No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20140630

ancora una volta intorno al sole

Once More 'Round the Sun - Mastodon (2014)

I Mastodon forse non vogliono "rompere il cielo" (Crack the Skye era il titolo del loro quarto disco)*. ma sicuramente vogliono raggiungerlo. E stanno cercando di farlo a modo loro.
Li ho ammirati dall'inizio: li ho sempre visti come una band di certo non noiosa, ma decisamente professionale. Voglio dire, puoi trovare foto divertenti di loro in giro, di sicuro sono dei buoni bevitori, ma non danno l'idea di entrare ed uscire dalle cliniche di disintossicazione. E soprattutto, mi sembrano grandi lavoratori della musica. Dischi ben concepiti, e tanti tanti concerti, non importa se come headliner o come band d'apertura, l'importante è suonare, e portare la propria musica in giro per il mondo.
Un'altra cosa importante, non credo sia loro importato un cazzo a proposito delle critiche e dei fan persi con l'album precedente The Hunter, accusato di essere troppo leggero. Era solo un passaggio, un tassello necessario per arrivare al passaggio successivo, questo nuovo Once More 'Round the Sun, un album che sembra miscelare Black Sabbath e Journey, se capite cosa voglio dire.
Prendete ad esempio la canzone The Motherload, un piccolo capolavoro, cinque minuti di emozionante metal, denso, pieno di buone vibrazioni e di ottima tecnica, armonie e melodie fuse con una durezza inattaccabile, neppure da quelli che consideravano The Hunter una merda. Tutto il resto è duro lavoro e variazioni sullo stesso tema, cercando uno stile inconfondibile (già trovato, del resto), e rispetto per i mostri sacri del passato.
Certamente per merito di Mastodon e band come i The Swords, che il metal nella sua accezione classica è riuscito a sopravvivere, e a divenire un genere che praticamente non ha nulla da invidiare agli altri (generi).
Suonatelo forte, e non ve ne pentirete.



*Sulla scia di qualche post in inglese, questa frase è stata quella che ha fatto scattare la voglia di provare anche con le recensioni, oltre al fatto che sono sempre più convinto del fatto che gli aggettivi superlativi suonino molto meglio nella lingua della Perfida Albione.
Il gioco di parole con "rompere il cielo"/raggiungerlo, in italiano va spiegato, mentre in inglese puoi semplicemente lasciare il titolo del disco e mettere un link alla recensione.
Ad ogni modo, per chi non ha voglia di leggere in inglese, ecco qua. Sempre puntando alla soddisfazione della "clientela"...

20140629

Once More 'Round the Sun

Once More 'Round the Sun - Mastodon (2014)

Mastodon maybe don't want to Crack the Skye, but definitely achieve it. And they're trying to do it their way. I admired them from the beginning: I've always looked at them like as a band certainly not boring but very professional. I mean, you can see around funny photos of them, definitely they are strong drinkers, but they don't give the idea of ​​getting in and out of rehab. And above all, they give the idea of ​​being great workers of music. Records well conceived, and many, many live concerts, no matter whether like headliner or like opening act, the important thing is to play, and bring their music around the world.

Another important thing, I don't think they gave a shit about most of the criticism and about the fans lost with the previous album The Hunter, accused of lightness. It was only a passage, a necessary piece to get to the next step, indeed, this new Once More 'Round the Sun, a record that seems to mix Black Sabbath and Journey, if you know what I mean.

Take for example the song The Motherload, a small masterpiece, five minutes of a thrilling metal, dense, full of good vibes and technical mastery, harmonies and melodies blended with a hardness unassailable, even by those who regarded The Hunter like a crap. All the rest is hard work and variations on the same theme, looking for an unmistakable style, already found, and respect for the sacred monsters of the past.

And certainly due to Mastodon, and bands like The Swords, that metal in its classical sense has been able to survive, and become practically a genre of music that has nothing to envy to others.
Play it loud, and do not regret it.

20140628

le cabotin



Un'altra delle mie passioni inconfessabili: Chahnourh Varinag Aznavourian. Canzone insuperabile, traduzione italiana dell'originale Le cabotin.

20140627

Hell is an Understatement (3)

continua da martedì 24 giugno

Dopo l'imperatore

La Repubblica Centrafricana – un’ex colonia francese senza sbocchi sul mare, schiacciata tra il Ciad, a nord, e la Repubblica Democratica del Congo, a sud – ha attirato per l’ultima volta l’attenzione del mondo venticinque anni fa. All’epoca Jean-Bédel Bokassa, che si era autoproclamato imperatore, dovette affrontare un processo in cui era accusato di vari reati, tra cui quello di avere un congelatore pieno di corpi umani pronti a essere mangiati (si dice che avesse servito i tagli più pregiati al presidente francese Valéry Giscard d’Estaing durante una visita di stato). Da allora la vita politica del paese non è stata degna di nota, almeno rispetto a quello che succedeva nel resto del continente. La Repubblica Centrafricana non ha mai assistito al massacro di un decimo della sua popolazione com’è successo in Ruanda; i suoi governanti hanno saccheggiato le risorse umane e naturali del paese con relativa moderazione, almeno in confronto al leader zimbabweano Robert Mugabe o al libico Muammar Gheddafi; il paese non è mai diventato un covo di Al Qaeda come il Mali o la Somalia. Negli ultimi decenni la Repubblica Centrafricana non ha prosperato, ma non è neanche andata a pezzi. Le origini dell’attuale conflitto risalgono al 2003, quando François Bozizé, il capo di stato maggiore dell’esercito, trovò un forte sostenitore nel presidente del Ciad, Idriss Déby, e prese il controllo del paese. Negli otto anni successivi Déby contribuì a
mantenere Bozizé al potere inviando, nei momenti di crisi, le sue truppe scelte nella Repubblica Centrafricana. Ma nel 2011 Bozizé ha cominciato ad allontanarsi dall’alleato ciadiano, dopo aver trovato nel Sudafrica un nuovo protettore. A quel punto, Déby ha spinto una vasta coalizione di ribelli musulmani, provenienti dal nord e dall’est del paese, a rovesciare Bozizé. La coalizione, chiamata Séléka, aveva bisogno di uomini, perciò ha arruolato mercenari del Ciad e del Sudan, che si sono uniti al gruppo durante la sua lunga marcia su Bangui. I ribelli sono arrivati nella capitale nella primavera del 2013 e hanno subito preso il potere. All’inizio della loro marcia sulla capitale erano molto disorganizzati, e avevano in comune solo il fatto di provenire dai paesi musulmani confinanti o dalle province ribelli del nord e dell’est della Repubblica Centrafricana. Tuttavia, durante la scalata al potere, molti cristiani si sono resi conto di essere loro il bersaglio di Séléka, mentre i musulmani venivano risparmiati. E questo non potevano accettarlo. La maggior parte dei centomila musulmani che vivevano a Bangui già prima che Séléka conquistasse il potere non aveva niente a che vedere con il nuovo governo, ma la maggioranza cristiana è arrivata a odiare anche loro. Nel 2013, a partire dalle campagne, i cristiani si sono lentamente organizzati in milizie. Alla fine dell’anno sono arrivati a Bangui e hanno ripetuto quasi esattamente lo schema seguito da Séléka. Ma a differenza di Séléka non hanno mai preso il governo. Si sono limitati a destabilizzare il paese e, nel gennaio del 2013, il leader di Séléka, Michel Djotodia, è fuggito in Benin. L’attuale presidente di transizione, Catherine Samba-Panza, cristiana ed ex avvocata, non è in grado di tenere sotto controllo la situazione. Nei villaggi di campagna sono nate forti spaccature religiose e migliaia di musulmani sono stati espulsi. A Bangui la cacciata dei musulmani è quasi completa. Molti quartieri, come Boy Rabe, sono interamente occupati dagli anti-balaka, e i pochi musulmani rimasti sono accerchiati e ridotti alla fame in attesa del
giorno della loro morte.

continua

20140626

Brussels - Belgium - Giugno 2014 (2)

And so, after two weeks, I came back to Belgium to the headquarter. This time was more intense. A workshop of two days (I participated in place of my chief), together with other people, someone already known, some other meet for the first time, all more used to think in terms of problem solving and that have more the habit to manage this kind of things. At the end of the first day, I swear, my head was a rollercoaster. But, at the end of the second day, I survived, and I learned a lot.

The third day I worked in the headquarter, and I had the chance to meet again people that I've already met briefly, and know other people I work with, also just if by email or by phone.
Again, and I know I'm a little sentimental about interpersonal relationship, I found a very friendly ambient, and I'm sure this feeling will be with me for a long time.
I just wanna thank you (again) all these persons.

And from Friday, my trip in Belgium will continue in Gent, with my old friends that live there.
So: to be continued.

The garden attached to the restaurant near the hotel where I was staying, in Vilvoorde


Looking through the window, on Friday, while I was working...

One of the best thing: the music feast, at the restaurant of the headquarter. Every year, some employees play music on stage, while the others have lunch. Amazing.

20140625

and justice for all...

Those who follow fassbinder know that here (I mean for me), the italian national football team is not very popular, and coincidentally by the other hand, is very popular, as a nation, Uruguay. 
As you all know, a few hours ago, Italy was eliminated in the first round of the Football World Cup, by Uruguay. Once again, the tactic adopted by Italy was unwatchable, pointing at maximum results with minimum effort: the draw for 0 to 0. And, for once rightly, this tactic has been punished. 
Thus, justice is done. 
But don't be fooled: although many will tell you the opposite, football IS NOT a metaphor for life.


And hey, Prandelli, don't beat around the bush: you've failed, you've resigned, bravo. Exit stage with dignity, and don't talk about your salary and taxes.

20140624

Hell is an Understatement (2)

continua da ieri

L'incidente a Boy Rabe

Il 24 marzo sono andato con il fotografo Michael Christopher Brown a Boy Rabe, una roccaforte degli anti-balaka, la milizia cristiana che è diventata il gruppo armato più temuto nella capitale. Il nome deriva dai riti d’iniziazione a cui si sottopongono i suoi giovani combattenti per diventare immuni dalle pallottole dei kalashnikov e dai machete (balaka in sango, la lingua più parlata nella Repubblica Centrafricana). Gli anti-balaka sono nati come forze di autodifesa nelle campagne e tra le comunità cristiane di Bangui, ma da quando hanno avuto la meglio sulle milizie musulmane saccheggiano le case di civili terrorizzati senza fare distinzioni di etnia o religione. Incontrare gli anti-balaka sul loro territorio significa finire in balìa di adolescenti armati fino ai denti e spesso ubriachi, perciò convinti di essere invulnerabili. Mentre ci avviciniamo in auto al quartiere di Boy Rabe, il tassista rallenta fino a procedere a passo d’uomo, spiegando che lungo la strada possono esserci dei posti di blocco nascosti. Cerchiamo indizi della presenza di anti-balaka pronti a spuntare da dietro un edificio per derubarci o ucciderci. Proseguendo, la strada diventa silenziosa e il caos dei taxi collettivi e dei motorini lascia il posto a un deserto inquietante. Incontriamo un posto di blocco. Quando scendiamo dall’auto, alcuni ragazzi ci circondano. Indossano vestiti logori e sporchi, e dei talismani – amuleti e sacchetti di pelle pieni di erbe. Le loro armi sono sporche e rovinate. Il più piccolo avrà una decina d’anni, il più grande sedici al massimo. Hanno a disposizione almeno tre Ak-47, due pistole, due spade, e una falce storta e spuntata. Devono aver spaventato il nostro autista perché, prima ancora di riuscire a mettere a fuoco la situazione, l’auto è già scomparsa in fondo alla strada. Tra di loro i ragazzini parlano in sango, ma quando tiro fuori il blocco di appunti e comincio a fare domande in un francese stentato almeno per un attimo sembrano ascoltarmi. “Siamo giornalisti”, dico. “Vogliamo conoscere la storia della gente di Boy Rabe e parlare con il vostro capo”. I ragazzini si limitano ad ammiccare, inché uno dichiara: “Non c’è nessun capo”. Queste parole ci danno un certo sollievo: se parlano, probabilmente non hanno ancora deciso di ucciderci. Ma mentre scambiamo queste poche battute, il ragazzino con in mano la falce comincia a correre avanti e indietro lungo la strada. A una ventina di metri di distanza, da dietro una recinzione sbuca un adulto. Avrà poco più di trent’anni e indossa una maglietta blu pulita. Dev’essere il capo che i ragazzini sostengono di non avere. Appena arriva si mette a gridare, e i bambini insieme a lui. Le prime parole che riusciamo a distinguere sono: “Via da qui”. Alziamo le mani per mostrare che non siamo pericolosi. Cerco di spiegargli che vorrei intervistarlo, ma lui comincia subito a sbraitare: “Niente interviste”. E di nuovo: “Via da qui”. Ci piomba addosso e spintona Michael per strappargli la macchina fotografica. Poi ci caccia urlando. Non ci mettiamo a correre e non ci voltiamo indietro, per paura che un’occhiata o una fuga precipitosa possano essere viste come un gesto aggressivo o un indizio di colpevolezza. Qualunque cosa può essere interpretata come una provocazione. La stradina di terra battuta che porta al viale principale si estende per altri duecento metri, ma sembra molto più lunga. Non c’è nessuno per strada e se l’uomo decidesse che è meglio ucciderci, nessuno vedrebbe niente. I nostri cadaveri, insolitamente pallidi, probabilmente verrebbero trovati il pomeriggio successivo in una catasta lungo l’avenue de France.  

continua venerdì 27 giugno

20140623

Hell is an Understatement (1)

Lo so che sono noioso e che paio pigro. Ma questo articolo, tradotto su Internazionale nr.1053, e originariamente pubblicato sullo statunitense The New Republic, fa venire i brividi. Ve lo propongo a piccole dosi, perché vi assicuro che avrete bisogno di un po' di tempo per digerirlo.

Qui le foto, di Michael Christopher Brown
Qui l'articolo originale, di Graeme Wood

La capitale dell'orrore

Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana, non è mai stata famosa per l’efficienza dei suoi servizi. Gli animali selvatici passano al setaccio la spazzatura, e quello che resta – noccioli di mango, pezzi di plastica, tappi arrugginiti – forma dei cumuli lungo le strade di terra battuta o finisce nelle fogne a cielo aperto. Ma dal dicembre del 2013, su un tratto desolato dell’avenue de France, la Croce rossa gestisce un eccellente servizio igienicosanitario che, su richiesta, provvede in meno di un’ora dalla chiamata a recuperare cadaveri umani, integri o fatti a pezzi. L’avenue de France marca la linea di divisione tra due quartieri. I cadaveri sono quelli di chi, per una ragione o per l’altra, si è spinto troppo nella direzione sbagliata. È una strada senza pedoni, una terra di nessuno dove le fazioni in lotta tra loro possono abbandonare i morti per non doverli seppellire e per evitare che marciscano sotto il sole. A nord di questa strada c’è il quinto arrondissement. I vecchi abitanti di questo quartiere erano quasi tutti musulmani, ma sono stati uccisi o costretti all’esilio, e ora ci abitano quasi esclusivamente dei cristiani. I pochi musulmani che non hanno lasciato Bangui vivono nel terzo arrondissement, appena a sud dell’avenue de France. Lì, essere cristiani è una condanna a morte, come lo è essere musulmani poco più a nord, a sud, a est o a ovest. I musulmani formano il 15 per cento della popolazione centrafricana. Per gran parte dei 54 anni di storia del paese la minoranza islamica e la maggioranza cristiana hanno convissuto in relativa armonia. Ma dal marzo del 2013 la repubblica si è disintegrata, prima in uno spasmo di violenza politica e ora in un’orgia di massacri a sfondo settario e religioso. Non esistono dati precisi sul numero delle vittime, ma negli ultimi mesi i linciaggi sono diventati così frequenti da non fare più notizia. Dopo la sua visita a metà aprile diquest’anno, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha dichiarato alla BBC che per quanto riguarda la Repubblica Centrafricana parlare di “disperazione è un eufemismo”. Samantha Power, l’ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu, ha fatto tappa a Bangui all’inizio di aprile per fare pressione a favore dell’invio di caschi blu nel paese il più presto possibile (tuttavia non arriveranno prima di settembre). Power ha seguito in dall’inizio la crisi nella Repubblica Centrafricana, e probabilmente lo fa perché spera di non dover aggiungere un nuovo capitolo al suo libro del 2002 Voci dell’inferno (Dalai editore), che parla dell’inerzia degli Stati Uniti davanti ai genocidi. Basta passare un giorno nelle strade di Bangui per capire cosa preoccupi tanto Samantha Power. L’ultimo anno di combattimenti ha traumatizzato la popolazione, e ora tutti o quasi covano rancore. Bangui è diventata una città di vendette incrociate. Ci sono posti di blocco presidiati da ragazzini armati di fucile e induriti dalla guerra, dove perfino una semplice battuta, come lamentarsi per il cellulare rotto, può scatenare una raffica di mitra contro la folla. Nella settimana che ho trascorso nel paese, ho imparato a rimanere in silenzio con le mani intorno alle orecchie per individuare la direzione da cui provengono gli spari.  

continua domani

20140622

Brussels - Belgium - June 2014

A few weeks ago I was in Brussels for the first time to the headquarter of the company I work for. Of course, one thing which I was very proud. I will write this short post in English, so even the colleagues who I knew could understand.


There was not much time for sightseeing, but what I've seen I liked. No problem, there will be occasion to come back as a tourist. The important thing is that every colleague I've known, even for a few minutes, treated me well and I had ​​a good impression of them. But what is even more beautiful, even though in my opinion is one thing entirely predictable, is that from that day I have the distinct impression that I'm working even better with these colleagues, although from a distance.

Thanks to all of you, and see you soon.   Here some photos, one from the window of my hotel room, the other about the Grand Place.  





20140621

non sai cos'è l'amore



La qualità del video non è eccelsa, ma ero interessato a farvi vedere/sentire qualcosa di questa artista superba, non facile da fruire. Il pezzo è un traditional, You Don't Know What Love Is.

20140620

Cefalonia - Grecia - Giugno 2014 (2)

Al solito, "una faza una raza" secondo me è il motto più indovinato del mondo. I greci ci assomigliano un sacco, e io in qualsiasi luogo della Grecia mi trovo benissimo. Si mangia bene, si fa prontamente amicizia, e le facce sono simpatiche. A parte questo, ho fatto due chiacchiere pure con una polacca, che lavora nell'albergo dov'ero alloggiato, e pure con un'austriaca, lì in vacanza. Vabbè, ma a voi cazzo ve ne frega.









E stavolta due:


20140619

Cefalonia - Grecia - Giugno 2014 (1)

Un paio di fine settimana fa mi sono concesso un weekend lungo al mare. Cefalonia, isola greca tristemente famosa per un massacro di italiani. A parte questo, l'ultima volta che ero stato in Grecia (a Kos) non avevo visto molto, stavolta almeno ho fatto una specie di giro dell'isola in auto, prima di spaparanzarmi al sole per tre giorni di fila. L'isola mi è parsa molto bella, con una morfologia varia, belle spiagge e un po' di montagnette, che lasciano spazio a vigneti interessanti (il Robola è un bianco interessante, che ho assaggiato su suggerimento di una collega dell'ufficio di Atene). L'albergo che avevo prenotato aveva la vista oltre che sul mare, sulla pista dell'aeroporto, e devo dire che era una figata vedere e sentire arrivare e ripartire i 3, 4 aerei giornalieri.








20140618

Ungheria - Maggio 2014 (10)

Insomma, l'unica bella giornata è venuta fuori proprio il giorno che me ne devo andate. Ma del resto, le previsioni erano chiare. La "mezza giornata" (poco più di tre ore, in realtà) si rivela interessante, la "parte alta" di Budapest (Buda) è davvero bella, e ovviamente piena di turisti: la municipalità lo sa bene, e dunque ci sono molti lavori di abbellimento, ma va bene così. Panorami superbi, come avrete potuto vedere, e costruzioni altrettanto belle da vedere. Si può tranquillamente dire che Budapest è una "città monumentale".
Vabbè. Alla mezza e poco più si torna alla stazione, saluto Peter e inforco l'auto, anche se non si dice. Imposto il gps e via verso l'aeroporto: naturalmente, l'uscita dalla capitale è molto più semplice e meno ingorgata dell'entrata.
Arrivo come sempre con ampio anticipo, le operazioni di resa dell'auto sono splendidamente veloci (e, tra l'altro, il parcheggio è a 30 metri dall'ufficio, che figata), ho tutto il tempo di sedermi e mangiare qualcosa, non cambio i soldi avanzati perché vengo avvertito che Alessio ha deciso di collezionare monete e banconote straniere, passo i controlli e, visto che lo spazio dei pre-imbarchi è quasi ai livelli dei grandi hub (pisani, prendete nota), mi dedico al mio sport preferito: guardare la fauna aeroportuale per passare il tempo. Questa foto la scatto per immortalare un Costa Coffee in ricordo dell'appuntamento dello scorso mese all'aeroporto di Dubai.
Il volo è di quelli che preferisco: giornata molto bella e quindi mi vedo tutto il Balaton dall'alto. Poco prima dell'atterraggio, consueta foto di Livorno dall'alto.

E per questo mese è tutto. Alla prossima.

20140616

Ungheria - Maggio 2014 (8)

Siamo passati brevemente sull'altra sponda del Danubio, ed ecco quindi un paio di "viste" del Ponte della Libertà (la seconda foto include l'Università Corvinus).
Prima di passare il Danubio, ho chiesto a Peter di andare a mangiare qualcosa, e lui mi ha portato in un posto dove si mangiano praticamente esclusivamente piatti ungheresi. Non ricordo assolutamente come si chiamano, ma, scusate se è la seconda similitudine che faccio, mi ha ricordato molto una di quelle mense polacche dove mi ha portato qualche volta Massi a Varsavia. Sono luoghi che, suppongo, una volta si mangiava con poco, e adesso sono ancora economici ma son diventati un po' trendy. Peter mi assicura che i piatti non sono granché, nel senso che sarebbero buoni ma cucinati a casa. Per consolarci, attraversiamo la strada e ci sediamo dentro ad un caffè che ricorda molto quelli di Parigi, per un caffè e un pezzo di dolce (dolcissimo, tra l'altro). Per attraversare il Danubio prendiamo la linea 2 della metro, l'unica che attraversa il fiume, moderna e che scende moltissimo in profondità (ovviamente, per scendere sotto il bel Danubio): vi assicuro che scendere (o salire) le scale mobili di questa linea dà la netta impressione di andare in perpendicolare e non in diagonale. L'ultima foto di oggi è per il Mercato Centrale, altro esempio di architettura liberty.

Terminiamo il giro, per oggi, alla stazione dove ci siamo incontrati, dandoci l'appuntamento per il giorno seguente. Peter mi dà delle indicazioni importanti: l'indomani essendo lunedì il traffico sarà intenso in entrata verso il centro, quindi dovrò partire con un po' di anticipo, e il parcheggio non sarà libero, per cui mi indica un parcheggio vicinissimo dove posso lasciare l'auto per 3/4 ore pagando una cifra giusta. Ci salutiamo, io torno verso l'albergo e mi accorgo di essere stanchino per quanto abbiamo camminato; non ho neppure la forza di uscire a cena, e mi mangio quel che mi è avanzato dalla colazione, mentre su una delle tv ungheresi danno nientemeno che Barcelona-Atletico Madrid, ultima di Liga, decisiva per la vittoria.
Il mattino seguente decido di non fare colazione, perché spero di arrivare con un congruo anticipo, e voglio fare colazione al McDonald's della stazione dove ci ritroveremo, la Nyugati, bellissimo edificio. Peter mi ha suggerito che potrebbe essere il McDonald's più bello in giro. Metto lo zaino in auto e via, e dopo pochi metri capisco il dramma di chi, nelle grandi città, va a lavoro in auto. Ho perfino il tempo di scattare una foto ad una stazione della metro.
Arrivo dopo 45 minuti circa: la mattina precedente per lo stesso tragitto avevo impiegato 15 minuti. Parcheggio e pago, ma scopro che al massimo si può sostare tre ore. Ho comunque il tempo per un cappuccino e un muffin al Mc. Quando arriva Peter mi tranquillizza, e mi dice che evidentemente il parcheggio che intendeva lui era un altro, ma non ci sono problemi: allo scadere, manda un sms al sistema dei parcheggi comunali, e sistema tutto, allungando la sosta di un'ora. Prendiamo l'autobus e ci dirigiamo verso Buda, ed il Palazzo Reale, attraversando il famoso Ponte delle Catene. A domani per la documentazione fotografica.

20140615

Ungheria - Maggio 2014 (7)

L'ultima foto del post precedente, scattata giusto all'inizio del Parco Vàrosliget, mostra, oltre ad uno specchio d'acqua di cui vi parlerò tra poco, uno scorcio del Castello Vajdahunyad, altra costruzione quantomeno curiosa: costruito agli inizi del '900 in cartone (e legno) come copia di un castello in Transilvania (gli ungheresi hanno "nostalgia" del loro vecchio "impero" austro-ungarico), divenne così famoso che fu rifatto in muratura. Lo specchio d'acqua è artificiale, ed è però costruito con tubazioni sottomarine che in inverno ghiacciano la superficie intera, rendendola la pista di pattinaggio probabilmente più grande del mondo.
Peter è davvero una piacevole compagnia, oltre che un'ottima guida. Mi racconta storia ungherese, curiosità, aneddoti, e risponde pure a mie domande sull'attualità. Visitiamo le Terme Széchenyi, poi prendiamo la metro (la più antica dell'Europa continentale), la linea 1, proprio quella originale, in stile liberty, restaurata da qualche anno, davvero bella da vedere, e torniamo verso il centro di Pest, dove ci soffermiamo davanti all'Opera.
 Si continua per il centro, tra una pioggerella e l'altra. La Basilica di Santo Stefano (personaggio considerato padre della Patria).

Un paio di scorci liberty, uno stile molto presente in Pest.

La piazza dell'enorme e imponente Parlamento; i due palazzi che vedete nelle prossime due foto sono stati realizzati comunque (nella stessa piazza) anche se si classificarono secondo e terzo nel "concorso" che fu lanciato per il progetto.

Nella stessa piazza, la statua di Ràkòczi, considerato un altro padre della Patria.
Terminiamo con una bella vista del Parlamento dalla parte opposta del Danubio.