This Here Defeat - Scott Matthew (2015)
Come leggerete dovunque vogliate, a proposito del nuovo e sesto album di Scott Matthew, non c'è assolutamente niente di diverso dentro This Here Defeat rispetto, per dire, a Gallantry's Favorite Son (2011). Belle canzoni, delicate e sofferte, a cavallo tra pop raffinato, cantautorato d'alta classe, jazz e baroque pop, cantate con quella voce un po' così, roca ma calda, avvolgente e romantica perfino. Rarefatto dal punto di vista degli arrangiamenti e dell'uso degli strumenti, mai urlato, sarà sempre uguale a se stesso, ma è capace di scrivere canzoni impeccabili e di riscaldarti il cuore. Un amico per i momenti di sconforto, pronto a consolarti e ad abbracciarti.
Scott Matthew is, and maybe will always be, equal to itself, if you already knows his style and his precedents work. He is gentle, soft, he write and sings about defeats and broken hearts. He use his voice as an instrument, and maybe for that reason, all the other instruments are used very sparingly, but wisely. His way to make music is classic, and for this reason, will never die. Listen to "Ode", and be happy to exist, just to hear good music.
No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.
20150430
20150429
bombarolo
Blaster - Scott Weiland and The Wildabouts (2015)
Beh, spesso, come tutte le cose, anche la musica cambia semplicemente cambiando il punto di vista. Se mi metto "davanti" all'ennesimo disco solista di Scott Weiland, stavolta con i The Wildabouts (Tommy Black al basso, Danny Thompson alla batteria, Jeremy Brown alla chitarra, morto il giorno precedente all'uscita di questo stesso disco), soprattutto dopo averne letto una recensione entusiastica, rimango in parte deluso, principalmente per due motivi (strettamente collegati), che naturalmente vado ad elencarvi.
Il primo è che da un innegabile talento come quello di Weiland, checché ne dicano altri critici ben più accreditati di me, sarebbe altrettanto innegabile attendersi molto, molto di più che un pugno di canzonette rock infarcite di cliché (Bleed Out su tutte, forse) del genere stesso.
Il secondo è che, allargando il discorso, e scorrendo un poco la biografia di Weiland, è proprio un peccato vedere che spesso, i talenti si sprecano con cose alla fine vacue come le droghe. La chiudo qui perché non vorrei sembrare troppo puritano: non è da me.
Il disco ha i suoi momenti, è riconoscibilissimo lo stile di Weiland e tutto il suo bagaglio musical-culturale, potremmo pure promuovere pezzi come Modzilla e Blue Eyes, ma è davvero, davvero poco.
Blaster, fourth solo album of the ex singer of Stone Temple Pilots and Velvet Revolver, Scott Weiland, is a really mediocre rock album. Only few songs are decent. It's a pity see and listen such a waste of talent.
Beh, spesso, come tutte le cose, anche la musica cambia semplicemente cambiando il punto di vista. Se mi metto "davanti" all'ennesimo disco solista di Scott Weiland, stavolta con i The Wildabouts (Tommy Black al basso, Danny Thompson alla batteria, Jeremy Brown alla chitarra, morto il giorno precedente all'uscita di questo stesso disco), soprattutto dopo averne letto una recensione entusiastica, rimango in parte deluso, principalmente per due motivi (strettamente collegati), che naturalmente vado ad elencarvi.
Il primo è che da un innegabile talento come quello di Weiland, checché ne dicano altri critici ben più accreditati di me, sarebbe altrettanto innegabile attendersi molto, molto di più che un pugno di canzonette rock infarcite di cliché (Bleed Out su tutte, forse) del genere stesso.
Il secondo è che, allargando il discorso, e scorrendo un poco la biografia di Weiland, è proprio un peccato vedere che spesso, i talenti si sprecano con cose alla fine vacue come le droghe. La chiudo qui perché non vorrei sembrare troppo puritano: non è da me.
Il disco ha i suoi momenti, è riconoscibilissimo lo stile di Weiland e tutto il suo bagaglio musical-culturale, potremmo pure promuovere pezzi come Modzilla e Blue Eyes, ma è davvero, davvero poco.
Blaster, fourth solo album of the ex singer of Stone Temple Pilots and Velvet Revolver, Scott Weiland, is a really mediocre rock album. Only few songs are decent. It's a pity see and listen such a waste of talent.
20150428
Perù - Febbraio 2015 (17)
Dopo una navigazione di quasi due ore, arriviamo all'isola di Taquile. Gli abitanti sono abili artigiani tessili, l'isola è piccola, ma abbastanza grande da permettere un minimo di agricoltura, e gli isolani, che vestono abiti tradizionali, hanno abbracciato il turismo e l'economia sostenibile. La giornata è volta al bello, e il sole picchia forte. Una camminata verso la piazza principale, abbastanza ripida, ci porta verso il luogo dove pranzeremo. Aspettando il pranzo la guida, insieme a locali, ci spiegano usi, costumi e storia locali. Dopo pranzo, visita alla piazza principale, e ritorno al molo di attracco per il ritorno. Ancora foto di Dria a seguire.
La nostra guida |
Il desco. |
La piazza principale. |
20150427
The German Doctor
Wakolda - di Lucía Puenzo (2013)
Giudizio sintetico: si può vedere (3,5/5)
Argentina, 1960. In procinto di attraversare la strada che attraversa il deserto patagonico, un misterioso dottore tedesco viene attratto da una bambina argentina. La bambina, Lilith, è la figlia di mezzo di Eva ed Enzo Raggi; Lilith ha due fratelli, quindi, uno più grande ed uno più piccolo. La madre, Eva, di origini tedesche, è incinta. La famiglia se ne sta andando da Buenos Aires per riaprire la locanda di famiglia a Bariloche, da loro ereditata. Il dottore, diretto anch'esso a Bariloche, chiede gentilmente a Enzo se li può seguire, per fare quella strada pericolosa in carovana. Enzo acconsente. Arrivati a destinazione, la famiglia Raggi saluta il dottore, ma ormai il tedesco (che viene accolto in città dalla comunità tedesca, numerosissima, come una celebrità straordinaria e viene trattato con un rispetto e un servilismo senza eguali) è talmente preso da Lilith e dalla sua famiglia, che dopo pochi giorni insisterà per essere il primo ospite della locanda. La morbosa attrazione tra il dottore e Lilith è reciproca; Enzo è diffidente, Eva è indecisa. Il dottore si insinuerà nella famiglia con le sue maniere affettate ed i suoi soldi.
Terzo lungometraggio da regista per l'argentina figlia d'arte, tratto dal suo quinto libro, omonimo (aggiungeteci che ha 38 anni ed è piacente, capirete perché voglia sposarla). Innegabilmente attratta da storie morbose, con giovani donne protagoniste (XXY, El Niño Pez), stavolta punta il dito contro la connivenza argentina coi reduci del nazional-socialismo tedesco, e indubbiamente fa centro. Il film è, a dispetto della fotografia molto bella, aiutata dai grandiosi scenari patagonici e pre-andini dell'Argentina, disturbante e spiazzante. Il casting è azzeccatissimo nei protagonisti: Alex Brendemuhl (attore spagnolo di padre tedesco) è un freddissimo Josef Mengele, mentre Florencia Bado, presumibilmente debuttante, è una Lilith pressoché perfetta. Non male anche il contorno. Diego Peretti (Enzo), attore argentino solitamente più portato per la commedia e del quale vi ho parlato più volte, è bravo come sempre, Natalia Oreiro (Eva), attrice uruguaiana vista in Infancia Clandestina, si conferma ottima non solo per le telenovelas; una menzione la merita anche Elena Roger (la prima argentina a recitare Evita a Broadway) nei panni di Nora Eldoc.
Insomma, il film è buono, forse buonissimo, ma a me che quasi contemporaneamente ho letto il libro, ha sorpreso non poco il "taglio" di diverse parti che ritenevo importanti. Anche la regista ne ha parlato come sacrifici necessari. Come che sia, il messaggio arriva ugualmente, la già citata denuncia di connivenza è forte e chiara.
Giudizio sintetico: si può vedere (3,5/5)
Argentina, 1960. In procinto di attraversare la strada che attraversa il deserto patagonico, un misterioso dottore tedesco viene attratto da una bambina argentina. La bambina, Lilith, è la figlia di mezzo di Eva ed Enzo Raggi; Lilith ha due fratelli, quindi, uno più grande ed uno più piccolo. La madre, Eva, di origini tedesche, è incinta. La famiglia se ne sta andando da Buenos Aires per riaprire la locanda di famiglia a Bariloche, da loro ereditata. Il dottore, diretto anch'esso a Bariloche, chiede gentilmente a Enzo se li può seguire, per fare quella strada pericolosa in carovana. Enzo acconsente. Arrivati a destinazione, la famiglia Raggi saluta il dottore, ma ormai il tedesco (che viene accolto in città dalla comunità tedesca, numerosissima, come una celebrità straordinaria e viene trattato con un rispetto e un servilismo senza eguali) è talmente preso da Lilith e dalla sua famiglia, che dopo pochi giorni insisterà per essere il primo ospite della locanda. La morbosa attrazione tra il dottore e Lilith è reciproca; Enzo è diffidente, Eva è indecisa. Il dottore si insinuerà nella famiglia con le sue maniere affettate ed i suoi soldi.
Terzo lungometraggio da regista per l'argentina figlia d'arte, tratto dal suo quinto libro, omonimo (aggiungeteci che ha 38 anni ed è piacente, capirete perché voglia sposarla). Innegabilmente attratta da storie morbose, con giovani donne protagoniste (XXY, El Niño Pez), stavolta punta il dito contro la connivenza argentina coi reduci del nazional-socialismo tedesco, e indubbiamente fa centro. Il film è, a dispetto della fotografia molto bella, aiutata dai grandiosi scenari patagonici e pre-andini dell'Argentina, disturbante e spiazzante. Il casting è azzeccatissimo nei protagonisti: Alex Brendemuhl (attore spagnolo di padre tedesco) è un freddissimo Josef Mengele, mentre Florencia Bado, presumibilmente debuttante, è una Lilith pressoché perfetta. Non male anche il contorno. Diego Peretti (Enzo), attore argentino solitamente più portato per la commedia e del quale vi ho parlato più volte, è bravo come sempre, Natalia Oreiro (Eva), attrice uruguaiana vista in Infancia Clandestina, si conferma ottima non solo per le telenovelas; una menzione la merita anche Elena Roger (la prima argentina a recitare Evita a Broadway) nei panni di Nora Eldoc.
Insomma, il film è buono, forse buonissimo, ma a me che quasi contemporaneamente ho letto il libro, ha sorpreso non poco il "taglio" di diverse parti che ritenevo importanti. Anche la regista ne ha parlato come sacrifici necessari. Come che sia, il messaggio arriva ugualmente, la già citata denuncia di connivenza è forte e chiara.
20150426
Perù - Febbraio 2015 (16)
Venerdì 13 febbraio
Siamo finalmente ad una delle tappe fondamentali di questo viaggio: il Titicaca. Facciamo una piccola premessa: i problemi legati all'altura si fanno importanti. Il giorno precedente siamo stati entrambi affaticati, io con poco appetito, un po' di nausea. La notte, insonne. E non per mancanza di sonno, anzi, ma per una sorta di stato d'ansia, qualcosa a metà fra la paura di soffocare e l'impossibilità di stare sdraiato. Provo a risolvere dormendo seduto, ma come immaginerete non è il massimo. Arrivo alla mattina in qualche modo, tra l'altro, la notte la temperatura scende parecchio (siamo quasi a 4.000 metri sul livello del mare); la colazione al Totorani è decente, e più o meno all'ora prevista arriva il minibus che ci accompagna al porto, dove saliamo sull'imbarcazione che ci porterà alle due tappe dell'escursione di oggi. Un po' d'attesa, l'imbarcazione (un motoscafo piuttosto grande, con una quarantina di posti a sedere coperti) è piena, ci intrattiene un musicista locale con un paio di pezzi e una chitarrina particolare. Ci prende poi "in consegna" la guida di oggi, un ragazzo che parla un inglese americano con una mimica e una cadenza da afroamericano; come tutte le guide che abbiamo trovato, è piuttosto teatrale, mette enfasi nei suoi racconti e nelle sue spiegazioni. Prima navigazione di neppure venti minuti, e siamo alle isole flottanti del popolo Uros. Beh, signori, sarà una roba turistica, ma solo pensare che c'è gente che vive così è incredibile. Poche famiglie, di etnia appunto uros, che vivono di caccia, pesca e turismo, su isole artificiali fatte di giunco (totora), e che si governano eleggendo i capifamiglia a capo dell'isola a turno. Ovviamente, i missionari sono arrivati anche qui, e questa è la chiesa (con annesso campo da calcio). Foto di Dria.
La visita è gradevole, a parte lo stupore di trovarsi in un luogo così fuori da ogni concezione, almeno per noi. Si sbarca, ci fanno radunare in semicerchio, facendoci sedere su rotoli di giunco coperti da coperte, e il capo dell'isola in carica ci spiega, con la traduzione della guida (non che non sappia il castigliano, è giusto per fare un po' di scena), come si costruisce un'isola flottante, come si usa il giunco, che loro usano perfino per mangiare; com'è strutturata la comunità, eccetera. Poi ci offrono un giro di 10 minuti su una delle loro imbarcazioni (per un piccolo extra), le donne allestiscono un piccolo mercatino con il loro artigianato, i bambini scorrazzano di qua e di là.
Un paio di foto mie:
Si riparte per la prossima tappa.
Siamo finalmente ad una delle tappe fondamentali di questo viaggio: il Titicaca. Facciamo una piccola premessa: i problemi legati all'altura si fanno importanti. Il giorno precedente siamo stati entrambi affaticati, io con poco appetito, un po' di nausea. La notte, insonne. E non per mancanza di sonno, anzi, ma per una sorta di stato d'ansia, qualcosa a metà fra la paura di soffocare e l'impossibilità di stare sdraiato. Provo a risolvere dormendo seduto, ma come immaginerete non è il massimo. Arrivo alla mattina in qualche modo, tra l'altro, la notte la temperatura scende parecchio (siamo quasi a 4.000 metri sul livello del mare); la colazione al Totorani è decente, e più o meno all'ora prevista arriva il minibus che ci accompagna al porto, dove saliamo sull'imbarcazione che ci porterà alle due tappe dell'escursione di oggi. Un po' d'attesa, l'imbarcazione (un motoscafo piuttosto grande, con una quarantina di posti a sedere coperti) è piena, ci intrattiene un musicista locale con un paio di pezzi e una chitarrina particolare. Ci prende poi "in consegna" la guida di oggi, un ragazzo che parla un inglese americano con una mimica e una cadenza da afroamericano; come tutte le guide che abbiamo trovato, è piuttosto teatrale, mette enfasi nei suoi racconti e nelle sue spiegazioni. Prima navigazione di neppure venti minuti, e siamo alle isole flottanti del popolo Uros. Beh, signori, sarà una roba turistica, ma solo pensare che c'è gente che vive così è incredibile. Poche famiglie, di etnia appunto uros, che vivono di caccia, pesca e turismo, su isole artificiali fatte di giunco (totora), e che si governano eleggendo i capifamiglia a capo dell'isola a turno. Ovviamente, i missionari sono arrivati anche qui, e questa è la chiesa (con annesso campo da calcio). Foto di Dria.
La visita è gradevole, a parte lo stupore di trovarsi in un luogo così fuori da ogni concezione, almeno per noi. Si sbarca, ci fanno radunare in semicerchio, facendoci sedere su rotoli di giunco coperti da coperte, e il capo dell'isola in carica ci spiega, con la traduzione della guida (non che non sappia il castigliano, è giusto per fare un po' di scena), come si costruisce un'isola flottante, come si usa il giunco, che loro usano perfino per mangiare; com'è strutturata la comunità, eccetera. Poi ci offrono un giro di 10 minuti su una delle loro imbarcazioni (per un piccolo extra), le donne allestiscono un piccolo mercatino con il loro artigianato, i bambini scorrazzano di qua e di là.
Il porto di Puno; foto di Dria, così come le seguenti. |
Un paio di foto mie:
Si riparte per la prossima tappa.
20150425
Top 5 cover version
Da una delle classiche sfide lanciate dall'amico Filo (che soffre della sindrome di Nick Hornby), le mie cinque migliori cover version.
Céline Dion che rifà The Power of Love di Jennifer Rush. Titilla il mio lato femminile da sempre. Céline è la preferita dalle trans, ma adesso sta soffrendo tremendamente la concorrenza di Beyoncé. Un'artista (Céline) dal talento sconfinato at her best.
The Hellacopters che rifanno All American Man dei Kiss. Dei grandi che omaggiano una delle loro più grandi fonti di ispirazione. Due delle mie band preferite ever.
Per rimanere in tema: Ace Frehley che rifà New York Groove di Russ Ballard (scritta per gli Hello). Probabilmente il pezzo che mi ha fatto diventare un metallaro. Comprare il 45 giri di questo pezzo è stato uno di quei gesti che mi hanno cambiato la vita. Non sto scherzando.
I Van Halen che rifanno Where Have All the Good Times Gone! di Ray Davies. Tra l'altro, in quel disco (Diver Down) ci sono altre cover, probabilmente più eclatanti. Ma il bridge di questo pezzo mi mette i brividi. E mi riporta ai bei tempi andati, quelli in cui ancora si compravano i dischi originali in cassetta.
I Roxy Music che omaggiano John Lennon e la sua Jealous Guy a poco tempo dalla sua morte. Il classico caso (mi viene in mente pure All Along the Watchtower di Dylan che "diventa" di Jimi Hendrix) di una band che dal rispetto che porta al pezzo non suo, diventa proprietaria del pezzo stesso. Impossibile non fischiettare.
Céline Dion che rifà The Power of Love di Jennifer Rush. Titilla il mio lato femminile da sempre. Céline è la preferita dalle trans, ma adesso sta soffrendo tremendamente la concorrenza di Beyoncé. Un'artista (Céline) dal talento sconfinato at her best.
The Hellacopters che rifanno All American Man dei Kiss. Dei grandi che omaggiano una delle loro più grandi fonti di ispirazione. Due delle mie band preferite ever.
Per rimanere in tema: Ace Frehley che rifà New York Groove di Russ Ballard (scritta per gli Hello). Probabilmente il pezzo che mi ha fatto diventare un metallaro. Comprare il 45 giri di questo pezzo è stato uno di quei gesti che mi hanno cambiato la vita. Non sto scherzando.
I Van Halen che rifanno Where Have All the Good Times Gone! di Ray Davies. Tra l'altro, in quel disco (Diver Down) ci sono altre cover, probabilmente più eclatanti. Ma il bridge di questo pezzo mi mette i brividi. E mi riporta ai bei tempi andati, quelli in cui ancora si compravano i dischi originali in cassetta.
I Roxy Music che omaggiano John Lennon e la sua Jealous Guy a poco tempo dalla sua morte. Il classico caso (mi viene in mente pure All Along the Watchtower di Dylan che "diventa" di Jimi Hendrix) di una band che dal rispetto che porta al pezzo non suo, diventa proprietaria del pezzo stesso. Impossibile non fischiettare.
20150424
Qui è dove ti lascio
This Is Where I Leave You - di Shawn Levy
Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)
New York. Judd Altman lavora in una radio della città. Uomo medio con una bella moglie, all'improvviso scopre che proprio lei, Quinn, lo sta tradendo col suo capo, Wade, da circa un anno. Judd nauseato se ne va di casa, e quasi immediatamente lo chiama la sorella Wendy, dicendogli che il padre, Mort, è appena morto. Tutta la famiglia si riunisce nella casa di famiglia per celebrare il funerale, dove incontrano i vecchi vicini, Horry e Linda Callen. Horry vive ancora con la madre, visto che da giovane ha avuto un danno cerebrale, quando usciva con Wendy. Linda è diventata molto intima con la madre dei fratelli Altman, Hillary.
Wendy è infelice perché il marito Barry è sempre troppo impegnato con il lavoro (infatti non presenzia al funerale), mentre un altro dei fratelli, Paul, sta disperatamente tentando di avere un figlio con la moglie Annie. L'ultimo fratello, il più giovane, Philip, arriva in ritardo al funerale, con la nuova fidanzata Tracy, molto più grande di lui.
Dopo il funerale, la vedova Hillary comunica ai figli che l'ultimo desiderio di Mort è stato che l'intera famiglia celebrasse lo shiva, un periodo di sette giorni di lutto dopo il funerale, al quale devono presenziare tutti i parenti di primo grado e risiedere sotto lo stesso tetto, ricevendo le condoglianze dai conoscenti. Durante questo periodo, Judd incontra Penny, una ragazza che è sempre stata attratta da Judd. Ma accadono anche molte altre cose.
This Is Where I Leave You, basato sull'omonimo libro di Jonathan Tropper, che ha scritto anche la sceneggiatura, è un classico "filmetto" comico con velleità intellettual/psicologiche, una sorta di wanna be Woody Allen dei bei tempi. Mette insieme un cast di alto livello per una commedia, è diretto da un regista giovane, di grande successo al botteghino statunitense (Night at the Museum, l'intera saga, Real Steel) e con la pettinatura giusta, ti strappa qualche risata e crea qualche situazione che può essere empatica giusto per quelli come me che hanno avuto l'infanzia castrata dall'acne e dalla masturbazione compulsiva, ma in realtà, non ha niente di più delle qualità adatte alla visione in aereo durante un volo più lungo di quattro ore, durante il quale non sai davvero cosa fare.
Jason Bateman (Horrible Bosses, Juno) è Judd Altman; Tina Fey (Saturday Night Live, Mean Girls) è Wendy; Adam Driver (Girls, Hungry Hearts) è Philip; Rose Byrne (The Goddess of 1967, 28 Weeks Later, Bridesmaids) è Penny; Corey Stoll (House of Cards, Midnight in Paris) è Paul; Kathryn Hahn (Crossing Jordan, Transparent, The Secret Life of Walter Mitty) è Annie; Connie Britton (Friday Night Lights, American Horror Story - Murder House) è Tracy; Timothy Olyphant (Justified) è Horry; Abigail Spencer (Rectify) è Quinn; Jane Fonda è Hillary; Debra Monk (The Bridges of Madison County; Grey's Anatomy) è Linda.
Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)
New York. Judd Altman lavora in una radio della città. Uomo medio con una bella moglie, all'improvviso scopre che proprio lei, Quinn, lo sta tradendo col suo capo, Wade, da circa un anno. Judd nauseato se ne va di casa, e quasi immediatamente lo chiama la sorella Wendy, dicendogli che il padre, Mort, è appena morto. Tutta la famiglia si riunisce nella casa di famiglia per celebrare il funerale, dove incontrano i vecchi vicini, Horry e Linda Callen. Horry vive ancora con la madre, visto che da giovane ha avuto un danno cerebrale, quando usciva con Wendy. Linda è diventata molto intima con la madre dei fratelli Altman, Hillary.
Wendy è infelice perché il marito Barry è sempre troppo impegnato con il lavoro (infatti non presenzia al funerale), mentre un altro dei fratelli, Paul, sta disperatamente tentando di avere un figlio con la moglie Annie. L'ultimo fratello, il più giovane, Philip, arriva in ritardo al funerale, con la nuova fidanzata Tracy, molto più grande di lui.
Dopo il funerale, la vedova Hillary comunica ai figli che l'ultimo desiderio di Mort è stato che l'intera famiglia celebrasse lo shiva, un periodo di sette giorni di lutto dopo il funerale, al quale devono presenziare tutti i parenti di primo grado e risiedere sotto lo stesso tetto, ricevendo le condoglianze dai conoscenti. Durante questo periodo, Judd incontra Penny, una ragazza che è sempre stata attratta da Judd. Ma accadono anche molte altre cose.
This Is Where I Leave You, basato sull'omonimo libro di Jonathan Tropper, che ha scritto anche la sceneggiatura, è un classico "filmetto" comico con velleità intellettual/psicologiche, una sorta di wanna be Woody Allen dei bei tempi. Mette insieme un cast di alto livello per una commedia, è diretto da un regista giovane, di grande successo al botteghino statunitense (Night at the Museum, l'intera saga, Real Steel) e con la pettinatura giusta, ti strappa qualche risata e crea qualche situazione che può essere empatica giusto per quelli come me che hanno avuto l'infanzia castrata dall'acne e dalla masturbazione compulsiva, ma in realtà, non ha niente di più delle qualità adatte alla visione in aereo durante un volo più lungo di quattro ore, durante il quale non sai davvero cosa fare.
Jason Bateman (Horrible Bosses, Juno) è Judd Altman; Tina Fey (Saturday Night Live, Mean Girls) è Wendy; Adam Driver (Girls, Hungry Hearts) è Philip; Rose Byrne (The Goddess of 1967, 28 Weeks Later, Bridesmaids) è Penny; Corey Stoll (House of Cards, Midnight in Paris) è Paul; Kathryn Hahn (Crossing Jordan, Transparent, The Secret Life of Walter Mitty) è Annie; Connie Britton (Friday Night Lights, American Horror Story - Murder House) è Tracy; Timothy Olyphant (Justified) è Horry; Abigail Spencer (Rectify) è Quinn; Jane Fonda è Hillary; Debra Monk (The Bridges of Madison County; Grey's Anatomy) è Linda.
20150423
Perù - Febbraio 2015 (15)
Facendo un passo indietro, volevo mostrarvi alcuni particolari. Qui una foto da me scattata, per farvi vedere uno strano tipo di pubblicità.
Non si vede benissimo, ma tra la ruspa e il retro del camion, potete notare, sul fianco della montagna, una scritta. Imitando le linee di Nasca, i creativi peruviani usano questo modo, soprattutto per pubblicizzare compagnie telefoniche.
Di seguito, invece, una mia foto scattata mentre eravamo fermi ad un semaforo a Juliaca.
Sempre a Juliaca, una foto di Dria di un particolare su un mezzo di locomozione.
A Puno, invece, a me ha colpito questo cartello, esposto in un ristorante (bettola sarebbe molto più appropriato, quantomeno per rendervi l'idea) dove mangiammo.
Qui uno scorcio della nostra stanza al Totorani, Puno.
E quindi, prima di passare alla nostra escursione del giorno seguente, vero motivo del nostro soggiorno qui, in definitiva, lascio l'obiettivo a Dria, e al suo modo di "vedere" Puno.
Non si vede benissimo, ma tra la ruspa e il retro del camion, potete notare, sul fianco della montagna, una scritta. Imitando le linee di Nasca, i creativi peruviani usano questo modo, soprattutto per pubblicizzare compagnie telefoniche.
Di seguito, invece, una mia foto scattata mentre eravamo fermi ad un semaforo a Juliaca.
Sempre a Juliaca, una foto di Dria di un particolare su un mezzo di locomozione.
A Puno, invece, a me ha colpito questo cartello, esposto in un ristorante (bettola sarebbe molto più appropriato, quantomeno per rendervi l'idea) dove mangiammo.
Qui uno scorcio della nostra stanza al Totorani, Puno.
E quindi, prima di passare alla nostra escursione del giorno seguente, vero motivo del nostro soggiorno qui, in definitiva, lascio l'obiettivo a Dria, e al suo modo di "vedere" Puno.
Il supermercato dove abbiamo fatto spesa un paio di volte |
Un intero muro con offerte di lavoro |
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