No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20150731

Soumission

Sottomissione - di Michel Houellebecq (2015)

Francia, 2022. François Hollande è alla fine del suo secondo mandato, e la situazione politica è poco diversa da quella di oggi, se non fosse per la presenza, sempre più robusta e sempre più apprezzata, del partito della Fratellanza Musulmana, guidato da Mohammed Ben Abbes, musulmano di seconda generazione, politico al tempo stesso fermo e intelligente, pragmatico e determinato. Mentre François, quarantaquattrenne professore nichilista di lettere moderne all'Università della Sorbona, massimo esperto di Huysmans, intellettuale conscio della vuotezza della propria vita, vive la presa di coscienza di dover ormai solo attendere la morte senza bellezza, interesse, curiosità da soddisfare, vanno in scena le elezioni. Al primo turno, prevedibilmente, passa il Fronte Nazionale di Marie Le Pen, in vantaggio su tutti, e, stavolta in maniera meno prevedibile, i Fratelli Musulmani. L'intellighentia di sinistra francese, terrorizzata dalla possibilità della Le Pen al potere, si coalizza in un sostegno impensabile ed assurdo fino a pochi giorni prima, verso i Fratelli Musulmani. E, tra l'incredulità generale e l'apatia di François, accade l'impensabile, e la Francia cambia, sorprendentemente in maniera soffice, quasi dolce, verso una sorta di sharia mitigata ed europeizzata, mentre tutto intorno, anche negli altri paesi Europei, accade qualcosa di molto simile. In un Vecchio Continente preoccupato per la propria sicurezza, dopo il fallimento di destra e sinistra, sembra quasi che l'islam sia l'unica certezza, anche per chi con l'islam non ha mai avuto niente a che spartire. E François?


Certo, per dire che uno scrittore sia geniale, bisognerebbe essere esperti veri di letteratura, aver letto molto, moltissimo, contemporanei e grandi classici, capirne per davvero. Eppure, sempre più leggendo Houellebecq, mi convinco che a volte, non è necessario: basta vivere il presente e, se tale scrittore riesce sempre, costantemente, ripetutamente, a farti riflettere sulla tua esistenza, se è capace di lanciarti ogni volta nuove sfide, se tutte le volte che giri le pagine dei suoi libri vorresti complimentarti con lui per la lucidità con la quale riesce a leggere i movimenti storico-sociali dell'attualità, del genio ci dev'essere. Se addirittura ritrovi nel suo ultimo libro una roba che avevi scritto e pensato pure tu, per essere provocatorio con quei tuoi dieci lettori, beh, allora si che è il massimo (sto parlando dell'allargamento dell'Unione Europea ai paesi del Nord Africa, da me ripreso un paio di volte, e che Houellebecq suggerisce in un paio o più occasioni dipingendo lo scenario del 2022 europeo in questo suo ultimo lavoro).
E niente. Il francese dall'aria sempre più sfatta, dal ghigno di uno al quale non frega veramente un cazzo di niente e nessuno, fa centro ancora una volta, con questo sublime Sottomissione, un libro semplicissimo, diretto, decadente come suo solito, un libro nel quale il protagonista assomiglia tantissimo all'immagine che ci siamo fatti dello scrittore stesso, e che lo stesso scrittore non si stanca di riproporre spesso, con giusto quelle piccole sfumature modificate ogni tanto, ma che risulta sempre necessario Caronte per traghettare il lettore in una realtà distopica, ma chissà, non così lontana da quello che potrebbe accadere.
Allah è grande. Ma pure Houellebecq non è piccolo. 

20150730

Belgrado, Serbia - Aprile 2015 (1)

Venerdì 3 aprile
Era da un po' che ci pensavo, e mi sono deciso a farlo proprio nel fine settimana pasquale di questo 2015: fine settimana a Belgrado, capitale della attuale Serbia, ex capitale della Jugoslavia di Tito. Il volo è Alitalia in cooperazione con Air Serbia, Pisa/Roma/Belgrado, e si arriva verso metà pomeriggio all'aeroporto, naturalmente intitolato a Nikola Tesla. Buffo pensare che Tesla, morto naturalizzato statunitense, è nato nell'attuale Croazia. Per tre soli giorni/notti, me la sono presa molto signorilmente: all'aeroporto c'è ad attendermi un dipendente dell'hotel dove ho prenotato il soggiorno, il secondo me fighissimo Square Nine, scelto soprattutto perché dotato di una piscina lunga 18 metri e praticabile per il nuoto. Il tipo che funge da autista è un ragazzo giovane che risponde al nome di Rados, ed è professionale fin da subito, durante il tragitto per l'hotel cerco di fargli capire che non sono il tipo che pretende quel tipo di distacco, e quindi il tempo si rivela piacevole, la conversazione pure. Vedo scorrere Belgrado dai finestrini di un minivan nero tutto per me, e la cosa mi fa capire che, bene o male, faccio parte di una fascia sociale abbastanza privilegiata. Dovrei sentirmi in colpa per questo, ma cerco di non farlo. Sto divagando. La parte "esterna" rispetto alla città vecchia è moderna ma tutto sommato anonima, pianeggiante e dettata da larghi viali come da un traffico abbastanza sostenuto, ma non caotico (ripenso a quello di Lima e mi viene da sorridere). Rados mi dice che secondo lui a Belgrado ci sono le ragazze più belle del mondo, gli rispondo che tra tre giorni gli restituirò un giudizio ben volentieri. Arriviamo all'hotel, mi installo e vista l'ora, sfrutto immediatamente la piscina, dopo di che apro il computer, diligentemente mi aggiorno con le email di lavoro, e infine ceno in uno dei due ristoranti dell'hotel, dove mi serve (tra gli altri) un capo cameriere che mastica un discreto italiano. Mi ritiro nella mia bella stanza, un misto di legno e high tec, ripasso il programma per domani, mi guardo qualche episodio di qualche serie, e dormo senza sensi di colpa.
Sabato 4 aprile
Le previsioni ci azzeccano, e la giornata è molto bella. Ma fa freddo fuori, di buon'ora. La colazione dell'hotel è a cinque stelle, naturalmente. Una volta fuori, la prima tappa è obbligata, e vicinissima: Kalemegdan, il parco e la cittadella.

20150729

Wireless Phone

Il telefono senza fili - di Marco Malvaldi (2014)

Estate a Pineta. Il BarLume è sempre lì, con Massimo e Tiziana al banco, divisi anche tra la nuova attività del ristorantino Bocacito, gestito da Massimo e da Aldo. E, visto che si parla di Aldo, ci sono sempre i "fantastici quattro", lui, il Rimediotti Gino, il Del Tacca Pilade, e Ampelio il Viviani, nonno di Massimo, tanto per chiudere il cerchio. In paese c'è anche la nuova commissaria, Alice Martelli, donna interessante e dotata, che a Massimo piace senza che lui riesca ad ammetterlo; la commissaria sviluppa una certa complicità con i quattro vecchietti, non appena cominciano in giro i sospetti sulla scomparsa di Vanessa Benedetti, piovuta lì a Pineta dall'Umbria insieme al marito Gianfranco, insieme proprietari dell'insensato agriturismo sulle rive del Danubio, un classico fosso della piana pisana, maleodorante e insano. La scomparsa porterà il "caso" da tutt'altre parti, e la strana collaborazione tra la commissaria e i quattro del BarLume porterà a risultati sorprendenti.


Come un figliolo dispettoso, comincio dalla fine. O meglio, dall'ultima parte, per ora. Non ve lo ricorderete, ma il Bartelloni (che detto così sembrerebbe il quinto vecchietto pisano del BarLume), lettore aficionado del blog, mi caldeggiò la lettura del Malvaldi per "I delitti del BarLume" (La briscola in cinque, Il gioco delle tre carte, Il re dei giochi, La carta più alta), "serie" di libri fortunatissima (e agile alla lettura), tanto che è riuscita ad ispirare una serie televisiva prodotta da Sky (e nella quale recita un conoscente, ma questa è un'altra storia). Io prima ho letto due libri che esulano dalla serie, e poi, per puro caso, mi son ritrovato a leggere il quinto senza aver mai aperto i primi quatto (e senza aver mai visto la serie tv). Siccome sono un ragazzino abbastanza intuitivo, ho cercato di inquadrare la situazione cercando di rimediare all'handicap, e chissà che non ci sia riuscito. Fatto sta che non posso giudicare come si situa questo libro all'interno del "BarLume", ma di sicuro posso continuare a dirvi che Marco Malvaldi è uno scrittore da tenere d'occhio. Punto primo perché con questa serializzazione di una parte dei suoi scritti ha fatto centro sicuramente, e la cosa gli permetterà, in futuro, di fidelizzare un sacco di gente, far crescere i personaggi, insomma di fare quello che oggi fanno le serie tv. Punto secondo, è bravo a raccontare la realtà della provincia toscana e ad "universalizzarla", facendola divenire specchio della realtà italiana media, facendo ridere, facendo riflettere qua e là, e riuscendo a "montare" trame intriganti mentre al tempo stesso intreccia le storie dei suoi personaggi.
Un applauso, alla prossima, e la promessa (soprattutto al Bartelloni) che prima o poi li leggerò tutti.

20150728

Creta, Grecia - Marzo 2015 (9)

L'impostazione che ho dato ai miei viaggi corti e solitari, l'avrete forse già capita. Visto che non sono più uno a cui interessa la movida, fare tardi la sera, e che sono ormai uno abituato a svegliarsi presto, anche se non devo farlo per recarmi a lavoro, mi sveglio dunque presto, raggruppo le cose che voglio fare nella mattina e nel primo pomeriggio, e lascio la seconda parte del pomeriggio all'ozio e al riposo. Ecco, la giornata del 24 marzo è una piccola dimostrazione che non sempre questa è una scelta che paga. Da Nea Alikarnassos alle rovine di Cnosso ci vogliono 15 minuti ad andare piano, e in Grecia non è che alle 6 di mattina sono tutti al pezzo. Per farvela breve, sono il primo avventore del sito archeologico, e siccome mi hanno consigliato di prendermi una guida, prendersi una guida quando sei da solo può costare fino a 100 euro. Me la cavo con 70, e alla fine sono lì a domandarmi se ne valeva veramente la pena. Il tipo ce la mette tutta per guadagnarsi la pagnotta (e che pagnotta), ed il sito è indubbiamente interessante e discretamente mantenuto. Ricostruito e restaurato in parte, merita la visita, come avrete senz'altro potuto evincere dalle foto pubblicate nel post precedente.
Terminata la visita a Cnosso, decido di seguire il suggerimento di Sofia, e mi dirigo verso Myrtia, un piccolo, tranquillo, grazioso villaggio lì vicino, passando tra dolci colline su strade strette e deserte. E' lì che si trova il museo dedicato a Nikos Kazantzakis. Il museo è una struttura moderna, costruita nel luogo dove lo scenografo Giorgios Anemoyannis, originario anche lui di Myrtia, possedeva una vecchia casa; è lui che nel 1983 ha deciso di omaggiare il grande cretese. Kazantzakis, che come detto non conoscevo per niente fino alla mia visita a Creta, è stato uno dei più grandi scrittori e poeti europei del secolo scorso, ma fu anche giornalista, filosofo e politico, seppur particolare. Un animo sensibile, affascinato dal socialismo, viaggiatore intrigato dalle culture diverse, dubbioso sulle religioni: fu scomunicato sia dalla chiesa ortodossa che da quella cattolica, scrisse su Gesù, San Francesco, nato nel 1883 e morto nel 1957 in Germania. Il museo è intrigante, racconta della vita e dei pensieri di quest'uomo notevole, conserva oggetti personali, prime stesure, libri, video ed estratti dei film tratti dai suoi libri, lettere, e pur nella sua piccola estensione, risulta molto curato ed aiuta senza dubbio a farsi un'idea del personaggio. Mi intriga, mi affascina, ne godo. 

Termino la visita facendo i complimenti all'ingresso, mi reco nella caffetteria adiacente con annesso negozio di souvenir, mangio qualcosa mentre nella piazzetta di fronte una scolaresca ha appena terminato la propria visita. Mi rimetto in auto, torno con poca fatica in albergo, mi riposo. Scendo nel tardo pomeriggio per stampare la carta d'imbarco per il giorno seguente e trovo Sofia, mi assiste nella stampa e subito dopo intavoliamo una discussione di un'ora circa, che parte dalle mie impressioni sul museo, e termina chissà dove. Esco per cena e torno nello stesso locale da lei consigliatomi il giorno precedente. Rientro, chiacchieriamo ancora un po'.
Mercoledì 25 marzo
Mi alzo sempre troppo presto, colazione, saluti. Esco e pioviggina. Mi dirigo verso l'aeroporto dove arrivo che l'ufficio dell'AVIS non ha ancora aperto i battenti. Parcheggio l'auto, e aspetto, consegno i documenti, attendo il volo.
All'aeroporto di Atene pranzo in un locale di ispirazione italiana, dove si mangia benissimo: faccio il pollice su al cuoco prima di andare. 
Arrivo a Fiumicino, solita chiamata al parcheggio, navetta, ritiro auto, e via verso casa. Domattina a lavoro, ma tra neppure due settimane sarà Belgrado.

20150727

Wanna Partner?

The Good Wife - di Robert e Michelle King - Stagione 6 (22 episodi; CBS) - 2014/2015

Cary viene accusato di aver favorito un traffico di eroina per 1.3 milioni di dollari, e incarcerato. Alla Florrick/Agos comincia una lotta per racimolare i soldi della cauzione, elevatissima. Kalinda indaga per suo conto sul caso, e riannoda la relazione con un suo vecchio contatto. L'offerta fatta a Diane per unirsi alla Florrick/Agos è subordinata ad avere un voto paritario nei confronti di Alicia e Cary. Louis Canning a David Lee si insospettiscono, alla notizia da parte di Diane di andare in pensione. Un cliente di Alicia, probabilmente uno spacciatore, paga la cauzione per Cary, cauzione che lo studio stava faticando a mettere insieme. Eli, conto la volontà di Alicia e di Peter, conduce dei sondaggi su una potenziale candidatura di Alicia come State Attorney, e scopre che la donna ha buone possibilità di vincere, ma fatica un po' ad ottenere l'approvazione di Peter.


Dite e pensate cosa volete, ma The Good Wife continua ad essere un piccolo capolavoro della televisione. Una serie che con passo felpato, attraversa e sviscera la società statunitense, sicuramente da un punto di vista decisamente WASP e middle-class, ma senza dubbio molto interessante ed onesto. Come sempre, note di merito per essere sempre sul pezzo (l'attualità, per uno distratto, viene introdotta negli episodi con una naturalezza estrema, dalla Siria ai bitcoin, cosa già sottolineata nei commenti alle stagioni precedenti). Certo, la sesta stagione si concentra soprattutto sulla politica, vista la candidatura di Alicia alla poltrona che fu del marito, con il quale conserva una curiosa partnership, e mette in scena un curioso dualismo tra due candidati che si stimano a vicenda: un mondo ideale, un po' come quelli che spesso descrive Aaron Sorkin.
Julianna Margulies è la solita mattatrice dal basso profilo, spalleggiata dai sempre ottimi Matt Czuchry (Cary), Archie Panjabi (Kalinda) e Christine Baranski (Diane), e con l'assunzione nel main cast di Matthew Good (Finn Polmar), nei panni di una figura che rappresenta una sorta di "sogno proibito" per Alicia, una di quelle classiche (ancora) storie/non storie alla Sorkin.
La serie è come sempre costellata da grandi apparizioni di recurring roles d'eccezione: Chris Noth (Peter Florrick), Michael J. Fox (Louis Canning, che probabilmente, riferimento al titolo del post e dell'ultimo episodio della stagione, la prossima stagione entrerà nel main cast), Oliver Platt (R.D.), Gary Cole (Kurt McVeigh), Ed Asner (Guy Redmayne), JD Williams (Dexter Roja), Tim Guinee (Andrew Wiley). Pochi ma spettacolari i duetti tra Carrie Preston (Elsbeth Tascioni, uno dei ruoli marginali più scoppiettanti della serie) e Kyle MacLachlan (Josh Perotti).
Insomma, il 4 ottobre 2015 pronti per il primo episodio della settima stagione, che probabilmente sarà l'ultima.

20150726

Abisso

Abyss - Chelsea Wolfe (2015)

Ufficialmente, Abyss è il quinto album di Chelsea Wolfe. E questo genere, indefinito se non dal fatto di essere fatto da donne, mi pare definitivamente essere l'ultima frontiera musicale. Ci metto dentro Zola Jesus, Lykke Li, EMA, Fever Ray (e mi scuso se me ne sono dimenticato qualcuna, sarete voi ad aggiungerle, a vostro piacimento), gradazioni diverse del dolore, della difficoltà dell'essere donna oggi, tutte in un certo qual modo debitrici verso PJ Harvey e sicuramente verso molte altri riferimenti femminili più "antichi". Ma non solo, naturalmente. Tutto ciò che, in musica, si rivela essere in qualche modo nuovo, ha un debito di riconoscenza verso molte cose del passato. Vabè, ma questo lo sapete già senza bisogno che ve lo scriva. Ancora una volta, il titolo è piuttosto esplicativo: abisso. Il mood è quindi quello: paura, dolore, lamento, sofferenza, amori difficili, devastanti, disperati, anche senza comprendere i testi sappiamo già che siamo da quelle parti. Strutture tutto sommato semplici, del resto viene dal folk (suo padre era in una country band), ma chitarre usate come droni, distorsioni profonde, che riempiono l'atmosfera del pezzo da subito o pian piano (Maw, After the Fall), oppure sghembe canzoni (appunto) folk come Crazy Love o Simple Death, ma con tocchi elettronici che le rendono uniche. Voce spesso filtrata (stavolta mi è venuto il sospetto che abbia la lisca, o la zeppola, come la chiamate voi nell'altro resto d'Italia), usata in modo spettacolare, lirico, a volte addirittura virtuosistico. Canzoni superbe, scritte divinamente, che arrivano, dritte dove sapete voi, che fendono l'aria prima e la carne poi, trovate improvvise che lasciano il segno (la viola, credo, in Grey Days e in Crazy Love, gli inserti quasi disco su After the Fall). Probabilmente non c'è bisogno che provi a convincervi scrivendone: prendete questo dischetto, cominciate l'ascolto con il primo pezzo Carrion Flowers, ed è probabile che ne rimaniate immediatamente folgorati. Inutile che stia a descrivervi oltre della devastante Iron Moon ("My heart is a tomb/My heart is an empty room/I've given it away/I never want to see it again"), della trascinante Color of Blood, della meravigliosa Simple Death: il dolore è bellezza, e lo sapete voi quanto lo so io.




As I wrote about the previous album of Chelsea Wolfe Pain Is Beauty, that title was a manifesto. And it still is, the pain is still an ongoing beauty, also here, on Abyss. These marvellous, painful, nihilistic songs, are so, so beautiful. Maybe, one day we'll get tired about it. But not today.

20150723

Where's the Black Lady?

Scandal - di Shonda Rhimes - Stagione 4 (22 episodi; ABC) - 2014/2015

Sono passati due mesi dalla rielezione del Presidente Grant. Olivia si è ritirata, e sta vivendo insieme a Jake Ballard, sotto il nome di Julia Baker, su un'isola al largo della costa di Zanzibar. Un bel giorno, insieme ad un rifornimento di vino, arriva anche un ritaglio di giornale: Harrison, uno dei gladiatori, è stato ucciso.

Olivia decide che deve tornare a Washington DC per un paio di giorni per pianificare il funerale; Jake, contrario, è comunque con lei. L'ufficio della Olivia Pope & Associates è vuoto, ad eccezione di Quinn, la mittente del ritaglio di giornale. I gladiatori si sono dispersi. Huck, sotto il nome di Randy, lavora come commesso in un negozio di elettronica, e si rifiuta di parlare con Quinn e Olivia. Abby sta lavorando per l'amministrazione Grant, proprio alla Casa Bianca, come Capo Ufficio Stampa. Quando Olivia incontra Abby, lo scontro si fa furioso: Abby accusa Olivia di essere colpevole per la morte di Harrison, Olivia accusa Abby di aver abbandonato gli altri gladiatori per la Casa Bianca.
A livello politico, la morte del figlio Jerry, porta Fitz a licenziare una buona parte del suo staff, e a spingere per far passare il cosiddetto Paycheck Fairness Act (uguaglianza negli stipendi tra uomo e donna, sostanzialmente), e la cosa fa infuriare il nuovo capo del Comitato Nazionale Repubblicano, insieme alla base del partito, Elizabeth North (curiosamente, una donna). Elizabeth si lamenta furiosamente con Cyrus, mettendo sul piatto l'insoddisfazione della base anche per la scelta di un democratico come Procuratore Generale (David Rosen), e per il comportamento depresso e schizofrenico di Mellie in seguito alla morte di Jerry, tutte cose che portano i Repubblicani ad essere sfiduciati.
Jake fa visita a David, per sapere come sta andando la raccolta di prove e l'indagine per abbattere il B613. David sta avendo dei ripensamenti.
Olivia viene richiesta per assistere una senatrice, che sembra sia stata vittima di un tentato stupro da parte di un altro senatore. Olivia ci mette poco a capire che in gioco c'è la possibilità di contrastare il Paycheck Fairness Act.
Al funerale di Harrison, Olivia e Jake si accorgono della presenza, in lontananza, di Rowan, il padre di Olivia. Alla Casa Bianca, Fitz informa Mellie che Olivia è di nuovo in città; Fitz promette che non vuole più esserle infedele, ma Mellie gli fa promettere solamente che, se l'affair dovesse riprendere, vuole essere informata.

Beh, anche solo dal tentativo di riassumere la trama del primo dei 22 episodi della quarta stagione, ognuno di voi può capire che la sceneggiatura non è sicuramente il problema di Scandal. In effetti, questa serie non ha problemi evidenti (lo so, non è significativo a proposito della qualità, ma gli ascolti lo dimostrano), è rimasta accattivante, a dispetto di una figura di POTUS insignificante, recitata da un pesce lesso (Tony Goldwyn), e pure a dispetto del parrucchino inguardabile di Jeff Perry (Cyrus Beene). Posso tentare di indovinare il perché, e lo faccio per voi, visto che per me non serve, io vado a sensazione (in questo caso non è inerzia): la Rhimes è brava a scrivere trame intricate, ad inventarsi cambi di ritmo, colpi di scena, a far cambiare pelle ad una serie senza snaturarla completamente (e quest'ultima dote ce l'hanno in pochi, attualmente). Rimango tuttavia convinto che qualche errore di casting sia stato fatto e si continui a fare, ma finché c'è una protagonista magnetica come Kerry Washington (Olivia), ed un contraltare "teatrale" come Joe Morton (Rowan Pope, il padre di Olivia; non so se ve ne siete accorti, ma uno dei suoi soliloqui sulla democrazia, tratto da Scandal, è stato usato da Paolo Benvegnù nel suo ultimo disco), oltre naturalmente alla sceneggiatura guidata dalla Rhimes, Scandal rimarrà ad alti livelli, e sarà un piacere vederla. Ovviamente, ogni tanto regalateci un po' di Khandi Alexander (Maya Lewis, la madre di Olivia), che fa sempre bene.
Il debutto della quinta stagione è già schedulato per il 24 settembre.

20150722

Grexit o della giacca di Tsipras

La versione di Yanis Varoufakis
Harry Lambert, New Statesman, Regno Unito

L’eurogruppo è controllato dalla Germania e la Grecia è stata incastrata, spiega l’ex ministro delle finanze greco nella prima intervista dopo le dimissioni

La Grecia ha raggiunto finalmente un’intesa con i suoi creditori. Il patto che ha firmato è più punitivo e severo di quello a cui il suo governo aveva cercato disperatamente di resistere negli ultimi cinque mesi. L’accordo è arrivato dopo due giorni in cui la Germania ha continuato a chiedere il controllo delle finanze greche o l'uscita del paese dall'euro.
In Europa questa conclusione ha sorpreso molti osservatori, non l’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis. Dopo le sue dimissioni e prima che fosse raggiunto l’accordo gli ho chiesto se quello che sarebbe stato deciso nei giorni successivi poteva essere positivo per il suo paese. “Semmai sarà peggiore”, ha risposto. “Voglio sperare che il nostro governo insisterà sulla ristrutturazione del debito, ma non credo che il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble l’accetterà. Se lo farà, sarà un miracolo”. È un miracolo che il popolo greco dovrà aspettare ancora per molto. Quando il 10 luglio il parlamento di Atene ha approvato un programma d'austerità che gli elettori avevano respinto a maggioranza nel referendum di cinque giorni prima, l'intesa sembrava imminente.
Una parziale cancellazione del debito che il paese ha con la cosiddetta troika – Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea (Bce) e Commissione europea – era improbabile ma possibile. Ora, nonostante la capitolazione del governo, la Grecia non ha ottenuto nessuna cancellazione e potrebbe ancora essere estromessa dalla zona euro.
Varoufakis, che si è dimesso il 6 luglio, è stato criticato per non aver trovato un accordo.
Secondo lui, però, l’accordo offerto alla Grecia non era stato proposto in buona fede e in fondo la troika non voleva neanche raggiungerlo. Durante un’intervista telefonica di un’ora con New Statesman ha definito le proposte dei creditori – quelle accettate dal parlamento greco il 10 luglio, che oggi sembrano quasi generose – “totalmente impraticabili e pericolose. Il tipo di proposte che si fanno quando non si vuole raggiungere un accordo”.
E ha aggiunto: “Questo paese deve smettere di rimandare e di fingere, dobbiamo smettere di chiedere nuovi prestiti fingendo di aver risolto il problema. Al contrario, abbiamo reso il nostro debito ancora meno sostenibile con misure di austerità che penalizzano ulteriormente l’economia e spostano ancora di più il peso sui più poveri provocando una crisi umanitaria”. Secondo Varoufakis, nei cinque mesi in cui lui è stato ministro delle finanze la troika non ha mai veramente trattato. Il governo di Alexis Tsipras era stato eletto per rinegoziare un programma di austerità che negli ultimi cinque anni ha lasciato senza lavoro un quarto dei greci. Ma, secondo Varoufakis, i creditori della Grecia lo hanno preso semplicemente in giro. Quando il 25 gennaio Syriza ha vinto le elezioni, dice l’ex ministro, sarebbe stato possibile concludere un accordo a breve termine. Si sarebbero potute concordare “tre o quattro riforme” e porre delle restrizioni alla liquidità concessa dalla Bce. Invece “i creditori hanno insistito per una ‘intesa più ampia’, e questo significava che volevano parlare di tutto. E quando vuoi parlare di tutto, in realtà non vuoi parlare di niente".
Un’intesa più ampia era impossibile. “Non ci venivano incontro su nulla”. Varoufakis ha spiegato che Schäuble, l’ideatore degli accordi firmati dalla Grecia nel 2010 e nel 2012, “è stato coerente fino alla fine. La sua posizione è sempre stata: ‘Non intendo discutere il programma: è stato accettato dal precedente governo greco e non possiamo permettere che il risultato elettorale del 26 gennaio cambi le cose’. A quel punto gli ho detto: ‘Allora i paesi indebitati non dovrebbero più indire elezioni’, e lui non mi ha risposto. Forse stava pensando: ‘Sarebbe una buona idea, ma purtroppo è difficile. Quindi o firmate o siete fuori’”. Varoufakis è stato allontanato dal tavolo dei negoziati poco dopo che Syriza è andato
al governo. È rimasto ministro delle finanze, ma è stato escluso dal gruppo dei negoziatori. Non si è mai capito bene perché. In aprile ha detto “perché all’eurogruppo” – i 19 ministri delle finanze dei paesi dell’eurozona – “io cerco di parlare di economia e nessuno lo fa”. Gli ho chiesto che cosa succedeva quando ne parlava. “Non è che la discussione andava male, si rifiutavano proprio di discutere questioni economiche. Punto e basta.
Tu presenti una proposta a cui hai lavorato, ti assicuri che sia coerente, e ti trovi davanti sguardi vuoti e inespressivi. È come se non avessi parlato. Quello che dici è indipendente da quello che dicono loro. Se avessi cantato l’inno nazionale finlandese, avrebbero avuto la stessa reazione”.
Ti schiacceremo lo stesso
Poco prima dell’accordo raggiunto il 13 luglio, i paesi dell’eurogruppo si sono divisi tra quelli che sembravano volere la Grexit (l’uscita della Grecia dall’euro) e quelli che cercavano un accordo. Secondo Varoufakis, però, su una cosa sono sempre stati tutti uniti: il rifiuto di rinegoziare. “C’erano persone che a porte chiuse mostravano simpatia a livello personale”. Tra queste c’era Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale. “All’interno dell’eurogruppo, però, si limitavano a dire qualche parola gentile per poi nascondersi dietro la versione ufficiale. Persone molto potenti ti guardavano negli occhi e dicevano: ‘Quello che dici è giusto, ma ti schiacceremo lo stesso’”. Varoufakis non ha fatto nomi, ma ha aggiunto che i governi che avrebbero potuto essere più comprensivi verso la Grecia erano i suoi “più strenui nemici”. “Per i paesi che hanno un grosso debito – Portogallo, Spagna, Italia e Irlanda – l’incubo peggiore era un nostro successo. Se fossimo riusciti a negoziare un accordo migliore, politicamente sarebbero finiti: avrebbero dovuto spiegare ai loro elettori perché non avevano trattato come stavamo facendo noi”.
Secondo Varoufakis, i creditori della Grecia avevano una strategia per tenere occupato il suo governo e farlo continuare a sperare in un compromesso. “Dicevano di aver bisogno di tutti i nostri dati fiscali, tutte le cifre delle imprese statali. Perciò abbiamo passato molto tempo a fornirglieli, a rispondere a questionari e a fare interminabili riunioni. Quella era la prima fase. Nella seconda ci hanno chiesto cosa intendevamo fare con l’Iva. Respingevano la nostra proposta, ma non ne facevano una loro. E prima di trovare un accordo sull’Iva, passavano a un altro problema, come le privatizzazioni. Sulle privatizzazioni facevamo una proposta, ma loro la respingevano e passavano a un altro argomento: pensioni, mercati, relazioni industriali. Era come un gatto che si mangia la coda”. La sua conclusione è: “Ci hanno incastrati”. E non ha dubbi su chi siano i responsabili. Gli ho chiesto se secondo lui la posizione della Germania condizioni l’atteggiamento dell’eurogruppo. Varoufakis va anche oltre: “Completamente. Il gruppo è come un’orchestra ben affiatata ma il direttore è il ministro delle finanze tedesco. Solo il ministro francese Michel Sapin ogni tanto diceva qualcosa che si discostava dalla linea tedesca. Ma quasi non si faceva sentire. E quando Schäuble decideva la linea ufficiale, il ministro francese si arrendeva sempre”.
Se Schäuble era implacabile, la cancelliera tedesca Angela Merkel mostrava un volto diverso. Anche se non ha mai trattato direttamente con lei, Varoufakis ha detto: “Da quello che ho capito lei è molto diversa. Cercava di placare Tsipras, diceva: ‘Troveremo una soluzione, non si preoccupi, non lascerò che succeda qualcosa di terribile. Faccia i compiti e collabori con la troika, non possiamo finire in un vicolo cieco’”. Questa contrapposizione sembra non sia durata molto e forse era anche voluta. Secondo Varoufakis, Merkel e Schäuble hanno il controllo assoluto sull’eurogruppo, che opera al di fuori della legge. Prima delle dimissioni di Varoufakis, quando Tsipras ha indetto il referendum sulla proposta dei creditori, il gruppo ha fatto un comunicato senza il consenso dei greci, contro le regole dell’eurozona. La decisione è stata criticata da una parte della stampa, poi è stata offuscata dal referendum. Ma Varoufakis la considera importantissima. Quando il presidente dell’eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha cercato di diramare il comunicato senza di lui, Varoufakis ha consultato i funzionari dell’eurogruppo: Dijsselbloem poteva escludere uno stato membro? La riunione è stata interrotta e dopo qualche telefonata un avvocato gli ha detto: “Formalmente l’eurogruppo non esiste, non è stato istituito da nessun trattato”.
Quindi, dice Varoufakis, “c’è un gruppo inesistente che ha un potere assoluto sulla vita degli europei. Dato che per legge non esiste, non deve rendere conto a nessuno, non è tenuto a stendere verbali, tutto si svolge in modo confidenziale. Nessun cittadino può sapere cosa si dice al suo interno. Le decisioni che prende sono quasi di vita o di morte, e nessuno dei suoi membri deve renderne conto".
Quello che è successo nelle ore precedenti all’accordo sembra confermare la versione di Varoufakis. La sera dell’11 luglio è trapelata la notizia di una nota secondo cui la Germania avrebbe voluto un periodo di sospensione della Grecia dall’eurozona. La conclusione a cui era giunto il gruppo coincideva con la proposta di Schäuble. Non è chiaro come siano andate le cose, le riunioni sono segrete. Mentre i greci aspettavano di conoscere il loro destino, non è stato reso pubblico il verbale di nessuna riunione. Anche il referendum del 5 luglio è stato rapidamente dimenticato. Era stato definito inutile dall’eurozona e molti lo consideravano una farsa, un siparietto che offriva una finta scelta, induceva false speranze e sarebbe solo stato la rovina di Tsipras quando più tardi avrebbe firmato l’accordo contro cui aveva condotto la sua campagna per il no. Come aveva detto Schäuble, un voto non poteva cambiare le cose. Ma Varoufakis è convinto che avrebbe potuto cambiare tutto. La sera del referendum aveva un piano, ma Tsipras non era d’accordo con lui.
Tre mosse
Ora l’eurozona può dettare le sue condizioni alla Grecia perché non teme più la Grexit.
È convinta che se le banche greche falliranno le altre banche europee saranno protette. Ma al momento del referendum Varoufakis pensava di poter fare ancora qualcosa: se la Bce avesse costretto le banche greche a chiudere, avrebbe potuto agire unilateralmente. Mi ha detto di aver passato l’ultimo mese ad avvertire il governo greco che la Bce avrebbe fatto chiudere le banche per costringerli ad accettare un accordo. Varoufakis era pronto a fare tre cose: emettere cambiali in euro, applicare un taglio ai bond greci emessi dalla Bce nel 2012
riducendo il debito greco, e riprendere il controllo della Banca di Grecia. Nessuno di questi passi avrebbe signiicato l’uscita di Atene dall’euro, ma l’avrebbe resa una minaccia. Varoufakis era sicuro che la Grecia non poteva essere espulsa dall’eurogruppo, la consuetudine non lo prevede. Pensava che il referendum avesse assicurato a Syriza il mandato di cui aveva bisogno per fare mosse coraggiose. Secondo alcuni è stato costretto a dimettersi proprio perché alla vigilia del referendum aveva accennato al suo piano.
La sua spiegazione è leggermente diversa. Il 5 luglio, mentre la folla festeggiava a piazza Syntagma il risultato del referendum, il consiglio dei ministri ristretto a sei persone si è riunito per discutere la sua proposta. Per quattro voti a due, Varoufakis se l’è vista bocciare e non è riuscito a convincere Tsipras. Avrebbe voluto mettere in atto il suo “trittico” quando pochi giorni prima la Bce aveva costretto per la prima volta le banche greche a chiudere. Quello del 5 luglio è stato il suo ultimo tentativo. E una volta bocciato non poteva che andarsene. “Quella notte il governo ha deciso che la volontà degli elettori, quel sonoro ‘No’, non doveva spingerci a scegliere l’approccio più energico. Bisognava cedere, smettere di negoziare”. Le dimissioni di Varoufakis hanno messo fine alla sua alleanza con Tsipras, durata quattro anni e mezzo. Si sono conosciuti alla fine del 2010: un consigliere di Tsipras
si era fatto vivo dopo che Varoufakis aveva criticato la decisione del governo Papandreou di accettare il primo salvataggio della troika nel 2010. “All’epoca non mi aveva spiegato chiaramente la sua posizione sulla dracma e sull’euro, o sulle cause della crisi, mentre io avevo idee molto precise su quello che stava succedendo. Abbiamo cominciato a dialogare e penso di aver contribuito a fargli capire quello che bisognava fare”. Ma all’ultimo momento Tsipras non è più stato d’accordo con lui. E capisce anche perché. Varoufakis non poteva garantire che la Grexit avrebbe funzionato. Dopo che Syriza era andato al governo, un piccolo gruppo di persone aveva studiato sulla carta come fare. Ma Varoufakis aveva detto: “Per gestire il crollo di un’unione monetaria ci vuole una grande esperienza e non sono sicuro che noi greci possiamo farcela senza un aiuto esterno”. Ci saranno altri anni di austerità, ma l’ex ministro sa che Tsipras ha l’obbligo di “non lasciare che il suo paese diventi uno stato fallito”. I loro rapporti sono rimasti “molto amichevoli”, ma quando il 9 luglio ho parlato con Varoufakis non si sentivano da una settimana. Anche se non è riuscito a strappare un accordo migliore, Varoufakis non sembra deluso. Sostiene di essere “felicissimo".
“Non devo più tenere quei ritmi frenetici”, mi ha detto, “erano assolutamente disumani, incredibili. Per cinque mesi ho dormito due ore a notte. Non devo più sopportare tutte quelle pressioni per negoziare un accordo che ho difficoltà a difendere”. Il suo sollievo è comprensibile. Varoufakis avrebbe dovuto trattare con un’Europa che non voleva discutere, che non temeva più la Grexit e che in pratica controllava i conti del tesoro greco. Molti commentatori pensano che fosse un istrione, e i giornalisti locali e stranieri che ho incontrato la settimana dopo il referendum ad Atene ne parlavano come di un criminale. Qualcuno non gli perdonerà mai di aver sofocato un inizio di ripresa riaprendo i negoziati. Altri lo riterranno responsabile del duro destino al quale sta andando incontro la Grecia. Ma durante l’intervista Varoufakis non sembrava preoccupato. Non ha mai alzato la voce e spesso ridacchiava. Non mostrava rimpianti. Rimarrà in parlamento e continueràad avere un ruolo all’interno di Syriza. Finirà di scrivere un libro sulla crisi e valuterà le nuove offerte degli editori. E dopo aver insegnato per due anni in Texas potrebbe anche tornare all’università di Atene. Il suo paese è imprigionato in una trappola a cui si è opposto per anni e che per mesi ha cercato di evitare, ma lui è riuscito a liberarsi.


da Internazionale nr. 1111

20150721

Creta, Grecia - Marzo 2015 (7)

Lunedì 23 marzo
La sveglia è come sempre ad un'ora che altri, in ferie, troverebbero pazzesca, colazione, check out, e via in strada. Percorro tutta la litoranea, a tratti anche molto suggestiva, fino al centro di Iraklion, dove avrei individuato un parcheggio, ma naturalmente sbaglio a seguire le indicazioni del GPS e mi ritrovo in un altro parcheggio, che probabilmente è posizionato pure meglio. L'idea è visitare il museo archeologico di Candia, ed è quello che farei se fosse aperto. Niente paura, è solo questione di tempo: il lunedì mattina apre alle 11, ed io sono arrivato una buona mezz'ora prima. Faccio un giro per le strade e i vicoli della capitale, aspettando l'apertura, e poi visito il museo in un paio d'ore, prendendomela con tutta la calma del mondo. Esco, e mi siedo al primo ristorantino che mi ispira, dopo di che passeggio per il centro, scattando qualche foto delle cose più famose (le vedete nelle foto sotto: la fontana del Morosini, il porto veneziano con la fortezza di Rocca al Mare, la basilica di San Tito, la loggia veneziana). Mentre scendo verso il mare, è in corso una protesta di un gruppo di lavoratori.


Fatta una certa, torno al parcheggio, prelevo l'auto, e mi dirigo verso l'albergo. Non è esattamente in centro, anzi, in realtà siamo in una periferia chiamata Nea Alikarnassos (la storia me la racconterà la giovane padrona dell'hotel: fu fondata a partire dal 1925 dai profughi greci sfollati dalla vera Alikarnassos, attualmente in Turchia, dopo la guerra greco-turca del 19/22, tra i quali suo nonno). L'Hotel Sofia è però vicinissimo all'aeroporto, posto in mezzo ad un quartiere residenziale, e Nea Alikarnassos non ha niente di particolarmente attraente, ma è molto viva. Ad ogni modo, trovo l'hotel, parcheggio, faccio il check in, mi sistemo in camera, e passo il pomeriggio ad oziare e a praticare il mio sport preferito, lo spippolamento tra canali sconosciuti. Quando scendo per farmi un'idea per la cena, faccio conoscenza con Sofia, la giovane proprietaria (erede dei proprietari), alla quale chiedo un consiglio su un posto dove cenare. Mi dà il nome di un posto di fiducia, da raggiungere a piedi con una passeggiata di una decina di minuti. Quando torno, ritrovo Sofia, e cominciamo una lunga chiacchierata su tutto lo scibile umano, da Tsipras alla gestione di un hotel, da come si fa turismo a come si va in giro per il mondo, dalla paura del diverso alla tolleranza. Le dico che il giorno seguente voglio andare a Cnosso, naturalmente, ma lei insiste che devo andare a Myrtia, a visitare il museo dedicato alla vita e alle opere di Nikos Kazantzakis. Le confesso che non so di chi stiamo parlando, e lei non si scompone, rivelandomi che è il tizio che ha scritto i libri da cui sono stati tratti alcuni film famosi: Zorba il greco e L'ultima tentazione di Cristo. La cosa mi incuriosisce, e la passione con cui ne parla Sofia pure, quindi decido che andrò anche a Myrtia, dopo Cnosso. Mi ritiro nella mia stanza convinto di aver conosciuto una bella persona.