Homeland - di Gideon Raff (e sviluppato da Howard Gordon e Alex Gansa) - Stagione 1 (12 episodi; Showtime) - 2011
Premettiamo due cose: la prima è che ne avrei scritto, ma magari più tardi. E invece
Bruzzo l'ha chiamata, ed è giusto così. La seconda è che quando uscì
In Treatment, una delle mie zie, che si reputa esperta di cose israeliane, pur non essendo ebrea, mi disse che in Israele sono piuttosto esperti nell'analisi, o meglio, che c'è una grande tradizione. Posso crederci, e l'idea della serie era ottima. Sicuramente non c'entra niente, ma pure questa serie è basata su una serie israeliana,
Hatufim, e siccome si parla di servizi segreti, spionaggio, terrorismo, cellule dormienti (o non proprio), seguendo la scia dei luoghi comuni potremmo dire che si, tutto questo può avere un senso: sono esperti anche su questi temi. Si lo so, sto allungando il brodo. Ma posso fare anche di peggio. State a vedere.
Da una parte c'è Claire Danes, che non ho mai sottovalutato, ma che dopo il suo
exploit in
Temple Grandin ormai nessuno dovrebbe ignorare, che interpreta l'assoluta protagonista della serie: è Carrie Mathison, una giovane ma esperta agente CIA in forza all'antiterrorismo, che è molto brava ed intuitiva, ma ha qualche problema. Prima di tutto, sembra che a volte si rimproveri di non essere riuscita a fermare i terroristi dell'11 settembre, anche se la cosa viene lasciata un po' in sospeso, Carrie potrebbe essere stata troppo giovane, o forse no. Ma non sono questi i problemi: quello che scopriamo poco dopo l'inizio, è che una sua fonte in Iraq, che lei non è riuscita a salvare dall'esecuzione, le ha confidato che un prigioniero di guerra statunitense è passato dall'altra parte. Per riuscire almeno a parlare con la sua fonte, in attesa di essere giustiziato, rompe parecchie regole, e per questo viene fatta rientrare, e, per così dire, messa in osservazione. Non finisce qui. Il suo capo è David Estes, uomo in carriera e deciso praticamente a tutto per salire i gradini necessari, che ormai la vede come mina vagante ma ha, diciamo, un passato con Carrie. Poi c'è Saul Berenson, il capo della sezione medio-orientale della CIA, vecchio capo di Carrie e suo mentore, che ormai è stato un po' messo da parte, prende ordini da Estes, ha qualche problemino a casa, e il comportamento di Carrie sta cominciando ad esasperarlo. Pensate che sia finita qui?
Wrong. Carrie ha un
disturbo bipolare (e, per essere precisi, questa vi piacerà, è bipolare di tipo 1,
cosa decisa dalla Danes stessa), chissà da quanto. E' riuscita a nasconderlo praticamente a tutti (a parte la famiglia; in effetti, lo ha ereditato dal padre), e lo tiene sotto controllo con dei forti medicinali che gli procura la sorella Maggie, psichiatra. Una roba che, se trapelasse, non potrebbe chiaramente essere conciliata con un incarico del suo tipo.
Dall'altra c'è Damian Lewis (ricordiamocelo: l'unico attore che, se facessero un film sui
Kyuss, potrebbe interpretare Josh Homme) nei panni di Nicholas Brody,
marine statunitense catturato otto anni prima da, si suppone, una cellula di
al-Qaida insieme al suo commilitone Tom Walker, che dopo qualche tempo dal ritorno in patria di Carrie, viene liberato da un'azione statunitense, e che ritorna in patria acclamato come un eroe, raccontando che Walker è stato ucciso (ma scopriamo da alcuni
flashback della memoria di Brody che è stato proprio lui ad ucciderlo); anche lui non è esente da problemi, naturalmente, dopo otto anni di prigionia (almeno, così racconta lui, ma almeno i primi episodi non ci fanno esattamente capire quanto c'è di vero), o comunque di assenza da casa, lui si deve riabituare lentamente, ma pure la sua famiglia. In effetti, quasi tutti lo davano per morto, soprattutto la (bellissima) moglie Jessica, che già da qualche anno aveva cominciato una relazione (che lei credeva) segreta con il miglior amico di Nicholas, Mike Faber (beh, questa lasciatemela dire: la telefonata di Brody che raggiunge la moglie - dopo otto anni eh, fate attenzione - proprio mentre sta scopando con un altro, non sarà originale ma è davvero senza prezzo), gli amici (appunto) e perfino i figli: Dana, la maggiore e già ribelle (uno dei personaggi che davvero potrebbero regalarci fuochi d'artificio nella prossima stagione, mi sa) lo ricorda, ma Chris, il più piccolo, è talmente confuso che quando lo rivede invece di abbracciarlo gli tende la mano e gli dà del
signore. Eppure, il
marine Brody nasconde qualcosa, e l'agente Mathison se lo sente. A chi dovremmo credere?
La migliore serie del 2011? Sono in diversi a pensarlo. Homeland ha vinto il Golden Globe come miglior serie drammatica, e Claire Danes ha vinto lo stesso premio come miglior attrice in una serie drammatica. Ci sta tutto. I ritmi di Homeland non sono da film d'azione, bensì da spy-story, che però sono suddivisi in episodi da 60 minuti (scarsi). Ebbene, il team degli sceneggiatori, credetemi, riesce a spiazzare lo spettatore perfino durante un solo episodio. Non solo mi sono ritrovato a dovermi ricredere nel corso degli episodi, su delle idee che evidentemente gli sceneggiatori volevano che lo spettatore si facesse, ma perfino, nel corso di alcuni episodi, a ripetermi "questo è tutto una perdita di tempo, potevano tagliarlo", e a ricredermi a pochi minuti dalla fine perché tutto acquistava un senso. E, vi garantisco, è una sensazione molto bella per un appassionato. Le recitazioni dell'intero cast sono all'altezza della situazione, è chiaro che a Danes e a Lewis sono richiesti gli sforzi maggiori (e devo dire che la prova di Lewis non è per niente inferiore a quella della nostra Claire), ma non ci sono rimostranze particolari da fare: certo, devo avvertirvi che la brasiliana (ma a New York dall'età di sette anni) Morena Baccarin (Jessica Brody, la moglie fedifraga del marine Brody), inserita nel cast dopo la defezione della scozzese Laura Fraser (è presente nella versione del pilot non andato in onda), è davvero bella e delicata, e che in qualche episodio c'è pure Brianna Brown (Lynne Reed, una escort sotto copertura che lavora per Carrie), la versione bionda di Amy Adams.
Anche a livello, per così dire, politico, non ho trovato esageratamente di parte questa serie. Certo, i cattivi sono quelli di al-Qaida, ma lo hanno pure ammesso, e non è che CIA ed alte cariche statunitensi siano presentate come figure trasparenti e cristalline. Certo, dentro c'è tutta la paranoia che una cosa come l'11 settembre 2001 può portare in un una nazione, ma i sensi di colpa evidentemente non riescono a sopraffare un certo tipo di arrivismo. A parte le riflessioni di questo tipo, che possono essere pure soggettive, è innegabile che Homeland è un ottimo prodotto, che fortunatamente tornerà sugli schermi prima della fine del 2012, per una seconda stagione che sicuramente ci regalerà sorprese e tensione.