No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20090110

the answer is blowin' in the wind 9


L'ottava parte è stata pubblicata ieri



Finora nessuno ha formulato un’ipotesi seria sui costi economici del passaggio a 2.000 watt. Gli studiosi tendono piuttosto a calcolare quanto costerebbe stabilizzare i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera a una certa concentrazione: diciamo 550 parti per milione, che è il doppio dei livelli preindustriali, o 450, che secondo molti scienziati è il livello più alto consigliabile. Forse lo studio economico più citato è il rapporto Stern, che è stato commissionato dal governo britannico e prende nome dal suo coordinatore, Nicholas Stern, un ex capo economista della Banca mondiale. La conclusione del rapporto, pubblicato nell’ottobre del 2006, è che i livelli di gas serra potrebbero essere stabilizzati a meno del doppio delle concentrazioni preindustriali con una spesa
annuale pari all’1 per cento del prodotto interno lordo globale (il rapporto non tiene conto solo dell’anidride carbonica, ma anche di altri gas serra, come il metano e il protossido d’azoto).
Un’analisi pubblicata l’anno scorso dalla Vattenfall, una società di servizi svedese, con la consulenza dell’americana McKinsey & Company, è arrivata a conclusioni simili. Gli autori hanno appurato che molti metodi per ridurre le emissioni di carbonio, come migliorare l’isolamento delle costruzioni, porterebbero a un risparmio, mentre altri, come installare turbine a vento, avrebbero un costo. Secondo il rapporto della Vattenfall, “se si sfruttassero tutte le possibilità
a basso costo”, i livelli di CO2 potrebbero essere stabilizzati a 450 parti per milione con una spesa annua dello 0,6 per cento del prodotto interno lordo globale. Anche se è una bella cifra, in fondo l’1 per cento del pil mondiale è una spesa ragionevole. È circa un nono di quello che attualmente viene stanziato per l’assistenza sanitaria, un settimo di quello che spendiamo per il petrolio e metà di quello che investiamo nella difesa. Soprattutto, è molto meno di quanto ci costa non fare nulla. Il rapporto Stern prevede che, se l’attuale livello di emissioni non verrà ridotto, alla fine i danni prodotti dal cambiamento climatico “equivarranno a una perdita del 5 per cento del pil globale ogni anno, da oggi e per sempre”. E che “se si tiene conto di tutti i possibili rischi, si potrebbe arrivare al 20 per cento”.


Agire subito

Vent’anni fa, il principale esperto di climatologia della Nasa, James Hansen, avvertì Washington dei pericoli del riscaldamento globale. All’inizio di luglio Hansen è tornato al congresso americano
per ripetere lo stesso avvertimento. “Oggi, come allora, l’analisi dei dati scientifici porta a conclusioni che sconvolgono i politici”, ha detto. “Oggi, come allora, posso affermare che queste conclusioni sono certe al 99 per cento. La differenza è che oggi non abbiamo più molto tempo”.
Hansen ha aggiunto che l’unico modo per evitare un cambiamento climatico “disastroso” è che il presidente e il congresso facciano subito qualcosa per ridurre le emissioni. Forse negli Stati Uniti non ci sono regioni ventose come Samsø o ben organizzate come la Svizzera, ma quasi ovunque è possibile produrre energia in modo più creativo e usarla con più intelligenza. Capire come è possibile farlo richiederà un grande sforzo. Potremmo anche decidere di non farlo. Ma se continueremo a rimandare, prima o poi i danni diventeranno irreversibili.

© 2008 by Elizabeth Kolbert. Published by arrangement with Agenzia Letteraria Roberto
Santachiara.


L'autrice

ELIZABETH KOLBERT (foto) è una giornalista del New Yorker. In Italia ha pubblicato Cronache da una catastrofe (Nuovi Mondi media 2006).


continua domani

Nessun commento: