
20080731
clap hands

provincialismo

20080730
time passages

lacio drom

Otto milioni di europei
tricastin

20080729
coming soon

brunetta e robin hood

sorridi

hand in hand

Repubblica — 28 luglio 2008 pagina 10 sezione: POLITICA INTERNA
PORTOFINO - Una notte in discoteca sino tardi per il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e la moglie Veronica Lario. Sabato sera la coppia si è presentata in piazzetta, a Portofino, mano nella mano. Da tempo i due non si facevano vedere insieme nel borgo. Dopo le polemiche e i recenti boatos seguiti alla bufera delle intercettazioni, il presidente e la moglie si sono nuovamente mostrati insieme: un chiaro messaggio per far capire che in famiglia sarebbe tornata la pace. E la serata a Portofino è stata piuttosto animata. Prima la cena dall' amico "Puny" (spiedini di moscardini, branzino bollito con insalata russa, calamari fritti e sorbetto alle fragole) e poi, più tardi, i due sono stati visti fare le ore piccole al "Carillon" di Paraggi, la storica discoteca dei vip, a due passi dalla villa di Berlusconi. A cena il premier e la moglie sono arrivati insieme ai figli di lui, Marina e Piersilvio. A tavola hanno rispolverato l' album dei ricordi con il ristoratore "Puny" che ha portato le foto di Berlusconi e Veronica scattate vent' anni fa nel suo locale. (ava zunino)
20080728
dead man walking

20080727
nate
20080726
20080725
o.d.a.a.l.

situescion

playlist-nel lettore mp3
Alanis Morissette - Flavors Of Entanglement
Beck - Modern Guilt
Gavin Rossdale - Wanderlust
Johnny Cash - Unearthed V - Best of Cash on American
Journey - Revelation
Marracash - Omonimo 2008
One Day As A Lion - EP 2008
Santogold - Omonimo 2008
Sigur Ros - Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust
Steve Earle - Washington Square Serenade
Tom Waits - Rain Dogs
Tricky - Knowle West Boy
20080724
m m j
estere live report
cesso
the body of jonah boyd

playlist-nel lettore mp3
Beck - Modern Guilt
Gavin Rossdale - Wanderlust
Johnny Cash - Unearthed V - Best of Cash on American
Journey - Revelation
Marracash - Omonimo 2008
Santogold - Omonimo 2008
Sigur Ros - Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust
Steve Earle - Washington Square Serenade
The Chapin Sisters - Lake Bottom
The Ting Tings - We Started Nothing
Tom Waits - Rain Dogs
Tricky - Knowle West Boy
( )

20080723
playlist - nel mio lettore mp3
Beck - Modern Guilt
Carneigra - Santinsaldo
Coldplay - Viva La Vida Or Death And All His Friends
Cult Of Luna - Eternal Kingdom
Gavin Rossdale - Wanderlust
Johnny Cash - At Folsom Prison
Santogold - Omonimo 2008
Sigur Ros - Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust
Steve Earle - Washington Square Serenade
The Chapin Sisters - Lake Bottom
The Ting Tings - We Started Nothing
Tom Waits - Closing Time
Tricky - Knowle West Boy
20080722
dischi per l'estate


20080721
coming soon
commistioni e coincidenze

napule
Oggi mi va così.
Grazie a Filo di avermela segnalata.
Fatmah - Almamegretta
Marò comme sì bella e nun ‘o ssaje
nun saccio bbuono chello ca me faje
amaro è o ddoce ca me fa’ ‘mbriaca’
guardo, sperisco e nun pozzo tucca’
e tu cammenanno te ne vaje
ll’uocchie acalate ma nun triemme maje
si’ na criatura mmiezo ‘e liune
ma dint’ ‘a vita nun tiene padrune
ah che bella voce
ca ll’anima se squaglia quanno cante
ah che bella voce
nun saccio si so’ diavolo o so’ santo
saccio sulo ca quanno te sento
sento dint’ ‘a ll’anema ‘o turmento
nun saccio manco cchiù addò stongo
si ‘mparaviso o all’inferno
‘a vita mia sta dint’ ‘e mmane toje
‘o core tuojo dint’ ‘e ccanzone meje
cchiù passa ‘o tiempo e cchiù ‘o ssaccio ca
i’ senza ‘e te nun putesse campa’
‘e stelle nun se ponno tucca’
me aggio ‘mparato ‘e ppuò sulo guarda’
e si na stella canta pe’ ammore
rimmane ‘ncielo mille anne e nun more.
ah che bella voce
ca ll’anima se squaglia quanno cante
ah che bella voce
nun saccio si so’ diavolo o so’ santo
saccio sulo ca quanno te sento
sento dint’ ‘a ll’anema ‘o turmento
nun saccio manco cchiù addò stongo
si ‘mparaviso o all’inferno
20080720
in quei momenti
20080718
siamo tutti islandesi

Da qualche giorno è arrivato il freddo in tutta Italia. Un freddo quasi polare, un freddo nordico. Sembra quasi che il tempo si prepari per il passaggio dei quattro “folletti” islandesi, così ebbi a definirli in occasione della prima volta che li vidi. Nonostante siano passati per due date anche quest’estate, ritornano ancora, con un album fuori da alcuni mesi, “Takk”, un disco che gli ha spalancato le porte del mainstream, dell’airplay radiofonico, che fa capire il fatto che ci sia un progetto vero e proprio dietro la loro musica. Cosa non trascurabile e assolutamente non negativa.
La struttura del Saschall, che non mi stancherò mai di ripeterlo, è decisamente la migliore del centro-nord Italia per ospitare concerti di medie dimensioni, accoglie i fans che arrivano un po’ per volta. Alle 20 in punto le Amina, ormai lo sanno tutti, il quartetto femminile che accompagna i Sigur anche durante il loro concerto, iniziano il loro set che durerà una mezz’ora scarsa, con il consueto repertorio impalpabile (detto nel senso buono del termine) e sperimentale, cosa che si può notare fin dagli strumenti usati. Diversamente dal loro impiego con i Sigur (fatto più di archi), le Amina insistono con percussioni dolci (come lo xilofono), tastiere e campionatori, thereminvox e perfino calici usati proprio come vi state immaginando, passando ripetutamente il dito sopra il bordo circolare. Leggermente soporifere, ma adatte al contesto, vagamente orientaleggianti nelle atmosfere, goffe nel ringraziare un pubblico ancora scarso ma già generoso, comunque simpatiche nella loro goffaggine.
Appena le Amina finiscono il loro set, il sipario bianco davanti al palco viene chiuso, mentre dietro fervono i preparativi, e nell’aria si diffondono suoni che richiamano gli ohm buddisti. Il Saschall si va pian piano riempiendo, fino alla saturazione. Diventa quasi caldo. Il pubblico è variegato, tendente al non-trendy. Anche questa è una cosa certamente non negativa. Si vedono tra il pubblico Lucio Dalla e Piero Pelù, indice dell’apertura del target Sigur Rós.
Circa alle 21,15 ecco le note iniziali dell’intro Takk; il sipario bianco rimane chiuso, ma si intravedono le ombre dietro ad esso. Si staglia, inconfondibile, la figura di Jónsi, quasi scheletrica, al centro del palco, la chitarra imbracciata, l’archetto per suonarla, archetto che abbandonerà solo per pochissimi momenti. L’intro si lega a Glósóli, ed è fatta: siamo, ancora una volta, nel mondo fiabesco. Il minuto e mezzo finale di Glósóli è pura levitazione. Se chiudi gli occhi, senti che non hai più peso. Che stai planando, hai disteso le ali che mai hai avuto, ma che sempre hai desiderato, e lasci che sia il vento a portarti. Quante volte hai visto i gabbiani farlo nelle giornate terse, e avresti voluto farlo anche tu. Ci voleva qualcuno che inventasse i Sigur Rós. Tengo gli occhi ben aperti e guardo il pubblico, oltre che verso il palco. Potrei lasciarmi andare anche alle lacrime.
Il sipario si apre, il concerto continua. Scorrono le loro canzoni, che ovviamente acquistano potenza e solidità dal vivo, grazie soprattutto al drumming potente, ma diventato, ho come l’impressione, meno invadente, di Orri. Al tempo stesso, c’è una pulizia nel suono che ha del soprannaturale. Il pubblico sembra sentire, stranamente, questa cosa. Stranamente, perché il pubblico italiano, si sa, è caldo ma anche scalmanato, poco incline a rispettare i silenzi. C’è come una sorta di autocensura negli applausi a scena aperta, quasi timorosi di rompere l’incantesimo, mentre a bocce ferme, a pezzi terminati, la generosità irrompe, e gli applausi diventano quasi liberatori. I quattro sono precisi, pochissime e quasi impercettibili le sbavature, se ne nota qualcuna nell’accoppiata centrale Hoppípolla/Med Blódnasir, il che, si sa, rende più umani. Certo che il crescendo di archi di Hoppípolla ti riconcilia perfino con l’orchestra di Sanremo, ha quel gusto da canzonetta che però, messo lì, ha il suo perché. I ragazzi sembrano quasi inconsapevoli della loro accresciuta celebrità. Jónsi ringrazia timidamente ogni tanto. Questo mi rincuora: non sono divenuti delle star. Come quando riflettevo sul fatto che la musica dei Sigur Rós fosse la colonna sonora utopica di un mondo pacificato, forse ho trovato un’altra utopia: la rockstar che non fa la rockstar.
Istantanee cerebrali: il suono tipo carillon di Njósnavélin; gli archi da film d’amore di Andvari. Il falsetto mai fastidioso di Jónsi, che ti guida all’esplosione di Saeglópur. Cose difficili da raccontare, tanto più da spiegare. Vanno vissute e basta, c’è poco da fare.
Eppure, i Sigur Rós non vengono dal niente, anche se, bisogna riconoscerlo, pochi gruppi possono vantare uno stile così personale, un timbro così inconfondibile, una nicchia scavata da loro, impossibile da non notare, una delle poche band che negli ultimi anni ha davvero inventato un nuovo modo di fare musica. Eppure, ci sono dei momenti dove puoi scorgere i Sonic Youth. O i Cocteau Twins in Olsen Olsen. I Radiohead in Gong. Oppure, come quando, nel finale, si richiude il sipario bianco, e rimangono le ombre e la musica, sulle note della conclusiva, turbinosa Popplagid, si possono sentire i retrogusti musicali miscelati insieme di Mogwai, Tool e, si, sto per dirlo, Pink Floyd. Sinfonici, s’intende, ma fino ad un certo punto.
Un concerto. Un’emozione lunga quasi un’ora e quaranta. Sensazione che quei quattro ti sappiano leggere dentro.
Perché ascoltando i Sigur Rós siamo tutti islandesi. Siamo tutti down. Siamo tutti ciechi da un occhio. Siamo tutti gay. E siamo felici.
Takk.
grazie

No, non mi sono drogato prima di scrivere. Sto solo ascoltando "Takk". E, vi giuro, sto godendo.
folletti

Anfiteatro del Pecci pieno, un migliaio di persone, letteralmente in delirio, per il ritorno, questa volta estivo, dei Sigur Rós. Premetto che prima del concerto avevo ascoltato si e no 2 pezzi degli islandesi. I Sigur Rós sul palco sono 8, con formazione semi-tradizionale più quartetto d'archi; semi-tradizionale perché il cantante-chitarrista (chitarra che spesso suona con l'archetto da violino) ogni tanto suona una tastiera, il batterista ogni tanto va al campionatore, il tastierista ogni tanto suona la chitarra e il bassista ogni tanto suona un'altra tastiera; mettiamo nel conto che 2 ragazze del quartetto d'archi in un pezzo suonano tastiere e campionatore, e otteniamo un combo quasi intercambiabile. C'è stato un momento nel quale i 4 ragazzi erano tutti intorno alla "catasta" di tastiere e campionatori. Sullo schermo dietro al tutto, non sempre, vengono proiettate immagini; elettrodotti, bambini che giocano tra i fiori.
Detta così, sa di freddo. E invece la musica, e le sensazioni che i Sigur Rós trasmettono con la loro musica sono caldissime, e non c'è nessuna ironia sulla temperatura della stagione. Nonostante le composizioni di 10 minuti l'una, i ritmi quasi sempre lentissimi, eterei, la voce del cantante (questa si, davvero non intercambiabile), stentorea, quasi femminile, che dà ai pezzi un incedere sinfonico insieme agli archi, il concerto appassiona, e si vorrebbe non finisse mai. É immediato il paragone con i Radiohead di "Kid A" e "Amnesiac"; ma se è vero che suonano da un po', non sarà mica accaduto il contrario?
È un concerto rock? Forse. Il pubblico è piuttosto rock, ma il silenzio che si crea durante le esecuzioni non è rock. Perfino gli applausi al termine dei pezzi, partono timidi, timidissimi. Ma allora è pop. Assolutamente no.
Forse in preda al caldo, ho fatto questa riflessione mentre li guardavo. Pare non esserci rabbia in questa musica, a differenza di tutta l'altra musica rock. Ma, come detto prima, la musica dei Sigur Rós non è neppure pop (genere dove appunto, non c'è rabbia), perché non è immediata e "facile". Partendo dal presupposto che l'ambiente genera i suoi prodotti, tra i quali la musica, evidentemente questa musica così "viscerale" e che ti arriva dritta al cuore, è il suono dell'Islanda, un po' come la "Joga" di Björk; il suono di un mondo dove la natura ti mozza il fiato, e dove viene rispettata per davvero, dove la parola "pace" ha un senso, dove si convive con la tecnologia senza affogarvi. Un mondo giusto, in poche parole. Quindi, forse, questa è la musica che faranno tutti, se finalmente, avremo un mondo giusto.
Troppo cerebrale? Forse. Ma appoggiandomi a questa idea, ho "letto" la schitarrata (con l'archetto) improvvisa con l'entrata violentissima di batteria. Era un geyser. E il pezzo conclusivo, ossessivo, con la batteria a mo' di percussioni tribali. Questo è come "loro" vedono il resto del mondo, di corsa, ingiusto, comandato dalla televisione. Mentre pensavo questo, rimane l'ultima immagine sullo schermo. Una trasmissione tv interrotta, il grigiore dello schermo e le righe orizzontali.
Richiamati a gran voce, esauriti i pezzi in scaletta, gli islandesi tornano 2 volte sul palco per eseguire un inchino teatrale e applaudire il pubblico che li applaude.
rearviewmirror
springfield

meno male che silvio c'è
Leggete qui lo show di ieri.
donna

fashion badu

The Little Friend

20080717
paese mio che stai sulla collina..

20080716
pictures of you
you that i almost belive that they're real i've
been living so long with my pictures of you that
i almost believe that the pictures are all i can
feel
remembering you standing quiet in the rain as
i ran to your heart to be near and we kissed as
the sky fell in holding you close how i always
held close in your fear remembering you
running soft through the night you were bigger
and brighter than the snow and
screamed at the make-believe screamed at the
sky and you finally found all your courage to
let it all go
remembering you fallen into my arms crying
for the death of your heart you were stone
white so delicate lost in the cold you were
always so lost in the dark remembering you
how you used to be slow drowned you were
angels so much more than everything oh hold
for the last time then slip away quietly open
my eyes but i never see anything
if only i had thought of the right words i could
have hold on to your heart if only i'd thought of
the right words i wouldn't be breaking apart all
my pictures of you
Looking So long at these pictures of you but i
never hold on to your heart looking so long for
the words to be true but always just breaking
apart my pictures of you
there was nothing in the world that i ever
wanted more than to feel you deep in my heart
there was nothing in the world that i ever
wanted more than to never feel the breaking
apart all my pictures of you
count down

20080715
serie

playlist-nel lettore mp3
Beck - Modern Guilt
Carneigra - Santinsaldo
Coldplay - Viva La Vida Or Death And All His Friends
Cult Of Luna - Eternal Kingdom
Death Cab For Cutie - Narrow Stairs *
Gavin Rossdale - Wanderlust
Melody Gardot - Worrisome Heart
Santogold - Omonimo 2008
Sigur Ros - Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust
Spiritualized - Songs In A & E
The Chapin Sisters - 2005 EP
The Chapin Sisters - Lake Bottom
The Ting Tings - We Started Nothing
Tricky - Knowle West Boy
* quello vero, questa volta (vedi)!!
luttazzi
Gli serve tutta l'energia possibile per le sue erezioni!
le guardie nigeriane
per raggiungerlo bisogna imbucare una viuzza tra gli alberi molto nascosta.
a questa via fanno la guardia sempre un paio di ragazze di colore, forse nigeriane.
la prostituzione naturalmente è una cosa bruttissima, MA, sorrido ironicamente pensando che, ogni giorno, finito il mio lavoro, stanco, esco e le prime due persone che incontro sono due donne la cui missione è prendermi l’uccello in bocca, pronte, al limite, a scopare.
io passo in macchina, le saluto, loro mi chiamano: "c'mon!" e io sorrido...ciao guardie!
eut

20080714
playlist-nel lettore mp3
Beck - Modern Guilt
Carneigra - Santinsaldo
Coldplay - Viva La Vida Or Death And All His Friends
Cult Of Luna - Eternal Kingdom
Gavin Rossdale - Wanderlust
Melody Gardot - Worrisome Heart
Neil Young & Crazy Horse - Live Rust
Paul Weller - 22 Dreams
Santogold - Omonimo 2008
Sigur Ros - Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust
Spiritualized - Songs In A & E
The Ting Tings - We Started Nothing
Tricky - Knowle West Boy
20080713
strada libera
estere live report
ferie

sunday morning

20080712
coke

20080710
visti da fuori
nel blu
Lucio 3

parte 2
Lucio con lui, una sera a Bologna
«Rubare alle banche non è rubare. Sono loro che rubano a noi»
E’ piccolino e con la faccia incazzosa, da contadino diffidente. Le mani sono grandi e spellate dagli acidi, gli occhi due fessure da faina.
«Tu chi sei, per chi scrivi?».
Quando gli dico «Liberazione» ha un piccolo guizzo del sopracciglio. Spaccio il giornale per “cugino” dell’omologo francese. E finalmente Lucio fa un mezzo sorriso e mi invita a bere un bicchiere.
«I giornalisti possono essere anche persone perbene, ma hanno troppo potere, fanno parte del sistema capitalistico».
Dall’espressione che ha sul volto, decido di non ribattere.
«Lo sai da dove nasce la festa del primo maggio?».
Ho capito, le domande le fa lui.
«Dalla prima manifestazione sindacale dei Labours di New York?».
«Stronzate», risponde. «Tutto inizia con la morte di otto anarchici, i martiri di Chicago, uccisi dallo Stato americano per una colpa che non avevano commesso».
E da qui, Lucio prende il via.
«E pensare che gli Stati Uniti sono stati creati da una banda di miserabili! Oggi è il paese più ricco e più imbecille del mondo. Sai, non è che sono contro il fatto che uno stia bene. Quello è giusto. Ma la ricchezza crea la povertà, e la povertà è funzionale alla ricchezza».
«Sai cosa ci fanno con i soldi i ricchi?».
Si intervista da solo, non riesco a inserirmi.
«Ci fanno la guerra. Con quello che spendono in una settimana di bombe io potrei costruire mille
scuole a Haiti».
Sta esagerando? E’ un megalomane? Conoscendo quello che Lucio ha fatto nella vita, ci viene il dubbio che parli sul serio. Magari lui ci riuscirebbe.
«Anne (sua moglie, attivista di movimenti umanitari, ndr) è ad Haiti in questi giorni. Lì vivono
nella miseria più nera. E non c’è modo di fargli arrivare aiuti consistenti. Del resto, anche in America c’è chi se la vede brutta. A New Orleans c’è gente che sta morendo, proprio ora, di fame e di freddo».
Lucio, tu però non hai mai appoggiato nemmeno i tentativi - diciamo - di realizzazione del socialismo reale. Qual è allora, secondo te, il modello per una società più giusta?
"Se qualcuno lo sapesse, avremmo risolto il problema. E’ che bisogna tentare diverse strade. Partendo da alcuni presupposti".
Per esempio?
"Ognuno dovrebbe per prima cosa lavorare seriamente, farsi un esame di coscienza e imparare a fare sempre il proprio meglio, secondo giustizia. Già questo cambierebbe tante cose. Io poi viaggio ancora tanto. Negli ultimi mesi sono stato in Argentina, Uruguay, Brasile. Ecco, in America latina stanno succedendo cose interessanti. A Porto Alegre, ad esempio, fino a qualche tempo fa l’affare dell’immondizia era gestito dalla mafia, che la trasformava in droga. Oggi, un
gruppo di lavoratori ha fondato una cooperativa anarcosindacalista. Sono in sessantamila e si autogestiscono tutto, prendono stipendi uguali di 500 reais al mese (circa il doppio di uno stipendio medio-basso) e con quello che resta aiutano i movimenti dei Sem terra. A Buenos Aires invece c’è un albergo, l’Hotel Bauer, autogestito da 150 lavoratori. Sono andato a trovarli, le cose gli funzionano molto bene. Vedi, si inizia con cose piccole. Ma se funziona, il sistema si può provare su scala più ampia".
Cosa ha significato, per te, essere un muratore? In fondo, è la cosa di cui vai più fiero, nella vita.
"Perché è grazie al mio lavoro che ho imparato a creare. I poveri sono dei creatori, fanno dal nulla. Dovrebbero essere tutti fieri di questo. Io sono davvero orgoglioso del mio mestiere di muratore. Mi ha insegnato tutto quello che so".
Tu non hai studiato, da ragazzo. Quindi non è la cultura che ti ha guidato nelle scelte. Mi puoi dire cosa davvero ha spinto i tuoi passi?
"Senti, a essere sincero io non lo so perché mi è successo tutto questo. Se avessi la fede forse troverei una risposta più facilmente. Ma non ce l’ho. So che quando sono arrivato a Parigi a vent’anni non sapevo nemmeno lavarmi le mani. Oggi tengo lezioni alla Sorbonne e mi invitano a cena all’Eliseo. Cosa sia successo in mezzo non sempre mi è chiaro".
Ti fa piacere frequentare il bel mondo?
"No, quasi mai. Però se ci sono degli amici che tengono alla mia presenza, allora vado".
In cosa consiste ora la tua attività di anarchico?
"Cerco di parlare con i giovani ogni volta che mi è possibile. E di aiutare chi ne ha bisogno, per come posso".
E con Anne, come va?
"Litighiamo in continuazione, lei non mi regge più. Però io ancora “la quiero con una locura insoportable”.
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Vincitore del Biografilmfest
“Lucio”, docu-film firmato dai registi baschi Aitor Arregiù e Jose Goenaga
Se abbiamo avuto la possibilità di conoscere e incontrare un personaggio come Lucio Urtubia, lo dobbiamo al Biografilm Festival di Bologna. Uno di quei festival “marginali” in Italia, capace di far
circolare sapere, arte e umanità a volte più - e meglio - dei grandi festival. Bellissima l’idea di base, che l’ideatore e direttore artistico, Andrea Romeo, spiega così: «In un’epoca in cui i media ci
propongono come modello la quotidianità dei reality show non ci resta che recuperare exempla
che abbiano saputo resistere all’erosione della storia, e vite che meritino di essere raccontate».
Giunto alla sua quarta edizione, il Biografilm si è concluso ufficialmente il 15 giugno scorso, con la vittoria appunto del documentario “Lucio”. In realtà, propaggini “off ” della rassegna sono attive a Bologna ancora per tutto luglio. Gran parte del programma dell’ultima edizione e delle precedenti è visionabile anche via internet, sul sito www.biografilm.it. Nella foto, la locandina del film.
fine
20080709
con un ronzio nelle orecchie, suoniamo all'infinito
