "per difendere la sua famiglia".
Ha ragione anche chi lo accosta a Mad Men. Se Mad Men è lo specchio del perchè siamo diventati come siamo oggi, Breaking Bad è la fotografia del dove stiamo andando.
Ed è agghiacciante.

20100919

islanda lug/ago 2010 - 14


Hveragerdi e dintorni 1

A colazione domandiamo alla proprietaria del Frumskógar se ci sono problemi per rimanere altre due notti. Ne abbiamo parlato la sera prima, ed abbiamo deciso che va bene così, sono gli ultimi due giorni, ce ne andremo un po' in giro in zona, cose da vedere ce ne sono, il posto è carino ed è conveniente, dopo di che domenica mattina torneremo verso Keflavik girandoci tutta la costa percorribile, e nel pomeriggio consegneremo l'auto. La signora come al solito pare cadere dalle nuvole, come se non ci avesse mai visto, e dopo 5 secondi ci dice che non ci sono problemi. Bene. Usciamo, e ci dirigiamo verso l'imbarco per le Vestmannaeyjar, il famigerato Landeyjahofn, introvabile sulle mappe (nel frattempo, sono riuscito a trovare una spiegazione del cambio di "tragitto" per il traghetto verso le isole, in un blog in italiano tenuto da un islandese: qui). Ci posizioniamo sulla strada nr.1 ed andiamo verso sud-est, seguendo le indicazioni stradali col nome impronunciabile ma con la nave-traghetto ben visibile. Passiamo Selfoss, Hella, Hvolsvollur, e dopo qualche chilometro troviamo la deviazione. La strada sembra essere stata costruita la notte precedente, nuovissima, attraversa il nulla e corre verso il mare. In lontananza, si vede una nave. Man mano che ci si avvicina, si nota una coda. Arriviamo alla coda, e vediamo una distesa di auto parcheggiate e un sacco di gente che, evidentemente, attende di salire sul traghetto. Mentre siamo in coda ci avvicina un ragazzo che, insieme ad altri, stanno informando ogni auto in coda di qualcosa. Il qualcosa è che probabilmente il traghetto è tutto prenotato, e quindi se non abbiamo la prenotazione avremo difficoltà a prenderlo, ad ogni modo possiamo proseguire e verificare. Avevamo letto, infatti, che questo fine settimana alle isole si tiene un festival annuale, in occasione della Verslunmannahelgi (la festa degli impiegati), che cade il primo lunedì di agosto (la festa parte dal giovedì sera, e oggi è venerdì), ed il tutto esaurito ci fa giocoforza cambiare i piani. Torniamo indietro, fino alla strada nr.1, e per prima cosa ci dirigiamo verso la cascata che si vede già a occhio nudo dall'incrocio. Si tratta della Seljalandsfoss, una cascata che avevamo notato anche mentre andavamo a Vìk, ma quella volta non ci eravamo fermati. La giornata è molto bella, e la visita è piacevole: l'acqua della cascata si getta nel laghetto sottostante da una discreta altezza, ma la particolarità è che c'è un sentiero col quale si può passare dietro la cascata. Un po' umido e scivoloso, ma non particolarmente pericoloso, lo percorriamo e diamo un'occhiata ai dintorni, camminando senza particolare fretta. Ci rimettiamo alla guida senza una destinazione precisa, torniamo comunque verso nord dando un'occhiata alla Lonely Planet per capire cosa c'è da vedere. Proviamo con la fattoria medievale, naturalmente dal tetto in torba, di Keldur. Il tragitto è sterrato ma non particolarmente disastrato, però sembra di non arrivare mai. La cosa buffa è che quando arriviamo, è tutto chiuso e non sembra esserci nessuno, anche se c'è una casa e c'è pure qualcuno all'interno. Niente che non abbiamo già visto, per cui torniamo indietro per un'altra strada sterrata, lungo la quale ci fermiamo per ammirare quattro cavalli di razza islandese che si lasciano fotografare a lungo. Tornati sulla strada nr.1, a Hvolsvollur cerchiamo il Sogusetrid, il centro delle saghe, sperando in un qualcosa all'altezza del Settlement Centre di Borgarnes. Nonostante sia paurosamente vuoto, con una ragazza all'ingresso piuttosto svogliata (probabilmente lo saremmo anche noi), il "percorso" ci prende del tempo, anche perchè i tabelloni che spiegano i passaggi sono in islandese, tedesco e inglese, e gli scritti sono complessi. La saga di cui si occupa soprattutto il centro è quella di Njàll, che naturalmente ebbe come teatro la zona circostante. Particolarmente sanguinosa, e, come detto, piuttosto complessa, ma senza dubbio affascinante, anche se, ormai, Skallagrimur ed Egill sono nel mio cuore. Il centro si sta espandendo, c'è anche una taverna (deserta), in stile vichingo, legno e pelli di mucca sulle panche, e una mostra dello sviluppo di Hvolsvollur e dintorni, con ricostruzioni dei negozi che si sono susseguiti in città, con una particolare predilezione per i registratori di cassa (ce ne sono centinaia, di qualsiasi tipo): peccato che tutte le didascalie siano solo in islandese.A questo punto, siamo leggermente affamati, ci fermiamo al Café Eldstò a mangiare qualcosa. E' tutto come dice la Lonely, "Questa piccola caffetteria un po' snob serve pasti leggeri (zuppe, insalate e panini) in porcellane personalizzate e fatte a mano. In sottofondo, brani d'opera (qui sbaglia, solita musica rock o indie-folk, ma buona, n.d.jumbolo) e l'aroma del caffè. Graziosa, ma le porzioni sono un po' piccole". La cosa che la Lonely non dice, o non sa, è che le tre cameriere, due gemelle, sono more naturali, cosa estremamente rara in Islanda, e soprattutto, delle fighe da paura. La
mia compagna di viaggio accetta di buon grado il mio sconvolgimento, mangiamo il nostro "pasto leggero", e ce ne andiamo non prima di aver ribattezzato il Café Eldstò "tempio della figa". A questo punto, ci serve una mission precisa. Destinazione: il mitico vulcano Hekla, o almeno i suoi dintorni. Mentre cerco la strada nr.26, tornando da Hvolsvollur verso Selfoss, subito dopo Hella, inizia un acquazzone. Non dura neppure 10 minuti, e quindi sperimentiamo il proverbio islandese che dice "Non ti piace il clima? Aspetta 5 minuti". Mentre ci avviciniamo alla fattoria di Leirubakki, dove c'è il Centro Espositivo dedicato all'Hekla, osserviamo il vulcano, considerato il più minaccioso d'Islanda, e ci rendiamo conto che effettivamente la cima è sempre e perennemente circondata da nubi. Il Centro espositivo, con relativo negozio di souvenir e ristorante, non è grande come mi aspettavo, ma è suggestivo: gioca sull'oscurità, su rumori di fondo (che alla fine scopriremo essere l'amplificazione di un misuratore dell'attività magmatica dello stesso vulcano), e racconta le varie (e tantissime) eruzioni dell'Hekla, dando parecchie informazioni, comprese le descrizioni del vulcano scritte durante la storia dell'uomo (per molto tempo, l'Hekla è stato considerato la bocca dell'Inferno). In conclusione, una vetrata con vista sul vulcano.
Torniamo all'auto e riprendiamo la strada verso "casa". A Selfoss, per curiosità, ci fermiamo e vado a vedere cosa danno al cinema (a Reykjavik ne ho visto solo uno, ma chiuso): Shrek 4. Poi deviamo verso Eyrarbakki, una volta il porto principale d'Islanda, che oggi conta meno di 600 abitanti. All'ingresso del villaggio un grande edificio recintato, il carcere Litla-Hraun, il più grande esistente sull'isola, casette anche abbastanza graziose, una sorta di argine separa il villaggio dal mare. Diamo uno sguardo al mare, e si nota il fatto che, come altre cittadine lì intorno,
Eyrarbakki è costruita sulla lava (la grande Thjòrsà lava, la più grande colata lavica islandese, risalente al periodo geologico dell'Olocene). Mare piatto e grigio, e l'argine posto lì quasi a sottolineare il rapporto degli islandesi con l'elemento marino che, come fa notare spesso la mia compagna di viaggio, è fonte di sostentamento si, ma non prosecuzione della terra, così come invece lo "viviamo" noi. Sono passate le 18, e quindi qua è già ora di cena: siamo qui apposta. Il Rauda Husid pare un ristorante piuttosto famoso (e caro), e per una sera vogliamo toglierci lo sfizio. So che vi interessa relativamente, ma il risultato è positivo: la spesa è alta, ma non pazzesca (più o meno come in Italia), e l'astice, ma soprattutto la salsa all'aglio (almeno, mi è sembrato di capire che fosse questo), è una roba da farcisi il bagno dentro da quanto è buona.
Torniamo verso Hveragerdi e il Frumskògar a studiare, tra l'altro, il percorso di domani.

Le foto: la cascata Seljalandsfoss, i quattro cavalli vicino a Keldur, il lungomare di Eyrarbakki.

capturing the Friedmans


Una storia americana - di Andrew Jarecki 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: boia che storiaccia dé


Documentario distribuito in Italia sottotitolato, indaga sulla condanna di Arnold Friedman e del figlio minore Jesse, per una serie infinita di capi di imputazione inerenti alla pedofilia.

Grazie ad una serie di interviste e ai filmini effettuati dalla stessa famiglia, non solo in tempi felici, ma anche nei periodi "bui" e di sgretolamento dell'unità familiare in seguito al fattaccio, scopriamo un sacco di realtà mai venute alla luce, con un grande lavoro giornalistico.

Il fatto che, appunto, il "lavoro giornalistico" sempre più spesso esca al cinema, ci fa riflettere in primis sullo stato di salute della televisione a livello mondiale.

Da vedere, a patto che non siate impressionabili, viste le cose che sentirete, sia per i capi d'accusa, sia per le contraddizioni delle indagini.

20100918

il mestiere più antico del mondo


Leggete attentamente (non è troppo lungo) l'articolo che vi linko qui.
Quindi, multe per amplessi troppo rumorosi (ma non per le coppie "vere"), divieto di cambio di destinazione d'uso per gli appartamenti (ma solo per chi vi si prostituisce), divieto di gettare rifiuti in strada (ma solo per chi getta preservativi). Senza contare i comuni che hanno emanato ordinanze nelle quali si multa gli automobilisti che si trovano in auto con compagne in abbigliamento che viene giudicato discinto, divieti di fermata sulle strade dove battono trans e prostitute.

Il perchè, è chiaro: perchè la legge sulla prostituzione, in Italia, è inesistente, fumosa, ma soprattutto, non si può legiferare, ad esempio rendendola legale e facendo pagare le tasse a chi la esercita, creando zone apposite, regolarizzandola e rendendola più sicura e controllata, tagliandola fuori dalle mani del racket, perchè chiunque lo facesse si inimicherebbe il Vaticano.

Comincio a pensare che Dan Brown avesse ragione. Chissà cosa ne penserebbe Maria Maddalena.

cronache dallo stadio


L'amico Vit si lamenta perchè ormai da tempo mancano i miei racconti dallo stadio. Eccolo servito.
Post diviso in due. Come le etichette: sport e politica. Partiamo dalla politica.

Oggi quel che è successo allo stadio di Livorno è andato sui tg. Prima del fischio di inizio, un minuto di silenzio per commemorare il soldato italiano ucciso ieri in Afghanistan. Dalla curva, fischi. Dagli altri settori, a quel punto, applausi. Il "minuto", come fa notare giustamente l'amico Piazza XX, dura circa 15 secondi.
Motivi dei fischi? Pacifismo, se così vogliamo chiamarlo, odio viscerale verso i militari e le divise, da sempre feudo delle destre. Per semplificare.
C'è da aggiungere una cosa, però. Qualche anno fa fu chiesto espressamente di osservare un minuto di raccoglimento/silenzio per commemorare delle vittime di incidenti sul lavoro. Non concesso.
Conclusione. Parere mio. Sono contro l'intervento in Afghanistan. Inoltre, un militare sa che fa un lavoro nel quale può morire. Non fischio, perchè rispetto ogni vita umana, ed ogni morte, quindi considero fischiare sbagliato. Ma durante i minuti di raccoglimento non mi alzo in piedi e non applaudo. Neppure per Cossiga, sia chiaro. Se un giorno si facesse un minuto di raccoglimento per i morti sul lavoro, probabilmente non mi alzerei lo stesso in piedi, ma mi metterei a piangere.

Passiamo allo sport. La partita? Brutta, una delle più brutte che mi ricordi negli ultimi tempi. Anche se negli ultimi tempi ne abbiamo viste, purtroppo, molte. Manca pathos, manca carattere, manca passione tra i pochi spettatori rimasti. Non c'è mordente. E' brutto ammetterlo, per me che sono sempre stato sostenitore di questo presidente dal braccino corto e dalle campagne acquisti oculate e dai bilanci sempre in nero, ma Aldo Spinelli ci ha messo del suo. Aldo è una persona che capisce di bilanci ma capisce anche di calcio: a questa squadra manca un leader, un trascinatore, un conducator. Ci pensi, durante la prossima campagna acquisti.
Quest'anno probabilmente il Livorno farà un campionato di serie B (ora si chiama serie BWin) da media classifica. Se però giocheremo sempre con questo piglio, ci divertiremo anche poco.

editoriAle


Fascisti su Marte

Tra ieri sera e stamattina mi è venuta voglia di scrivere un post sulla questione Adro. Dopo una serie di riflessioni e qualche chiacchiera con gli amici. Quando mi sono deciso, accendo il pc e trovo la notizia per la quale pare che il ministro dell'Istruzione, tramite una lettera scritta dal direttore scolastico della Lombardia, chiede al sindaco di Adro di "adoperarsi per la rimozione dal polo scolastico del simbolo noto come il sole delle Alpi".

Prima riflessione: la prima volta che è stata interpellata al riguardo, il ministro rispose "mi piacerebbe che tutti coloro che hanno polemizzato in queste ore con il sindaco di Adro lo facessero per coerenza anche le molte volte in cui sono i simboli della sinistra a entrare in classe" (forse si riferiva al crocifisso). Sarebbe veramente interessante conoscere i motivi veri di questo dietrofront.
A parte la risposta del sindaco Danilo Oscar Lancini ("non ho ricevuto niente di quello che raccontano, sono stupito"), che, ricordiamolo, aveva sospeso la somministrazione della mensa ai bambini i cui genitori erano in ritardo con i pagamenti, trovando la solidarietà degli altri genitori (probabilmente perchè la quasi totalità dei morosi erano famiglie di immigrati, ricordo distintamente un paio di mamme lombarde con il sangue agli occhi che difendevano a spada tratta la decisione del sindaco davanti alle telecamere di Annozero), probabilmente, pensate un po', gli stessi genitori che hanno contribuito a sovvenzionare la costruzione e l'arredo dello stesso nuovissimo plesso scolastico (perfino gli arredi), quindi persone con qualche disponibilità e con una discreta generosità (ma solo quando si tratta di "cose padane"), motivo di vanto che il sindaco ricorda a ogni pie' sospinto quando è interpellato su qualsiasi tema ("non abbiamo fatto sborsare una lira allo Stato"), la questione degli arredi "marchiati" con il sole delle Alpi ha suscitato sdegno in molti opinionisti, giornalisti e anche tra i pochi cittadini che ancora hanno la forza di indignarsi. Pensate, che si è molto indignato perfino Luca Telese, che di solito è un osservatore politico piuttosto attento, ma che tende sempre a mettere tutto un po' sul ridere, soprattutto quando, su Radio 24, partecipa a La zanzara, di Giuseppe Cruciani (fustigatore del teatrino della politica ma che non è riuscito ad indignarsi neppure stavolta...), arrivando al turpiloquio verso il sindaco di Adro.
Peccato che Telese si sia lasciato andare, perchè le cose che aveva detto erano, dal mio punto di vista, condivisibili.
Influenzare così i bambini è triste, infame e anche un po' fascista. Anche se c'è da dire che il sindaco di Adro continua a sostenere che l'ormai famoso sole delle Alpi, è un simbolo storico che appartiene da sempre alla cultura della zona, e questo offende le nostre intelligenze. C'è da dire anche che a volte, inculcare la preferenza per un partito politico a dei bambini, spesso si ritorce conto agli stessi genitori: mi viene sempre in mente un mio conoscente che, da post-adolescente diceva che "votava comunista perchè votava comunista suo padre", e adesso vota PdL perchè è diventato piccolo imprenditore e quindi fa i suoi interessi (e crede che Berlusconi faccia i suoi...di questo conoscente...povero illuso).

Lo dico, sperando (forse) che qualcuno dei pochi lettori di fassbinder sia un elettore della Lega, e sperando di farlo riflettere. Questi sono pericolosi. Oltre che, come emerge dalle notizie degli ultimi mesi, assolutamente in linea con la "vecchia politica" (che è sempre attuale): nepotismo, corruzione, sfruttamento del potere acquisito con le preferenze alle elezioni. All'inizio, pensavo fossero solo poco intelligenti. Adesso la penso così: sono pericolosi. Si è arrivati al paradosso: il tricolore diventa una provocazione. E ve lo dice, sconvolto, uno che come sapete, non si è mai sentito troppo legato al tricolore, o comunque fortemente nazionalista. Sono pericolosi, arrivano ad inventarsi delle tradizioni storiche inesistenti e alla fine ci credono anche loro. E perchè la devozione al loro leader indiscusso è probabilmente ancora più ottusa di quella dei sostenitori del nostro attuale primo ministro.

Il paradosso più grande però, è che queste persone con il sangue agli occhi e le vene del collo gonfie, mentre strillano che non ne possono più degli immigrati, e se possono gli tolgono il pane di bocca, in uno slancio di egoismo che fa sinceramente pena, probabilmente devono una parte della tranquillità economica delle loro famiglie grazie a nonni o bisnonni emigrati agli inizi del '900.

A volte, sempre più spesso devo dire, mi chiedo che cosa siamo diventati.

after midnight


Dopo mezzanotte - di Davide Ferrario 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: bellino


Una dichiarazione d'amore per il cinema, una storia d'amore delicata e, paradossalmente, non di quelle che si vedono di solito al cinema.


Martino (Pasotti, molto bravo) è un solitario e un sognatore; fa il guardiano notturno al museo del cinema di Torino, dentro la Mole. Un giorno aiuta a nascondersi proprio la ragazza dei suoi sogni, che sta scappando dalla Polizia.


La storia è più complessa, ma la apprezzerete da soli. La scelta della voce narrante regge visto che è quella sempre simpatica di Silvio Orlando. Sullo sfondo una Torino grigia e decadente, non però priva di fascino. Sviluppo del triangolo amoroso non troppo brillante e originale, ma un finale agrodolce che fa sorridere di gusto, sempre che non votiate Berlusconi.

Delicatissimo.

20100917

lutero


Luther - Ribelle, genio, liberatore – di Eric Till 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: dé, sufficienza strappata ma credi eh


Interessante biografia storica di Martin Lutero, monaco che diede luogo ad un’importante scisma attorno al 1500 dopo una sua testarda lotta alla corruzione della Chiesa Romana, fatta di scritti e di prediche appassionate, volte al ritorno ai valori di un tempo da parte della Chiesa tutta.


Il film è scorrevole è discretamente recitato, anche se non tocca vette particolarmente intense; in effetti, i principali difetti che gli possiamo ascrivere sono una certa freddezza e una sorta di “compressione”; gli eventi sembrano succedersi in un’unica soluzione continua e un po’ sbrigativa, nonostante la ricostruzione storica piuttosto accurata e le musiche sempre molto appropriate e mai invasive.

Joseph Fiennes a corrente alternata, Bruno Ganz come sempre magistrale, da un film così c’era da aspettarsi molto più pathos; non ci rimane che riflettere sulla giustezza delle teorie luterane e sulle conseguenze disastrose, da lui certo non volute.

Religione e guerra, un tema quanto mai attuale.

20100916

zorba


Zorba il Buddha – di Lakshen Sucameli 2004


Giudizio sintetico: da evitare (0,5/5)

Giudizio vernacolare: eh, sucameli (boia popo' di nome dé), mattilevidiulodé!!


Tanto per cominciare, ma più che altro per scrivere qualche riga in più, il regista è italiano, di Rimini precisamente, e deve il suo nome al suo maestro spirituale.


Per dire del film, in una imprecisata località mediterranea (è girato perlopiù in Turchia, e l’effetto è spiazzante; la mentalità è da divertimentificio, quindi tipica riminese, ma l’ambientazione è stupenda, e quindi di certo non riminese, senza offesa) un DJ torna dal servizio militare e vorrebbe aprire un locale, nel frattempo gli amici sono alle prese con l’ennesimo fallimento del gruppo musicale, il fratello spaccia, e in porto arriva una skipper solitaria della quale si innamora ricambiato.


E’ uno dei film più brutti che mi sia capitato di vedere, e, una volta tanto, la distribuzione ha avuto ragione a "boicottarlo". Recitazioni pessime, musica inascoltabile e inappropriata, macchina da presa ingessata, sceneggiatura che sembra una scheggia impazzita.


Assolutamente da evitare.

20100915

divertimenti


divertimenti dell'ultimo periodo:
ballo in casa con musica da bocca.
costruire costruzioni che vengono puntualmente distrutte da mani piccine.
progettare salotti ikea senza mai acquistare mobili.
progettare cucine non ikea senza mai acquistare cucine.
dharma e greg.
low and order SVU.
james ellroy losangelino.
hellas verona claudicante.

da qualche parte


Somewhere - di Sofia Coppola 2010

Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: chi ha 'vaini la rimedia, però...

Johnny Marco è un attore hollywoodiano di successo. Non ha ovviamente problemi di soldi, gira sulla sua Ferrari nera, spesso senza meta, lo sveglia di solito la sua agente per ricordargli gli (eventuali) impegni della giornata. Vive stabilmente allo Chateau Marmont (leggetevi il paragrafo notable people and events nella scheda linkata), famosissimo e storico Hotel sul Sunset Boulevard di West Hollywood, dove passa il tempo alticcio, quindi bevendo, ingerendo pastiglie, ordina da mangiare al room service, così come ordina direttamente in camera spettacolini di lap-dance eseguitigli da una coppia di gemelle direttamente in stanza da letto, giocando alla Wii col suo (Migliore? Unico?) amico Sammy, che ogni tanto organizza, sempre nella stanza di Johnny, feste a sopresa. A Johnny per avere successo con le donne basta salutarle, e di solito dopo un paio di minuti o un paio di drink ci si ritrova a letto insieme. Non sempre poi, le cose vanno per il verso giusto, ma fa niente, lui è sempre Johnny Marco, ricco, famoso, e soprattutto, completamente al di fuori della realtà.

Johnny ha pure una ex moglie, e addirittura una figlia, Cleo. Cleo ha 11 anni, ed è ovviamente in affido alla madre. Johnny la vede ogni tanto, la porta a pattinare e le domanda come fa ad essere così brava, e lei risponde che è già qualche anno che pattina. Lui, nemmeno lo sapeva. Ma sta per vederla più spesso: la moglie, dopo qualche giorno, gli comunica che ha un impegno lontano, quindi Johnny dovrà occuparsi di Cleo fino al giorno in cui la ragazzina partirà per il campo estivo. Johnny è così costretto a modificare le sue abitudini, e, senza approfondire troppo, cosa della quale è evidentemente incapace, man mano che i giorni insieme a Cleo passano, quasi non accorgendosene si lega sempre più a lei. Fino al punto in cui Cleo parte per il campo estivo...

Sofia Coppola è figlia d'arte, si sa, e questo suo ultimo lavoro, vincendo il Leone d'Oro a Venezia qualche giorno fa, ha immediatamente scatenato polemiche e critiche, spesso infondate, magari anche da persone che non hanno visto il film. Il "percorso filmico" della Coppola è degno di nota, a mio giudizio (anche se, lo confesso, una regista che come primo lavoro fa un film decente da un libro che avevo amato molto mi fa senza dubbio essere parziale): il debutto Il giardino delle vergini suicide trattava con buon piglio e personalità un bel libro (il primo di Jeffrey Eugenides, che qua su fassbinder è molto rispettato), il secondo film fu quasi un capolavoro di sottrazione e profondità (Lost In Translation), il terzo fu purtroppo un mezzo passo falso, seppur rimanendo un tentativo diverso di affrontare una biopic storica (Marie Antoinette), dove Sofia contraddiceva in qualche modo quello che pareva essere il suo stile assodato.

Questo nuovo film torna sulle coordinate della sottrazione, e quindi su quello stile che (le) ha dato i migliori risultati. E' un film rarefatto, in un certo qual modo dimesso, mai urlato, abbastanza semplice nella struttura ma non semplice da guardare (e non solo per la fotografia, piuttosto spiazzante all'inizio, sgranata dalle lenti Zeiss, le stesse che il padre F.F. usò per Rusty il selvaggio), migliore ovviamente di Marie Antoinette ma probabilmente leggermente inferiore a Lost In Translation, un film volutamente irrisolto (alla lettera: vedi il non-finale), che si dilunga (appunto) volutamente troppo nella descrizione della non-vita del protagonista, e che forse si risolve un po' troppo frettolosamente (ma ancora una volta, c'è la possibilità che la cosa sia voluta, evidentemente) in, appunto, un finale "aperto" dove lo stesso protagonista prende coscienza del suo non-essere ("non mi sento nemmeno una persona" dice Johnny alla moglie: occhio alla risposta di lei, mi raccomando). Ed è davvero tutto qui il senso di Somewhere, un film su quanto vuota possa essere un'esistenza che da fuori può sembrare perfetta e senza problema alcuno, un film dove la Coppola riesce a descrivere un rapporto padre-figlia che improvvisamente tende al recupero, senza smancerie, luoghi comuni o trucchetti che potremmo aspettarci dal cinema americano (ma pure da qualcosa di casa nostra), altro fatto che le fa davvero onore.

E' la sobrietà il punto vincente di questo film, che però ne mette a segno pure altri. I due protagonisti risultano azzeccati. Per uno Stephen Dorff perfetto per incarnare uno spaesato Johnny Marco, attore che personalmente avevo apprezzato moltissimo nell'oscuro e selvaggio S.F.W. anni fa, e poi come scomparso in mezzo a molti film mediocri, e che quindi rivedo volentieri in un film importante, c'è una Elle Fanning (si, è la sorella di Dakota, e l'ha più volte interpretata "da giovane", ma anche lei ha già una filmografia di tutto rispetto nel curriculum) tenera, ingenua e acerba al punto giusto per interpretare Cleo; ma la recitazione di tutto il cast è segnatamente di basso profilo, e questo fa benissimo al film, che riesce "spontaneo", anche se racconta una storia che, a molti di noi, apparirà lontana anni luce.

Una parentesi sulla parentesi italiana della storia. Proprio questo low profile un po' di tutta la storia, stride ancor di più con la scena della consegna del Telegatto (ebbene si) al protagonista, con Simona Ventura, Nino Frassica e Valeria Marini in una scena kitsch e pacchiana, tipicamente da televisione italiana, e dove i tre, purtroppo per loro, incarnano figure imbarazzanti (per esempio: nella scena precedente c'è anche Giorgia Surina, si nota chiaramente che è sopra le righe, recita, male, ma recita; il trio citato prima è proprio spontaneo). Nel film c'è anche, in altro ruolo ma sempre nella parentesi italiana, Laura Chiatti, in un paio di scene dove purtroppo si è ridoppiata, ed è proprio per questo che palesa difficoltà al confronto dei doppiatori professionisti.

Colonna sonora variegata ma sfiziosa, del resto conosciamo la Coppola come amante della buona musica rock e non solo, dove la b-side degli Strokes I'll Try Anything Once corona perfettamente uno dei momenti più intensi del film.

Film da vedere, prova confortante per una regista che, come detto, ha deciso di percorrere una strada personale e degna di nota.

20100914

miele


Honey - di Bille Woodruff 2004


Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)

Giudizio vernacolare: onli for de passera (end uat e passera!)


Honey è una brava ballerina hip-hop, vive in un quartiere degradato, insegna hip-hop al centro sociale gestito dalla madre, ha un'amica del cuora, Gina, che crede in lei, lavora in discoteca, in un negozio di dischi e sogna di fare la coreografa. Arriva l'occasione della vita, e tutto sembra cambiare.


Sia chiaro, è una favoletta piuttosto scontata, buonismo a pacchi e hip-hop da fighetti, confesso che sono andato a vederlo perchè Jessica Alba, la protagonista (Max della fortunata serie "Dark Angel"), ha un sex appeal strano ma indubbio.


Leggerino leggerino, ma la musica fa battere i piedi; diverse apparizioni di artisti hip-hop, tra cui Missy Elliott (un paio di buone battute, ma non a livello della Cher di "Fratelli per la pelle").

20100913

il fantasma che cammina


The Ghost Who Walks - Karen Elson (2010)


Con un po' di ritardo (è uscito a fine maggio) vi segnalo questo dischetto che non mi è affatto dispiaciuto. Karen Elson l'avrete vista centinaia di volta, è una modella rossa, inglese, di una bellezza strana, ed il titolo del suo primo disco è il soprannome che aveva quando andava a scuola ("il fantasma che cammina", essendo ovviamente filiforme e molto alta). La musica è sempre stata l'altra sua passione, e prima di questo disco era "apparsa" come corista su Dreamland di Robert Plant, ed aveva duettato con Cat Power su I Love You (Me Either), contenuta nel disco Monsieur Gainsbourg Revisited. Non meno importante l'attività di una band di cabaret politico chiamata The Citizens Band, altra influenza che si sente qua e là nel suo disco.

Certo, se non fosse che la ragazza dal 2005 è la moglie di un certo Jack White (e madre dei suoi due figli Scarlett Teresa ed Henry Lee), probabilmente non avrebbe mai inciso un album. E questo, sinceramente, sarebbe stato un peccato, visto tutto quello che c'è in giro.

Nonostante in diverse canzoni si senta pesante la mano di Jack (che appare in veste di produttore), i pezzi sono tutti scritti da Karen, per la maggior parte da sola. Il risultato è una sorta di folk-blues, con influenze perfino celtiche, ed il songwriting risulta ottimo.

E' un disco degno di nota, e la voce di Karen è interessante e piacevole.

Alefbay-e afghan



Alfabeto Afgano – di Mohsen Makhmalbaf 2001



Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Giudizio vernacolare: daffa vedé a busce


Contenuto nel DVD di “Viaggio a Kandahar”, questo documentario illustra la situazione di migliaia di profughi afgani in Iran, nello specifico dei bambini analfabeti e di chi, in qualche modo, si prodiga per dargli una qualche istruzione. La ripetitività delle lezioni non si allontana dalle situazioni che, di norma, troviamo spesso nei comportamenti ripetitivi (appunto) dei medio-orientali e nei loro film; le facce dei bambini e delle bambine (quando si intravedono) sono piene di speranza e colpiscono al cuore, la situazione muove chiunque a mettere in discussione le “missioni di pace”, i monologhi di alcune bambine sul mullah Omar e i suoi insegnamenti ci fanno riflettere.
Il finale (uno splendido fermo immagine sul volto di una bambina, e non vi dico altro per non rovinarvi la sorpresa) risolve il tutto, piega le gambe e meriterebbe un Oscar.
Fidatevi, può sembrare noioso, ma si tratta di un piccolo capolavoro.

20100912

EW&F

Al contrario di molti, a me settembre piace, piace molto. E' naturale che dipenda dal fatto che vivo in un "luogo di villeggiatura" (anche se continuo a non capire cosa cazzo ci venga a fare la gente in villeggiatura al mio paesello), credo.

In settembre, noi locals ci riappropriamo del "nostro" mare. Non c'è bisogno di fare le corse, di arrivare all'alba sulla spiaggia per un posto/asciugamano. Abituati al traffico inesistente, ecco che torna e ci lascia tranquilli, nessuna incazzatura per quegli automobilisti che si fermano in mezzo agli incroci per chiedere indicazioni o perchè non sanno dove andare, compiendo evoluzioni che, se le facessimo noi nelle loro città, saremmo fucilati dal plotone di esecuzione della guardia automobilistica cittadina. I parcheggi (in particolare: quello davanti a casa mia) abbondano come negli altri nove, lunghissimi mesi che ci separano dal prossimo luglio.
Le temperature sono più miti, ed il rischio di scottature aumenta, ma è un piacere indicibile crogiolarsi al sole di settembre, e di sera andare a prendere una pizza da asporto senza prenotarla due giorni prima e senza fare la fila. Di notte, nessun rumore, nessuno schiamazzo. Puoi alzarti qualche ora prima dell'alba, percorrere il lungomare, cinque chilometri fino al paesello accanto, e non incontrare assolutamente nessuno, se non qualche sparuto pescatore appassionato; nessuna bottiglia di birra infranta contro il marciapiede, nessuna pozza di vomito da sabato sera, niente di niente. Nessun resto di falò sulla spiaggia, nessun turista che dorme sulle panchine. Ad ognuno il suo. Settembre è nostro.


we don't need no education

Titolo fin troppo facile, per parlare di scuola. Ebbene si, oggi il vostro cronista preferito, che non si interessa di scuola praticamente ormai dal 1984, anno in cui si diplomò con un voto piuttosto basso, vi vuole parlare di scuola.

Oggi leggo sul giornale una notizia che lì per lì potrebbe avere dell'incredibile
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Nella capitale, quartiere Montesacro, la fornitura in 48 ore
Mancano le sedie e i banchi
così all'arredo ci pensa Ikea

Scuola elementare Torricella Nord, quartiere Montesacro a Roma, le classi domani sarebbero rimaste chiuse per mancanza di arredi. L'unica alternativa, l'intervento dei privati, dice il presidente del municipio IV Cristiano Bonelli (PdL), ma nessuno riusciva a garantire una fornitura così rapida. Ikea invece ieri mattina ha assemblato tutto, trasporto e montaggio compreso.
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Cosa ci guadagna Ikea? Pubblicità. I banchi e le cattedre saranno chiaramente marcati Ikea. Fossimo negli USA, non ci sarebbe da stupirsi. I distributori automatici sono una forma di pubblicità, e sono fonte di scontro tra Pepsi e Coca Cola, per dire. Ma siamo in Italia.
Sentiamo parlare molti insegnanti, molti precari (anche la mia compagna di viaggio in Islanda è un'insegnante precaria), e sono tutti contro la riforma della Gelmini. Ma, si sa, in Italia sono tutti comunisti, quindi meglio prendere queste testimonianze con le molle.
Ascolto Radio 24, Oscar Giannino (che, questo si, non è comunista) la mattina dedica una puntata alla scuola. Pare che i soldi che in Italia destiniamo alla scuola non siano inferiori a quelli degli altri stati europei. Eppure continuiamo a leggere notizie di genitori che sono costretti a portare la carta igienica a scuola perchè la scuola non ha i soldi per comprarla.
Sento anche altre voci, sempre sulla scuola. C'è chi ha classi con 35 alunni e chi con 15. I precari sono troppi da pagare, ma svolgono un lavoro che va fatto. La Gelmini, che fa da sponda a Tremonti, annuncia tagli, poi dice che in 6, 7 al massimo 8 anni i 200.000 precari verranno tutti assorbiti. Tutti continuano a voler bene a Fioroni, ministro dell'Istruzione PD, ex DC, che fece assumere un botto di precari e li passò fissi. Giannino, sostenuto da gente che lavora nella scuola, dice che non esiste la meritocrazia, quindi soldi buttati: si paga chi non vale, si paga poco chi, magari, vale, e, magari, è pure precario.

Cosa si capisce da tutto ciò? Che la scuola italiana è un po' come l'Italia. Vorrei, ma non posso. E soprattutto, ad occuparsi di scuola ci si mette sempre qualcuno che non ne capisce assolutamente niente.

Sentite questa, invece. Progetto dei Tories di Cameron in UK. Da un articolo di The Economist ripreso da Internazionale.
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Con un approccio in parte ereditato dai laburisti, oggi il nuovo governo punta a concedere ai genitori maggiore libertà di scelta sull'istruzione dei figli. Le scuole sono incoraggiate a trasformarsi in istituti pubblici ma liberi dal controllo statale. Presto entreranno in funzione le free schools, fondate e gestite da imprese non-profit, gruppi religiosi, università, scuole private o dai genitori stessi. Queste nuove scuole libere potranno fissare le condizioni di lavoro e gli stipendi del personale, prendere decisioni sulla didattica, stabilire la durata della giornata e la suddivisione dell'anno scolastico e fare altre scelte in completa autonomia. Lo stato pagherà le strutture ed erogherà fondi in base al numero degli alunni iscritti. Non ci saranno discriminazioni: gli studenti più poveri assicurano contributi maggiori, quindi le nuove scuole avranno tutto l'interesse ad arruolarli.
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Ci sono dubbi tra i tories stessi, e l'opposizione mette in dubbio che la qualità dell'istruzione rimanga la stessa, e che qualche classe sociale possa beneficiarne a dispetto di altre. E via con altre critiche. L'articolo conclude pure che sicuramente non se ne farà di niente perchè è una riforma troppo radicale, non era stata spiegata in campagna elettorale, e, ricordiamocelo, il governo inglese è di coalizione, insieme ai Lib-Dem di Nick Clegg, quindi non può forzare troppo la mano.
Però, quello che voglio dire: per fare le cosiddette riforme, ci vogliono i numeri e il coraggio delle idee.
Silvio i numeri li ha (beh, diciamo che li aveva). Il coraggio delle idee? Mi sa proprio di no.
Le idee le ha tutte Ghedini. E chi non sostiene Silvio sa a che cosa serve Ghedini. Chi continua a votarlo, invece, è convinto che voglia "riformare l'Italia".
Andiamo avanti così....