No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20081231

post bisesto

oggitrecentosessantaseiesimogiornodellanno
postbisestopostfunesto
ilprossimosaràcoloratocomelarcobalenovelocecomeunbattibaleno

editoriAle

Due notizie che attirano la mia attenzione oggi sono le seguenti.
Restrizione delle libertà individuali in Inghilterra: il porno estremo, anche se solo in immagine, sarà vietato. Leggete qui. Delicato dare un giudizio, ma concordo con la critica espressa dall'Independent. E' una critica come quella che facemmo, insieme ad altri, alle misure straordinarie invocate dopo lo stupro/omicidio Reggiani a Roma, anche se siamo su argomenti diversi.
L'altra è questa: il Vaticano modifica il meccanismo che recepiva automaticamente le leggi italiane, con la giustificazione che sono troppe, mutevoli e spesso contraddittorie tra di loro; leggete qui. Un parlamento, non solo un governo, con i coglioni (in senso buono), abolirebbe di volata i Patti Lateranensi, e soprattutto il nuovo Concordato del 1984.

E a proposito dell'omicidio Reggiani, molto interessante questa riflessione di Milli Virgilio sul Manifesto di ieri. Al colpevole sono state concesse le attenuanti perchè la vittima ha opposto fiera resistenza. In altri casi, le vittime sono state screditate per non aver opposto resistenza, e sospettate di essere consenzienti.
C'è qualcosa che non quadra.

Buon 2009.

a proposito di morte 2

La prima parte il 28 dicembre

Nel Medioevo morire era un'arte, come racconta Philippe Ariès nella Storia della morte in Occidente. La si comunicava con un nuncius apposito ed era pubblica, come la nascita. Oggi, a meno che non sia sensazionalizzata attraverso i mass media e quindi presentata come aberrazione dalla norma, è un fenomeno clandestino. Sembra non toccarci. "Si parla poco di malattie inguaribili. Se si muore, c'è qualcuno che ha "sbagliato"", dice Mauro Marinari, palliatore e direttore sanitario de il Nespolo. "Ma una parte nobile del fare il medico è proprio la capacità di dare cattive notizie in modo corretto. Fare accettare al malato che bisogna passare dal to cure al to care, dal curare al prendersi cura: dare speranze e goal anche se diversi da quelli che vorremmo sentire", chiude Marinari.
Questo tabù, assieme probabilmente all'accanimento terapeutico, aleggia su tutta la rete di assistenza. "Se la rete fosse agile si riuscirebbe a modulare il come, dove e quando sul singolo caso", dice Lino Casiraghi, responsabile infermieristico a Santa Maria delle Grazie. "Un malato potrebbe andare dal day care all'hospice, al domicilio, a seconda delle sue esigenze e a seconda dei momenti, ma oggi questo passaggio non è agevole: c'è scarsa collaborazione. Gli hospice non governano la domanda e gli ospedali tendono a trattenere gli ammalati". Il risultato? "Il 10 per cento muore lo stesso giorno in cui entra", dice Didonè. Praticamente in ascensore. Magari senza aver conosciuto sollievo dal dolore."In Italia esiste una divisione tra le cure mediche e quelle palliative. Quelle palliative intervengono quando il malato è allo stremo. In realtà dovrebbero essere anticipate già in ospedale - dove questo spesso non avviene - per controllare il dolore", riprende Casiraghi. Ma la resistenza culturale è forte. "Siamo un Paese oppiofobico. L'Oms considera l'uso della morfina pro capite un indicatore di qualità rispetto al controllo del dolore. Noi ne usiamo un centesimo rispetto alla Germania". Non è un caso che manchi ancora una specializzazione universitaria in cure palliative così come scarseggiano i palliatori negli ospedali. "Parenti e pazienti hanno paura della morfina e la considerano l'ultimissima spiaggia", dice Casiraghi. In quei momenti è davvero difficile parlare con persone contrarie. "Decidiamo una linea tutti insieme e ognuno fa un pezzettino", dice Cattaneo. "Ma io non nego al paziente il suo contenuto di vita anche se non lo condivido". Vale a dire? "Mi è capitata un'ammalata la cui mamma si è opposta alla sedazione e io ho rispettato quella decisione perché il loro era un rapporto simbiotico. E una paziente di 80 anni che continuava a mangiare anche se ormai rischiava di soffocare. Se quello per lei è vita io glielo lascio fare. L'importante è essere preparati".

continua domani

20081230

dimmi che


Il tempo di rifiatare e via con un'altra serie, Tell Me You Love Me. Episodi da un'ora, prima e per il momento unica stagione, 10 episodi in tutto. Siamo al primo. Coppie. Che fanno o non fanno sesso. Terapia, di coppia, anche qui. Sottotitolo Sex, Life. Come dare al sottotitolista torto?

Niente titoli di testa. Niente sigla. Musica usata un po' alla Dogma-Manifesto, ma non sempre. Camera spesso a mano, fotografia sgranata. Molto grezzo, ma molto efficace. Molto indie. Sesso piuttosto esplicito. Molto Intimacy, se l'avete visto (if you didn't, ripescatelo).

Tireremo le somme a breve. Buona la prima impressione.

w


Da Kataweb, notizia interessante


'W' di Oliver Stone direttamente in tv
Solo in un paio di sale la versione orginale con sottotitoli


"W." di Oliver Stone arriva in Italia direttamente in tv, senza passare per le sale cinematografiche: la pellicola dedicata alla presidenza di George W. Bush, presentata all'ultimo Festival di Torino, sarà trasmessa alla vigilia dell'insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, il 13 gennaio in anteprima su Alice Home tv e il 19 gennaio in esclusiva su La7.
Uniche eccezioni, il cinema Metropolitan di Roma, dove il film viene proiettato in questi giorni in versione originale con i sottotitoli, e il cineclub Arsenale di Pisa, dove lo si potrà vedere nei giorni 9-10 e 11 gennaio.
Diretto dal tre volte Premio Oscar Oliver Stone e interpretato da Richard Dreyfuss e Josh Brolin, attore anche lui in odore di Oscar per la sua straordinaria interpretazione in questa pellicola, il film sarà disponibile a partire da martedì 13 gennaio 2009 in video on demand su Alice Home Tv e lunedì 19 gennaio alle ore 21.10 in esclusiva free su La7.
Lo stesso giorno la pellicola sarà anticipata da una puntata speciale di Otto e mezzo, in onda alle ore 20.30, nella quale Lilli Gruber e Federico Guiglia ospiteranno in esclusiva il regista Oliver Stone in collegamento via satellite da Los Angeles. Durante la giornata inoltre anche gli spazi d'informazione della rete, da Omnibus al TgLa7, dedicheranno approfondimenti all'evento e nel pomeriggio saranno programmati film in tema con l'insediamento del neo presidente americano.

in treatment


Cominciato il giorno di Natale, come vi dissi già qui, ieri sera tardi ho terminato la visione dei 43 episodi che compongono la prima, e speriamo non ultima (ci sono già assicurazioni in merito qui), stagione di In Treatment. Ispirato, come leggerete nei link che vi allego, alla serie israeliana Betipul, è stato prodotto e sviluppato da Rodrigo García, figlio di Gabriel García Márquez, regista (e sceneggiatore) del bellissimo Le cose che so di lei (mi innamorai del titolo originale Things You Can Tell Just By Looking At Her), film corale con grande cast femminile di alcuni anni fa, poi seguito dal debole 9 vite da donna; vanta pure la regia di diversi episodi di Six Feet Under, e ovviamente quella di alcuni episodi di questa serie. Nella produzione è affiancato tra gli altri da Mark Wahlberg e dall'ideatore e regista dell'originale (Betipul) Hagai Levi.

E' curioso pensare che il budget non dev'essere granchè, visto che gli esterni sono limitatissimi e il 95% dell'azione si svolge nello studio del protagonista, lo psicoterapeuta Paul Weston, affiancato via via da alcuni suoi pazienti, dai familiari e dalla sua terapeuta nonchè ex mentore Gina Toll (lui stesso "si mette in terapia" a causa del fallimento del suo matrimonio), ma la sceneggiatura al contrario dev'essere stata (e sarà) un lavoro grosso, capirete da soli che i dialoghi sono fondamentali, e le dinamiche emotive in pratica protagoniste. Importantissimi quindi pure gli attori, che in effetti svolgono un lavoro micidiale: Gabriel Byrne è Paul Weston, Dianne Wiest è Gina Toll, Michelle Forbes è Kate, la moglie di Paul, Melissa George è Laura, una bella anestesista che usa il sesso per "curarsi le ferite", Blair Underwood è Alex, un pilota di aerei militari della Marina che uccide 16 bambini bombardando una Madrassa a Baghdad, Mia Wasikowska è Sophie, una sedicenne ginnasta vittima di abusi sessuali, Embeth Davidtz e Josh Charles sono Amy e Jake, una giovane coppia in crisi. Anche altri caratteri che si vedono pochissimo (i figli di Paul e Kate, i genitori di Sophie, i familiari di Alex) fanno un ottimo lavoro.

Senza dirvi altro, la serie mi ha coinvolto e angosciato. E' appassionante, è una bella idea, ammette tutti i nostri limiti di esseri umani pensanti ma con grossi problemi di comunicazione. Credo, se vi capiterà di guardare In Treatment, che vi ritroverete più di una volta a domandarvi perchè diavolo i vari protagonisti non riescano a dire quello che sentono, non riescano ad essere onesti neppure con se stessi.

Vi giuro, mi è venuto voglia di andare dallo psicologo.


Nella foto, Paul Weston (Gabriel Byrne) e Melissa George (Laura) nello studio del Dr. Weston.

the answer is blowin' in the wind 5


La quarta parte è stata pubblicata ieri



Il ciclo a emissioni zero

Scendendo dalla collina, ci siamo diretti verso la cittadina di Ballen. Lì ci siamo fermati davanti a un capannone rosso. Dentro, accatastate contro le pareti metalliche, c’erano delle enormi balle di paglia. Hermansen ci ha spiegato che si trattava di un impianto di riscaldamento del distretto progettato per funzionare a biomassa. Ogni balla equivale a 200 litri di petrolio. Vengono messe in una caldaia, che riscalda l’acqua a 158 gradi. Poi l’acqua bollente è trasportata da un impianto
sotterraneo nelle 260 case di Ballen e della vicina Brundby, dove può essere usata per il riscaldamento e per produrre acqua calda. A Samsø ci sono altri due impianti che bruciano paglia, a Tranebjerg e a Onsbjerg, mentre a Nordby ce n’è uno che brucia legna. Quando siamo andati a visitarla, la centrale di Nordby era piena di quello che sembrava concime. Alle sue spalle si stendeva un campo coperto di pannelli solari, che forniscono altra acqua calda quando c’è il sole. Tra i pannelli pascolavano alcune pecore dal muso nero. I giapponesi hanno tirato fuori le macchine fotografiche e le pecore hanno cominciato ad annusarli con aria speranzosa.
Naturalmente, bruciando paglia e legno si produce anidride carbonica come quando si bruciano combustibili fossili. La differenza importante è che, mentre i combustibili fossili emettono carbonio che altrimenti rimarrebbe sequestrato, la biomassa emette carbonio che entrerebbe comunque nell’atmosfera attraverso la decomposizione. Se la biomassa ricresce, l’anidride carbonica emessa dalla sua combustione viene riassorbita, il che signiica che il ciclo è, o almeno può diventare, a emissioni zero. La legna usata nella centrale di Nordby proviene da alberi caduti che altrimenti marcirebbero. La paglia dell’impianto di Ballen-Brundby è costituita essenzialmente da steli di grano che prima venivano bruciati nei campi. Nel complesso, le centrali a biomassa impediscono l’emissione di circa 2.700 tonnellate di anidride carbonica all’anno.
Oltre alla biomassa, Samsø sta sperimentando su scala più ridotta anche i biocarburanti: alcuni agricoltori hanno modificato le loro auto e i trattori per poter usare l’olio di colza. Ci siamo fermati da uno di loro, che coltiva lui stesso i semi, spreme l’olio e usa la polpa che rimane come mangime per le mucche. Non siamo riusciti a trovare il padrone di casa, così Hermansen ha avviato la pressa da solo. Ha infilato un dito sotto il beccuccio e se l’è messo in bocca. “È un olio molto buono”, ha detto. “Va bene sia per la macchina sia per condire l’insalata”. Finito il giro, siamo tornati nell’ufficio di Hermansen, in un palazzo chiamato Energiakademi. L’accademia, che sembra la versione Bauhaus di un granaio, è coperta di celle fotovoltaiche e isolata con carta di giornale pressata. Dovrebbe diventare una sorta di museo interattivo, ma quando l’ho visitato era stato inaugurato da poco e le sale erano quasi tutte vuote. C’era solo un gruppetto di studenti delle superiori inginocchiati per terra, che cercavano di costruire una turbina in miniatura.


continua martedì 2 gennaio 2009

20081229

vaccanza

che poi uno durante le vacanze di natale si promette di fare e disfare un sacco di cose, di comprare, di mette a posto la cantina e le parrucche, di rivedere gli amici che non si vedono mai e di pulire la macchina da cima a fondo, di guardare tutti i film di ermanno olmi e poi alla fine non lo fa.
e il perchè...
è dentro di te...

Argentina ago 08 - 61


Da sinistra a destra Betta, Anna, Victoria e Fernanda. Sull'assegnazione dei primi due nomi non sono sicuro...ragazze...chiedo scusa....non ricordo più chi è Anna e chi è Betta....che vergogna..

Argentina ago 08 - 60


Purtroppo il repertorio scarseggiava. Ma abbiamo fatto la nostra porca figura.

Argentina ago 08 - 59


Ancora io e Francesco alle prese con la musica.

Argentina ago 08 - 58


Ancora foto di altre autrici. Sempre durante gli ultimi due giorni di escursione, da Salta a Cafayate e ritorno, all'andata per la Ruta 40, viaggio micidiale, al ritorno sulla 68.

...non s'invecchia mai!


Fernanda è riuscita perfino a farmi ballare! Da notare il mio meraviglioso dente d'oro alla 5o cent.

Argentina ago 08 - 57


Bella serata.

Argentina ago 08 - 56


A La Panaderia, in Salta, con le ragazze.

Argentina ago 08 - 55


Sulla stessa strada, l'anfiteatro naturale. Notate i musicisti, che stanno li suonando per raccogliere qualche spicciolo, che vi danno l'idea della grandezza di questo luogo.

Argentina ago 08 - 54


Lungo il ritorno verso Salta, sulla Ruta 68, con Juli e le veneziane....battutona!!

Argentina ago 08 - 53


La straordinaria performance mia ma soprattutto di Francesco su La pulce d'acqua di branduardiana memoria.

Argentina ago 08 - 52


L'allegra brigata a cena al Criollo.

Argentina ago 08 - 51


Il delizioso pueblito di Cachi, sempre sulla Ruta 40, tra San Antonio de Los Cobres e Cafayate. L'ultima escursione del viaggio.

Argentina ago 08 - 50


Ancora per strada.

Argentina ago 08 - 49


Uno strappo alla regola della frugalità. Ristorante di buon livello nei pressi di Lagunas de Yala, siamo a mangiare la trota.

Argentina ago 08 - 48


Non mi ero neppure accorto che questa foto fosse stata scattata. Siamo nei pressi di León.

Argentina ago 08 - 47


Il mercato di Humahuaca. Prima tappa di ritorno da La Quiaca, dove lasciamo, ad una stazione di servizio, una signora che avevamo caricato per strada con la macchina in panne. La signora, con la famiglia, stava andando a La Quiaca per comprare regali a buon mercato per el día del niño; al confine si pagano meno tasse.

Argentina ago 08 - 46


Alpaca ipnotizzato da Juli.

Argentina ago 08 - 45


Di ritorno verso Salta, appena la nebbia del mattino si dirada.

Argentina ago 08 - 44


Classica foto col cartello di arrivo a La Quiaca, che rimarca quanto sia grande l'Argentina. Usuhaia (per approfondimenti, cercatevi i post etichettati Argentina nov 06), nella Terra del Fuoco, è "all'altro capo".

Argentina ago 08 - 43


Altro scorcio. L'auto a noleggio era una Chevrolet che però era una Opel Corsa. Stessa zuppa, altro continente.

Argentina ago 08 - 42


La Ruta Nacional 9 tra Abra Pampa e La Quiaca, verso la Bolivia. Paesaggi mozzafiato.

Argentina ago 08 - 41


Cactus sul Pucarà di Tilcara. Questo di Tilcara pare sia uno degli insediamenti Inca meglio conservati.

Argentina ago 08 - 40


Sempre da sinistra a destra: Jean, Juli, Annabelle, io. Erano tutti molto contenti della mia carbonara.

Argentina ago 08 - 39


All'hostel di Salta, da sinistra a destra l'amico francese Jean, Juli, io; dietro di me, sul "comodino", oltra al mio cellulare e a un rotolo di carta igienica, fa bella mostra di sè una scatola di Loperamide, ormai mio fedele compagno.

Argentina ago 08 - 38


Verso Purmamarca. Durante questa escursione, abbiamo spesso passato valichi intorno ai 4.000 metri slm. L'escursione l'abbiamo fatta su un Kangoo, con un chofer, un autista, simpatico ma molto, molto spericolato. Troppo sicuro di sè. Masticava in continuazione foglie di coca, ma non credo fosse per quello.

Argentina ago 08 - 37


Anche lì, come dappertutto, fa bella mostra la bandiera nazionale. Come si nota, c'era poco vento.

Argentina ago 08 - 36


Delle vasche che, confesso, non ho ben capito a cosa servano.

Argentina ago 08 - 35


Ancora lì, ben protetti dalla crema solare. Soprattutto il mio cabezón.

Argentina ago 08 - 34


Salinas Grandes de Jujuy.

Argentina ago 08 - 33


Un branco di Alpaca attraversa la mitica Ruta 40.

Argentina ago 08 - 32


Uno dei ponti più "arditi" per l'epoca della costruzione del percorso del Tren a las nubes, poco lontano da San Antonio de Los Cobres.

Argentina ago 08 - 31


Ancora questo villaggio minuscolo, che potrebbe essere Santa Rosa de Tastil, ma anche no.

Argentina ago 08 - 30


Recinto di capre in un villaggio sulla strada tra Salta e San Antonio de Los Cobres.

Argentina ago 08 - 29


Cronologicamente stiamo andando bene, ma le prime foto di questa escursione le ho messe prima. Siamo sulle tracce del Tren a las nubes.

Argentina ago 08 - 28


Uno degli "agglomerati" di questo tipo è chiamato "duomo". La notte, come già detto, abbiamo fatto questa esclusivissima escursione, esclusiva perchè interessa a pochi, infatti eravamo io, Juli e la guida, un ragazzo simpaticissimo che ci ha suonato il flauto andino nel silenzio della notte con l'eco della valle a farci venire i brividi, ci ha offerto due bottiglie di vino locale per un brindisi alla luna piena, ci ha raccontato un po' di sè come noi, del resto. Attendendo il sorgere della luna abbiamo fraternizzato anche con un amico guardiaparco, che ci ha spiegato come vive, come ha scelto quella vita, e altre amenità. Dopo l'escursione, Daniel, mi pare si chiamasse, ma non ne sono sicuro, ci ha portato nella vicina Villa Union, dove ci ha anche trovato una sistemazione per la notte.

Indimenticabile.

Argentina ago 08 - 27


Ancora a Talampaya, dove faremo anche l'escursione notturna di cui vi ho accennato qui.

Argentina ago 08 - 26


Parco Nazionale Talampaya, colonne alte oltre 100 metri quasi perfettamente cilindriche. Poco distante dalla Valle della Luna e dall'altro Parco.

Argentina ago 08 - 25


Al Parco Provinciale Ischigualasto. Indescrivibile. Polvere a pacchi, fossili a fiumi. Formazioni rocciose "scolpite" dagli elementi naturali durante milioni di anni. Nota come Valle della Luna.

Argentina ago 08 - 24


Ancora il rio San Juan, in un punto dove i colori dell'acqua rimangono separati.

Argentina ago 08 - 23


Una panoramica di cordigliera e pre-cordigliera, da cavallo.

Argentina ago 08 - 22


Qui, dopo il soggiorno di una notte all'osservatorio, siamo scesi a Barreal, e abbiamo fatto una cavalcata di due ore. Dopo la mia esperienza devastante in Colombia (vedi Holiday In Colombia su questo stesso blog, etichetta Colombia gen 06) ero titubante, ma alla fine è andata molto bene, grazie alla guida. Riconoscibilissimo, nella foto sono io di spalle.

Argentina ago 08 - 21


Noi e una parte del personale del complesso.

Argentina ago 08 - 20


Il sole cala inesorabilmente su un paesaggio reso quasi lunare dalla neve. Silenzio assordante tutto intorno.

Argentina ago 08 - 19


Il Complejo Astronómico El Leoncito (CASLEO). L'osservazione della notte, guidata da una simpaticissima impiegata del posto, non astronoma, seppur con un telescopio molto più piccolo, con un freddo bestiale, e possibile solo in extremis, visto che fino all'una di notte il cielo era completamente coperto, è stata un'esperienza mozzafiato. Vista la lontananza di fonti di luce artificiale, e quindi assenza di "inquinamento" di luce, guardando in alto senza telescopio, probabilmente per la prima volta in vita mia, ho potuto vedere la Via Lattea. Credevo fosse una nuvola.

the answer is blowin' in the wind 4


La terza parte è stata pubblicata domenica 14 dicembre 2008



Turbine all’orizzonte

Da quando è stata ribattezzata “l’isola dell’energia rinnovabile”, Samsø è diventata oggetto di numerosi studi. I ricercatori vengono anche da molto lontano (un fatto non proprio positivo dal punto di vista ambientale). Il giorno dopo il mio arrivo da New York, è arrivato anche un gruppo di professori dell’università giapponese di Toyama. Hermansen, che doveva portarli a fare un giro dell’isola, mi ha invitato ad accompagnarli. Siamo andati ad accoglierli con la sua Citroën elettrica, un’auto azzurra con delle nuvolette bianche dipinte sulle portiere. Era una giornata piovosa, e quando siamo arrivati al molo il mare era agitato. Hermansen ha espresso tutta la sua comprensione ai giapponesi appena scesi dal traghetto, poi siamo saliti su un autobus.
La prima fermata è stata una collina da cui si ha una vista panoramica dell’isola. Tutto intorno sibilavano diverse turbine simili a quella che avevo visto con Tranberg. In quel paesaggio umido e grigio, erano l’unica cosa che si muoveva. In lontananza, i campi silenziosi cedevano il posto al Kattegat, dove si vedeva un altro gruppo di turbine, schierate come soldatini nell’acqua.
Nel complesso, sulla terraferma ci sono undici grandi turbine, più una dozzina di microturbine. Sono molte per una popolazione così scarsa, ma il rapporto tra turbine e abitanti è fondamentale per il successo di Samsø, come anche il fatto che sul Kattegat il vento soffi quasi di continuo. Ho notato che a Samsø le bandiere non sventolano, ma stanno dritte in fuori come nei disegni dei bambini. Hermansen ci ha detto che le turbine sulla terraferma sono alte 45 metri, con rotori lunghi 25 metri. Insieme, producono circa 26 milioni di chilowattora l’anno, una quantità più o meno sufficiente per soddisfare le necessità dell’isola. Le turbine che sono in mare sono ancora più alte: 58 metri, con rotori che arrivano a 36. Ognuna genera più o meno otto milioni di chilowattora all’anno, suficienti per soddisfare le necessità di duemila famiglie danesi. Le dieci turbine al largo sono state costruite per compensare il fatto che gli abitanti di Samsø continuano a usare i carburanti fossili per alimentare automobili, camion e traghetti: insieme, producono una quantità di energia equivalente, se non superiore, a quella prodotta dalla benzina e dal gasolio consumati sull’isola (circa 80 milioni di chilowattora all’anno). Nel complesso, Samsø produce circa il 10 per cento di energia in più di quella che consuma. “Quando abbiamo cominciato, nel 1997, nessuno si aspettava una cosa del genere”, ha detto Hermansen rivolgendosi ai suoi ospiti giapponesi. “Quando parlavo con gli abitanti dell’isola, mi dicevano: ‘Stai sognando’”. Ognuna delle turbine costruite sulla terraferma è costata più di 600mila euro. Quelle al largo sono costate circa 2,2 milioni di euro l’una. Alcune sono state costruite da un solo investitore, come nel caso di Tranberg, altre sono state acquistate collettivamente. Almeno 450 abitanti di Samsø possiedono azioni delle turbine a terra e più o meno altrettanti di quelle che si trovano in mare. Gli azionisti, non tutti residenti, incassano ogni anno dividendi che si basano sul prezzo corrente dell’elettricità e su quanta energia è riuscita a produrre la turbina. “Quando sei solo un cliente, se una cosa non ti piace non la compri”, spiega Hermansen. “Non ti preoccupi della produzione. A noi invece la produzione interessa, perché siamo proprietari delle turbine. Ogni giro che fanno, sono soldi in banca. E in questo modo ci sentiamo anche più responsabili”. Grazie a una legge approvata dal governo danese alla fine degli anni novanta, le aziende pubbliche devono offrire contratti decennali a prezzo fisso per l’energia eolica, che poi possono vendere a clienti di altri paesi.
In base a questi contratti, una turbina dovrebbe essere in grado di ripagare l’investimento iniziale degli azionisti entro otto anni.


continua domani

20081228

la canzone del giorno

unretrofied - dillinger escape plan - plagiarism ep

the visitor


L’ospite inatteso – di Thomas McCarthy 2008

Giudizio sintetico: da non perdere

Walter Vale è un professore di mezz’età che abita ed insegna nel Connecticut, autore di qualche saggio sulla globalizzazione e sullo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo. Ama la musica, ma non è capace di suonare nessuno strumento. Sua moglie, pianista di successo, è morta da circa 5 anni, e ha lasciato evidentemente in lui un vuoto incolmabile. Walter manda avanti stancamente la sua vita insegnando svogliatamente a studenti che non hanno voglia di ascoltarlo, prende lezioni di piano cambiando continuamente insegnanti perché evidentemente non è portato. Il suo ultimo saggio, che lui ha solo firmato, in realtà l’ha scritto la sua co-autrice, deve essere presentato a New York, ma la sua collaboratrice è incinta, e non può presenziare una conferenza durante la quale il saggio sarà pubblicizzato: il Preside della facoltà dove Walter insegna, decide che deve andare lui nella Grande Mela. Walter a malincuore va, in effetti a NY possiede ancora un appartamento che non usa da anni. In questo appartamento, Walter troverà una sopresa; dopo aver “ricevuto” questa sorpresa, la sua vita cambierà.

Piccola parentesi iniziale: nonostante la crisi, i tempi che corrono, l’oscurantismo galoppante, devo riconoscere che i distributori italiani dimostrano di essere coraggiosi e al tempo stesso intelligenti. Distribuire un film così durante le feste di fine anno, vuol dire aver capito che c’è un pubblico che va al cinema tutto l’anno, un pubblico esigente che disdegna i cine-panettoni e che va al cinema per pensare. Detto questo, un grazie di cuore alla neonata Bolero Film distribuzioni, che manco a dirlo inizia la sua attività proprio con questo film.
Il secondo film di Tom McCarthy (una carriera da attore caratterista sia al cinema – Good Night, And Good Luck, The Flag Of Our Fathers, Michael Clayton - che in tv – lo abbiamo visto nell’ultima stagione di The Wire nei panni del meschino giornalista Scott Templeton -) è bellissimo. Nessun tentennamento.
Definirlo minimale è comodo, ma se si intende con questo aggettivo dire che è un film in cui la regia (alcune sequenze, soprattutto quelle dove il djambé è protagonista, sono da ricordare) è delicata, funzionale ad una storia sussurrata, ma che ti colpisce durissimamente. E’ un film che rincuora sapere sia fatto, scritto e pensato da uno statunitense, perché ci fa capire che c’è ancora una speranza (magari quella che “predica” Obama). E’ un film che parte in punta di piedi, apparentemente senza sapere dove andare, e invece lo sa benissimo, un film che si insinua dentro lo spettatore inesorabilmente e profondamente, fino a torcergli le viscere fino a farlo lacrimare, se non sanguinare. Accarezzandolo.
Pur toccando vari temi attuali, The Visitor (questo il titolo originale, e per una volta va detto che forse la traduzione italiana lo supera) riesce a risultare completo, forse perché il regista stesso dice che non è compito di un cineasta dare risposte, ma insinuare domande lo sia. E quindi eccoci davanti alla crisi di vuoto che una (molte, in verità) perdita provoca nell’essere umano, al problema dell’immigrazione, della famiglia allargata, dei preconcetti e, ultimo ma non meno importante, del dopo 11/9 e delle limitazioni delle libertà personali. Eccoci davanti a una società statunitense smarrita, impotente davanti agli eventi, ma al tempo stesso ancora capace di attrarre persone da ogni luogo, e di farle diventare parte integrante di essa nonostante la politica sembri opporglisi.
“Lì prima c’erano le Torri Gemelle…io non le ho mai viste ma Tarek si” dice Zainab, immigrata senegalese illegale, A Mouna, la madre di Tarek, e lo dice sentendosi ferita per questo. Ma lo dice come se lei stessa fosse statunitense. E uno dei tanti dialoghi di un film non parlatissimo, ma dove ogni frase è importante, così come le molte simbologie (la gita in traghetto verso Staten Island, con vista sulla Statua della Libertà e su Ellis Island ne è forse il culmine, ma ogni piccolo particolare, quelli attaccati ai muri soprattutto, fanno di questo film un piccolo gioiello prezioso).
Una fotografia non sfarzosa ma non per questo meno calda, dipingono una New York soprattutto marginale ma non ai margini, come non l’avevamo mai vista. La musica multietnica, così come la New York colorata ma non patinata che ci presenta la fotografia di cui sopra, che accompagna la storia come deve fare una colonna sonora presente ma non invadente.
La scelta del cast, però, è la dimostrazione di quanta sapienza ci sia in questo relativamente giovane e apparentemente non espertissimo regista. Richard Jenkins, nei panni di Walter, caratterista onnipresente in produzioni di qualità altissima, e indimenticabile Nathaniel Fisher in Six Feet Under, è bravissimo e, permettetemelo, ci ricorda moltissimo il fantastico Bill Murray di Lost In Translation; spettacolare nel descrivere la timidezza di una persona che ha perso tutto ma non pensa neppure per un momento di doversene andare. Senza più parole Hiam Abbass nei panni di Mouna, un’attrice capace di illuminare lo schermo ogni qualvolta appare. Bravi, ma ovviamente oscurati dai due esperti (e da premiare senza indugi) colleghi “anziani”, Haaz Sleiman (Tarek) e Danai Jekesai Gurira (Zainab), belli entrambi nella loro “africanità” distinta (eccezionale il commento di Mouna la prima volta che vede la fidanzata del figlio: “Ma è nera….molto nera….”).
Se siete, come chi vi scrive, di lacrima facile, preparate i fazzoletti: pur non scadendo mai nel pietismo facile o addirittura nel melò, dopo una prima parte di preparazione e pure divertente, la seconda parte vi farà singhiozzare nel silenzio della sala, come se vi affondassero lentissimamente una lama in pancia.
L’equivalente di Juno in quanto a delicatezza, trattando di temi attuali e pure scottanti, senza ogni dubbio uno dei migliori film visti in Italia nel 2008.
Correte al cinema prima che sparisca, e un sentito e caloroso grazie alle sale che hanno avuto il coraggio di proiettarlo.