No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20090731

domini


Let The Dominoes Fall - Rancid


Qual è il vero problema dei Rancid? No, a mio parere non è quello di essere le copie attualizzate dei Clash, bensì quello di non riuscire a fondere perfettamente i 3/4 stili che li influenzano all'interno di una sola canzone. O fanno punk rock, o fanno folk, o fanno reggae (o meglio, canzoni di derivazione reggae). Punto.

Detto questo, anche questo ultimo lavoro non è affatto male. Paradossalmente, i pezzi più riusciti sono quelli più lontani dal loro essere bianchi, e cioè quelli vagamente giamaicani: Liberty And Freedom, Up To No Good (micidiale), I Ain't Worried (molto bella). Nonostante questo, risultano convincenti anche Civilian Ways, un pezzo folk con mandolino e Hammond, veramente dolce, e l'iniziale East Bay Night, classico mid-tempo punk, con un basso prepotente, che anticipa gli armonici di chitarra. Per cui, bravi Rancid.
PS La copertina è l'ennesima dimostrazione che i Rancid vogliono rimanere aggrappati alle radici..forse sarebbe l'ora di cercare la propria strada, anche a livello "visivo".

pelle misteriosa


Mysterious Skin - di Gregg Araki 2005


Giudizio sintetico: da vedere


Hutchinson, Kansas, 1981. Brian Lackey ha otto anni, e controvoglia viene iscritto dai genitori (soprattutto dal padre) alla squadra di baseball. Ma è una schiappa, e starà sempre in panchina. Una sera, la sorella lo trova in cantina, impaurito, col naso sanguinante. Da quel giorno, in cui convince i genitori a non mandarlo più a giocare a baseball, soffrirà continuamente di svenimenti improvvisi e di sanguinamenti dal naso; ma soprattutto, non riuscirà a ricordare cosa è successo quella sera. Gli accadrà ancora una volta, la notte di Halloween, alcuni anni più tardi. Si convincerà, complice la sua fantasia e un programma televisivo sui misteri, di essere stato rapito dagli alieni.

Sempre ad Hutchinson, sempre nel 1981, Neil McCormick, anche lui otto anni, frequenta la stessa squadra di baseball, dove è il preferito dal coach. E non solo perchè è il più bravo di tutti.

Anni dopo, Brian capisce che Neil sa del suo passato, sa che cosa gli è accaduto quella sera. E lo cerca.


E' un peccato che Gregg Araki sia inattivo dal 2007, con l'introvabile Smiley Face. Del resto, ha sempre incontrato difficoltà a mostrare le sue pellicole. Eppure, ricordo con grandissimo piacere, un piacere perverso, il suo capolavoro Doom Generation (che, ricordiamo, qualche anno fa fu trasmesso dopo mezzanotte su Rete 4: il secondo tempo, a forza di tagli, durò 14 minuti). Ma andiamo avanti. In questo Mysterious Skin, che negli USA fu distribuito limitatamente, e fu visibile soprattutto in vari festival, Araki prende spunto dal libro ominimo di Scott Heim e parla di pedofilia con grande, grandissima maestria, senza essere troppo delicato o troppo pesante. Certo, se non sapete cos'è il fisting avrete qualche difficoltà a comprendere quello che il coach fece con Brian e Neil, ma con un po' di fantasia, potrete cogliere il senso generale.

Ed è bello sentir "parlare" un cineasta che non ha mai avuto nessun problema col sesso, di nessun tipo e di nessun "colore", in merito ad un problema come questo, perchè arriva dritto al punto e alle conseguenze, senza timori e senza pudore. Uno, a dire la verità, Araki ce l'ha avuto: nessuna scena di sesso esplicito, nessun nudo frontale, e devo dire che alla fine non se ne sente la necessità. Tutto quello che c'era da dire, è stato detto.

Stupenda fotografia, come sempre, armonici i movimenti di macchina, colonna sonora (anche questa, come sempre) ottima, alternanza perfetta di momenti poetici a momenti durissimi. Attori diretti bene, da segnalare la prova eccezionale di Chase Ellison (Neil a 8 anni), e quella ottima di Joseph Gordon-Levitt (nei panni di Neil "grande"). C'è anche Elizabeth Shue (la mamma di Neil).

20090730

a passeggio col cane


Dogwalker - di Arthur Bradford


Finalmente un libro che esce dagli schemi.

Godibile dai palati forti, questo debutto (di qualche anno fa) del 40enne statunitense Bradford ci ricorda il compianto D.F.Wallace e anche Will Self (del quale sentiamo sinceramente la mancanza ugualmente, anche se non è morto).

Con una prosa asciutta, l'autore ci porta, con questi 12 racconti, in un mondo "marginale" e anche fantastico, dove l'esperienza con i disabili ci dà la chiave di lettura metaforica delle mostruosità delle quali ci parla con una naturalezza estrema. Storie anche dure da leggere, non per la scorrevolezza quanto per i contenuti (uomini che hanno rapporti con cani, cagne che partoriscono cuccioli di uomo, cani che parlano).

Un libro intrigante, un debutto promettente.

battaglia sotto il sole


Battle For The Sun - Placebo


E' brutto il nuovo dei Placebo? No. E' bello. Insomma. Con questo potremmo anche chiudere. Il senso è: gli anni passano, e le variazioni sono lievi, tanto per non incidere sempre lo stesso disco, ma di certo non c'è più nulla di nuovo, sotto il sole del titolo. Però. Ad esempio, se ascoltate Happy You're Gone, potreste anche commuovervi. Dico sul serio. Dal punto di vista delle semi-ballad, anche Bright Lights dice la sua, come pure la seguente Speak In Tongues. Per i pezzi tirati invece, mi pare che il songwriting mostri un po' la corda, se si eccettua l'intro elettronica di Julien, anche se poi sfocia in una struttura simile alle altre; è vero, ci sono pure gli archi, infatti è un po' la cosa più fuori dagli schemi che si possa ascoltare in questo disco, ma sono innestati in una classica canzone alla Placebo. Questo è.

va, vis et deviens


Vai e vivrai – di Radu Mihaileanu 2005


Giudizio sintetico: da vedere assolutamente


Nel 1984, milioni di africani, provenienti da 26 paesi diversi, si ritrovano in alcuni campi profughi in Sudan, spinti fino lì dalla carestia. Un’operazione congiunta tra Israele e USA, organizza un ponte aereo per portare in Terra Santa i milioni di ebrei etiopi, chiamati Falashas. Stremata, come tutti gli altri, dai lutti, dalla fame e dalle condizioni dei campi, una madre cristiana etiope, approfittando della morte del figlio di una donna falasha, spinge il figlio di 9 anni a sostituirsi al bambino morto in tutto e per tutto, a spacciarsi per ebreo, per vivere. Al momento di lasciarlo perché salga sui camion che portano agli aerei, la donna gli dice la frase che dà il titolo originale del film, “va, vis et deviens”.
Inizia così una vita complessa, per il bambino, che verrà rinominato Schlomo, da Salomon, nome che era del vero figlio della donna falasha. La donna muore subito dopo l’arrivo in Israele, Schlomo è bravo a scuola, ma problematico; viene adottato da una famiglia ebrea di origine francese, di sinistra, con già due figli. La famiglia gli vuole un gran bene, ed allora per Schlomo cominciano gli altri problemi, quelli del razzismo da parte degli israeliani verso gli ebrei neri. Senza contare che Schlomo continua a vivere la sua vita, tutto sommato piena di successi, a scuola, con le ragazze, nella menzogna “originale”, quella di non essere ebreo di nascita. Menzogna che si porterà dietro fino all’età adulta.
Non ultimo, il pensiero continuo di Schlomo per la madre rimasta in Sudan, senza possibilità alcuna di salvezza o di fuga da qualche parte, un pensiero che lo fa parlare continuamente alla luna, dormire sul pavimento, togliersi le scarpe e i calzini non appena può, per tornare idealmente in Etiopia, e scriverle continuamente lettere piene di amore filiale, e rimorso.
Sullo sfondo, dopo la carestia africana, il razzismo israeliano, la guerra in Iraq, i continui tumulti in Terra Santa.

Ci sono film che andrebbero visti da soli. Ci sono film che andrebbero visti da soli, e dopo andrebbero lasciati decantare, sempre in solitudine, per lasciare che tutte le sensazioni che ti ha trasmesso vengano a galla. Un po’ come quando si beve del buon vino, e si assaporano lentamente tutti gli aromi che questo lascia sul palato, e da lì, nella mente. “Vai e vivrai” appartiene a questa categoria, una categoria per niente affollata, ma che premia lo spettatore attento e devoto nella ricerca di queste perle. E’ un film che ti attanaglia le viscere, e che ti fa venire un groppo in gola, tanto che ci vuole qualcosa da bere appena usciti dalla sala.
Parte come un documentario, proprio perché nasce da una pagina di storia contemporanea, sconosciuta ai più, ma molto interessante. Poi prosegue raccontandoci la vita del personaggio principale, interpretato da tre attori diversi (due dei quali, i più grandi, Mosche Abebe e Sirak M. Sabahat, hanno vissuto realmente l’odissea dai Falashas dall’Etiopia a Israele), pieno di cose che gli succedono, anche troppe, se proprio vogliamo cercare il classico pelo nell’uovo; ma è un peccato davvero veniale, da perdonare assolutamente, in un film di questo tipo. Tra l’altro, non risulta mai noioso, nonostante duri due ore e venti minuti. Gli si possono perdonare anche alcune ovvietà, tipo il finale, perché pieno di scene intense, scene che danno modo allo spettatore di scegliersene una da ricordare. Schlomo che si toglie le scarpe all’uscita della scuola appena ce lo lasciano andare da solo, e cammina scalzo e ad occhi chiusi sulla nuda terra, il dialogo tra lui e Papi nel kibbutz, l’improvviso campo lungo finale. Fate voi.

Cast impeccabile, anche tra i debuttanti, bellissima come sempre Yael Abecassis, abbonata ad Amos Gitai (“Kadosh”, “Kedma”, “Alila”), una Isabelle Adjani della porta accanto, meno irreale.
A ricordarci il legame col film precedente, l’altrettanto splendido “Train De Vie”, il nome del protagonista: Schlomo era il matto del villaggio. Un nome ostico, Radu Mihaileanu, ma un talento chiaro.
Imperdibile.

20090729

mister obamaaaaaaaa


Per una volta, sono d'accordo con un articolo de Il Giornale, seppur non con il tono con cui è scritto.

..from the world


Per chi legge solo giornali italiani...


LONDRA: nei piani del governo britannico contro l'emergenza contro l'influenza A, anche la BBC trasmetterà lezioni per i bambini che dovranno rimanere a casa per la chiusura eventuale delle loro scuole, visto che alcuni alunni non hanno accesso a internet a banda larga.


MANAGUA: il Presidente deposto dell''Honduras Manuel Zelaya, fonda, sulle montagne sopra Ocotal (Nicaragua) le Milicias Populares de Resistencia. Assicura che agiranno in modo pacifico.


CARACAS: Chavez ha ordinato il ritiro dell'ambasciatore venezuelano a Bogotà, Colombia, dopo le accuse di Uribe, Presidente colombiano, al Venezuela di vendere armi alle FARC.

il nuovo ordine


Nuevo Orden de la Libertad - Los Natas


Continuano a macinare la loro musica, a cavallo tra stoner rock e doom, con durezza e personalità, gli argentini Los Natas. Pezzi complessi, ma non troppo, introduzioni ad effetto e grandi cavalcate lisergiche e distorte. Las campanadas e la title track mettono subito in chiaro da che parte stiamo andando. Resistiendo dolor è avvincente a spirale e, appunto, dolorosa. Su tutte, Ganar - Perder (vincere - perdere) è la migliore.

Superbi e fuori dal tempo.

returning lost loves


Alila - di Amos Gitai 2003


Giudizio sintetico: si può vedere


Storie di vita ordinarie a Tel Aviv, Israele. Ezra è un impresario (diciamo così) edile in disgrazia, che lavora con mano d'opera cinese (immigrati clandestinamente), separato dalla moglie Mali, ma la notte dorme nel suo furgone (insieme a tre dei suoi fidi "collaboratori" cinesi), posizionandolo davanti alla casa che Mali, adesso, condivide con Ilan, molto più giovane di lei e belloccio. Il figlio di Ezra e Mali, Eyal, spinto soprattutto dal padre, arrivato al momento di partire per la leva obbligatoria, si arruola nelle Forze Speciali, ma dopo poco diserta, gettando nello sconforto i genitori e facendo scattare un'indagine militare e la conseguente ricerca del disertore. Nel frattempo, Ezra lavora (al nero) alla ristrutturazione di un palazzo adiacente ad un parcheggio, palazzo nel quale vivono una serie di personaggi tutti diversi tra loro: Schwartz, un anziano reduce dai campi di concentramento, Linda, la sua domestica filippina, Aviram, uno strano uomo di mezz'età che sta sempre in vestaglia e vive da solo con un cagnolino, Ronit, una poliziotta quantomeno isterica. Non solo. Grazie all'intermediazione di Ilan, Hezi, un personaggio misterioso, schivo e sospetto, affitta un appartamento per incontrarci Gabi, donna anch'essa misteriosa, bella, affascinante (con una vistosa parrucca e una propensione verso gli stivali da dominatrix), che è completamente sopraffatta dal volere di lui. Gabi è una vecchia amica di Mali.


Meno bello, diciamolo subito, dei precedenti lavori di Gitai, personaggio israeliano che mi è sempre rimasto simpatico per il suo essere ebreo e israeliano "vero" non essendo però ottuso, Alila, ispirato dal racconto Returning Lost Loves di Yehoshua Kenaz e scritto con la solita Marie-José Sanselme, è un film corale alla Kieslowski, o, se volete, alla Altman di America Oggi, dove Gitai osa cose strane e simpatiche, come "presentare" il film con la sua voce sui titoli di testa, o anche tecnicamente non semplicissime, come suddividere il film in 40 piani-sequenza dove la macchina da presa attraversa i muri, del suddetto condominio ma non solo, creando una sorta di intimità con i personaggi che, invece, la perdono. C'è di più: c'è la volontà, forse utopica, di provare a dimenticare il conflitto perenne e a dare una vita a chi abita Israele, mostrando storie semplici, anche insignificanti, di tutti i giorni. Anche se, in realtà, non è possibile: gli episodi sono scanditi dai notiziari, dalla televisione e dalla radio, che elenca gli attentati, i morti, i kamikaze. Ci sono alcune scene bellissime e toccanti (una su tutte, forse quella che apparentemente sembra più semplice, quella di Linda che, mentre fa le pulizie, spegne la radio che sta appunto parlando di un attentato, mette musica filippina, canta, sembra felice, poi si ferma, si siede, e fa vagare lo sguardo triste), ma il risultato è diseguale e stenta a compattarsi, nonostante il grande lavoro tecnico e pure ottime interpretazioni.

Alcuni attori "fedelissimi" di Gitai (Liron Levo, Ilan), la bellissima Yael Abecassis (Gabi) che con la sua sensualità rischia di oscurare il resto del cast, e una super Ronit Elkabetz (Ronit, la poliziotta), qui in una specie di mix tra Diamanda Galàs e un personaggio di Almodovar (come nota argutamente Luca Pacilio su Gli Spietati): stenterete a riconoscere in lei la bella e forte Dina de La banda.

Per curiosi delle tecniche di ripresa.

20090728

succhi


Per la serie "droghe pesanti per anziani con fisico provato dalla vita" (ma anche no), vi segnalo un succo di frutta che induce dipendenza, non prima di aver specificato che non ricevo alcun compenso per scrivere questo post. Quindi, se decidete di provarlo, fatelo con moderazione. Io vi ho avvertiti.


La Zuegg ha una linea di succhi di frutta con confezione in vetro (vedi foto), con vastissimo assortimento di gusti, anche piuttosto strani (i due della foto, ad esempio, fanno cagare). Li ho provati un po' tutti, ma vi assicuro che il gusto alla fragola da assuefazione. Io ne sono dipendente da un paio di mesi, e mio nipote, da quando gliel'ho fatto provare circa un mese fa, idem. Lo abbiamo fatto provare anche a mio padre, e anche lui ha dato la sua approvazione. Quindi, Otello, Jumbolo e Alessio tasted & approved.


Provare per credere.

molto amata


Romancero - La Bien Querida


Il combo spagnolo in questione è composto da Ana Fernández-Villaverde alla voce (un po' monocorde, devo dire) e da David Rodríguez (già nei Beef) a fare il resto (ma pare che anche Ana suoni la chitarrina). Si parte dall'alt-country-folk, ma il tutto viene filtrato da un certo pop spagnolo influenzato dalla canzonetta (alla La Oreja de Van Gogh per intenderci).

I risultati sono alterni, piacevoli quando non si sconfina nell'elettronica più stretta e spiazzante. Se capita...

working class hero


La classe operaia va in Paradiso - di Elio Petri 1971


Giudizio sintetico: imperdibile


Nord Italia, anni '70. Ludovico Massa detto Lulù è un operaio. Ha 31 anni, lavora in fabbrica, ad una macchina, ha 16 anni di anzianità, separato dalla moglie con un figlio che vive con un nuovo compagno, vive con Lidia che fa la parrucchiera e con il figlio di lei. Ha alle spalle due intossicazioni da vernice e un'ulcera. In fabbrica è una specie di leccaculo inconsapevole (fino ad un certo punto): è quello su cui gli impiegati misurano la potenziale produttività, in quanto il più bravo e produttivo a qualsiasi macchina. Ha un metodo: si concentra sul culo di una collega che sostiene di essere vergine. Tanto, dice, in fabbrica ci dobbiamo stare, tanto vale lavorare. In fabbrica vige il sistema del "cottimo": oltre la paga base, un sistema di ore straordinarie e produttività che, in pratica, costringe gli operai ad entrare la mattina presto e ad uscire col buio. La vita privata, fuori, è azzerata. Lulù, infatti, a casa si "spegne" davanti alla televisione, e Lidia si lamenta perchè non fanno più l'amore. Lui sostiene che gli "tira" solo la mattina quando entra in fabbrica, e lei non c'è. Lulù non è ben visto dai compagni, che gli rimproverano, in pratica, di lavorare troppo e di dare un motivo al padrone per ricattarli sulla produttività. Lulù se ne frega, ma mostra segni di squilibrio, e lui stesso se ne rende conto. Ci riflette su costantemente, e soprattutto quando va in manicomio a trovare il vecchio collega Militina, impazzito in fabbrica, che sembra molto più lucido di lui. Finchè, un giorno, Lulù perde un dito commettendo un'imprudenza alla macchina dove lavora....


Palma d'Oro a Cannes nel 1972 (ex aequo con Il caso Mattei di Rosi) , questo lavoro del grandissimo Elio Petri ha il respiro visionario di un capolavoro a basso costo, e rivisto a distanza di 37 anni acquista il sapore di una predizione, nonostante all'epoca sviscerasse perfettamente difetti e problematiche sociali di una "civiltà" nel pieno del progresso. Ambientazione e fotografia dipingono una città alienante e alienata, impersonale e massificante, la storia, scritta da Petri insieme al fido Ugo Pirro, è avvincente, allo stesso tempo ridicola, divertente e amarissima, con un finale dichiaratamente onirico e, un piano più sotto, avvilente. Musiche di Morricone, straordinariamente sperimentali, scenografia di Dante Ferretti.

Mariangela Melato è bellissima e sexy, Salvo Randone è un Militina filosofeggiante, Gian Maria Volonté è un Lulù viscerale, allucinato e straordinario. Da sottolineare l'attenzione di Melato e Volonté al dialetto.

20090727

elemosinando rock and roll


Beg For It - Hardcore Superstar


Ecco un altro disco che ti mette in una macchina del tempo e ti porta indietro. In questo caso, si torna più o meno alla fine degli anni '80. Gli svedesi HS, di Goteborg, in pista dal lontano (ormai) 1997, non hanno mai abdicato, mai cambiato strada. Proprio di strada si tratta, visto che la definizione che più si addice alla loro musica è street rock and roll. Guns 'n' Roses, ma anche Hellacopters (ovviamente, siamo in Svezia), un po' di metal qua e là, gusto forte per le melodie e per i riff classici dello street, così come una marea di band che abbiamo ascoltato nel passato erano solite eseguire.

Si parte con un omaggio a Morricone (uno strumentale dal titolo This Worm's For Ennio, e anche se non ci fosse stato un titolo così esplicito, sarebbe stato chiaro ugualmente, ascoltare per credere), e poi non si tira più il fiato fino alla chiusura con Innocent Boy, un mid-tempo a mo' di marcia con un classico assolone da stadio pieno e rullate a non finire. In mezzo, appunto, e come dice il loro album di debutto, It's Only Rock'n'Roll. La title track viene subito dopo l'intro citato poc'anzi, e fa capire su che piano stiamo. Batteria pestona e riff pesanti ma agili. La voce di Jocke non sembra cambiata, in tutti questi anni: un po' cartavetrata-style, quel che ci vuole, ma con una certa potenza e personalità. L'ho sempre pensato come il Rob Thomas dello street. Shades Of Grey è proprio un tuffo nel passato, come una buona parte della loro musica. Nervous Breakdown viaggia speditissima. Hope For A Normal Life alza leggermente il piede dall'acceleratore, con una chitarra che armonicizza il tutto e, dopo l'intro di acustica, "predice" il ritornello, non propriamente una ballad, ma quasi. Don't Care 'Bout Your Bad Behaviour è la mia preferita. Anche Take 'Em All Out mi riporta a standard quasi glam della fine degli anni '80.

Ogni tanto, un passo indietro può essere salutare.

the escape


La fuga - di Eduardo Mignogna 2001


Giudizio sintetico: si può perdere


Buenos Aires, estate 1928. Sette carcerati fuggono dal penitenziario nazionale della Capitale, con un piano congegnato così così, e decisi a dividersi appena fuori dalla prigione, tornando ognuno per la sua strada. C'è una varietà di personaggi incredibile: si va dal truffatore di professione agli assassini, professionali o passionali, e non manca l'innocente in cerca di vendetta, che chiuderà letteralmente il cerchio. La fuga va a buon fine (quasi), ma lo spietato Commissario Duval si metterà sulle tracce dei fuggiaschi da subito, e per loro non sarà facile né tornare alla loro vita, né non farsi trovare.


Altro film tratto da una racconto (omonimo) di Mignogna (La señal), altro premio Goya (El faro del sur), altra mezza delusione. Per carità, la realizzazione è più che dignitosa, fotografia e ricostruzione storica (se si eccettua la panoramica finale di Plaza de la Republica e l'inaugurazione dell'Obelisco, data storica 1936, realizzata al computer, orribile) belle e ineccepibili, prove del cast sufficienti (alcune super, per esempio quella di Norma Aleandro nei panni de "la Varela"), ma l'intreccio è supponente e ridondante, alla fine noioso. Nonostante i continui avanti e indietro nel tempo siano abbastanza comprensibili, finiscono per disturbare anche quelli, e le storie dei sette non sono poi così appassionanti. Quasi due ore sono davvero troppe.

Una curiosità: nel film vediamo, nella parte di Rita, Antonella Costa, figlia dell'attore cileno Martìn Andrade, che nonostante sia nata a Roma ha sempre lavorato in Sud America. L'abbiamo vista sia in Garage Olimpo che in Figli/Hijos di Marco Bechis, oltre che in una particina ne I diari della motocicletta.

20090726

news from the world




Due notizie che mi hanno colpito. Da Internazionale nr. 805




Turchia: è entrato in vigore il divieto di fumo nei bar e nei ristoranti. Dal maggio del 2008 era vietato fumare in uffici, autobus e altri luoghi pubblici. Le misure sono state promosse del primo ministro Recep Tayyip Erdogan.




Islanda: il parlamento ha autorizzato, con 33 voti a favore e 28 contrari, il governo guidato da Jòhanna Sigurdardòttir ad avviare i negoziati di adesione all'Unione Europea. La richiesta è stata subito inoltrata alla presidenza svedese dell'UE e alla Commissione europea. Se i negoziati, che dureranno circa 2 anni, avranno esito favorevole, l'adesione sarà sottoposta a referendum.

tombe (della civiltà)


Leggo questa notizia su Il Giornale on line, e mi domando quale sia il ragionamento di fondo che, secondo quel giornale, un lettore e un elettore dovrebbe fare. Seguitemi.

L'avvocato di Berlusconi assicura che non erano tombe fenicie, quelle ritrovate a Villa Certosa, ma solo "alcuni frammenti di ossa umane (una mandibola, alcune vertebre, un frammento di omero) insieme a una decina circa di frammenti ceramici pertinenti ad un'anfora. L'insieme fa constatare l'originaria presenza di una sepoltura che le qualità della ceramica fanno riferire ad età romana medio-imperiale".

Questo, secondo il ragionamento di Ghedini, dimostra che "Le trenta tombe fenicie non ci sono e il Presidente Berlusconi non poteva in alcun modo citarle - spiega Niccolò Ghedini nella nota - il gruppo Repubblica - l'Espresso non vuole accettare l'evidenza e per difendere le proprie registrazioni, comunque illecite e della cui origine continua a tacere, non consentendo cosi alcuna verifica, ricorda, parzialmente, un articolo apparso sull'Unione Sarda nel 2005 in cui si narrava del ritrovamento nell'area di Villa Certosa di alcuni reperti archeologici".


Evidentemente, Ghedini pensa di avere a che fare con degli imbecilli completi. Il fatto, a mio giudizio, dimostra, ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che il nostro Premier è un bugiardo da bar, e che gli piace sempre e comunque spararle grosse: anche in quel caso, mentre "amoreggiava" con una signorina che di mestiere fa, diciamo, l'imprenditrice di se stessa, anche se con intermediari che la avvicinano a signori facoltosi (che, poi, magari non la pagano), parlando sempre e solo di se stesso, e vantandosi di questo e di quello (con una alla quale magari non gliene importava un fico secco), è arrivato a spacciare il rinvenimento di ossa e frammenti di cercamica in una sua proprietà, per tombe fenicie. E' così difficile?

colombe color ruggine


Kingdom Of Rust - Doves


Per chi non li conoscesse, i Doves sono della zona di Manchester e sono attivi da oltre 10 anni. Questo è il loro quarto lavoro, non contando Lost Sides, una raccolta di B sides del 2003. Hanno sempre tenuto un profilo basso, ma hanno sempre fatto uscire lavori ben fatti e ben suonati. In questo Kingdom giocano, solo in alcune canzoni, con l'elettronica, molto sobriamente, com'è nel loro stile: il disco infatti si apre con Jetstream, una sorta di omaggio a Vangelis e la sua colonna sonora di Blade Runner; di Jetstream infatti, la band dice: "an imaginary song for the closing credits on Ridley Scott's classic". Così come Outsiders si apre citando i Pink Floyd. Ma non pensate di trovarvi davanti a una band di prog-rock: siete solo davanti a tre musicisti intelligenti, che sanno scrivere buone canzoni, e ai quali piace tutto il rock. Winter Hill, ad esempio, è una canzone semplice, ma dalla bellezza cristallina, a partire dalla strofa, passando per il bridge, arrivando al ritornello, tutto splendido. La parte di tastiera lascia senza fiato. Ottima la cavalcata di 10:03, arrangiata da Tom Rowlands (Chemical Brothers, richiamati fortissimamente nella bonus track dell'edizione giapponese Push Me On, tanto che stentavo a riconoscerci i Doves). Spellbound è ipnotica, mentre in House Of Mirrors ricordano un po' gli Oasis, se proprio devo dirlo, ma qui c'è una classe superiore. Lifelines, una ballata atipica, chiude il tutto con un sussurro.

il faro del sud


El faro del sur - di Eduardo Mignogna 1998


Giudizio sintetico: si può perdere


Carmela detta Memé, e Aneta, perdono tutta la famiglia in un incidente d'auto (padre, madre e fratello piccolo), quando Aneta ha all'incirca 6 anni, e Carmela una decina di più. Iniziano un complesso girovagare tra l'Uruguay e l'Argentina, fino a stabilirsi a Buenos Aires, ritrovando tra l'altro l'amicizia sincera di Dolores, una buonissima amica della madre, di suo fratello Fernando, e stabilendo una relazione complessa ma profonda con Andy, un barista che per un periodo dà lavoro alla bisognosa Memé. Memé ha un rapporto conflittuale con gli uomini a partire dall'adolescenza, probabilmente a causa della sua zoppìa, conseguenza dell'incidente, che, nonostante rimanga una bella ragazza, le causa qualche problema, non ultima una sorta di mania depressiva e la ricerca del suicidio per annegamento in acqua. E' questo, insieme alla convivenza con Aneta, e gli immancabili problemi di sopportazione reciproca, il filo conduttore delle loro vite. Aneta rischierà addirittura di essere influenzata dalla sorella maggiore perfino nel suo rapporto con gli uomini.


Film complesso e un po' tirato per le lunghe, vincitore di diversi premi tra cui un Goya spagnolo, diretto dal defunto (nel 2006, vedi recensione de La señal) regista, drammaturgo, scrittore e sceneggiatore argentino Mignogna, che risente forse di troppe mani nella scrittura: non è infatti perfettamente chiaro dove voglia andare a parare nelle sue quasi due ore. Buone le prove recitative, la protagonista Ingrid Rubio (vista in Salvador 26 anni contro) che interpreta Memé, Norma Aleandro nei panni di Dolores (vista nella parte della madre nello splendido Il figlio della sposa), il "solito" Ricardo Darín nei panni di Andy, meravigliose le location, soprattutto quelle in riva all'Atlantico.

20090725

fattoria


Farm - Dinosaur Jr


Ci ho provato. Per diversi giorni. A fare cosa? A pensare qualcosa di carino da scrivere per recensire questo nuovo disco dei Dinosaur Jr. Niente. Mi piace e basta. Potrei ascoltarlo per delle ore, e, come scrive Sam Richards su Uncut "basta far finta che gli ultimi quindici anni non siano mai esistiti" (per essere precisi, lo dice dopo "I Dinosaur Jr sono un buon esempio di come si fa a mettere in piedi un ritorno di successo sulla scena dell'alt rock").

Mi basta sapere che, per esempio, per scrivere un pezzo com Said The People, una sorta di ballad post-grunge, o suonare un assolo come quello di I Don't Wanna Go There, darei sicuramente qualcosa. Divertente Over It.

Nessuna nuova, buona nuova. J Mascis in grande spolvero. Copertina eccezionale.

il segnale


La señal - di Ricardo Darín e Martín Hodara 2007
Giudizio sintetico: si può vedere

Buenos Aires 1952: Corvalán e Santana sono due detective privati che si occupano prevalentemente di tradimenti coniugali, senza esserne esenti. Santana è convinto che prima o poi arriverà un segnale che farà capire loro che è arrivata la svolta, Corvalán è più disilluso: non ama nessuno, tantomeno la sua fidanzata Perla, soffre per suo padre che ha dovuto mettere in un ospizio, per il suo cane che si sta facendo vecchio, per il suo paese in mano al populismo di Perón e signora. Appassionati di corse di cavalli e scommesse, un giorno all'ippodromo Corvalán viene colpito da Gloria, una bella e giovane donna di classe, che sembra non accorgersi di lui, e invece gli commissiona un lavoro che Corvalán non capisce bene. Quando capirà, sarà troppo tardi: vi è coinvolto, sia professionalmente che emozionalmente.

Mai mi sarei aspettato un debutto alla regia così "di genere" da parte di Darín, ma è possibile che addirittura sia stato casuale. Il regista e sceneggiatore Eduardo Mignogna, il film è tratto dal suo romanzo omonimo, e al quale il film è dedicato, è morto alla vigilia dell'inizio delle riprese. Darín si fa assistere dall'aiuto regista Hodara, e nella sceneggiatura da Patricio Vega e dal co-protagonista Diego Peretti (che abbiamo visto nei film di Taratuto), e dirige così un noir, come si evince già dalla locandina, in puro stile Dick Tracy, meno fumettistico, certo, ma perfettamente ambientato nell'Argentina anni '50, con una fotografia tutta ombreggiata e dark, tratteggiando i due personaggi principali, interpretati appunto da lui stesso (Corvalán) e da Peretti (Santana), molto bene, con dialoghi brillanti e un pregevole uso della macchina da presa. Nonostante la prevedibilità della storia, un po' stereotipata, un debutto incoraggiante.

20090724

unlucky


Sfortuna - Fine Before You Came


Il suono nasce da molte influenze, anche se pare già sentito, per chi, per lo meno, è aperto a diversi stili musicali: ci si sentono dentro i Sonic Youth come gli Slint, i Jesus And Mary Chain e (soprattutto) i Fugazi. Si parte dal post-hardcore, si passa dall'emo arrivando allo screamo, usando le chitarre anche senza distorsione. L'approccio è grintoso, la voce graffiante, i testi, che a differenza dei dischi precedenti (2 full lenght e 2 split) passano dall'inglese all'italiano, sono sofferti ed emozionali, colpiscono anche con frasi ad effetto. Leggermente ripetitivi musicalmente, a piccole dosi possono dare la giusta carica. Sono convinto che dal vivo, se riescono a conservare l'energia che "esce" dalle tracce musicali di Sfortuna, devono essere un bel vedere.

Santiago de Chile, 1973


Machuca - di Andrés Wood 2004


Giudizio sintetico: da vedere


Cile, 1973. Gonzalo Infante è un bambino di circa 11 anni che frequenta un prestigioso istituto scolastico in Santiago, il St. Patrick, diretto da padre McEnroe, dove si studia inglese e la retta è piuttosto alta. Gonzalo viene da una famiglia dei quartieri alti: suo padre Patricio, che simpatizza col governo Allende ma non sa decidere da che parte stare, in quanto avere i soldi in un paese povero fa comodo, lavora alla F.A.O.; sua madre Maria Luisa è evidentemente di famiglia bene, e intrattiene una relazione, della quale Gonzalo è testimone imbarazzato, con un uomo molto più anziano, Roberto Ochagavìa, sicuramente non un simpatizzante di Allende, e lei stessa si fa influenzare dai sostenitori dell'opposizione ad Allende. Sua sorella più grande è fidanzata con un coetaneo che sostiene anche lui l'opposizione, ed è mal visto dal padre.

Padre McEnroe, guidato da carità cristiana, spirito democratico, e sostenuto dal governo di ispirazione socialista, d'accordo con la maggioranza dei genitori, per favorire l'integrazione tra le classi sociali, ammette nell'istituto alcuni ragazzi poveri, che certamente non potrebbero permettersi di pagare la retta, che provengono dalle baraccopoli alla periferia di Santiago. Nella classe di Gonzalo, proprio nel banco dietro di lui, arriva quindi Pedro Machuca, un coetaneo vispo e orgoglioso, che dopo la scuola lavora con suo zio e la cugina, Silvana. Gonzalo diventerà molto amico di Pedro, e verrà turbato da Silvana, spavalda e ancora più orgogliosa esponente della classe povera. Attorno a loro, le manifestazioni si fanno sempre più numerose e violente, sia quelle a favore che quelle contro Allende, l'opposizione e l'esercito stringerà sempre più il cerchio, il mercato nero degli alimenti prospera, l'incertezza regna, finchè arriverà l'11 settembre di quell'anno, e niente potrà essere mai più come prima...


Finalmente, dopo diversi anni, sono riuscito a vedere per intero questo film cileno, e, ve lo dico subito, questo Machuca è un film bellissimo e molto ben fatto. Bella l'idea di "guardare" la salita di tensione del 1973 in Cile attraverso gli occhi di un bambino, che poco a poco diventa consapevole ma rimane disarmato e destabilizzato "subisce" gli accadimenti, rimanendone scioccato e, presumibilmente, devastato, ottimo l'espediente narrativo della tentata integrazione nella scuola, ispirata ad un tentativo davvero messo in atto al Saint George's College da parte di Padre Gerardo Whelan, al quale la pellicola è dedicata, bella la fotografia, vagamente decolorata per dare a tutto il film l'atmosfera corretta di quegli anni, semplici i movimenti di macchina, ma attenti, e soprattutto, una attenzione smisurata ai particolari, che aiutano lo spettatore ad entrare nella prospettiva giusta, e misuratissimo il dosaggio di tutti i personaggi e di tutti gli elementi che riescono a descrivere alla perfezione l'escalation che, purtroppo, ci fu e fu dolorosissima. Attori ben diretti, pochi quelli un po' più conosciuti da noi, solo Federico Luppi che abbiamo visto in due film di Guillermo Del Toro, Il labirinto del Fauno e La spina del Diavolo, ma che ha alle spalle una filmografia sterminata in Sud America e in Spagna; bravi i due piccoli, Matìas Quer (Gonzalo) e Ariel Mateluna (Pedro Machuca), bravissima Manuela Martelli (Silvana, la cugina di Pedro), cilena, allora alla sua seconda esperienza cinematografica (è del 1983), ma dopo Machuca "partita" per una carriera interessante, e, pensate, qualche appassionato l'ha vista addirittura in un film italiano, anzi sardo, Sonetàula.

Un film da recuperare.

20090723

simpatia


Per tutti quelli che pensano che Paolo Di Canio sia simpatico e divertente.


Grosseto
«Conosco chi conta».

E Di Canio blocca il traghetto
L’ex calciatore fermato da una pattuglia, litiga con i finanzieri e imbarca l’auto. Denunciato

PORTO SANTO STEFANO (Grosseto) — Al molo d’imbar­co è arrivato alle 11.45, spaval­do come sempre, a bordo della sua Mercedes 320 Cdi bianca, inseguito da qualche turista ro­mano (fede laziale) che lo ha salutato e gli ha chiesto pure qualche autografo. Il solito rito estivo prima delle vacanze al­l’Isola del Giglio, per Paolo Di Canio, l’ex giocatore della La­zio, famoso non solo per la grinta in campo, ma soprattut­to per le simpatie di estrema destra, i saluti romani e qual­che clamorosa scazzottata. Sta­volta però l’inizio delle vacan­ze ha avuto un prologo atipico e l’ex calciatore ha dovuto fare i conti con una pattuglia della guardia di finanza di Porto San­to Stefano che lo ha denuncia­to per resistenza e minacce a pubblico ufficiale.
Le fiamme gialle hanno fer­mato l’auto di Di Canio per un controllo sugli «indici di capa­cità contributiva», un accerta­mento diventato quasi la nor­ma all’Argentario dove quoti­dianamente arrivano vip e ma­gnati con yacht e macchine di lusso. I finanzieri hanno chie­sto a Di Canio documenti per­sonali, libretto di circolazione e di firmare un verbale di accer­tamento. La risposta dell’ex la­ziale, secondo il rapporto della Finanza, sarebbe stata violen­ta. Di Canio ha iniziato a offen­dere gli agenti, minacciandoli di farli trasferire e di chiamare a Roma persone «che conta­no » e pare li abbia apostrofati con una raffica di parolacce.
Infine, dopo aver urlato ai fi­nanzieri di «andare a cercare i brigatisti invece di rompere le scatole agli onesti cittadini», Di Canio ha messo in moto la Mercedes ed è salito sul tra­ghetto. Inseguito dai finanzie­ri, che hanno bloccato l’imbar­cazione carica di passeggeri. «Dovete portarmi via in manet­te, altrimenti io non scendo», avrebbe urlato l’ex calciatore agli agenti. Poi, grazie anche al­l’intervento di alcuni passegge­ri infastiditi dal ritardo del tra­ghetto, si sarebbe convinto ad abbandonare la nave e seguire gli agenti in caserma.
La giornata per l’ex bomber è finita nel modo peggiore: ha perso il traghetto, ha dovuto passare più di un’ora in caser­ma e si è preso pure una de­nuncia. Al Giglio è arrivato nel pomeriggio con tre ore di ritar­do.
Marco Gasperetti

23 luglio 2009

===========================

A proposito della foto, vi ricordo questo.

ossa


Bone Of My Bones - Ebony Bones!


Ebony Thomas, 27enne inglese di colore, è prima di tutto attrice di teatro e di televisione. Come Ebony Bones! firma questo debutto, che tutti hanno già avvicinato a M.I.A. e a Santogold (ora Santigold), a ragione, aggiungo io. Nei pezzi più dance le basi elettropercussive ricordano molto i Basement Jaxx, in quelli più rilassati le tastiere la fanno da padrone, e vengono usate per creare un pathos non indifferente; le chitarre, quando appaiono, sono molto più Nile Rodgers (Chic) che Mick Jones (Clash).

Fieramente girl power (Im Ur Future X Wife), mi piace meno di Santigold, ma non è meno eclettica e, potenzialmente, innovativa. Da osservare, in prospettiva. Voce estesa, versatile e potente.

italiani brava gente


Lion Of The Desert - di Moustapha Akkad 1981


Giudizio sintetico: da vedere


Nell'anno 1929, Mussolini ormai a capo dell'Italia, decide di intensificare gli sforzi dell'esercito italiano impegnato nella campagna di Libia, ormai dal 1911, e di stroncare la resistenza guidata, da quasi 20 anni, dall'insegnante settantenne Omar Al Mukhtar. Dopo 5 Governatori, ne nomina un altro, il Generale Graziani, famoso per essere un sanguinario, e gli affida il compito di mettere fine alla guerriglia libica, sottomettendo il paese africano una volta per tutte. Non sarà impresa semplice, e l'Italia, attraverso gli ordini del Duce e dei suoi Governatori, si macchierà di ogni genere di crudeltà.


Interpretazioni libere ed errori storici a parte (uno su tutti, fino al 1930 il Governatore della Libia fu Pietro Badoglio), dal punto di vista filmico questo Lion Of The Desert rispetta tutti i canoni del colossal, a partire dalla durata (2 ore e 40 minuti), ma non solo. Se teniamo conto che il film è del 1981 e non è statunitense, la realizzazione e la messa in scena sono ad altissimi livelli. Le scene di combattimento sono intense e credibili, la ricostruzione storica piuttosto accurata, le scene corali altrettanto valide; la macchina da presa è usata ottimamente sia nei molti campi lunghi che nello stretto. Il cast è di altissimo livello: un "mistico" Anthony Quinn recita la parte principale, quella di Mukhtar, Oliver Reed lo spietato Graziani, Irene Papas nei panni della moglie di Sharif El Gariani, Raf Vallone è il Colonnelo Diodice, avversario rispettoso di Mukhtar, Gastone Moschin è il Maggiore Tomelli, e Rod Steiger è un soprendentemente convincente Mussolini.

Dal punto di vista storico nazionale, questo film racconta una storia che, se guardata con occhi sgombri da pregiudizi, in quanto italiano, fa venire voglia di andare in Libia e chiedere scusa a chiunque abiti lì per quello che hanno fatto i nostri nonni e bisnonni. Da quello generale, ci mostra il colonialismo in tutta la sua selvaggia supponenza, e le parole di Mukhtar risultano più che profetiche: riflettendoci, potremmo capire qualcosa di più sul fatto che, andando in alcuni paesi stranieri, noi "occidentali" in genere siamo guardati in una certa maniera. Certo, non è colpa nostra, ma non mi risulta che a scuola ci insegnino gli sbagli che abbiamo fatto in passato, in quanto nazione colonialista (delle più scarse, tra l'altro), e sarei curioso di sapere cosa insegnano nelle altre nazioni, quelle che tra l'altro hanno avuto più "fortuna" con le loro avventure coloniali.

Il paradosso più grande, però, è quello che vado a raccontarvi adesso: il regista di questo colossal, siriano, pare sia rimasto ucciso nel 2005 ad Amman, per mano di alcuni kamikaze di Al Qaeda.

Se ci si ferma a riflettere, la stupidità dell'essere umano sembra non avere un fondo.


Per concludere, siccome il film è ancora censurato in Italia, a parte il passaggio su Sky in occasione della visita di Gheddafi in Italia (ne abbiamo parlato qui), pare non esista una versione italiana, e la versione inglese è quantomeno curiosa: si colgono tranquillamente l'inglese maccheronico degli attori italiani, così come colpisce il perfetto inglese di alcuni "arabi" interpretati da attori americani o inglesi (che però in una scena si salutano con un salam aleikum prima di dialogare nella lingua di Albione), mentre nelle scene corali si sentono ordini gridati in italiano da italiani ma anche imperfetto, evidentemente urlati da attori non "tricolori". A parte questo, un film dal respiro epico, da non perdere.

20090722

etichettesss disposable

da oggi
disponibili anche le etichette
nel menù alla vostra sinistra.
olè!

vado

mi piace partire. andare via per un pò di giorni, non interessarmi delle cose italiane e poi quando ritorno vedo un pò cosa è successo..
chi ha comprato l'inter, chi è al governo, chi la data a chi, se ci sono ancora i righeira!
son cose importanti!

ma come?


Silvio Berlusconi, 22/7/2009:



Ma come?


Silvio Berlusconi:


"dimostrerò nero su bianco di essere eticamente superiore agli altri protagonisti della politica europea. (ANSA, 11 gennaio 2002).


"Io sono l'unto del Signore, c'è qualcosa di divino nell'essere scelto dalla gente. E sarebbe grave che qualcuno che è stato scelto dalla gente, l'unto del Signore, possa pensare di tradire il mandato dei cittadini" (25 novembre 1994).


Boh.

e alla fine arriva Polly


Polly Scattergood - Polly Scattergood


Ecco un disco che potete usare per simulare un disco volante, o per sopperire alla perdita del vostro fresbee. Insopportabile signorina piuttosto dotata vocalmente, che però carica di troppa enfasi le sue performance, senza il sostegno di canzoni decenti e senza una direzione precisa.

Un disco senza alcun tipo di costrutto.

la guardia del corpo


El custodio - di Rodrigo Moreno 2006


Giudizio sintetico: si può vedere


Rubén è la guardia del corpo di un Ministro della Repubblica Argentina. La sua vita è totalmente dipendente da quella del Ministro: la mattina si veste a partire dal giubbotto antiproiettile e dalla pistola, dopo di che accompagna il Ministro da quando esce di casa a quando ci torna, aspettando fuori dalle stanze dove lui entra, dalle case che visita, dai ristoranti dove mangia. Conosce ogni suo segreto: i litigi con la moglie, le sue amanti, i capricci della figlia. Rubén nel suo lavoro è preciso, discreto, taciturno, sa stare al suo posto, perfino quando il Ministro stesso gli chiede di ritrarre un diplomatico francese in visita con la moglie: Rubén, infatti, è un ottimo disegnatore.

Rubén è controllato nel suo lavoro quanto insoddisfatto e sull'orlo di una crisi nella sua vita personale, che in effetti è ridotta ai minimi termini, e, per quel poco che esiste, fa schifo: ha una sorella disturbata, una nipote disadattata, pochi parenti e amici con i quali ha un rapporto formalissimo, non ha una compagna e ogni tanto cerca la compagnia di una prostituta. Non ha mai fatto il bagno nell'oceano.


El custodio, pellicola argentina mai uscita in Italia, che ha ricevuto molti premi in America, in Europa è stata premiata a Berlino con l'Alfred Bauer Award e nominata per l'Orso d'Oro, e ha ricevuto la menzione speciale per l'Horizons Award a San Sebastiàn, è uno di quei film che possono dividere. Sicuramente minimalista, colonna sonora pressoché inesistente, dialoghi rari, interazioni del protagonista tendenti allo zero (rimane costantemente sullo sfondo, così come nell'azzeccata locandina), scene riprese da più punti di vista e usate in momenti diversi a sottolineare l'assurda ripetitività del lavoro di Rubén, non è così noioso come si potrebbe immaginare sentendosi raccontare la trama, perchè riesce comunque a creare una crescente tensione verso un evento che deve accadere. E, volenti o nolenti, è un film che, nella sua lentezza e nella sua ripetitività voluta, fa riflettere. Il protagonista, Julio Chàvez, è perfetto.

20090721

home sweet home




Ma, secondo voi, seriamente: in Italia mancano le case?

vorrei

vorrei scrivere della montagna
vorrei scrivere del lago
vorrei scrivere che sono in ferie
vorrei scrivere della francia
vorrei scrivere del nuovo safari 4
vorrei scrivere del caldo e dei mondiali di nuoto
vorrei scrivere dei miei fratelli
vorrei scrivere della lega pro
vorrei scrivere delle poppe grosse
vorrei scrivere delle foto in bianco e nero
vorrei scrivere dei sogni
vorrei scrivere della tecnologia fine a se stessa
vorrei scrivere dei centinaia di libri che compro ogni anno
ma fa caldo e non c'ho voglia.

attratta dal peccato


Abnormally Attracted To Sin - Tori Amos


Ecco l'esempio di un talento straordinario che rischia di andare sprecato, diciamo "in vecchiaia", visto che ormai questo che segna il passaggio dalla Epic alla Universal è l'undicesimo album della rossa. E' vero, è paradossale lamentarsi perchè un'artista di valore assoluto pubblica troppi album troppo lunghi, con troppe canzoni, ma è proprio quello che personalmente mi preoccupa. C'è, appunto, un altissimo rischio di dispersione del talento.

La partenza è più che buona: Give (il primo singolo) e Welcome To England sono due ottimi biglietti da visita. Strong Black Vine insospettisce immediatamente: è identica a Kashmir dei Led Zep. Flavor non è male, ma affiorano segni di stanchezza compositiva.

Not Dying Today esula dai solti schemi, ritmo tribale che poi si trasforma in una specie di rock-song, ma non convince granché. Forse una delle canzoni più brutte di Tori. Per fortuna che subito dopo c'è Maybe California, se non un capolavoro, uno di quei pezzi che Tori sa scrivere per far sognare. E, tanto per dire, il ritornello di Curtain Call, quando Tori canta "You climbed" e poi, cambiando radicalmente tono come solo lei sa fare, "China's wall", fa ancora venire i brividi. Poi, ci risiamo, Fire To Your Plain, Police Me, That Guy, Abnormally Attracted To Sin, 500 Miles (carina, ma niente di più), Mary Jane, Starling; bello invece il trittico di chiusura composto da Fast Horse, Ophelia e Lady In Blue.

Troppo prodotto, troppo arrangiato, ridondante e con diverse canzoni inutili. Detto con amore, Tori.

non importa farne un romanzo


Una storia semplice - di Emidio Greco 1991


Giudizio sintetico: si può vedere


Un informatore farmaceutico veronese si incontra con un anziano professore siciliano, Carmelo Franzò, mentre viaggia sul traghetto che lo porta sull'isola. Siamo alla vigilia della festa di San Giuseppe, e verso sera la stazione di polizia di Monterosso riceve una telefonata da parte del diplomatico in pensione Giorgio Roccella, amico di Franzò, che sostiene di essere rientrato da poco dopo anni nella sua masseria e di aver trovato diverse cose strane (una tra tutte, il telefono con annessa linea installata mentre lui non ne sapeva niente). Il Commissario, del quale Roccella aveva espressamente chiesto, si fa negare, e suggerisce inoltre al Brigadiere Lepri, che raccoglie la chiamata, di non andare a vedere subito, ma l'indomani, perchè potrebbe essere uno scherzo, vista l'assenza prolungata del Roccella; aggiunge di non cercarlo l'indomani, perchè sarà impegnato tutto il giorno in faccende personali.

L'indomani il Brigadiere trova il corpo del Roccella senza vita per un colpo di pistola alla testa, una vecchia pistola accanto al corpo, e sullo scrittorio un foglio con su scritto "Ho trovato.". Come se non bastasse, il giorno dopo un treno viene fermato in aperta campagna dal segnale di rosso sulla linea, e dopo alcune verifiche vengono ritrovati il Capostazione e il manovale uccisi all'interno della stazione. Il Commissario, il Questore, il Procuratore che si affrettavano per chiudere il caso Roccella come un suicidio, sono costretti a rimettere tutto in discussione; i sospetti si spostano sull'informatore farmaceutico veronese, che si ritrova coinvolto suo malgrado, essendo stato inviato dal Capotreno a verificare se il Capostazione stesse dormendo, visto che si trovava a passare con la sua auto nei pressi del treno fermo in campagna.

Il Brigadiere Lepri si insospettisce sempre di più.


Tratto dall'omonimo racconto di Leonardo Sciascia e sceneggiato da Greco insieme al compianto Andrea Barbato, uno degli ultimi film interpretati dal grande Volonté (qui nei panni del professor Franzò, che filosofeggia sull'essere siciliani) è un interessante legal-thriller molto italiano, di impianto teatrale, piuttosto lento e molto ingessato, recitato da tutto il cast, di prim'ordine, degnamente. A questo proposito, ci sono, oltre a Volonté, Ennio Fantastichini (il Commissario), Ricky Tognazzi (il Brigadiere Lepri), Massimo Dapporto (il Questore), Massimo Ghini (l'informatore farmaceutico), Paolo Graziosi (il Colonnello dei Carabinieri), Gianluca Favilla (il Procuratore), Gianmarco Tognazzi (il figlio di Roccella), Omero Antonutti (padre Cricco) e Tony Sperandeo (carabiniere).

Anni dopo, Greco farà un altro film da Sciascia, il pesantissimo Il consiglio d'Egitto; è curioso notare come, nonostante la maggior parte del film in questione (Una storia semplice) si svolga in interni, ed anche questo concorre a renderlo molto teatrale e poco dinamico, la scena del treno fermo risulti interessante e segnali che forse Greco avrebbe potuto anche dare un respiro diverso al tutto. Interessante con limiti e difetti.

20090720

il rubacuori

vabbè
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/silvio-e-patrizia-ecco-gli-audio/2104806&ref=hpsp

cadavere eccellente


Bel pezzo, ci tenevo a farvelo leggere.


Cadaveri iperattivi
Quando lasceremo riposare in pace l’anima irrequieta di Jeff Buckley?


Pochi giorni fa Frédéric Lefebvre, un politico dello stesso partito di Sarkozy, si è beccato una dura reprimenda da re Nicolas per aver suggerito di rimettere al lavoro malati e donne incinte in modo da non farli cadere nella tentazione dell’ozio.
Si è parlato di “attentato ai diritti dei lavoratori”. Ma paragonate ai metodi in vigore nell’industria discografica, le sue proposte non sembrano poi così scandalose. Già, perché nel meraviglioso mondo della musica sono i cadaveri a tirare la carretta. Da Kurt Cobain a Elliott Smith, da Nick Drake a Ian Curtis, i musicisti morti tornano sempre a riempire gli scaffali dei negozi di dischi. Nella categoria degli stacanovisti dell’oltretomba, Jeff Buckley è senz’altro quello che merita la palma dell’impiegato del decennio.
Dopo la sua morte nel 1997, il cantautore prodigio, già spompato quando era in vita dai ritmi del mercato discografico, non ha mai avuto il tempo di godere il riposo eterno. Dal mondo delle tenebre sono sbucati ben otto album di Buckley, tra best of, edizioni deluxe e raccolte di inediti.
Con l’ultimo Grace: live around the world, Buckley conferma di essere il campione della categoria. Un cd e due dvd che meritano senz’altro elogi (funebri), ma che arrivano dopo un tale sfruttamento del suo cadavere che è impossibile ascoltarli senza sentire una fitta alla bocca dello stomaco.

Richard Robert, Les Inrockuptibles

marrubio



Horehound - The Dead Weather




La prima cosa che mi viene da pensare è: speriamo che Jack White (pare si chiami John Anthony Gillis) non sia assalito dalla sindrome di John Frusciante (far uscire almeno 4 dischi all'anno). Per il resto, sono tranquillo, perchè l'ho sempre detto che è un genietto, e che non capivo perchè si portasse dietro quel freno a mano che è Meg (White, non la ex 99 Posse). Beh, evidentemente è uno di buon cuore (è la ex moglie).


Dopo i Raconteurs, e dopo essere riuscito in un'impresa che chiunque avrebbe pensato essere impossibile (far duettare Alicia Keys con una chitarra distorta), adesso tenta un'altra sfida e la vince: decidere di incidere un disco con un'altra band che non esiste, in 24 ore pianificare il tutto, e in pochi giorni incidere un lavoro più che decente. Su come sia andata, troverete ampi reportage dappertutto, mi permetto solo di ricordarvi i membri: Alison Mosshart dei The Kills alla voce, Jack Lawrence (Raconteurs e Greenhornes) al basso, Dean Fertita (tastiere nei Queens Of The Stone Age ma pure nei Raconteurs in tour) alla chitarra e alle tastiere, Jack White alla batteria e ogni tanto alla voce, ma insomma, i membri suonano un po' di tutto. Con un po' di sana cattiveria, si potrebbe dire che più che una sorta di Re Mida dell'indie-rock, Jack è una specie di crocerossina per pseudo-artiste: infatti, è riuscito a far incidere un disco decente ad Alison (ahahaha!).


Il lavoro è sporco come volevano, si ispira al blues delle radici elettrificandolo, a Jimi Hendrix e ai Led Zeppelin, e Jack suona la batteria un po' alla Brad Wilk (RATM), come nota correttamente Claudio Sorge su Rumore, anche se lui dice di essere ispirato dalla black music quando suona la batteria, così come è influenzato dal blues quando suona la chitarra. Probabilmente la verità sta nel mezzo, e non essendo un mostro tecnicamente, alla batteria, quello è il modo più energico ma semplice di suonarla, e il risultato alla fine, convince e dà un'impronta particolare al tutto, distaccando un po' il risultato da quello dei Raconteurs. E' un disco che suona come già sentito, e non perchè ci sono diverse cover (impressionante New Pony di Dylan), ma per motivi ovvi di influenze e stili. E' piacevole da ascoltare, senza dubbio.


Ma alla fine mi rimane sempre un interrogativo. Essendo quel genietto che è, Jack, se decidesse di impegnarsi in qualcosa di veramente innovativo, sono convinto che riuscirebbe a scolpirsi un posto nel firmamento del rock. O no?

tenacious d in the pick of destiny


Tenacious D e il destino del rock - di Liam Lynch 2007


Giudizio sintetico: solo per fan di Jack Black


JB fin da piccolo è un fan scatenato del rock, ma la famiglia non lo accetta, quindi se ne va di casa direzione Hollywood, su suggerimento di Dio (Ronnie James), per cercare fortuna seguendo la sua strada. Appena arrivato, incontra KG, un chitarrista straordinario che suona in strada ed ha in cantiere un disco solista. JB, per una strana serie di eventi, finisce a vivere a casa sua, e scopre che il disco solista e il fatto che conosca tutti i componenti dei Black Sabbath, come KG gli ha raccontato, sono tutte balle: KG è anche lui un bambinone con la passione del rock. Nasce un sodalizio che pare indistruttibile, i Tenacious D, che vuole conquistare il mondo a colpi di rock. Ma manca qualcosa. Ed ecco la folgorazione: il plettro del destino. Un dente di Satana in persona, trasformato in plettro, che trasforma un semplice musicista in un Dio del rock.


Jack Black e Kyle Glass, attori comici ma pure buoni musicisti, nei Tenacious D appunto, raccontano in maniera romanzata e grottesca la nascita del loro sodalizio; il film è addirittura pretenzioso, ricalcando il racconto epico in atti (presentati con i tarocchi), e citando musica (come del resto fanno i Tenacious D in realtà), famosi videoclip (l'incipit del film, che sembra proprio un clip dei Twisted Sister) e soprattutto film cult (Arancia meccanica, The Blues Brothers, tutte le rock-opera in generale). Ma, a parte la musica, ottima e piacevole, e i camei (Meat Loaf, Ben Stiller, Tim Robbins, Dave Grohl, quest'ultimo davvero irriconoscibile) disseminati lungo tutto il film, questo Tenacious D e la storia del rock (che tradotto alla lettera sarebbe stato invece "Tenacious D e il plettro del destino", ma forse la distribuzione italiana ha pensato che gli italiani non sapessero che cos'è un plettro...) risulta davvero un film debole, a tratti quasi noioso, con una comicità poco graffiante. Insomma, una vera delusione.

20090719

lontano


Far - Regina Spektor


Forse, il titolo del quinto album della ventinovenne signorina nata a Mosca, vuole significare che siamo lontani dai tempi in cui le sue composizioni erano sbilenche, asimmetriche, osannate dalla critica ma piuttosto ostiche al pubblico. Forse. Perchè anche questo disco, che comincia con The Calculation, che ricalca un po' il suo singolone del 2006 Fidelity, non è affatto pop in senso "da classifica". Basta ascoltare il primo singolo estratto da questo disco, Laughing With, una ballata sghemba ma piena di fascino. E' un disco che ha bisogno di essere ascoltato e ri-ascoltato, perchè sono poche le canzoni che affascinano al primo ascolto. E, sinceramente, ogni tanto c'è ancora bisogno di dischi che nascondono qualcosa al primo ascolto.

questo è l'hard rock


This is Spinal Tap - di Rob Reiner 1984


Giudizio sintetico: da vedere


Gli Spinal Tap sono una band hard rock inglese in parabola discendente. Marty DiBergi è un regista loro fan che decide di raccontare, con un documentario, il loro tour statunitense del 1982.


Rob Reiner inventa il mockumentary scimmiottando ironicamente The Last Waltz (fino a citarlo apertamente nei dialoghi), e mostrando, proprio al suo debutto, un talento che, purtroppo, in seguito andrà più o meno sprecato: la sua cattiveria si rivelerà ancora solo in Misery non deve morire (anche se, con tutt'altro registro, Harry, ti presento Sally rimane una pietra miliare del cinema moderno). Sviscera e meleggia senza pietà il mondo dell'hard rock, con l'aiuto di Christopher Guest, Michael McKean e Harry Shearer, protagonisti, sceneggiatori e pure discreti musicisti, mettendone a nudo la pochezza intellettuale, con una gag dietro l'altra e performance attoriali irresistibili (i tre di cui sopra, ma anche il resto del cast).

Perfino i fans dell'hard rock stesso, come il sottoscritto, non possono fare a meno di divertirsi e ridere fino alle lacrime davanti ad un film che è una specie di capolavoro.

20090718

ecuador


Per la serie "notizie introvabili sui giornali italiani" (dove invece troviamo chicche come

La moglie di Kakà diventa «pastora»Il sermone: «Segno di Dio i soldi del Real»
La compagna del calciatore brasiliano: «Mentre lui segna gol noi schiacceremo la testa al diavolo»

oppure

Con decolleté e minigonna non si entra
San Pietro? No, è il ritiro del Napoli
Vietato l'accesso alle donne con abiti troppo provocanti Una ragazza costretta al cambio-short col fidanzato

ma anche

La Yespica rompe con Ferrari: "Non va bene"), eccone un'altra da El Paìs, piuttosto interessante (traduco):


Dove le FARC sono le Forze Armate "illegali" della Colombia, e Correa è il Presidente dell'Ecuador.

barba e capelli




Quelle e quelli che non sono stati avvertiti non se ne sono accorti, perchè ho diluito i post scritti nel tempo (avrete recensioni di film introvabili fino alla fine di luglio). Ma la verità è che questa settimana ero in malattia: sul certificato la mia dottoressa ha scritto "lombalgia". Ho (avevo) la schiena nuovamente bloccata, nonostante le molte vasche in piscina degli ultimi 4 mesi. Quindi, lunedì sono andato a lavoro e la mia capa si è intenerita al punto da costringermi ad andare a casa e a rimanerci, salvo richiamarmi ieri perchè, se lunedì prossimo non fossi rientrato, avrebbe dovuto forzare un collega a non andare in ferie.


Vabbè. Punture con un cocktail di Miotens e di un'altra roba che non ricordo più, bustine di Synflex per quando il dolore si faceva insopportabile. Le punture me le fa mio padre, che stanotte è partito per una crociera nelle capitali del Nord Europa.


Il divano non ce la fa quasi più. Stando a sedere, invece, quando mi rialzavo non riuscivo a riassumere la posizione eretta: una specie di nuovo Australopithecus. Forse inconsciamente, questa reminescenza dell'impossibilità di raggiungere l'erezione (del corpo), mi ha spinto ad un esperimento: a partire dal lunedì, fino a ieri, non mi sono rasato né il viso, né la testa, e neppure mi sono lavato. Effettivamente, ieri sera dopo l'ora di cena facevo schifo. Barba molto lunga e molto bianca, capelli idem, con attaccatura altissima, già martedì mio nipote se n'era uscito guardandomi con "c'hai i brillantini in testa" (erano i riflessi bianchi). Puzzavo discretamente. Assomigliavo vagamente all'attore spagnolo Luis Tosar (I lunedì al sole, Ti do i miei occhi), e, guardandomi allo specchio, non è che non mi riconoscessi, ma ho avuto delle rimembranze della versione precedente di me stesso, prima di iniziare il percorso di rasatura quotidiana, che ormai perdura da circa un anno. Con questo, non voglio dire che sono bello, quando mi raso ogni giorno: come già detto, ce li ho gli specchi in casa. Diciamo che posso mettere nel mio eventuale book, alcune versioni differenti di me stesso. A livello (poco) estetico. Dovrei adesso fare una approfondita indagine a livello umano. Chissà che non scopra qualcosa di stupefacente.




PS sto un po' meglio. E ieri sera ho fatto la toilette completa. Ho iniziato di nuovo ad usare i prodotti da metrosexual. Nelle foto: a sinistra Luis Tosar, a destra io al matrimonio di Garaz. La foto è di Filo.

ritorno a Tessalit


Imidiwan: Companions - Tinariwen


E' un peccato che, ai miei orecchi, i Tinariwen abbiano perso molta della loro carica innovativa e sorprendente: questo nuovo disco suona molto simile al precedente Aman Iman e, soprattutto, poco vario. Attenzione, però, la loro carica blues africana (quindi, radice delle radici), mescolata con la musica araba che, evidentemente, come la razza umana ha il suo inizio sempre lì, nel continente nero, è intatta, e l'ascolto di questo nuovissimo Imidiwan rimane un'esperienza soprattutto sensoriale intensa che ti trasporta in una dimensione parallela, così come i loro concerti. L'uso di sostanze leggermente stupefacenti non guasta.

Più che canzoni, preghiere. Più che musica, poesia.
PS copertina stupenda

invisibili


Invisibles - di Isabel Coixet, Wim Wenders, Fernando Léon De Aranoa, Mariano Barroso, Javier Corcuera 2007


Giudizio sintetico: da vedere


Voluto da MSF (Médecins Sans Frontières) e prodotto da Javier Bardem, questo documentario ad episodi (cinque), diretto da 5 registi bravi, uno famosissimo (Wenders), una famosa (Coixet, Lezioni d'amore, La vita segreta delle parole, La mia vita senza me), uno famoso in patria (Léon de Aranoa, I lunedì al sole, Princesas), gli altri due piuttosto sconosciuti (lo spagnolo Barroso e il peruviano Corcuera), ha il merito di portare alla conoscenza del pubblico 5 storie di gruppi di persone "invisibili" ai più, vittime di conflitti armati poco noti o di malattie per le quali il rimedio ci sarebbe, ma non è commercialmente appetibile. Il Chagas boliviano, trattato attraverso l'espediente (ottimo) di alcune lettere scritte da una boliviana rimasta in patria alla familiare emigrata in Spagna (Cartas a Nora della Coixet), le voci dirette delle vittime (che appaiono e scompaiono con continue dissolvenze) di stupri orrendi nella Repubblica Democratica del Congo (Invisible Crimes di Wenders), i Night Commuters del Nord Uganda, bambini che si riuniscono per dormire in rifugi appositi per non essere catturati dalle milizie (Good Night, Ouma di Léon de Aranoa), la malattia del sonno dovuta alla mosca tse-tse nella Repubblica Centrale Africana (El sueño de Bianca di Barroso), il ritorno al loro villaggio di origine nella Colombia rurale di alcuni campesinos per dare un segnale forte contro i paramilitari e la guerriglia (La voz de las piedras di Corcuera), tutte queste storie sono dolorose, commoventi, istruttive, toccanti, incredibili ma vere, e fanno di questo documentario, molto valido dal punto di vista tecnico e artistico, un'opera davvero interessante. Purtroppo, non mi risulta ne esista una versione italiana. Ed è un peccato, credetemi.