Che - L'argentino - di Steven Soderbergh 2009
Giudizio sintetico: kolossal moderno (quindi, con difetti, ma da vedere)
Ernesto Guevara de la Serna conosce Fidel e Raul Castro nel 1955 a Città del Messico. Il Che, così chiamato a causa delle sue origini (in Argentina che è un intercalare usato normalmente per chiamare chiunque in maniera confidenziale), decide di partecipare al tentativo di rivoluzione socialista che Fidel e il Movimiento 26 de Julio ha intenzione di mettere in atto, tornando a Cuba in nave, la Granma, e tentando di conquistare militarmente l'isola partendo da sud, per rovesciare la dittatura del Generale Fulgencio Batista, instaurata nel 1952 sull'isola caraibica. Il Che è laureato in medicina, quindi un dottore, si rivela molto più di questo, durante la conquista dell'isola.
La prima parte di questo imponente e, forse, folle progetto, si basa sul libro autobiografico di Guevara stesso Pasajes de la guerra revolucionaria, e alterna la trama che ho riassunto sopra con altri episodi del dicembre 1964, quando Guevara si recò a New York come capo della delegazione cubana all'ONU per tenere un discorso davanti all'assemblea generale, oltre ad incontrare politici, personalità varie, partecipare a trasmissioni tv; in particolare vengono usati alcuni suoi dialoghi con la giornalista Lisa Howard (una rediviva Julia Ormond in versione platinata).
Una splendida fotografia a colori per il racconto che va dal 1955 al 1958, che valorizza soprattutto le parti cubane di guerriglia nella giungla, contrapposta all'asciutto bianco e nero del segmento "newyorkese" del 1964, la storia, cruenta ma affascinante, della rivoluzione cubana, la contrapposizione tra due figure carismatiche quali Castro e Guevara, l'ascesa a mito dell'idealista argentino, fanno di questo film, anche se naturalmente ridondante (chissà quanti tagli, comunque: alla fine siamo a poco più di due ore), una interessante lezione di storia (appunto) di una parte del secolo scorso.
Ottima la direzione degli attori, che forniscono una grande prova. Ovviamente tutti noteranno l'immenso protagonista Benicio del Toro, che ha prodotto, insieme a Laura Bickford, e fortissimamente voluto questo film, e che per la seconda volta recita in castigliano per Soderbergh (la prima, con
Traffic, gli fruttò l'Oscar come miglior attore non protagonista), se vogliamo cercare il pelo nell'uovo non convince pienamente nel suo accento argentino: per tutto il resto, ci inchiniamo a questo attore che infonde nel personaggio una dolcezza inaspettata, e riesce al tempo stesso a renderlo credibile quando, diciamo così, "il gioco si fa duro". Inutile fare l'elenco del resto del cast, che racchiude un bel manipolo di attori soprattutto latino-americani giovani (e non) e promettenti, che chi ama il cinema internazionale, non solo statunitense, riconoscerà senz'altro. Impressionanti, a mio giudizio personale, i due attori che interpretano i fratelli Castro. Il messicano Demiàn Bichir, che tanto ci ha affascinato nei panni del sindaco di Tijuana nella serie
Weeds, è impressionante nella sua somiglianza con il
lìder màximo anche fisica. La palma del migliore, almeno in questa prima parte, va però al fantastico Rodrigo Santoro, brasiliano di Petròpolis, nei panni di Raùl Castro, visto nell'argentino
Leonera (da noi recensito pochi giorni fa, casualmente: era Ramiro), che oltre ad essere davvero bravo nel minutaggio a lui riservato, non eccessivo, sfodera un più che convincente accento cubano. Un vero peccato che queste cose vengano perse nel doppiaggio.
Si sa che per la regia, prima di Soderbergh, si era pensato a Terrence Malick. Nonostante tutto il rispetto per questo grande maestro, credo che il "ragazzo" di Atlanta abbia fatto un buon lavoro, adattandosi all'esigenza. Lascia da parte sperimentazione e spavalderia, che pure gli sono sempre riuscite bene, per disegnare questo grande affresco che, forse proprio perchè basato su una sorta di autobiografia del Che, non ne fa un santino, ma racconta una storia (e che storia), seppur leggendaria.
Attendiamo la seconda parte, ma la prima è sicuramente sufficiente.