Una interessantissima intervista al grande regista argentino Fernando Solanas su Liberazione di oggi.
«La gente spesso ha paura di cambiare
ma la vitalità degli argentini fa ben sperare»
Davide Turrini
Davide Turrini
Guardando Fernardo Solanas arrivare da lontano si nota la leggera zoppìa, che si porta dietro con estrema disinvoltura, conseguenza della gambizzazione subita nel maggio del '91 dopo aver fortemente criticato l'operato dell'allora presidente Carlos Menem. Sfregio simbolico al monumento in carne ed ossa della contestazione artistica e politica dell'ultimo squarcio di secolo argentino. Nell'apporto culturale ed intellettuale del regista, nato a Buenos Aires settantadue anni fa, si fondono la critica sociale prodotta da un cinema deliberatamente militante, con l'impegno politico materiale (più volte si è candidato come deputato e presidente dell'Argentina) per modificare nella pratica il suo paese. Ciuffo di capelli bianchi come la neve, fisico robusto e sguardo arcigno, Solanas si muove nel cortile della Cineteca di Bologna alla ricerca di un caffè. Le videocamere del regista Paolo Muran lo stanno seguendo da giorni per ricavarne un ritratto documentario. Motivo ufficiale della visita di Solanas in Italia è la presentazione di Argentina latente, terzo episodio - dopo Diario del saccheggio (2004) e La dignità degli ultimi (2005) - dei cinque previsti per descrivere la società argentina di oggi, dopo il tracollo socio-economico del 2001. Anche se l'impegno principale del regista argentino nella città emiliana sta nel definire gli ultimi dettagli per il restauro de L'ora dei forni, storico capolavoro documentario girato da Solanas nel '68, con il sostegno della Cineteca di Bologna e la Fondazione Martin Scorsese.
A quarant'anni da "L'ora dei forni" è tornato al documentario con fare agguerrito. Come mai in tutti questi anni di carriera è passato dalla forma documentaria degli esordi a quella di finzione degli anni '80 e '90, e di nuovo a quella documentaria nel 2000?
Non ci trovo nulla di male in questo ricambio di forme del racconto cinematografico. Uno scrittore un giorno può scrivere un poema e un altro giorno può scrivere un saggio. Non capisco dove stia la sorpresa. Ogni mio film è nato da una profonda e vera necessità di rapportarmi con il mio paese, sia che fosse una pellicola di fiction o documentaria. L'ora dei forni lo finii nell'aprile del '68, quando ancora il maggio francese non era scoppiato. All'epoca andavo alla ricerca di un'identità per me e per l'Argentina, in un momento di grande sbandamento politico e culturale. Allo stesso modo i tre documentari (gli altri due lì concluderò nel giro di un anno e mezzo) iniziati nel 2001 escono dopo che ho avuto di fronte agli occhi la crisi dell'Argentina.In "America latente" si parla di un tema che anche in Italia ricorre con frequenza, quello della fuga dei cervelli e della difficoltà di sviluppare la ricerca nelle università italiane. Questo film è stato per me una sorta di viaggio, di scoperta delle possibilità scientifiche e tecnologiche dell'Argentina. Ho seguito le tracce di giovani e promettenti ricercatori, ingegneri, fisici e ho voluto illustrare le incredibili risorse che abbiamo per il rilancio del paese. Alla base c'è l'idea di ricostruire un grande progetto strategico nazionale con una forte partecipazione popolare per una democrazia nuova. America latente affronta il problema della ricerca scientifica nelle università, ma parla anche di esperimenti di democratizzazione della fabbriche, di fabbriche recuperate e gestite dagli operai che vi lavoravano dopo la fuga dei padroni durante la crisi economica di sette anni fa.
Quante sono oggi le imprese amministrate da cooperative di operai?
Sono circa 180. E' un'esperienza molto importante che dura da almeno cinque anni e che porta avanti una tradizione che in Argentina esiste da tempo. Ne L'ora dei forni ho raccontato dell'occupazione di circa mille fabbriche. All'epoca c'era persino la giornata nazionale dell'occupazione. Ma rispetto alla resistenza peronista della fine degli anni '50 e inizio '60, oggi si è aggiunto il problema della gestione delle imprese soprattutto per quanto riguarda la difficoltà di inserirsi nel mercato legalmente. Una volta che una fabbrica chiude, come succede nella maggior parte dei casi odierni, anche le compagnie dell'elettricità e dell'acqua chiudono i contratti e non ne vogliono più sapere di riaprirli. Sarebbe necessario dunque un tangibile sostegno da parte dello stato e del sistema giuridico argentino perché per una società d'impresa non ufficialmente riconosciuta è impossibile continuare a produrre beni di consumo e soprattutto continuare a venderli.
Mi pare che anche il film che sta finendo di montare illustrerà l'ennesimo problema di malgoverno argentino
Senz'altro. Nel nuovo documentario analizzo la situazione catastrofica dei servizi pubblici. La privatizzazione dei trasporti voluta da Menem ha portato il sistema al collasso. Così oggi, quando arrivi all'aeroporto o in stazione, non sai più se l'aereo o il treno partono. Il treno è sempre stato il mezzo logisticamente più importante per collegare Nord e Sud del paese. Invece tra l'88 e il '99 si è passati da 37mila chilometri di ferrovia ad appena 7mila, così si è verificato un travaso di mezzi e persone su strada. E la rete stradale non ha retto all'impatto, tanto che l'Argentina è diventata il paese con il più alto tasso di incidenti di tutta l'America latina: più di 8mila morti in un anno, dodici volte in più delle vittime della guerra nelle Malvine. Questo è il risultato della perversa ignoranza dei governi guidati da Menem.
Secondo lei, sensibilizzare politicamente un paese è compito del cinema o della politica?
Se non credessi nel valore comunicativo del cinema non realizzerei questi documentari. Il problema sta in chi detiene il potere delle comunicazioni di massa. I miei film in Italia sono visti dallo 0,01% del pubblico nelle sale d'essai, in Argentina invece sono trasmessi sul canale culturale Encuentro che arriva a milioni di persone. Si tratta di un'iniziativa rivoluzionaria cominciata un anno fa: il canale non trasmette né attualità né analisi politica, solo filmati su soggetti di vita nazionale, quattro ore di programmazione ripetute sei volte al giorno, così il messaggio non può sfuggire. Poi parallelamente continuo anche la mia attività politica. I miei film sono apprezzati molto dagli spettatori. Alcuni mi avvicinano e mi dicono «Senti, sono d'accordo con te, con quello che hai detto nei documentari»; allora io dico: «Bene, portiamo avanti una battaglia politica insieme»; e mi si risponde: «non sono proprio convinto che sia possibile realizzare le cose che tu dici». La gente è timorosa di cambiare, è immobilizzata, ma queste sollecitazioni spesso sono l'inizio di molti movimenti critici d'opinione. La vitalità e la reattività del popolo argentino mi fa ben sperare.
Lei politicamente fa parte di quell'immenso gruppo di ex peronisti di sinistra, una realtà politica che in Europa non si riesce a comprendere del tutto…
Gli intellettuali europei sono impossibilitati a capire Chavez e Peron, dal momento che non conoscono nel dettaglio la storia venezuelana e argentina. Siete tutti fuori strada, compresi gli intellettuali di sinistra, quando applicate all'America latina le vostre categorie storico-politiche. Vi faccio un esempio: il 90% delle madri di Plaza de Mayo (le mamme dei desaparecidos sotto la dittatura, n.d. Jumbolo) sono peroniste. Certo loro sono la punta di diamante del coraggio nel contestare il terrorismo e la repressione di stato, ma la gran parte della sinistra in Argentina, proprio come queste donne, è peronista. La candidata Carriò contrapposta a Cristina Kirchner è stata definita da molti quotidiani italiani di centrosinistra ma, con le sue posizioni antiChavez, altro non è che la destra più conservatrice, quella che rappresenta di più in assoluto gli interessi dell'ambasciata americana.
Cosa pensa, allora, della nuova presidente argentina Cristina Kirchner?
Il suo è un governo un filo più progressista rispetto ai precedenti, ma non ci voleva molto a superarli. Di positivo, per esempio, c'è che ha incominciato a far giudicare dalla Corte Suprema di Giustizia molti criminali della dittatura militare di Videla; mentre per altri aspetti, come la privatizzazione del petrolio e delle materie prime, non si distingue per nulla, anzi rilancia le politiche neoliberiste di Menem. Ma queste cose voi non le sapete, perché il problema in Italia, come nel resto d'Europa, è che siete completamente disinformati sull'attualità dell'America latina. Se ne parla solo per mostrare le cose che non funzionano, o per dedicare pagine intere a un "campione" della destra come Vargas Llosa. L'altro giorno in Messico c'è stata la mobilitazione di oltre mezzo milione di persone per la difesa del petrolio come fonte energetica pubblica: ma su quale giornale italiano questa notizia è stata riportata?