No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080430

nando


Una interessantissima intervista al grande regista argentino Fernando Solanas su Liberazione di oggi.



«La gente spesso ha paura di cambiare

ma la vitalità degli argentini fa ben sperare»

Davide Turrini

Guardando Fernardo Solanas arrivare da lontano si nota la leggera zoppìa, che si porta dietro con estrema disinvoltura, conseguenza della gambizzazione subita nel maggio del '91 dopo aver fortemente criticato l'operato dell'allora presidente Carlos Menem. Sfregio simbolico al monumento in carne ed ossa della contestazione artistica e politica dell'ultimo squarcio di secolo argentino. Nell'apporto culturale ed intellettuale del regista, nato a Buenos Aires settantadue anni fa, si fondono la critica sociale prodotta da un cinema deliberatamente militante, con l'impegno politico materiale (più volte si è candidato come deputato e presidente dell'Argentina) per modificare nella pratica il suo paese. Ciuffo di capelli bianchi come la neve, fisico robusto e sguardo arcigno, Solanas si muove nel cortile della Cineteca di Bologna alla ricerca di un caffè. Le videocamere del regista Paolo Muran lo stanno seguendo da giorni per ricavarne un ritratto documentario. Motivo ufficiale della visita di Solanas in Italia è la presentazione di Argentina latente, terzo episodio - dopo Diario del saccheggio (2004) e La dignità degli ultimi (2005) - dei cinque previsti per descrivere la società argentina di oggi, dopo il tracollo socio-economico del 2001. Anche se l'impegno principale del regista argentino nella città emiliana sta nel definire gli ultimi dettagli per il restauro de L'ora dei forni, storico capolavoro documentario girato da Solanas nel '68, con il sostegno della Cineteca di Bologna e la Fondazione Martin Scorsese.


A quarant'anni da "L'ora dei forni" è tornato al documentario con fare agguerrito. Come mai in tutti questi anni di carriera è passato dalla forma documentaria degli esordi a quella di finzione degli anni '80 e '90, e di nuovo a quella documentaria nel 2000?


Non ci trovo nulla di male in questo ricambio di forme del racconto cinematografico. Uno scrittore un giorno può scrivere un poema e un altro giorno può scrivere un saggio. Non capisco dove stia la sorpresa. Ogni mio film è nato da una profonda e vera necessità di rapportarmi con il mio paese, sia che fosse una pellicola di fiction o documentaria. L'ora dei forni lo finii nell'aprile del '68, quando ancora il maggio francese non era scoppiato. All'epoca andavo alla ricerca di un'identità per me e per l'Argentina, in un momento di grande sbandamento politico e culturale. Allo stesso modo i tre documentari (gli altri due lì concluderò nel giro di un anno e mezzo) iniziati nel 2001 escono dopo che ho avuto di fronte agli occhi la crisi dell'Argentina.In "America latente" si parla di un tema che anche in Italia ricorre con frequenza, quello della fuga dei cervelli e della difficoltà di sviluppare la ricerca nelle università italiane. Questo film è stato per me una sorta di viaggio, di scoperta delle possibilità scientifiche e tecnologiche dell'Argentina. Ho seguito le tracce di giovani e promettenti ricercatori, ingegneri, fisici e ho voluto illustrare le incredibili risorse che abbiamo per il rilancio del paese. Alla base c'è l'idea di ricostruire un grande progetto strategico nazionale con una forte partecipazione popolare per una democrazia nuova. America latente affronta il problema della ricerca scientifica nelle università, ma parla anche di esperimenti di democratizzazione della fabbriche, di fabbriche recuperate e gestite dagli operai che vi lavoravano dopo la fuga dei padroni durante la crisi economica di sette anni fa.


Quante sono oggi le imprese amministrate da cooperative di operai?


Sono circa 180. E' un'esperienza molto importante che dura da almeno cinque anni e che porta avanti una tradizione che in Argentina esiste da tempo. Ne L'ora dei forni ho raccontato dell'occupazione di circa mille fabbriche. All'epoca c'era persino la giornata nazionale dell'occupazione. Ma rispetto alla resistenza peronista della fine degli anni '50 e inizio '60, oggi si è aggiunto il problema della gestione delle imprese soprattutto per quanto riguarda la difficoltà di inserirsi nel mercato legalmente. Una volta che una fabbrica chiude, come succede nella maggior parte dei casi odierni, anche le compagnie dell'elettricità e dell'acqua chiudono i contratti e non ne vogliono più sapere di riaprirli. Sarebbe necessario dunque un tangibile sostegno da parte dello stato e del sistema giuridico argentino perché per una società d'impresa non ufficialmente riconosciuta è impossibile continuare a produrre beni di consumo e soprattutto continuare a venderli.


Mi pare che anche il film che sta finendo di montare illustrerà l'ennesimo problema di malgoverno argentino


Senz'altro. Nel nuovo documentario analizzo la situazione catastrofica dei servizi pubblici. La privatizzazione dei trasporti voluta da Menem ha portato il sistema al collasso. Così oggi, quando arrivi all'aeroporto o in stazione, non sai più se l'aereo o il treno partono. Il treno è sempre stato il mezzo logisticamente più importante per collegare Nord e Sud del paese. Invece tra l'88 e il '99 si è passati da 37mila chilometri di ferrovia ad appena 7mila, così si è verificato un travaso di mezzi e persone su strada. E la rete stradale non ha retto all'impatto, tanto che l'Argentina è diventata il paese con il più alto tasso di incidenti di tutta l'America latina: più di 8mila morti in un anno, dodici volte in più delle vittime della guerra nelle Malvine. Questo è il risultato della perversa ignoranza dei governi guidati da Menem.


Secondo lei, sensibilizzare politicamente un paese è compito del cinema o della politica?


Se non credessi nel valore comunicativo del cinema non realizzerei questi documentari. Il problema sta in chi detiene il potere delle comunicazioni di massa. I miei film in Italia sono visti dallo 0,01% del pubblico nelle sale d'essai, in Argentina invece sono trasmessi sul canale culturale Encuentro che arriva a milioni di persone. Si tratta di un'iniziativa rivoluzionaria cominciata un anno fa: il canale non trasmette né attualità né analisi politica, solo filmati su soggetti di vita nazionale, quattro ore di programmazione ripetute sei volte al giorno, così il messaggio non può sfuggire. Poi parallelamente continuo anche la mia attività politica. I miei film sono apprezzati molto dagli spettatori. Alcuni mi avvicinano e mi dicono «Senti, sono d'accordo con te, con quello che hai detto nei documentari»; allora io dico: «Bene, portiamo avanti una battaglia politica insieme»; e mi si risponde: «non sono proprio convinto che sia possibile realizzare le cose che tu dici». La gente è timorosa di cambiare, è immobilizzata, ma queste sollecitazioni spesso sono l'inizio di molti movimenti critici d'opinione. La vitalità e la reattività del popolo argentino mi fa ben sperare.


Lei politicamente fa parte di quell'immenso gruppo di ex peronisti di sinistra, una realtà politica che in Europa non si riesce a comprendere del tutto…


Gli intellettuali europei sono impossibilitati a capire Chavez e Peron, dal momento che non conoscono nel dettaglio la storia venezuelana e argentina. Siete tutti fuori strada, compresi gli intellettuali di sinistra, quando applicate all'America latina le vostre categorie storico-politiche. Vi faccio un esempio: il 90% delle madri di Plaza de Mayo (le mamme dei desaparecidos sotto la dittatura, n.d. Jumbolo) sono peroniste. Certo loro sono la punta di diamante del coraggio nel contestare il terrorismo e la repressione di stato, ma la gran parte della sinistra in Argentina, proprio come queste donne, è peronista. La candidata Carriò contrapposta a Cristina Kirchner è stata definita da molti quotidiani italiani di centrosinistra ma, con le sue posizioni antiChavez, altro non è che la destra più conservatrice, quella che rappresenta di più in assoluto gli interessi dell'ambasciata americana.


Cosa pensa, allora, della nuova presidente argentina Cristina Kirchner?


Il suo è un governo un filo più progressista rispetto ai precedenti, ma non ci voleva molto a superarli. Di positivo, per esempio, c'è che ha incominciato a far giudicare dalla Corte Suprema di Giustizia molti criminali della dittatura militare di Videla; mentre per altri aspetti, come la privatizzazione del petrolio e delle materie prime, non si distingue per nulla, anzi rilancia le politiche neoliberiste di Menem. Ma queste cose voi non le sapete, perché il problema in Italia, come nel resto d'Europa, è che siete completamente disinformati sull'attualità dell'America latina. Se ne parla solo per mostrare le cose che non funzionano, o per dedicare pagine intere a un "campione" della destra come Vargas Llosa. L'altro giorno in Messico c'è stata la mobilitazione di oltre mezzo milione di persone per la difesa del petrolio come fonte energetica pubblica: ma su quale giornale italiano questa notizia è stata riportata?

ci di a

nei prossimi giorni si unirà il consiglio di amministrazione di questo blog.
ecco l'ordine del giorno:
1. discussione: chi ha più capelli veri? lafolle, jumbolo o berlusconi?
2. discussione: il fallimento della shampoo clear. la forfora è un oggetto del vecchio millennio!
3. varie ed eventuali.

accettiamo varie ed eventali dagli utenti, così da rendere questo blog sempre più culo...mmm... volevo dire cool!

a grande richiesta

A grande richiesta, torna il giudizio sintetico dei film all'inizio della recensione, proprio sotto il titolo. 3 voti per "inizio", 1 per "alla fine". E siccome qui siamo come la politica, inseguiamo il consenso popolare.....

20080429

leatherheads


In amore niente regole - di George Clooney 2008


USA, intorno al 1925, quello che adesso è diventato lo sport nazionale, il football (americano), è poco più di un gioco amatoriale. I campi sono ammassi di fango quando piove, le tribune inesistenti, gli spogliatoi sono un optional. Jimmy "Dodge" Connelly è un buon giocatore, leggermente anziano, intellettualmente molto più dotato della media imperante. Quando la sua squadra sta per chiudere per mancanza di fondi (anzi, ha già chiuso), convince il manager C.C. Frazier a far giocare il suo pupillo Carter Rutherford detto Il proiettile (The Bullet) nei professionisti, e precisamente nella squadra di Connelly. Infatti, Rutherford, famoso anche per essere stato un eroe di guerra, gioca nel campionato universitario: paradossalmente, il football universitario è messo molto meglio. Il proiettile si porta dietro Lexie Littleton, rampante e caustica (nonchè avvenente) giornalista che sta indagando sulla vera storia del campione eroe.


Deludente il nuovo lavoro come regista (e attore, of course) di Clooney, che ci aveva abituato ad un cinema impegnato e piuttosto intellettuale. Per quanto questo Leatherheads (il titolo originale, evidentemente il nomignolo col quale erano chiamati i giocatori di football americano ai tempi, dal copricapo a casco ma fatto di pelle) possa essere interessante dal punto di vista storico-sportivo, ricordare (da lontano) lo spassosissimo Prima ti sposo, poi ti rovino, dei Coen con lo stesso Clooney, e lanciare sottotraccia un messaggio di rimpianto (si stava meglio quando si stava peggio) verso i bei tempi che furono, e al tempo stesso dimostra quanto la società statunitense si basi sul dio denaro, è impossibile non rimanerci male se si pensa che i lavori precedenti del bel George dietro la macchina da presa sono stati Confessioni di una mente pericolosa (sottovalutato, ma interessantissimo) e lo stupendo Good Night, and Good Luck.

Bella fotografia patinata, divertente a tratti, ma fin troppo ridondante e con troppe concessioni al botteghino. Buona la mano, ma niente a che vedere con i precedenti lavori, come già detto, prove attoriali gigionesche (Clooney e Krasinski) e a tratti insopportabili (Zellweger), con un Jonathan Pryce sprecato nei panni di C.C. Frazier.

Superfluo.


Giudizio sintetico: si può perdere

playlist-nel lettore mp3

Per la serie "a volte ritornano"

24 Grana - Ghostwriter
A Fine Frenzy - One Cell In The Sea
Alter Bridge - One Day Remains
Be Your Own Pet - Get Awkward
Caparezza - Le dimensioni del mio caos
Cristina Donà - Piccola faccia
Diamanda Galas - Guilty Guilty Guilty
Erykah Badu - New Amerykah Pt.1 (4th World War)
Gallows - Orchestra Of Wolves
Meshuggah - obZen
Puddle Of Mudd - Famous
Stonerider - Three Legs Of Trouble
The Dillinger Escape Plan - Ire Works
The Sword - Gods Of The Earth

genio italico


Molto, molto interessante questo articolo da Repubblica on-line sui cervelli italiani, le loro fughe e il loro sviluppo. C'è di che riflettere.

20080428

io riprendo


Riprendimi - di Anna Negri 2008


Due amici, appassionati di cinema e vogliosi di sfondare facendo qualcosa di particolare, decidono di riprendere una coppia di altri amici, entrambi precari nel mondo dello spettacolo. Lui, Giovanni, attore di fiction e di teatro, lei, Lucia, montatrice. Hanno avuto da poco un bambino, sembrano una coppia affiatata e felice. E invece, all'improvviso, Giovanni ha una crisi d'identità e se ne va, lasciando la compagna e il bambino, trovandosi subito un'altra donna. Il fonico e il cameraman decidono di munirsi entrambi di telecamera e continuano a riprendere i due, in preda al distacco e alla ricostruzione di una vita.


Idea interessante, svolgimento pessimo. Potremmo riassumere così, brevissimamente, questo Riprendimi, opera seconda di Anna Negri, passato, pare non inosservato, al Sundance. L'idea è un mockumentary (finto documentario), con la regista che riprende i due che riprendono (interessante, si, ma macchinosa e, a parere di chi scrive, poco spontanea) i due precari, nel lavoro e in amore. Nonostante le premesse (e la notevole spinta pubblicitaria), e anche vista la durata relativamente breve del lavoro, il film annoia abbastanza.

Detto del lavoro di regia, più macchinoso che virtuosistico, la fotografia è sciatta, gli attori sono mal diretti (la Rohrwacher, attualmente in qualsiasi film italiano sullo schermo o quasi, comincia già a stancare con quella vocina, Foschi, che tanto ci era piaciuto in Fame chimica, qui è vittima di un copione assurdo e di dialoghi osceni; si salva a malapena la Lodovini, già vista e apprezzata ne La giusta distanza), la sceneggiatura latita e ristagna, i dialoghi, come già accennato, sono a tratti imbarazzanti. Bocciato.


Giudizio sintetico: da evitare

tripletta

1. continuo a leggere il libro di filosofia. sono arrivato allo stoicismo.lo stoicismo in un certo qual modo descrive un pò quello che sono. gli stoici sostennero le virtù dell'autocontrollo e del distacco dalle cose terrene, portate all'estremo nell'ideale dell'atarassia, come mezzi per raggiungere l'integrità morale e intellettuale. nell'ideale stoico, è il dominio sulle passioni che permette allo spirito il raggiungimento della saggezza. riuscire è un compito individuale, e parte dalla capacità del saggio di disfarsi delle idee e influenze che la società nella quale vive gli ha inculcato. tuttavia lo stoico non disprezza la compagnia degli altri uomini, e l'aiuto ai più bisognosi è una pratica raccomandata.

2. da un paio di settimane non vado in palestra. probabilmente riprenderò dopo questi ponti primaverili. ho ripreso però ad andare a correre. l'anno scorso ho sempre corso nel lungo naviglio verso nord, quest'anno ho scoperto che il lungo naviglio verso sud è più bello. più largo, miglior panorama. meglio tardi...

3. in val chiavenna si mangia troppo formaggio. ne ho le prove!

bomba libera tutti


Come tutti gli anni, soprattutto dalla discesa in campo di Zu' Silvio (Guzzanti-boss-mafioso style), siamo punto e a capo con la polemica sul 25 aprile. Sarò breve: sono fondamentalmente d'accordo con quanto scrive Santomassimo su questo articolo del Manifesto. Il problema è tutto della destra. E' la destra che deve decidere se essere o no antifascista. Perchè l'Italia del dopo 1945 è antifascista, la Costituzione è antifascista. E' molto, molto semplice la storia.


In Francia l'hanno capito da anni. In Spagna hanno demolito da poco le statue (di Franco). In Germania si sentono ancora oggi colpevoli. In Giappone pure. Solo qui da noi si sdoganano fascisti o si candidano personaggi che si dichiarano "orgogliosamente fascisti".


Come vi ho detto più volte, mio nonno era a Salò. Finchè è stato in vita, era un bravo nonno, un po' severo. Rispetto il suo ricordo, ho letto (ed ho appeso una sua lettera dove chiedeva la pensione di guerra) cose sue, ho capito come la pensava, ammiro la sua coerenza. Ma era dalla parte sbagliata, evidentemente aveva capito male. Succede.

20080427

para


Giorni fa abbiamo "festeggiato" la vittoria di Fernando Lugo in Paraguay. Approfondiamo. Mi ha colpito (non ne ero a conoscenza) l'accordo sull'energia elettrica col quale Brasile e Argentina "strangolano" il piccolo e povero paese confinante. Leggete qui.



Firmato dal dittatore Stroessner, un trattato impone a Asunción di «regalare» energia
Megawatt da 80 dollari venduti a 2: la resurrezione passa per l'elettricità
Il patto leonino Accordi firmati negli anni dei dittatori dissanguano il paese. Lugo li vuole cambiare, ma Brasile e Argentina non ci sentono
Maurizio Matteuzzi
Asunción
Il Paraguay non ha mai avuto fortuna con i suoi vicini. Praticamente fu l'unico paese dell'America latina a conquistare l'indipendenza dalla Spagna, nel 1811, senza guerre e massacri, ma le guerre e i massacri sarebbero venuti dopo. Fra il 1865 e il 1870 la guerra contro Brasile, Argentina e Uruguay finì in un olocausto paraguayano. Su una popolazione di 1.3 milioni di abitanti, i sopravissuti furono 300 mila, di cui 14 mila uomini (e solo 2000 di loro con più di 20 anni) e il resto donne. Fra il 1932 e il 1935 la guerra del Chaco contro la Bolivia per il petrolio che non fu trovato, si concluse con un'inutile strage in cui 80 mila boliviani e 50 mila paraguayani combatterono e morirono per conto della Standard Oil of New Jersey e della Royal Dutch-Shell.Nel 1973 le mire di dominio di Brasile e Argentina sul Paraguay non si manifestarono più con le armi ma con i trattati. In quell'anno furono firmati il Trattato di Itaipú con il Brasile e il Trattato di Yaciretá con l'Agentina per la costruzione delle due grandi dighe e centrali idro-elettriche binazionali che dovevano sfruttare le acque del fiume Paraná per farne energia. Quelli erano i tempi in cui l'America latina era dominata dai regimi militari e dittature fasciste. I nomi dei firmatari in calce ai due trattati parlano da soli: il generale Emílio Garrastazu Médici, presidente del Brasile degli "anni di piombo", María Estela Martínez Perón, presidente dell'Argentina della Triple A, e, per il Paraguay, il generale Alfredo Stroessner, già al potere da quasi 20 anni, che fu facilmente convinto a suon di prebende (rovesciato nell'89, trovò poi rifugio a Brasilia).Quei due trattati, che in tanti qui in Paraguay definiscono «i più colonalisti della storia paraguayana», sono divenuti una sacrosanta ossessione nazionale. Per tutti eccetto i presidenti e la «cricca mafiosa» colorada della falsa transizione alla democrazia cominciata nel febbraio '89 e finita domenica scorsa, che come il loro predecessore Stroessner si sono fatti facilmente convincere da brasiliani e argentini, a suon di milioni, a lasciare le cose come stanno. L'alibi era in una delle clausole di quei due patti leonini: la loro durata, 50 anni. 1973-2023, fino ad allora non c'è niente da fare. Sul piano strettamente giuridico, forse no - «la certezza del diritto...» - ma sul piano politico il discorso è diverso. L'hanno mostrato casi quali la nazionalizzazione degli idrocarburi nella Bolivia di Morales e nel Venezuela di Chávez (che non era neanche una nazionalizzazione quanto un adeguamento di imposte e royalities). Il candidato Fernando Lugo, che domenica ha vinto trionfalmente le elezioni presidenziali dopo 61 anni filati di Partido colorado, ha fatto della sovranità energetica uno dei suoi cavalli di battaglia. Ma non sarà facile. Il Paraguay, che con la Bolivia è il paese più povero del Cono sud dell'America latina, sarebbe ricchissimo se solo potesse esportare oltre alle persone - quasi un milione di emigranti sui 6.5 milioni di abitanti - e alla soia - di cui è diventato il quarto esportatore mondiale - anche la «sua» energia.E' più che mai aperto il discorso sull'impatto ambientale e umano provocato dalle due grandi dighe sul Paraná. Ma ormai ci sono, funzionano - Itaipú dall'84, Yaciretá dal '94 - e sono una colossale fonte effettiva di energia e potenziale di ricchezza Itaipù, «la pietra che canta» in guarani, è la più grande centrale idro-elettrica del mondo, produce 90 mila giga-watts/ora l'anno, 45 mila per il Brasile e 45 mila per il Paraguay, e fornisce il 95% del fabbisogno energetico del Paraguay, e questo è ovvio, ma soprattutto il 20-25% di quello del Brasile, un gigante in espansione affamato d'energia. Yaciretá, "la terra della luna", produce 19 mila gwh l'anno e fornisce il 15% dell'energia consumata in Argentina.Il trucco dietro questa suddivisione formalmente paritaria c'è e si vede. Di quei 45 mila gwh il Paraguay ne usa solo 7mila e gli altri 38mila li vende. Se li potesse mettere sul mercato farebbe «3645 milioni di dollari l'anno» secondo i calcoli dell'ingegner Ricardo Canese, esperto paraguayano di risorse energetiche. Altri parlano di 2000 milioni. Invece i tratatti impongono che se «una delle due parti» (quale?) non usa tutta la quota che le spetta è obbligata a «cedere il diritto di acquisto» solo all'altra (quale?) in cambio di una «compensazione» calcolata al prezzo di costo: più di 10 volte inferiore a quello di mercato, più di 100 volte inferiore al suo valore finale sul mercato brasiliano. Così il Paraguay per le sue eccedenze incassa la miseria di 102 milioni di dollari l'anno e il Brasile paga 2.72 dollari a mega-watt/ora mentre quello stesso mega-watt/ora in Brasile vale 80.84 dollari. «Significa - dice Canese - che il Paraguay potrebbe aver incassato, per l'esportazione di 38 mila giga-watts/ora in un anno, quasi 13 miliardi di dollari e al netto di tutti i costi relativi, 11 miliardi, ossia il corrispettivo dell'intero prodotto interno lordo paraguayano». E il debito del Paraguay verso la controparte brasiliana, che anticipò il finanziamento di Itaipú imponendo tassi d'usura, nonostante siano stati già pagati più di 20 miliardi di dollari (per un'opera che doveva costarne 2) non ha fatto che aumentare, secondo il classico schema «debito esterno-debito eterno».Per completare la beffa, il Paraguay deve importare 30 mila barili di petrolio al giorno - in attesa di «scoprire» finalmente il petrolio del Chaco - che al prezzo, mettiamo, di 100 dollari al barile fanno 1.1 miliardi l'anno. Contro i 350 milioni incassati da Brasile e Argentina per le eccedenze. Il povero Paraguay finanzia lo sviluppo dei grandi Brasile e Argentina. La «resurrezione» del Paraguay, come l'ha chiamata Lugo, è cominciata domenica 20 aprile. Ma sarà una resurrezione quasi altrettanto spinosa del calvario che l'ha preceduta. Lugo, che forse per questa sua ossessione non era considerato il candidato preferito dal Brasile, ha parlato con Lula e Cristina Kichner. Il primo non ha detto di no a un «tavolo di dialogo» e la seconda si è mostrata «disponibile e aperta». Come possono aggrapparsi, si chiede Lugo a voce alta, a un patto leonino firmato in epoca di sanguinose dittature fasciste e, se non bastasse, quando il barile di petrolio costava 5 dollari e non 115? Se a Brasilia e Buenos Aires faranno orecchie da mercante, Lugo dice che ricorrerà alle istanze internazionali, come la Corte di giustizia dell'Aja. Ma serebbe un pessimo segnale per i progetti d'integrazione latino-americana.Frei Betto, il noto esponente brasiliano della teologia della liberazione che domenica è venuto qui a Asunción a portare auguri e conforto a Lugo, dice che «il presidente Lula è consapevole dei rapporti asimmetrici di Itaipú e per questo sono sicuro che accederà alla richiesta di una commissione tecnica per analizzare l'accordo». Anche quando la Petrobras «non voleva riconoscere gli aumenti di prezzo del gas boliviano, Lula riconobbe che Evo aveva ragione».Ma Lula lunedì ha subito detto che «il Trattato di Itaipú non si tocca». In Brasile fanno il gioco del good cop-bad cop dei film americani. Oltre a Lula, il ministro dell'energia Edison Lobao dice che il prezzo «è giusto» così, e il direttore brasiliano dell'ente binazionale di Itaipú, Jorge Samek, assicura che il Brasile a conti fatti paga 41 dollari e non 2.80 per ogni mega-watt/ora e quindi non c'è niente da rinegoziare. Ma poi arriva il buon Celso Amorim, il ministro degli esteri, a dire che «noi non siamo imperialisti, discuteremo con il Paraguay per vedere come possono ottenere una remunerazione adeguata per la loro energia». L'ipotesi possibile e più probabile è che il Trattato non si tocchi ma che sia ritoccato il prezzo di compensazione per l'eccedenza. A meno di non voler mandare all'inferno i propositi della «resurrezione democratica» del Paraguay e dell'integrazione dell'America latina. E dar ragione a Chávez.




Completano il quadro questi due articoli, un'intervista a Lugo e la situazione di stallo col Vaticano.

Qui e qui.

20080425

giornali


La settimana

Stampa

"Senza giornali vivremmo meglio, ne converrà". Sono parole di Silvio Berlusconi alla prima conferenza stampa dopo le elezioni, il 15 aprile 2008. "È una festa per tutti noi, il lunedì di Pasqua", cioè il giorno in cui i quotidiani non escono. E la stampa internazionale? "È il trionfo dei pregiudizi. Ma non mi preoccupo, non penso di dare ascolto. Con i fatti metteremo tutti a posto". Una conferenza stampa incredibile, dove dalla sala si applaudiva alle battute di Berlusconi. Sembrava di essere allo stadio. È peggio un premier che attacca i giornalisti o dei giornalisti che applaudono quando vengono attaccati da un premier? Surreale. Ma niente se paragonato alla conferenza stampa con Vladimir Putin, quella dove alla domanda di una reporter russa Berlusconi ha risposto imitando il gesto del mitra. Una battuta, per carità. Ma Anna Politkovskaja, probabilmente, non l'avrebbe trovata molto divertente.

Giovanni De Mauro

cosa siamo diventati?



Al casting per entrare a far parte del programma "Striscia la notizia". Il sogno nel cassetto? Fare successo in tv
L'operaia velina alla fabbrica del consenso

Davide Varì

«La cipria, dove cazzo sta la cipriaaaa?».«Calmati Isa - risponde mamma Giulia - la cipria ce l'ha tua sorella».«Elenaaa, la cipria. Non posso presentarmi co 'sta faccia».Nel frattempo arriva una giornalista con telecamera al seguito. «Scusami - dice rivolta a Isa - posso farti qualche domanda?».Lei si volta, si accorge che quella telecamera è puntata proprio su di lei, e nel giro di un millisecondo trasforma quel volto teso ed imbronciato in uno splendido sorriso a trentadue denti. Dopo le domande di routine - «chi sei, come mai sei qui, quanti anni hai e sogno nel cassetto» - il cameraman le chiede due passi di danza ed un gridolino di felicità «che fa tanto aspirante velina». Isa non ci pensa neanche un attimo: parte con una samba in salsa romanesca che farebbe invidia all'intero Stato di Bahia e butta lì un "gridolino" degno della ragazza Playboy del mese: «Yupiiii».E' il casting di Veline che si è svolto ieri a Roma. Una selezione nazionale per decidere chi sarà la prossima fortunatissima ragazzina che sculetterà sul banco dei conduttori della nota trasmissione di Antonio Ricci. E poi da lì, chissà che non si riesca a fare il grande salto: diventare valletta di Controcampo o, meglio ancora, "letterina" da Gerri Scotti.L'organizzazione allestita dalla direzione di TalentsFactory di Mediaset è ferrea: prima si passa per una stanza in cui si danno le generalità: nome, cognome ed età; poi è la volta della foto con tanto di numeretto appeso al collo - «Profilo destro, ora sinistro. Guarda la camera. Su i capelli, un bel sorriso. Bene. Grazie. Avanti un'altra». Infine, via in camerino per prepararsi all'esibizione sul palco e mostrare il proprio talento.E sì perché, almeno a sentire Enrico De Angelini, coordinatore di tutto il baraccone, le caratteristiche irrinunciabili della velina ideale devono essere tre: «Talento, semplicità e umiltà». Talento, semplicità e umiltà, d'accordo. E poi? «Beh, non solo quello, certo - ammette De Angelini - serve anche una certa presenza...» Una presenza in che senso? «Beh una bella presenza, è chiaro».Nel frattempo inizia la sfilata, e a suffragare le parole di De Angelini si presenta Laura, 21 anni, provincia Brindisi: 175 cm circa, pelle color ambra, occhi azzurri e fisico da modella valorizzato da un tanga, per così dire, essenziale. Laura chiarisce subito il senso della sua presenza: «Ho fatto miss Italia ma non credo di essere riuscita ad esprimere tutta la mia personalità. Spero di entrare in Veline in Tour per riuscire a far capire al pubblico italiano chi sono davvero».De Angelini annuisce soddisfatto e chiede subito una prova visibile di quella personalità: «Bene Laura, appena parte la base dello "stacchetto" musicale di Striscia, dovresti iniziare a ballare come se ti trovassi accanto a Ezio Greggio». «Lei è Laura Giglio», spiega un ragazzo biondino seduto in platea. «Laura fa parte del mio gruppo di giovane talenti. Siamo partiti da Brindisi alle 4 di notte per essere qui. Laura è speciale, ne vale la pena».Nel frattempo, mentre la selezione va avanti, intorno al palco in cui si esibiscono le aspiranti veline si è generato un vero e proprio bazar dello spettacolo. Un circo Barnum fatto di stand per aspiranti attori, scuole di recitazione, scuole di musica, di ballo e via dicendo. Una fiera delle vanità in cui si aggira un sottobosco di manager di provincia in cerca del cavallo vincente, quello che può "svoltare" una carriera e farti entrare nel giro giusto. Il giro che conta.Tra loro c'è Antony, anzi, Anthony con l'acca al centro: completo gessato nero e cravattino slegato che scende leggero lungo una camicia immacolata. Lui è un fotografo calendarista. Difficile resistere al richiamo del calendario, per questo Anthony con l'acca al centro, diventa un punto di passaggio quasi obbligato per tutte le aspiranti veline. «Vedi - spiega a Sonia - io ti faccio un paio di foto e un piccolo filmino. Cerchiamo ragazze sensuali e ironiche, ragazze che stanno al gioco».Poco più un là, un uomo piuttosto corpulento, e sua figlia, una giovane piuttosto procace, si avvicinano allo stand di una sedicente scuola di cinema e chiedono la strada migliore per fare un provino: «Perchè io - dice l'omone - credo che mia figlia abbia le doti giuste per sfondare». Il ragazzo annuisce vistosamente, è uno che la sa lunga lui, e inizia con le "dritte": «Prima di tutto serve un book fotografico con varie pose: una foto in abito da sera, una acqua e sapone ed una in costume. Poi un paio di primi piani...». «Scusi - chiede il padre - ma una scuola di recitazione?» «Certo, certo - ride lui - quello era scontato».Ma sul palco - il centro di tutto il baraccone - la selezione delle veline continua. C'è Giulia, «protagonista di alcuni fotoromanzi e modella della pelletteria Macrì di Bari»; poi Sara, «22 anni, miss Ostia nel 2006 e ballerina di Hip-hop» e Claudia, «cubista in riviera, studentessa del terzo anno di giurisprudenza e modella per abiti da sposa». Per tutte, la stessa cerimonia: come ti chiami, da dove vieni, esperienze passate. Poi una piccola sfilata, lato A e lato B, un sorriso, e un balletto con il solito "stacchetto" di Striscia la notizia .In platea c'è un esercito di mamme, sorelle, fidanzati, amici e amiche che fanno il tifo e commentano - commentano scannerizzandola - ogni concorrente che passa su quel palco; «Quella lì? Ma no, c'ha il culo troppo basso». E le altre? «Capelli secchi», «sgraziata», «ma chi gli ha insegnato a ballà», «troppe tette», «poche tette»...C'è anche la mamma di Claudia: «Io - dice con una videofotocamera appesa al collo - sono convinta che mia figlia ce la farà. E' la seconda volta che ci proviamo, stavolta ce la farà».Tutt'intorno a quel palco c'è Roma. Forse la stessa Roma rappresenta da Luchino Visconti e Anna Magnani in Bellissima . Certo, è una Roma con qualche ruga di meno, nascosta com'è dal fondo tinta delle nuove luci della ribalta. Ma è sempre quella Roma lì: ambiziosa, disperata e un po' cialtrona. Quello che manca, forse, è proprio un Visconti e una Magnani che le strappi quella maschera di dosso.

25/04/2008


stragi


Ricontrollando il link di Wikipedia sulla strage dell'Italicus, che ho inserito in questo post, ne ho trovati altri due interessanti.

Uno è questo, sempre sullo stesso attentato. L'altro è questo, che ha rinfrescato la memoria anche a me. Stesso luogo, 10 anni dopo, altro attentato, altre vittime. Interessante anche il sito dei Vigili del Fuoco di Bologna.

Impressionante. Per non dimenticare.

infra


Sono tornate. Anche se in verità, da quando mi sono accorto di amarle non mi abbandonano nemmeno in inverno. Le metto in casa, anche con i calzini e anche se so che fa brutto. Le metto in borsa quando viaggio, per il mare o per i momenti di toilette, per la notte. Non che dorma con le infradito.

Quando ero più giovane mi facevano orrore. Non avevo capito il loro fascino senza tempo. Ho provato gli zoccoli del Dr. Schools finchè non mi sono reso conto che non ci sapevo camminare. E' uno dei miei tanti limiti. Quindi pian piano mi sono convertito alle infradito. Ho continuato per un po' ad andare al mare con le Converse, ma non era vita. Adesso sono compagne fedeli, simbolo di libertà assoluta. Rappresentano il mare, il sole, la spiaggia, il fancazzismo (provate a camminare per un'ora con le infradito e capirete che è bene fare il meno possibile con loro ai piedi). Odorano di salmastro e di tavole da surf anche se non ci sei mai salito sopra. Capirò che mio nipote sarà grande il giorno in cui camminerà con delle infradito senza essere ridicolo.

migranti


Non c'è solo l'immigrazione in Italia. O almeno, non c'è solo l'immigrazione dall'estero. Interessante questo articolo sul Corriere di mercoledì scorso sui nuovi emigranti da Sud a Nord, che lavorano, ma la famiglia deve aiutarli ugualmente con qualche soldo. Agghiacciante ma vero.

brioches

Mi è piaciuto, a partire dal titolo, questo pezzo di parte ma onesto, di Pasquale Santomassimo sulla sconfitta delle sinistre. Una riflessione ulteriore.


Sinistra/1
Il prezzo delle brioches
Pasquale Santomassimo
Il suicidio collettivo delle sinistre ha consegnato per un tempo indeterminato il paese a una destra liberalfascista, priva ormai di contrappesi moderati. È l'esito della lunga transizione italiana, non era un esito scontato e neppure inevitabile. Questa destra appare oggi l'unico contenitore in grado di dare forma alla grande mucillagine italiana. Non ci riesce il Pd, che è mucillagine anch'esso, né tanto meno la Sinistra arcobaleno, che ha chiesto il voto unicamente per salvare se stessa.Un obiettivo, questo, apprezzabile nelle campagne del Wwf, irrilevante in una competizione politica per il governo del paese. Nella «separazione consensuale» fra centro e sinistra c'è l'ammissione di una sconfitta, del non aver saputo gestire una vittoria difficile e sofferta, che pure aveva aperto grandi speranze e potenzialità. La «separazione» è stata voluta dal leader mediatico del Pd e si è risolta in un sostanziale fallimento (prosciugamento della sinistra, perdita al centro e, soprattutto, neppure un voto guadagnato nello «schieramento avverso», che era poi l'unica logica che potesse giustificare il «correre da soli»); non è stata però contrastata col dovuto vigore, direi con la passione necessaria, dalla sinistra, che è sembrata quasi sollevata dalla prospettiva di andare al voto per affermare la propria identità (quale?). Il destino obbligato della sinistra in Italia è, storicamente, quello di esser parte di uno schieramento più ampio da costruire e consolidare: lo sarà con qualsiasi sistema elettorale, a meno di rifugiarsi nella contemplazione di «altri mondi possibili» in tempi e spazi lontani ma accettando senza reagire una sorte di irrilevanza politica e culturale nel tempo a noi prossimo.C'è un grande paradosso nella situazione italiana: la destra vincente al culmine del suo quindicennio non esprime più vitalità e sogni di ricchezza facile, ma rassicurazione di status quo e difesa di un benessere sempre più precario e insidiato. Nell'arco del suo ultimo governo c'è stata una enorme redistribuzione di ricchezza che ha penalizzato il lavoro dipendente, impoverito classi medie quasi al confine di quella che un tempo si sarebbe definita proletarizzazione, ha diffuso sensazioni di precarietà del vivere quotidiano e della percezione del futuro possibile che vanno al di là dell'esercito sempre crescente di lavoratori precari, giovani e non più solo giovani. Nel bisogno di «sicurezza» così ossessivamente percepito e amplificato non c'è solo una problematica di ordine pubblico e di tutela poliziesca, ma il disagio di un degrado che va molto al di là degli scenari di centri e periferie abbandonati al logoramento di paesaggi e di rapporti umani, ma investe una condizione esistenziale che si nutre di rancori, disillusioni, scoramento e protesta quasi simultanei e intermittenti.Di fronte a questo scenario è semplicemente incredibile che la sinistra non abbia avuto niente da dire, non abbia trovato modo di interloquire. La sua componente maggioritaria sembra esaurire il suo «riformismo» nel risanamento dei conti dello stato e nel rompere le scatole a farmacisti e tassisti, immaginando un improbabile consumatore che prende il taxi a prezzo equo e va all'Ipercoop a comprare l'aspirina. La sinistra che con termine orribile e improprio si è usato definire «radicale» ha condotto battaglie di principio, sicuramente nobili, su temi che sono lontanissimi dalle urgenze, dai bisogni e dalla percezione della grandissima maggioranza dei cittadini.L'immagine finale della sinistra che aspetta i dati del disastro elettorale all'Hard Rock Café di Via Veneto è una metafora efficacissima di una sinistra che è sembrata molto edotta del costo delle brioches ma che sembra ignorare il prezzo del pane.Ripartire dal sociale, come si usa dire, è assolutamente necessario, a patto che non si trasformi nella riproposizione di un ennesimo slogan. Per farlo, qualunque sia la forma organizzativa alla fine prescelta, è però indispensabile cominciare finalmente a misurarsi con la società italiana quale essa è, e non come dovrebbe essere. Che non significa assecondare i meccanismi spontanei del suo sviluppo interno (per questo c'è già la destra), ma intervenire con umiltà per orientare e disciplinare, nel caso correggere e invertire tendenze autodistruttive che essa stessa produce. È necessario proporre quello che soprattutto è mancato in quasi vent'anni di grandi passioni e battaglie, ma anche di dibattiti ripetitivi e inconcludenti: una idea di società realistica e praticabile, non confinata in un futuro lontano. Le immagini di lunghe traversate nel deserto e di viaggi di carovane sono molto belle e poetiche. Peccato che siano già state usate vent'anni fa, e che abbiano condotto esattamente al punto di partenza.
pasquale santomassimo

Da qui http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/23-Aprile-2008/art4.html

morti

Martedì 22 aprile 2008, 6 morti sul lavoro. C'è ancora chi pensa che sia colpa di chi lavora? Che queste persone si divertano a rischiare la vita e che sia un caso?

ancora la serpenta


Ancora una fantastica intervista di Diamanda Galas, apparsa nel paginone centrale di Repubblica giusto ieri l'altro, nell'ambito di uno speciale sul Maggio Fiorentino. L'autore è Fulvio Paloscia, un vero fan della Galas. Leggetela: mi sono permesso di evidenziare un paio di frasi davvero notevoli.


Voglio andare all' inferno con la coscienza pulita
Repubblica — 23 aprile 2008


Ogni concerto di Diamanda Galas è come una processione invisibile. Di anime che non cercano la redenzione ma chiedono al mondo di essere ascoltate; di poeti che, con i loro versi, hanno raccontato i cunicoli oscuri della vita, elevando la sofferenza a visionaria forma d' arte. In You' re my thrill, il 23 maggio ospite di Maggio Off, sezione che segna l' ingresso nel festival delle musiche di frontiera tra ricerca contemporanea e rock, sono i musicisti che hanno raccontato l' amore lacerante come ferita, come perdita, ossessione, schiavitù, lotta dei sessi e dei sensi. Un amore così cieco e sacrificale da portare alla morte. Judy Garland, Chet Baker, Jacques Brel, Edith Piaf. Le anime nere del blues. Fantasmi che chiedono di tornare a parlarci tramite la voce della cantante e performer greco-californiana, influenzata dalla ricerca radicale, dal canto lirico ma anche da quello tradizionale greco, armeno e il cante hondo spagnolo. Accompagnata da un pianoforte che lei stesso suona e violenta, Diamanda Galas sceglie di cantare il sentimento più indagato dalle arti negli anni in cui trionfa un odio «sempre più primitivo, bestiale. La tecnologia, la comunicazione, internet hanno fatto regredire l' uomo a un autismo senza via d' uscita: tutte le esperienze sono vissute nella mente, non nel corpo. Ci confrontiamo con la realtà come se fossimo tutti voyeur: abbiamo bisogno di filtri che ce la mascherino».


FP Da cosa nasce la sua passione per la canzone francese?

DG «Ho sempre amato la poesia di Baudelaire, Tristan Corbière, Gérard De Nerval. Ci sono loro tracce nei testi del grande repertorio della chanson, c' è lo stesso male di vivere, la stessa profondità tormentata, così come la musica non è indenne dalla tradizione classica occidentale: Chopin, Bartòk, Liszt, Cesar Franck. Gli interpreti non emulavano, come è sempre stato costume in America, dove il riciclaggio non è mai passato di moda: l' adattamento di quelle canzoni alla loro indole, al loro carisma, era frutto di un accuratissimo lavoro di ri-creazione. Di fronte alla potenza e alla sensibilità di Edith Piaf, ogni modello cantautorale è pura utopia. Soprattutto oggi».


FP Iannis Xenakis, Vinko Globokar, John Paul Jones. Tre musicisti che hanno segnato la sua storia di artista in bilico tra musiche di diversa estrazione: protagonisti dell' esperienza contemporanea i primi due, bassista dei Led Zeppelin il terzo. Che segno hanno lasciato nella sua ricerca?

DG «Globokar mi ha avviata al canto, all' improvvisazione. Xenakis è un eroe: è andato avanti per la sua strada di ricerca radicale nonostante le critiche e il disappunto dell' accademia mi ha incoraggiato a intraprendere una strada tutta mia. Con Jones è stato un dare e un avere, c'è stato uno scambio di esperienze fortissimo. E non è poco per una come me che non ama le collaborazioni: mi piace avere il controllo di tutto quello che faccio».


FP Tra lei il pianoforte c' è un rapporto prima di tutto fisico.

DG «Ho imparato a suonare da maestri russi, e in Russia i pianisti suonano con tutto il corpo: la schiena, le braccia, le gambe, il bacino. Nei miei concerti, il pianoforte è importante tanto quanto la voce. Non sopporto quei cantanti che si accompagnano suonando uno strumento come capita. E sono molti. A cominciare da Elton John».


FP Tra i suoi grandi amori c' è Pierpaolo Pasolini.

DG «I grandi intellettuali sono capaci di individuare quelle debolezze nevralgiche della società in cui vivono, così radicate da non risolversi mai. La loro attualità è eterna. Pasolini appartiene a questa eletta schiera di geni. Diceva quello che pensava, e lo esprimeva senza rendere conto a nessuno. Per questo fu un personaggio scomodo, ma lungimirante. Io voglio essere come lui. Andarmene all' inferno con la coscienza pulita. Ardere sapendo che quelle fiamme me le sono meritate. Non come Jennifer Lopez che, nell' oltretomba, ripenserà a una vita sprecata in nome di una sola cosa: il bel sedere».


Tra gli altri protagonisti del Maggio Off, Martirio (30 maggio), rivisitatrice anticonvenzionale del repertorio popolare spagnolo; i finlandesi Varttina che combinano musica tradizionale e pop (6 giugno), la star del Mali Rokia Traorè (13 giugno) e Meredith Monk, protagonista dell' avanguardia newyorkese (27 giugno).


- FULVIO PALOSCIA

20080424

italicus


Come ho detto agli amici che erano a cena con me martedì sera in quel di Magenta, non passo spesso via treno dalla Firenze-Bologna, ma quando ci passo provo sempre una strana apprensione nel tratto tra Vernio e San Benedetto Val di Sambro. Il perchè è presto detto: nonostante avessi solo 8 anni ho un ricordo nitido della strage del treno Italicus nell'agosto del 1974. Capisco invece come già chi ha pochi anni meno di me se ne ricordi meno. Se magari non sapete o non ricordate, date una rapida lettura alla voce di Wikipedia al riguardo, qui. Tralascio quello che provo poi quando osservo lo squarcio nella stazione di Bologna.

trasferte 2


Ma il momento più esilarante è stato al ritorno. Mercoledi mattina, Eurostar Milano-Napoli, prima classe, carrozza 001. Mi vedo costretto ad inforcare le cuffie e ad accendere a tutto volume il lettore mp3 con i BYOP a palla, visto che il tipo all'altro lato della carrozza fa una telefonata dietro l'altra da Milano fin quasi a Bologna, e ha un tono di voce alto. Passano hostess e steward, come una volta sugli aerei, per offrire bibite, caramelle, spuntini. Passa uno steward col carrello dei giornali: io sto leggendo Repubblica e nella tasca del seggiolino ho Il Manifesto. La fortuna vuole che mentre finisce un pezzo e sta per cominciarne un altro, lo steward chieda al signore seduto davanti a me (facciamo che fosse un manager attempato, un creativo di una certa età, uno scrittore, un giornalista, comunque un anziano che gioca a fare il giovane): quotidiano signore?

Il signore risponde: Il Giornale ce l'ha?

Lo steward: Certo che ce l'ho come no.

Scorre per un po' il fascio dei giornali e non lo trova. A quel punto esclama: Mannaggia, mica m'è rimasto. E' che mo' lo prendono tutti Il Giornale, chissà com'è?

E' in quel momento che scoppio a ridere in silenzio ma visibilmente. Il signore davanti (i seggiolini erano "tipo bus") non mi vede, ma lo steward si, e si diverte, quindi gli dice: Ho Repubblica, può andare?

Dopo di che si rivolge a me, io lo precedo e gli dico gentilmente e scherzosamente: C'ho già tutto!

Se ne va sorridente, vedendo che leggo Repubblica, mentre al giro dopo, mentre distribuisce caramelle, sbircia cosa sto leggendo e vede Il Manifesto.


Nella foto: io e Filo alla cena di martedì

trasferte


Avrete notato che sono stato un po' assente. Sono andato in trasferta per lavoro, alla sede milanese della società per cui lavoro. E' stata l'occasione per rivedere colleghe e colleghi che non vedevo da un po', e in effetti mai come adesso mi rendo conto che conosco praticamente tutti anche lassù (del resto sono quasi 20 anni che lavoro con questa società); è stata anche l'occasione per rivedere gli amici dell'hinterland milanese. Qua una testimonianza della cena di martedi sera. Ho in braccio Nicole, figlia di amici (qui il blog di Garaz), e indosso orgogliosamente la t-shirt dei Dillinger Escape Plan con la quale sono stato tutto il giorno in mezzo a gente incravattata.

E sono soddisfazioni.

20080423

analisi televisiva 2

Televisione
La messa in onda del format leghista
Norma Rangeri
Le ronde contro lo straniero, i muri costruiti tra un quartiere e l'altro, gli sgomberi dei campi rom, la caccia al rumeno, i furti in villa, il tabaccaio e il gioielliere vittime emblematiche di ogni violenza. Un paese in balia del crimine. Bisogna fare i conti con l'onda lunga di una rappresentazione mediatica per capire quale arma formidabile sia stata, specialmente nel paese di Silvio Berlusconi, la martellante simbologia del nemico che ci porta via il lavoro, la donna, il crocifisso. Gli invasori sono ogni giorno sui nostri schermi, protagonisti della cronaca nera, scodellati all'ora del telegiornale sulle tavole italiane.Al centro dell'attenzione nei talk-show, in una catena di montaggio che non conosce soste: i notiziari seminano allarme e paura, gli efferati contenitori del pomeriggio e i benpensanti salottini della sera tirano su le reti. La distanza tra la sensazione del pericolo e il numero dei delitti commessi (in crescita la prima in calo i secondi), può dare la misura del formidabile lavoro svolto dalla comunicazione. E' dal '96, dagli anni della immigrazione albanese, che gli italiani vivono in uno stato di alterazione nella percezione della realtà. Senza alcuna differenza tra le stagioni in cui a prevalere nel governo del servizio pubblico erano gli uomini della sinistra e quelle invece occupate dai giornalisti del centrodestra. Alla favola di una Lega poco visibile, dimenticata dalle telecamere, ci crede chi non vuole vedere il fenomeno abbagliante dei modelli di vita trasmessi dalla televisione. Sostenere che questo partito sia la Cenerentola dei mass media è una tesi che ignora il discorso corrente, la cultura dominante del messaggio televisivo. Gli ideali, i valori, i principi che governano il focolare della famiglia difesa delle ronde hanno conquistato la ribalta dal pulpito più importante, e ci parlano della necessità di chiudere la frontiera, ristabilire la sovranità nazionale, proteggere il benessere che la globalizzazione e lo straniero attentano.La Lega ha sempre goduto di una grande attenzione (fin dai tempi di Telekabul: fu il Tg3 a sdoganare Bossi e Fini, non senza polemiche), proseguita poi per interposto berlusconismo, parente prossimo del modello leghista: dall'antistatalismo, all'arricchimento personale, all'evasione fiscale, al lavoro nero. Medaglie al valore nazionale, collante del patto elettorale tra il presidente miliardario e il senatore in canottiera. E' curioso come improvvisamente ci si stupisca del successo elettorale del partito di Bossi, come si sia subito aperta la gara a rincorrere gli umori leghisti, quasi che la misura del consenso ottenuto nelle urne ripulisse la natura reazionaria, xenofoba, antisindacale del voto.Oltretutto la visibilità degli esponenti leghisti non ha nulla da invidiare ai colleghi degli altri partiti. Bossi è andato a cantare nei varietà come D'Alema, Maroni è sempre in video a rappresentare il volto civile e rassicurante degli avanguardisti in camicia verde, i ministri della Lega hanno frequentato Porta a Porta e i tg come tutti. La telecrazia, bisognerebbe farsene una ragione, sta alla nostra cultura politica come un abito cucito su misura.

da http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/20-Aprile-2008/art5.html

stupri e politica 4

Sesso globale sesso sicuro
Ida Dominijanni
Milano, studentessa americana stuprata da un giovane egiziano clandestino all'uscita di una discoteca. Roma, studentessa sudafricana accoltellata e ripetutamente violentata da un giovane rumeno clandestino all'uscita di una stazione: tale e quale sei mesi fa Giovanna Reggiani, che ci rimise la vita. Sono tutte uguali le storie di stupro, non da oggi e non da ieri. Cambia nel tempo il copione della reazione, a seconda degli scopi a cui serve. Ci fu un tempo in cui serviva per far approvare una legge contro la violenza sessuale (ci vollero 17 anni), e modularne l'articolato sulla base dell'allarme sociale e dei titoli sui giornali più che delle esigenze femminili. Adesso serve a espellere i clandestini, detti anche barbari, preferibilmente su base etnica (di quante razze ci dovremo liberare?), e a rilanciare ogni giorno la parola magica del momento, quella che serve a spiegare tutto della questione settentrionale (ma Roma non è al nord), del voto alla Lega e al Pdl, della débacle della sinistra e della fine del Novecento. La parola magica è sicurezza. Al Nord, ci spiegano (ma anche a Roma), i cittadini vogliono sicurezza, la sinistra non lo capisce e non si piega alle ricette della destra, che sono le uniche possibili. Più espulsioni, e ci saranno meno stupri (solo a Roma, nel 2007, 4663 casi denunciati, 13 al giorno), meno rapine, meno anziane strangolate (sempre a Roma, sempre due giorni fa, l'ultima è stata trovata morta con un laccetto alla gola, a casa sua ai Parioli, che è un quartiere ricco e non una stazione buia). Il farmaco si sa in anticipo che è un placebo: gli uomini, cittadini e clandestini, occidentali e africani, ariani e rom, stuprano le donne da sempre, e se si tratta di donne di altre etnie e nazionalità pare che da sempre ci provino più gusto (vi ricordate gli stupri etnici? «Tutti gli stupri sono etnici», scrisse all'epoca una sociologa con non poco scandalo), perché violentare una donna «altrui» è una prova raddoppiata di virile potenza. Gli uomini però, i nostri uomini di governo - e anche di lotta -, questo argomento pare non li tocchi mai direttamente: riguarda sempre qualche altro. Quelli di governo urlano «sicurezza!» e chiuso. Quelli di lotta replicano che la sicurezza non si può ottenere a scapito dei diritti fondamentali di chi la minaccia, e chiuso anche lì. La sinistra, è vero, sul tema non trova una presa. Il che non vuol dire che la destra, invece, ci prenda: si limita a usare una parola-ombrello. Piove di tutto - immigrati, lavoratori a basso costo, lingue sconosciute, lineamenti diversi, kebab maleodoranti, stupri, borseggi, bancomat clonati, prostitute - e ognuno vorrebbe il suo ombrello. Ma gli ombrelli, mentre proteggono, nascondono. Sicurezza è una parola - ombrello, che nasconde troppe cose. In primo luogo, una scomoda verità che nessuno dice né a destra né a sinistra: c'è un tasso di rischio che è ineliminabile dalla condizione umana, dall'esposizione all'altro in cui ciascuno si trova su questa terra, nonché dalla democrazia, che non è un set di garanzie pronto per l'uso. Secondo, la graduazione del rischio, e di conseguenza dell'allarme, e di conseguenza dei rimedi: il rischio che attiene all'essere un corpo femminile considerato una preda, non è paragonabile al rischio, per quanto sgradevole, che ti rubino il portafogli. Terzo, il carattere specifico di ogni rischio specifico. Stiamo al caso: studentessa americana stuprata da egiziano, studentessa sudafricana stuprata da giovane rumeno. Aggiungiamoci tutti i precedenti analoghi. Aggiungiamoci magari anche il caso Mez di Perugia (studentessa americana presumibilmente accoltellata dopo pratiche sessuali hard da un giovane italiano e un giovane italo-ivoriano). D'accordo, c'è di mezzo la sicurezza. Ma non ci sarà di mezzo anche il sesso? Cos'è questo nuovo mercato sessuale globale, in cui uomini abusano donne preferibilmente straniere, uomini extracomunitari stuprano cittadine europee, uomini maturi europei ingrassano le compagnie aeree (e non serve il marchio Alitalia né che si parta da Malpensa) per fare sesso con minorenni tailandesi, donne dell'insicuro Nord italiano idem con giovani giamaicani, clandestine dell'est si prostituiscono con cittadini dell'Ovest? Cos'è questo stridore fra l'allarme sicurezza sugli stupri e la sicurezza con cui i media di mezzo mondo (democratico) traducono in disponibilità sessuale la libertà femminile? Quando le risposte-ombrello proteggono poco o nulla, talvolta è sensato cambiare le domande.

da http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/20-Aprile-2008/art7.html

ah, la satira

VOI SIETE QUI
Mostri, ministri e ministeri
Alessando Robecchi
Grande agitazione politica nella maggioranza per la formazione del nuovo governo. Ultima novità, il veto di An sul ministero della Sanità: il nome di Joseph Mengele non convince ed è considerato un avvicinamento troppo repentino alle posizioni della Santanché. Si pensa anche all'urologo di Berlusconi. Per le Politiche della Famiglia lo scontro si fa duro: Anna Maria Franzoni pare favorita, ma se la giocano anche Barbablù (Lega) e Andrei Chikatilo, il Mostro di Rostov, consigliato dall'amico Putin. Con un gesto di responsabilità, Barbablù potrebbe accettare le Pari Opportunità, ma il problema non sarebbe comunque risolto perché con la Franzoni alla famiglia, la Difesa spetterebbe a Taormina. Un'eventualità, questa di Taormina alla Difesa, che indispettisce il candidato più favorito, Ignazio La Russa, sostenuto da An dopo la notizia della morte del generale Graziani. Dura la battaglia anche per gli Interni: si cerca una figura inflessibile che non snaturi lo spirito dell'alleanza di governo. Spunta il nome del Macellaio di Riga, soprattutto in chiave anti-rom, ma circolano con insistenza anche i nomi di Scajola (quello di Genova) e dell'assessore Graziano Cioni (quello di Firenze). Calisto Tanzi alle Attività Produttive pare coerente con la linea liberista, mentre lo scontro si fa duro per il ministero dei Beni Culturali, dove se la giocano Maria De Filippi e Cristiano Malgioglio (An), con un terzo incomodo molto spinto dalla Lega, un elettrauto di Cernusco Lombardone, mentre la candidatura di Sandro Bondi (Pdl) sembra un po' provocatoria. Restano da sistemare le pedine per l'Istruzione, dove è ben quotato Formigoni, sempre se alla regione Lombardia andrà Luck, uno spinone bergamasco di sei anni già premiato in numerose mostre canine. Per l'Ambiente è in corsa Michela Brambilla e la cosa pare fatta, così come per le Comunicazioni, dove è senza rivali Maurizio Gasparri, questa volta equipaggiato con un impianto wi-fi. L'altra volta con il telecomando, Silvio fece un po' fatica.

da http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/20-Aprile-2008/art4.html

prima arriva meglio è

che la primavera arrivi,
prepotente.
ho voglia di pantaloni corti e maglietta.
ho voglia di fare le grigliate sul ticino.
ho voglia di prendere il sole e giocare a calcio nel prato.
ho voglia di andare a correre la sera sul naviglio.
ho voglia di sole!

20080421

jumbolo, e si ci facessimo la cresta in titanio?

un altro paese (è possibile)


Asuncion (Paraguay), 09:19
PARAGUAY: IL TRIONFO DI LUGO, DAL PULPITO AL POTERE
Fernando Lugo, l'ex vescovo cattolico che nel 2006 si e' tolto gli abiti talari per dedicarsi alla politica, ha conquistato la presidenza del Paraguay. Per il Paese si apre cosi una nuova era, che pone fine a sessantun'anni di dominio assoluto del Partito Colorado - la piu' duratura permanenza di un partito al potere- e dal buio repressivo in cui lo ha sprofondato Alfredo Stroessner, uscito di scena nel 1989 dopo trentacinque anni di dittatura. Lugo ha ottenuto quasi il 41 per cento dei voti: niente da fare per Blanca Olevar, la candidata del partito al governo, prima donna a correre per la presidenza nella storia del Paraguay, che si e' fermata 10 punti sotto. L'ex vescovo della chiesa di San Pedro (una delle zone rurali piu' povere del Paese) che sembra uscito dalle pagine di un libro di Leonardo Boff, uno dei fondatori della Teologia della liberazione, ha ricevuto l'appoggio di un'ampia coalizione d'opposizione che raccoglie nuove aggregazioni politiche, oltre a una ventina di gruppi sociali, 'campesinos', indigeni e sindacalisti. L'ex prelato, che annuncio' nel Natale di due anni fa che lasciava il clero per aiutare il Paese a liberarsi dal Partido Colorado e per questo fu sospeso 'a divinis' dal Vaticano, ha fatto breccia tra gli strati piu' poveri della popolazione con promesse populiste; e per molti settori, tra cui i grandi proprietari terrieri e' un pericoloso estremista. Ma nella corso della campagna elettorale ha insistito che governera' il paese con "l'aiuto di tutti e per tutti", compresi i "coloradi". Nelle sue prime parole come futuro presidente, l'ex prelato ha insistito che la nuova era della politica nazionale sara" senza clientelismo ne' settarismo", ma molto dipendera' dalla composizione del nuovo Parlamento. Il Partido Colorado quasi certamente riuscira' a formare due potenti gruppi in entrambe le camere, che pero' -come ben sa l'attuale presidente Nicanor Duarte- non sempre votano in blocco a causa delle divisioni interne. Ma Duarte, riconoscendo la sconfitta di Blanca Ovelar, ha gia' fatto sapere che fara' il possibile per recuperare il piu' presto possibile il potere, il che preannuncia un'opposizione ferrea al prossimo governo.
Da Repubblica on-line

20080420

trust byop


Sicuramente i più attenti ci avevano già fatto caso, ma vi faccio notare che su youtube ci sono alcuni video che non si possono condividere: c'è l'embedding disabilitato su richiesta; in genere succede per i videoclip ufficiali, postati direttamente dalla casa discografica. Ad ogni modo, per continuare a "sponsorizzare" i Be Your Own Pet vorrei che deste un'occhiata al video del singolo del nuovo disco. Il singolo è The Kelly Affair e, come già i video dal primo disco, è davvero divertente e godibile. Breve, diretto, sorprendente. E Jemina (nella foto, dal vivo) versione infermiera fa la sua figura.

Guardatelo qui. Buona visione

PS il titolo del post l'ho copiato da un commento ad un video dei BYOP su youtube, appunto, e mi ha fatto molto ridere

stupri e politica 3


Sempre da Liberazione di oggi, in riferimento all'articolo di Sansonetti (e al resto)



Tanti bei focolari insanguinati
Beatrice Busi


Domenica 13 aprile


Mirandola (Mo)

Lei, 29 anni, viene dalla Romania. Il marito, 54 anni, è titolare di un hotel. E' l'una di notte quando i carabinieri lo arrestano per tentato omicidio. Stavano litigando. Lui ha impugnato la pistola e le ha sparato.


Martedì 15 aprile


Vinci (Fi)

Lei, 47 anni, fa la barista. Si è separata dal marito violento. Lui, 52 anni, ha continuato a tormentarla. Aggressioni, minacce, scenate di gelosia, insulti. Per due volte le ha fratturato il setto nasale . Lei ha trovato la forza di denunciarlo. Lui è finito ai domiciliari.


Bologna

Quando ha compiuto 13 anni è riuscita a raccontare tutto alla compagna del padre. Le sue crisi di pianto improvvise, gli atti di autolesionismo e lo scarso rendimento scolastico avevano fatto sorgere i primi sospetti. Quando era più piccola spesso veniva affidata al compagno della nonna materna, 58 anni. Per 6 anni, lui l'ha molestata . E' stato condannato a tre anni e mezzo di carcere e a un risarcimento di 25mila euro.


Mercoledì 16 aprile


Cremona

Lui, 43 anni, era un padre-padrone. La moglie e i figli se ne sono andati e l'hanno denunciato. E' stato rinviato a giudizio, il processo comincerà il prossimo novembre. E' accusato di maltrattamenti in famiglia e di violenza sessuale. Ha abusato della figlia più grande, che ora ha 13 anni.


Buccino (Sa)

Antonia ha 76 anni e 4 figli. Lei e il marito, coetaneo, sono coltivatori diretti. Dividono il casolare con Gregorio, 65 anni, il fratello di lei. Lui non è sposato, va da loro tutti i giorni. A pranzo e a cena. Da qualche giorno non va più a mangiare da lei. Ha fatto delle analisi, i valori sono fuori norma, è colpa dell'alimentazione. Verso sera litigano, lui va a prendere il fucile da caccia. Prima colpisce Antonia, poi il cognato. Poi torna a casa e si spara.


Giovedì 17 aprile


Aeroporto di Fiumicino (Rm)

Lui, 73 anni, l'hanno arrestato appena sceso dall'aereo. Per anni ha violentato la moglie. Dalle indagini iniziate nel 2003 sono emersi anche gli abusi nei confronti della figlia di 3 anni e di una vicina di casa minorenne . Ora è detenuto a Rebibbia, deve scontare una condanna a 7 anni e 7 mesi.


Arcidosso (Gr)

Lei, 75 anni, cerca di riposare. Ha litigato con il marito per la gestione dei beni di famiglia. Lui, 82 anni, non si è affatto placato. Prende una sbarra di alluminio, va in camera e comincia a colpirla . Lei grida, il figlio e la badante cercano di fermarlo, lui prende l'attizzatoio e colpisce il figlio. I vicini chiamano il 112. Lui si versa addosso dell'alcool e minaccia di darsi fuoco. E' accusato di lesioni aggravate. Lei è ricoverata in gravi condizioni.

stupri e politica 2


Sempre da Liberazione di oggi



C'è uno stupro da usare per le elezioni?

Piero Sansonetti

Chi legge abitualmente questo giornale sa che pubblichiamo una rubrica domenicale, curata da una nostra collaboratrice bravissima, Beatrice Busi, nella quale si raccontano i dettagli di cinque o sei assassinii, o pestaggi, o stupri. Molto simili l'uno all'altro: un marito - o un fidanzato, o un amante o uno spasimante, o un padre, o un nonno - che uccide la «sua» donna, o la «sua» bambina. La rubrica si chiama "Finché morte non ci separi". Vi fa ridere? Non c'è niente da ridere. Bea non ha mai avuto difficoltà a riempire la colonna che noi le affidiamo tutte le domeniche (questa domenica la trovate a pagina 7). Dà un'occhiata alle agenzie di stampa e tutto il suo lavoro consiste nello scrivere le storie che trova, con un linguaggio che sta sul filo tra la rabbia, l'ironia e l'eleganza. Le riesce molto bene.Chissà perché tutti questi delitti, che sono decine e decine, trovano spazio solo su questa modesta e sobria rubrica di Liberazione . E chissà perché su nessuno di questi delitti si accende un dibattito politico forte e teso, come quello che invece si accende ogni volta che il delitto viene commesso non da uno di famiglia ma da un estreano, e soprattutto, si accende, se questo estreaneo è straniero, o addirittura è rom o romeno (per i giornali e i dirigenti politici italiani la differenza tra rom e romeno è assolutamente trascurabile: il romeno, più o meno, è rom, il rom è delinquente, e quindi va deportato assieme a tutta la sua famiglia, anche se ancora non ha commesso nessun delitto, prima o poi lo commetterà...).Così è succeso ieri. Una donna, africana, è stata aggredita vicino alla fermata del treno a La Storta, una stazioncina di periferia, a Roma, è stata ferita con un coltello, è stata violentata. L'aggressore è stato fermato, è rumeno. La violenza è diventata immediatamente un fatto politico. Come all'inizio di novembre, quando fu uccisa la signora Reggiani, a Tor di Quinto, e il partito democratico lanciò una campagna giustizialista contro i rom, per calcoli politici. Rase al suolo alcune baraccopoli. Stavolta è la destra che chiama l'opinione pubblica al linciaggio: «Spianiamo i campi nomadi». Guidata da Alemanno. Il quale spera di vincere le elezioni a sindaco in questo modo. Non vi pare un'infamia?

stupri e politica


Da Liberazione di oggi


Alemanno all'attacco. Rutelli insegue: bracciali allarmati per le donne
Stupro di una ragazza a Roma
E come per Giovanna Reggiani
scatta la speculazione-sicurezza

Checchino Antonini
Doveva scendere alla stazione successiva. Ma ha sbagliato fermata. Era mezzanotte di giovedì, e quello da cui era scesa era l'ultimo treno. Alla fermata di La Storta, nord estremo di Roma, sulla Cassia, ha trovato un maschio che l'ha minacciata con un coltello, l'ha trascinata nella campagna circostante. Poi ha sentito il coltello nella pancia quando ha cercato di divincolarsi e quel maschio l'ha violentata finché non sono arrivati i carabinieri a catturarlo, avvertiti da due persone che s'erano accorte di tutto. Lei è finita in ospedale, se la caverà. Lui, sequestro di persona e violenza sessuale aggravata, è a Regina Coeli. Fuori, ma soprattutto dentro le mura domestiche, la violenza patriarcale sessista continua a colpire.La vittima di La Storta ha 31 anni, è africana del Lesotho, in Italia con la famiglia, suo padre è addetto all'ambasciata. Studia alla Sapienza e non parla italiano. Ai militari dell'Arma ha raccontato il suo incubo in inglese. Il maschio che l'ha violentata ha 37 anni, è rumeno, le agenzie precisano che non è rom, vive nelle baracche della campagna romana. E' rumeno. E questo basta ad Alemanno, aspirante sindaco di Roma, a otto giorni dal ballottaggio con Rutelli, per recarsi nel luogo dell'aggressione con lo stesso stuolo di cronisti e telecamere che seguì il suo capo, Fini, in un sopralluogo simile quando un altro maschio, anche lui rumeno, uccise una donna romana, Giovanna Reggiani, in circostanze simili: una stazione di periferia, male illuminata, vicina a una baraccopoli miserrima. Tanto basta per rubricare la violenza sessuale al più ambiguo capitolo sicurezza impregnato di razzismo, di orrore dei penultimi della società per gli ultimi. La discutibile equazione si completa cucendo (lo hanno fatto immediatamente media e politici) lo stupro di La Storta all'omicidio di una anziana, strangolata a 81 anni per rubarle i risparmi che aveva in casa. L'hanno trovata al piano terra di un appartamento popolare a Roma in via della Moschea. Sul pavimento, tra la cucina e la sala da pranzo, c'era un laccio di nylon, l'arma del delitto. Ogni stanza era a soqquadro. Così, sulla pelle di una donna, ancora una volta, si consuma la competizione politica tra partiti di maschi che si accusano reciprocamente di ignorare la questione della sicurezza. «Ma non chiamano lo stupro col suo nome», spiega a Liberazione Olivia, specificando di non essere rappresentativa di nulla ma di far parte del percorso della manifestazione di donne del 24 novembre scorso: «Ancora una volta è un caso di violenza di un uomo su una donna ma si applica la stessa logica che si è prodotta con l'omicidio Reggiani: noi quella logica la rifiutiamo perché la violenza avviene quasi sempre in famiglia, da parte degli uomini vicini, non è messa in atto da chi è marginale ma è inscritta nella cultura patriarcale. Così si occulta la violenza sulle donne e ci viene tolta la parola, veniamo vittimizzate e restiamo oggetti comunque, di una violenza come di un discorso politico». E il discorso è quello del leghista Castelli convinto di dover difendere la «nostra società da questa orda dei barbari». Il suo collega di partito, Calderoli, tuona sulle complicità della politica con i clandestini che controllerebbero il territorio. Una tiritera che gli ha fruttato parecchio alle ultime elezioni e che sarà tradotta nell'ennesimo pacchetto sicurezza che lui vorrebbe scrivere entro due mesi dall'insediamento del nuovo governo. Amato, ministro di polizia uscente, rivendica il suo pacchetto sicurezza chiesto e ottenuto da Veltroni dopo l'omicidio Reggiani. Spianare i campi nomadi e dotare ogni donna di bombolette spray per l'autodifesa: è la ricetta di un deputato capo dei giovani padani, Grimoldi, che ignora quanto quegli spray siano inutili per l'80-90% degli stupri, 13 al giorno, in media, messi in atto da padri, mariti, fratelli e fidanzati. Nel 2007 ne sono stati accertati 4663 contro i 4694 dell'anno prima. Il catalogo della demagogia è sempre lo stesso e bipartisan: espulsioni facili, immediatezza e certezza della pena con una punta di ridicolo quando dal Pd si ricorda ad Alemanno che fu il governo Berlusconi, in cui era ministro, a far entrare 150mila rumeni in Italia. Singolare che se uno stupro avviene a Milano (come l'altroieri) sia colpa del governo di centrosinistra, se accade a Roma sia colpa del sindaco di centrosinistra. Ma Pollastrini (Pd)non sembra poi così lontana dalla collega di An Saltamartini. «Alemanno la smetta di cercare di smuovere le pance dei cittadini con atti di sciacallaggio su eventi drammatici», dice Massimiliano Smeriglio, segretario romano del Prc, solidarizzando con la ragazza violentata.«A Roma una donna su tre è vittima di violenza fisica o sessuale, fuori e dentro casa - dice Patrizia Sentinelli, coordinatrice romana della Sinistra l'Arcobaleno - la politica non strumentalizzi e si metta al lavoro, sulla scia di quanto fa da anni la Casa Internazionale delle Donne». Tra le proposte:illuminazione dei quartieri e un Centro Antiviolenza in ogni municipio. Rutelli, in serata, annuncia più videosorveglianza alla Storta, il potenziamento della copertura della rete dei cellulari nelle stazioni (e in tutti i tragitti di metro e treni) e una «sperimentazione calibrata» di «braccialetti di segnalazione del pericolo destinati, ad esempio, a donne che percorrono da sole zone isolate».

playlist-nel lettore mp3

Be Your Own Pet - Get Awkward
Camille - Music Hole
Cristina Donà - Piccola faccia
Damien Rice - Live From The Union Chapel
Diamanda Galas - Guilty Guilty Guilty
Duffy - Rockferry
Gallows - Orchestra Of Wolves
Jesu - Conqueror
Joy Division - Unknown Pleasures
Puddle Of Mudd - Famous
Rolling Stones - Love You Live
Stonerider - Three Legs Of Trouble
The Dillinger Escape Plan - Ire Works
The Sword - Gods Of The Earth
Tift Merritt - Another Country

vinili

tornato a casa dal mercatino coi seguenti vinili:
u2-the unforgettable fire
bruce spreengsteen-nebraska
michael jackson-bad
francesco guccini-opera buffa
francesco guccini-via paolo fabbri 43
jethro tull-stand up
aretha franklin-aretha
amalia rodrigues-in concert
le pensée de Marx

il tutto a 30 euri

you're a waste


Vi ho già parlato qui del nuovo Get Awkward dei Be Your Own Pet, che ha ottime probabilità di entrare nella mia top ten del 2008. Potrebbe sembrarvi un ulteriore tentativo di sentirsi giovane, ma mi capita spesso di "fissarmi" su alcune canzoni. Credetemi se vi dico che mi succedeva anche nel 1978, non lo faccio per adeguarmi, come dicevo prima, al modo di fruire la musica che hanno adesso i ventenni con download ed mp3.

Visto che i dischi che mi piacciono li riascolto volentieri, in momenti nei quali non c'è niente di nuovo (ultimamente non succede spesso), mi sono innamorato di You're A Waste dei BYOP. La trovo una canzone accattivante, con un ritmo atipico per i ragazzini (riferito alla band), e con un testo interessante. Mi pare di capire che parli di una ragazza che dapprima muore dietro ad un ragazzo, diventa la sua ragazza, poi lo lascia e si dice soddisfatta di avergli spezzato il cuore, visto che durante la relazione il ragazzo l'ha trattata male. Non sono così adolescenziali (la cantante dei BYOP ha compiuto 19 anni poco fa) passaggi come


I wanted so bad to be your girl, I tried thinking 'bout all the lonely nights I cried I look back, what a waste of time

o anche
You're telling lies to everyone who will listen, you want so bad to be the victim, but what you've got to see, is our relationship and breakup is not a competition

Bello il riferimento che vi dicevo prima, della ragazza che si compiace per aver spezzato il cuore del tipo, nel ritornello

Now I'm glad you've got a broken heart, cause I've been trying to fix mine from the start

passaggio che, tra l'altro, suona benissimo. Trovo inoltre che il testo si possa adattare ad ogni fascia d'età: c'è sempre chi, in una relazione, vuole cambiare caratterialmente il partner. Jemina, la cantante, interpreta il pezzo molto bene, e gli altri fanno il loro dovere. Dovreste provarlo.

La foto mostra i BYOP in concerto, ed è tratta da un articolo del Washington Post on line, articolo che trovate qui, abbastanza interessante.

20080419

mamma mia (here we go again)


Il titolo del post è dell'Economist, riferito al ritorno di Berlusconi al potere in Italia. Ieri, Silvio in conferenza stampa con l'amico Putin ha mimato un mitra indirizzato ad una giornalista russa che domandava allo "Zar" del suo presunto divorzio segreto e della sua nuova fiamma.


Ci risiamo. E' già partito prima ancora di ricevere l'incarico. Non oso pensare cosa potrà fare in questi 5 anni, e, terrore dei terrori, che cosa potrà inventare se davvero, dopo i 5 anni di prossimo governo, riuscirà a farsi eleggere per altri 7 anni Presidente della Repubblica. Oggi ho letto solo alcuni commenti dei giornali esteri sulle elezioni italiane, sul nuovo Internazionale. L'articolo di Arno Widmann del Frankfurter Rundschau, tedesco, fa venire i brividi.


Come si dice dalle nostre parti, siamo nelle mani dell'ultimo padrone.

frivolezze


Oggi 19 aprile, dopo la classica mattinata da baby sitter a mio nipote (oggi abbiamo fatto, oltre alla consueta lezione di piromania - Alessio ha bruciato un intero rotolo di Scottex nel caminetto, foglio per foglio, consumando un'intera scatola di fiammiferi GRANDI -, un 'oretta sul mare - lancio dei sassi, un altro classico, inframezzato dal caffè d'orzo in tazza grande al bar, ormai è un vizioso -, la scoperta del corpo umano - non so come sono venute fuori nei nostri discorsi le ossa; gli ho spiegato che dentro ogni corpo umano c'è uno scheletro, una specie di intelaiatura, fatta dalle ossa, che "sorregge" l'intero corpo e i suoi arti -; a casa con l'aiuto del dizionario medico di Repubblica, lo sapevo che sarebbe servito a qualcosa, gli ho fatto vedere uno scheletro, e lui si è mostrato molto interessato, dopo di che mi ha disegnato una balena. Non so cosa c'entrasse, ma è andata così), prima esposizione in costume (pantaloncini) al sole, un paio d'ore. A 300 metri da casa, nel punto assolutamente più vicino, mentre davanti orde di surfisti cavalcavano onde niente male.


Che cazzo ci va a fare la gente in Costarica?


PS prima di cena passeggiata sul mare fino a Castiglioncello; ho trovato mia sorella con mio nipote che aspettavano mio cognato per andare a cena fuori. Indovinate cosa stava facendo mio nipote. Lancio dei sassi.

casa

Questa è vecchia, ma non ve l'avevo mai fatta leggere. E chi l'aveva letta l'aveva dimenticata. Non merita di essere dimenticata. Anche perchè è sempre tremendamente vera.

Piccola scheggia di bene
ancora non capisco
come ti fermasti qui
zigzagando

Voglio essere la tua casa
quella dove torni
ovunque vai e per quanto stai

Voglio sfinirti ascoltandoti
voglio toccarti solo con una parola
quella

E baciarti gli occhi socchiusi
perchè così
penetrar la tua anima
sarà un attimo sublime

20080418

cemetery

Foto di Massi

tripletta

1. la sera, prima di andare a letto, leggo il libro di filosofia per mezzoretta. leggo e rileggo alcune parti per capirle bene. per ora sono ancora nell'etica: platone, aristotele, epicuro, etc. quando rivedrò il mio amico emi ci faremo qualche battuta sull'edonismo e rideremo come pazzi.
2. la mia banda non è morta. stiamo sempre in cerca della voce, ma per non arrugginirci riprenderemo con qualche concerto. con la voce pelata. unplugged.
3. altan:
-arrivano misure impopolari.
-cazzi del popolo!

foto


Foto di Massi