No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100831

lavoro notturno


Night Work - Scissor Sisters (2010)

Terzo disco per i newyorkesi (il primo lo conoscono in pochi, ed io sono tra i molti: rimedierò), decisamente all'altezza dell'osannato ed ascoltatissimo predecessore. Gli Scissor Sisters sono un po' i Village People dei nostri tempi, se vogliamo, e prendete questo accostamento nella maniera più ampia che potete. Dance music spiccatamente anni '70 e '80, suoni con quell'elettronica lì e voci altalenanti tra il falsetto, il filtrato e l'ultra-melodico, ricordano molte delle cose più belle che sono venute fuori a cavallo di quegli anni, e riescono ad inanellare svariati pezzi irresistibili, quali Running Out, Invisible Light (davvero non si riesce a ricordare che siamo nel 2010 ascoltandola), Skin Tight, Something Like This ed il superlativo quartetto che apre il disco, tutto su altissimi livelli pop: la title-track, Whole New Way, il singolone-ballata-ballabile Fire With Fire ed Any Which Way, che pare quasi una outtake degli Imagination featuring The Electric Light Orchestra.
Copertina certo non elegantissima, ma che mette in chiaro in quali "zone" ci si trova, anche "concettualmente".

Roger Swanson


Roger Dodger - di Dylan Kidd 2003


Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Giudizio vernacolare: ganzo


Ve lo dico subito: questo è uno di quei film che a me piacciono molto. Un film dove si parla molto, ma mai a caso.


Il pretesto è l'iniziazione al sesso del nipote da parte di un pubblicitario newyorkese, Roger Swanson, brillante ma appena scaricato dalla sua donna-capo. Dialoghi serrati, duri da seguire ma tutti importanti, regia mai scontata e decisiva, che ti fa sentire sempre in mezzo alla storia anche quando sceglie inusuali campi lunghi.

Buon cast, dove la mano del regista si sente: ricordate Elizabeth Berkeley, protagonista dell'orribile "Showgirls", probabilmente uno dei peggiori film degli ultimi 30 anni? Ebbene, qui risulta gradevolissima; misurazione con tutti gli altri, persino con l'assoluto protagonista Campbell Scott, che una volta per tutte ci ricorda che lui è questo, e non l'ultra-patetico malato terminale dell'altrettanto orribile "Scelta d'amore".


Un gran bel film.

20100830

snuff


Gang bang - di Chuck Palahniuk

Avvertenza numero uno: se non siete fans di Palahniuk, non crediate di trovare equilibrio in una mia recensione di uno qualsiasi dei suoi libri. Avvertenza numero due: i libri di Palahniuk contengono sempre un linguaggio pirotecnicamente sboccato. E' grazie ad un suo libro che, per dirne una, ho saputo che esiste una pratica sessuale chiamata felching: all'epoca della "scoperta", la voce wikipedia in italiano non esisteva ancora.
Libro del 2008, Gang bang (in originale Snuff) è un caso particolare fin dal titolo: quello italiano riassume la trama, e cioè Cassie Wright, stella statunitense del porno in parabola discendente, decide di (stra)battere il record di (appunto) gang bang, facendo sesso con 600 uomini nell'arco di una giornata (quello precedente, e vero, appartiene ad Annabel Chong con 251 uomini in circa 10 ore, una delle ispirazioni di Palahniuk per questo lavoro). La giornata, ma non solo, viene raccontata da quattro protagonisti: tre sono uomini, tre dei seicento "segaioli" (per usare uno dei numerosissimi appellativi dispregiativi usati dall'altra voce narrante) intervenuti per partecipare alla realizzazione della gang bang, il numero 72, un giovanissimo convinto di essere il figlio biologico di Cassie, il numero 137, un non più giovane ex attore di telefilm polizieschi con una carriera rovinata dalla scoperta del fatto che in gioventù, per sbarcare il lunario, aveva girato un porno gay, incerto ancora oggi sulla sua sessualità, il numero 600, tale Branch Bacardi, stella anche lui del porno, anche lui in parabola discendente, collega, amico e forse qualcosa di più della protagonista femminile della gang bang. La quarta protagonista è Sheila, assistente tuttofare della signora Wright, efficiente e spietata con gli uomini che affollano lo studio.
Invece, il titolo originale inglese, Snuff, introduce un sospetto, che presto si materializza nella mente dei narratori: che quello che si sta girando, in realtà, non sia una gang bang, o meglio non sia solo una gang bang, ma qualcosa di più. Uno snuff "prevede" la morte di un protagonista, ed in questo caso, la morte di Cassie Wright comporterebbe conseguenze sorprendentemente (nemmeno poi tanto) positive un po' per tutti.
Ho già detto troppo. Adesso parliamone un po' a proposito.
Non è certamente il miglior libro di Chuck. Manca, concordo con alcune recensioni trovate in rete, l'allegorica e profondissima critica sociale, della quale è più che capace. Non che manchi del tutto, ma rispetto ad altri libri è esile. Probabilmente, il contesto ingabbia più del dovuto. E' più un libro esilarante, con battute fulminanti e situazioni ridicole, e, caratteristica peculiare di Palahniuk, un eccezionale elenco di titoli porno inventati e ovviamente parodistici (tradotti immagino con grande difficoltà, ma in maniera vincente, dal traduttore, Matteo Colombo), insieme ad una lista sterminata di aneddoti su stelle del cinema forse vere, forse no, da pisciarsi addosso dal ridere.
E' vero, si guarda poco o niente fuori dallo studio (capannone, tugurio, bordello) dove si sta girando Terza guerra sessuale, ma i personaggi sono tutti molto palahniukiani, nel loro parlarsi addosso, nel loro rivelarsi senza mai dire tutto fino in fondo, nel loro riflettere continuamente troppo sulle cose, nel loro rivelarsi senz'altro più umani di quanto non appaiano visti dall'esterno, nelle loro insicurezze che generano deviazioni sessuali, deviazioni presenti in tutti noi e "normalmente" tenute in profondità. E la lettura è rapidissima, lo stile è lo stesso, periodi brevi e capitoletti corti, alternati tra i protagonisti, divertente e sempre sorprendentemente sfrontata e ironica.
Certo, potremmo insospettirci, vedendo che la sua produzione è ormai assestata al ritmo di un romanzo (mai troppo lungo) all'anno. E se l'autore stesso si divertisse a scrivere le sue storie (che comunque si evincono sempre frutto di ricerca), ed il formato "medio" fosse quello che trova "giusto" per lui?
Ecco, questo si: vorrei, prima o poi, leggere uno dei miei scrittori preferiti dell'era moderna, alle prese con un romanzo di ampissimo respiro. Una storia lunga, per vedere il suo stile che mette a frutto la sua esperienza di scrittore ormai scafato, e dipinge un racconto che abbraccia spazi temporali dilatati.
Per il resto, ce ne fossero di "opere minori" come questa. Ben vengano, anche una volta l'anno. In tempi (bui) come questi, ce n'è sempre bisogno, secondo me.

get down (on it) FI (forza italia)

Come si fa a non dire niente sulla visita di Gheddafi a Roma? E' impossibile. E' un tema succulento, invitante, un assist a porta vuota.
Mi ricordo qualche giorno fa di aver ascoltato su Radio 24 un elettore di centro-destra che diceva una cosa tipo "vabbè, è un dittatore, ma ci serve perchè ha tanti soldi, le commesse, abbiamo le aziende in crisi...". Esattamente le cose che fanno tacere gli stessi esponenti del PdL, e pure quelli della Lega, che tacciono sapendo che gli sbarchi degli immigrati sono calati perchè Gheddafi mette, letteralmente, quelli che si apprestano a navigare verso l'Italia in gabbia.
E' un po' il trionfo dell'idea della politica che ha Berlusconi, quanto mai realpolitik. Silvio invita le persone a votare per il loro interesse. Non a votare per un'idea, perchè la si ritiene giusta, anche e soprattutto quando si parla di solidarietà: bensì a votare per quello che ti permette di avere dei favori, dei privilegi, qualcosa in più, e cazzo ce ne frega se qualcuno rimane indietro e magari muore di fame.
Non so se gli elettori di centro-destra trovino tutto questo avvilente. Probabilmente no.

corps à corps


Body Snatch - di François Hanss 2003


Giudizio sintetico: si può perdere (1,5/5)

Giudizio vernacolare: dormivo, anche piuttosto bene eh


Uno psico-thriller francese;

l'idea non sarebbe nemmeno male (un ex medico ricercatore cerca di far "rivivere" figlia e moglie in altri corpi), ma manca del tutto la suspence, e l'impressione è decisamente quella che gli autori di questo film si siano presi un po' troppo sul serio senza risultare convincenti.


Splendida Emmanuelle Seigner, molto meno l'altro protagonista Philippe Torreton.

20100829

islanda lug/ago 2010 - 13

Il Circolo d'Oro e oltre

Facciamo colazione e ci portiamo dietro quel poco che avanza, rimettiamo in moto l'auto, che abbiamo ferma da ormai due giorni e mezzo, e partiamo verso il famigerato Circolo d'Oro. Bisogna tornare da dove siamo arrivati, verso Mosfellsbaer, e prendere la strada nr. 36. Principalmente, quello che viene appunto chiamato Circolo d'Oro, consta di Thingvellir, l'antico parlamento, Geysir e la zona geotermale, e la cascata di Gullfoss. Dopo un'oretta circa, siamo nel luogo che, se andrete in Islanda, viene pubblicizzato in maniera da fartelo venire a noia ancora prima di vederlo. Ed è strano, visto che già prima di arrivare, si capisce che non c'è davvero niente di niente. La pianura dove il fiume Oxarà si getta, placidamente, nel lago Thingvallavatn, sotto una sorta di muraglione naturale di roccia, è un luogo tranquillo e pure suggestivo, all'interno di un Parco nazionale, ed è stato dichiarato dall'Unesco patrimonio dell'umanità (credo più per la sua valenza storica, anche se effettivamente il luogo è bello). Qui, la storia dice che nel 930, venne fondato dai locali l'Althing, probabilmente il primo parlamento del mondo. Gli islandesi ne vanno molto fieri, ecco perchè prima vi dicevo che quasi ve lo fanno venire a noia prima di vederlo. Se vi interessa, troverete notizie più precise in rete; non pensate però a un qualcosa di esageratamente avanti (venivano discusse le leggi si, ma venivano pure affogate persone direttamente nel fiume, per eseguire sentenze lì stabilite), ma, se riflettete sul fatto che l'Islanda fu colonizzata da Vichinghi, famosi anche per la loro violenza (anche se la storia ci insegna che non erano affatto stupidi), già da questo si intuisce che erano partiti bene. Anche se, nei tempi moderni, il parlamento si è ovviamente spostato, e per lunghissimi secoli il Thingvellir non ha legiferato (perchè l'Islanda era parte della Danimarca), il luogo è come sacro per gli islandesi, e molte celebrazioni sono state fatte in questo luogo.
Ci arriviamo mentre la giornata sembra prendere una piega brutta, a livello meteo (ma è solo un passaggio), e per visitarlo ci copriamo anche per la pioggia. Il risultato saranno due schizzi di numero, ma in compenso una bella sudata (per me). Luogo incantevole (anche se col sole sarebbe stato ovviamente migliore), un sacco di turisti e di guide, addirittura, dentro la costruzione che si trova accanto al parcheggio, un addetto che conta i visitatori, e, per l'ennesima volta, la
sensazione che gli islandesi si sappiano vendere davvero bene.
Ripartiamo alla volta di Geysir, o meglio, verso la valle di Haukadalur. La prendiamo con molta calma, anche perchè una deviazione ci costringe ad un tratto di strada sterrata. Quando arriviamo sul posto, parcheggi pieni e facce che abbiamo già visto, naturalmente nella tappa precedente. Come spiegato bene su ogni guida, Geysir è più grande (fino a 80 metri di "zampillo") ma "erutta" 4 o 5 volte al giorno (c'è chi dice anche meno), mentre a garantire un'attrazione praticamente continua c'è Strokkur, che seppur più piccolo (15/30 metri di"zampillo") , ogni 5/6 minuti, prima fa sparire l'acqua della sua pozza, con un mulinello e un risucchio, e poco dopo zampilla per il divertimento di grandi e piccini.
Il luogo è una sorta di grande parco geotermico, con pozze d'acqua calda un po' ovunque, e Geysir è appunto il "soffione" (così si chiamano quelli boraciferi di Larderello), la sorgente d'acqua calda che ha dato il nome a tutte le altre nel mondo (geyser). Geysir, inoltre, emetteva getti fino ad 80 metri di altezza, si occluse varie volte, sia a causa di oggetti gettati dai turisti, sia per scosse di terremoto. Adesso pare erutti qualche volta al giorno, ma noi, visto Strokkur, non aspettiamo, e tiriamo innanzi, dopo una breve pausa pranzo al sacco. In zona c'è anche una grande stazione di servizio (ovviamente con una calca disumana di turisti al suo interno), e un centro con una mostra audiovisiva su geyser e vulcani. Lasciamo il simpatico Strokkur e ci dirigiamo verso Gullfoss, che dista 10 km.
La cascata, che ha anche una storia curiosa ed eroica (quella della contadina che minacciò di gettarsi nella cascata se la società inglese che, all'inizio del secolo scorso, era intenzionata a costruirvi una diga e la relativa centrale idroelettrica, contadina alla quale è dedicato un piccolo monumento vicino alla cascata stessa), è effettivamente molto molto bella, e facilmente raggiungibile dalla strada. Eravamo un po' dubbiosi (a forza di cascate, si ha sempre paura che la seguente sia una bufala), e invece quando saliamo di nuovo in auto dopo la fermata e l'osservazione, seppur tra molti turisti, siamo soddisfatti. Doppio salto e portata imponente.
Torniamo verso il mare tramite la strada 35, direzione Selfoss, per poi svoltare sulla 1 verso Hveragerdi. Lungo il percorso, ci fermiamo presso il cratere con lago interno chiamato Kerid, molto suggestivo: la Lonely Planet sostiene che è talmente suggestivo che Bjork vi ha tenuto un concerto, precisamente su una zattera al centro del lago. In effetti, è proprio una cosa alla Bjork.
Quando arriviamo a Hveragerdi, dove abbiamo deciso di fermarci per la notte, la mia compagna dorme, quindi decido di tirare dritto verso Thorlakshofn, visto che sono appena le 17,00, e visto che il porto dista neppure 20 km, per capire come muoverci. Abbiamo parlato dell'opportunità di andare a visitare le isole Vestmannaeyjar, e, sempre la Lonely Planet, dice che i traghetti partono da Thorlakshofn. Appena vedo le prime abitazioni, mi viene il sospetto che, dopo i tour di
whale-watching che non partono più da Olafsvik, e altre cose meno importanti, la guida abbia bisogno decisamente di essere aggiornata. Il paese è in via di smobilitazione: case in vendita, molte, nessuno in giro, porto deserto, nessuna nave, nessun traghetto. Mi fermo davanti ad un punto informazioni, chiuso, e leggo l'affissione esposta. I traghetti non partono più da lì, bensì da un luogo chiamato Landeyjahofn, ogni giorno. Ora, se provate a cercare questo posto su una qualsiasi carta aggiornata dell'Islanda, non riuscirete a trovarlo. Vi spiegherò perchè poi. Torniamo verso Hveragerdi, facciamo un giro di perlustrazione, capendo che siamo alle solite (circa 2000 abitanti), quindi cerchiamo la guesthouse Frumskògar, e, non senza difficoltà (incredibile, visto che ci sono sì e no 10 strade in tutta Hveragerdi), la troviamo. C'è posto, il prezzo è buono, fissiamo per una notte, non ancora abituati alle espressioni della padrona, che ogni volta che le chiedi una cosa ti guarda sempre come se tu avessi parlato una lingua di un altro pianeta (ci faremo l'abitudine), quando poi dopo un paio di secondi ti risponde facendoti capire che aveva compreso tutto perfettamente. Scarichiamo i bagagli e ci rimettiamo a girare paese e dintorni. Sembra tutto adagiato sopra un immenso campo geotermico. Molto verde, l'immancabile supermercato, due grandi negozi di fiori, che qui pare siano tradizionali (così come le serre, riscaldate dal calore del sottosuolo).
Visto che siamo qui, sulla strada principale, la Breidamork, c'è un ristorante che si chiama Kjot & Kunst (il sito sarebbe www.kjotogkunst.com ma non funziona, non so perchè), ed ha come "sottotitolo" earth cooking. Il proprietario, Olaf, simpatico ma professionale, ci spiega che tutto viene cucinato con il vapore che viene dal sottosuolo, ed i prodotti sono il più possibile locali. Puoi scegliere da menù, oppure cenare a buffet, e alla fine il piatto viene pesato e ti viene fatto il conto. Scegliamo la seconda opzione (ed ancora oggi non sono convinto di aver fatto la scelta giusta), e devo dire che il cibo è tutto buonissimo lo sottolineo alla moglie di Olaf (suppongo), dicendole che siamo italiani per cui molto attenti alla qualità del cibo, e lei mi dice che in Italia non c'è mai stata, ma non esclude di chiudere questo posto per fare la stessa cosa in Italia. Le sto per dire che
potrebbe farlo a Larderello, poi lascio perdere.
Durante la cena, un chiarimento tra me e la mia compagna di viaggio, rende tutto molto più tranquillo, usciamo soddisfattissimi dal Kjot & Kunst, ci sediamo sul muretto di fronte, guardando la tipa che fa le pulizie dentro la banca dall'altro lato della strada, ci fumiamo una sigaretta e ridiamo. E' il momento di ritirarci per prepararci al riposo, e soprattutto per continuare l'avvincente lettura del libro sulla storia dell'Islanda, e la sua faticosa marcia verso l'indipendenza, a colpi di proteste verbali.


Nelle foto: Thingvellir, due vedute di Gullfoss, e Kerid

italian-made


The Italian Job - di Gary Gray 2003


Giudizio sintetico: da evitare (1/5)

Giudizio vernacolare: super-zotta


Pare sia una specie di remake di Un colpo all'italiana del '69 (avete presente, a proposito, quel clip degli Stereophonics girato a Torino con l'inseguimento tra Mini-Minor e le Giulia della Polizia? È ispirato al film di oltre 30 anni fa).


Cast importante (Charlize Theron, Mark Wahlberg, Ed Norton, Donald Sutherland) per un film assolutamente soporifero, dove i colpi di scena si susseguono solo per creare il pretesto di prolungare una pellicola della quale potevamo tranquillamente fare a meno.


Ladri iper-specializzati e gentiluomini (non sparano, a parte qualcuno), hacker, esperti di esplosivi, cattivissimi malavitosi ucraini, ciccioni samoani, filosofia e psicologia spicciola applicata al crimine e ai rapporti familiari, filiali e interpersonali, il tutto mescolato in un calderone insensato.


Risparmiate i soldi.

20100828

I tear my heart open

E poi ci sono le coincidenze musicali. Oppure, come disse una volta un amico, citato altre volte, "siamo così perchè abbiamo ascoltato troppi dischi, letto troppi libri, visto troppi film".
Avete letto pochi giorni fa che ho "riscoperto" i Papa Roach, una band senza infamia e senza lode, ma che ogni tanto fa bene. Ed ecco che mi imbatto in un pezzo del 2004, mai sentito prima, dal titolo Scars, che genera subito una preferenza. Dopo l'iniziale heavy rotation che di solito mi capita di fare con i pezzi che mi piacciono, cerco di capire il testo. Poi, mi aiuto con una traduzione.
Ed ecco che, come per magia, si materializza, con alcune differenze, un pezzo della mia vita. Oppure sono solo io che voglio leggercela.

Cicatrici
Ho aperto il cuore, mi sono chiuso in me stesso, il mio problema è che me ne importa troppo
E le mie cicatrici mi ricordano che il passato è reale, ho aperto il cuore solo per sentire...
Sono ubriaco e sono a pezzi e vorrei solo restare solo, mi scoccia che tu sia venuta qui
Perchè non te ne vai a casa? Perchè ho incanalato tutto il tuo dolore, e non posso consolarti
Mi stai facendo diventare pazzo e tutto ciò che posso dire è....
Ho aperto il cuore, mi sono chiuso in me stesso, il mio problema è che me ne importa troppo
E le nostre cicatrici ci ricordano che il passato è reale, ho aperto il cuore solo per sentire...
Una volta ho provato ad aiutarti contro la mia volontà ti ho visto cadere, ma non ti sei mai accorta che stavi annegando
Allora ti ho offerto la mia mano, la compassione è nella mia natura
Stanotte è la nostra ultima notte
Sono ubriaco e sono a pezzi e vorrei solo restare solo, non avresti mai dovuto venire qui
Perchè non te ne vai a casa? Perchè stai annegando, e ho provato ad afferrare la tua mano
Ho tenuto aperto il mio cuore, ma non hai capito, ma non hai capito
Calmati, non posso consolarti, ma almeno posso dire di averci provato
Mi spiace ma devo tornare alla mia vita
Certo, non è né Bob Dylan, né Pasolini. Ma, come ho detto, è un pezzo della mia vita. E a volte capita di intuirlo prima ancora di capire ogni singola parola. Il video non è granché (anche se ovviamente c'è una bella ragazza), ma così almeno ascoltate il pezzo (rendendovi conto che ho dei gusti di merda, ma sono i miei).


animali

Questa mattina sono andato a camminare, anzi, a fare walking, a cavallo dell'alba. Prima di andare al mare. Sono arrivato al ponte sul fiume (non so se possiamo ancora chiamarlo così, visto che di solito non riesce a sfociare in mare, se non con un rivolo appena percettibile), che, non ci crederete, ma si chiama Fine, fiume che passa diciamo in periferia del paesello, comunque fuori dall'abitato, e che, come potrete evincere leggendo la scheda Wikipedia linkata, è di vitale importanza pure per la fabbrica che mi dà il pane. Come che sia, stava albeggiando, diciamo che erano circa le 6,00, e non so perchè mi appoggio al guard-rail e guardo in basso, verso il corso d'acqua verdastro. Ancora rintontito, dal sonno e dalla fatica, vedo qualcosa che nuota. Penso ad un cane, visto che per essere un pesce era troppo grosso (a meno che la megattera avvistata ieri pomeriggio al largo di Viareggio non avesse trovato la maniera di risalire il mitico fiume Fine), poi metto a fuoco meglio, e mi accorgo, senza avere troppa dimestichezza col mondo animale di fiume, che deve essere una nutria.
Animale dannosissimo, definito alieno dai biologi (perchè viene da un habitat completamente diverso, e si è adattato in Europa benissimo, facendo molti danni, "forando" gli argini dei fiumi), pure poco bello, visto che sembra decisamente un grosso ratto peloso, unto e bagnato, se la nuotava tranquillamente incurante di me che lo guardavo dall'alto; nonostante tutto ciò, la cosa mi ha messo di buon umore. Tra l'altro, mi sono messo a pensare a mio nonno paterno, che mi impauriva sempre raccontandomi delle lontre che popolavano, secondo lui, il fiume Cecina (per un periodo abitò a Ponteginori, proprio nei pressi del fiume, e spesso passavo le mie estati lì; tra l'altro, scorrendo anche la scheda di Ponteginori, comprenderete diverse cose, ricordate che la mia famiglia lavora nella fabbrica della società di cui parlavo prima - e che dà una parte del nome al paesello - da tre generazioni), animale simile, ma non troppo, alla nutria.
Ho dato le spalle al fiume, e sono tornato verso casa. Il sole stava sorgendo, l'aria era ancora fresca, nelle orecchie c'era Antony che cantava Thank You For Your Love, e perfino le ciminiere mi sono sembrate bellissime.
A volte basta davvero poco.

I believe in miracles


Il miracolo – di Edoardo Winspeare 2003


Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: poero bimbo


Come spesso accade, la critica arriva prima del film (e anche su questo ci sarebbe da pensare…), e già si erano insinuati dubbi e stroncature sul nuovo lavoro di Winspeare.

Il “lavoro” duro, quando si è appassionati, è mettersi a sedere e dimenticarsi di tutto. Certo, questo film non è magari esaltante come il precedente “Sangue vivo”, però cribbio (come dice Silvio), ce ne fossero film così, no? Voglio dire, se il cinema è raccontare storie, questa è una storia e sta in piedi pure se gioca sulla credulonità (si dice??) degli italiani, e anche sulle loro problematiche “di sopravvivenza”.

Io l'ho letta come una richiesta di attenzione verso i bambini e gli adolescenti.

Lo spaccato italiano, appunto, è ben fatto, il sud disegnato, credo, com'è. La disgregazione familiare, il tentativo di approfittare del bambino da ogni parte senza ritegno. Il dramma del bambino che non sa se si è suggestionato da solo oppure no (dopo un incidente, si convince di poter guarire e resuscitare le persone); il profondo, sincero dispiacere, quando si accorge di essere un bluff, ma non perchè volesse "essere qualcuno", solo perchè essendo altruista voleva "essere d'aiuto".

Il miracolo vero, alla fine, quando salva Cinzia. Splendida cornice di una Taranto decadente, spettacolare la faccia del protagonista bambino.

20100827

suo fratello


Son Frére - di Patrice Chereau 2003


Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Giudizio vernacolare: boiadé, peso eh...però è 'n'esperienza


Ricordate "Intimacy"? Il regista è lo stesso.


Premesso ciò, questo film è solo ed esclusivamente per palati forti, fortissimi. La storia è quella di due fratelli che si ritrovano a causa della malattia semi-terminale del maggiore.

Il cinema di Chereau è fatto di corpi, o forse per i corpi. I sentimenti sono sottintesi, mentre ai corpi e allo spettatore non viene risparmiato niente. Ai corpi perchè non sempre (quasi mai) sono belli, specialmente nelle circostanze della malattia. Agli spettatori, in questo caso, cateteri, cicatrici, rasature pre-operatorie, emorragie....

Completano il quadro i genitori incapaci di accettare il tutto (così come l'omosessualità dell'altro figlio), la fidanzata che non ce la fa più, ed infine la complicità ritrovata con il fratello, vero protagonista.


Film duro, secco, vero. Attori perfetti nel simulare quello che accadrebbe veramente in una situazione del genere.

20100826

sulla lapidazione e su altre atrocità - editoriAle flash

Non è mica facile districarsi tra tutto quello che accade in questo triste mondo malato. E ancor più difficile è farsi un'opinione, e non essere fraintesi (pensate solo a quante volte viene frainteso il nostro amato Primo Ministro, quando apre bocca).

Ora: lapidare una donna perchè "colpevole di rapporti con uomini diversi da marito" è una roba inconcepibile per me. Una che, come si dice dalle mie parti, "c'ha 'r ganzo", al massimo è un po' troia. Ma solo un po'. E, voglio dire, un giorno potrebbe anche tornare comoda.
Se pure fosse troia, la vogliamo lapidare? Cioè, la vogliamo ammazzare a sassate? No dai, non scherziamo.

Eppure, c'è chi ci sta pensando seriamente, e si offende pure se qualcuno glielo fa notare (che la cosa è un tantino esagerata).
Non so, sarebbe come dire, una banda di scemi (per dire) elude la sorveglianza di un'altra banda di scemi, fa schiantare un paio di aerei pieni contro due grattacieli pieni nella città più piena del mondo, facendo un bel po' di morti, e il Presidente del paese dove si trova la città più piena del mondo inizia a bombardare un paese a caso (insomma, a caso...si dai, un paese dove per caso deve passare un oleodotto, dove per caso c'è il petrolio), perchè si ha il sospetto che il mandante si trovi lì (gliel'ha detto una banda di scemi, con una certa sicurezza).

Sto scherzando. Insomma. Quello che voglio dire è che il buon senso è sempre meno di questo mondo. E che sulle religioni aveva ragione Marx.

Cagliostro


Il ritorno di Cagliostro – di Franco Maresco 2003


Giudizio sintetico: si può evitare (2/5)

Giudizio vernacolare: peccato dé


Torna la (poco) premiata e (molto) osannata ditta Ciprì e Maresco (anche se Maresco firma la regia e Ciprì la fotografia…vezzi!!); i volti sono gli stessi che ci hanno fatto piegare dal ridere nei film precedenti e in Cinico TV, con l’aggiunta di alcuni caratteristi eccezionali (Burruano, Giordano) e la partecipazione straordinaria di Robert “Freddy Krueger” Englund.


L’aggettivo “surreale”, usato durante la proiezione del primo lungometraggio della Trinacria cinematografica, si adatta bene al loro cinema, anche se tutto nei loro lavori è sempre un pretesto per una satira spietata e politicamente scorretta, contro tutto e tutti, e specialmente nei riguardi della loro terra.


Si ride dunque, delle peripezie di questi mentecatti, ma onestamente non come per “Totò che visse due volte”; nel finale inoltre, la sceneggiatura incespica, verso una risoluzione veloce (troppo), e alcune trovate tecnicamente pregevoli ma fini a se stesse annoiano un po’.

Si può dare di più.

20100825

islanda lug/ago 2010 - 12



Reykjavík 2



Dopo le abluzioni e un riposino, si esce per cena. Girato l'angolo, ci colpisce lo Icelandic Fish & Chips, ed entriamo. Già le ragazze che ci lavorano, indaffaratissime dietro e davanti al bancone, in giro per i tavoli, sono uno spettacolo (e non perchè siano belle, ma perchè sono soprattutto buffe, e rigorosamente in ciabatte e calzini...). Si autodefiniscono organic bistro, e c'è la coda per avere un tavolo. Atmosfera molto informale, musica forse la peggiore sentita nei locali in genere, cosa strana, perchè c'è un gusto musicale mediamente molto elevato, un po' dappertutto (un po' il contrario di quello che accade nei gusti femminili per le scarpe...), domandiamo come funziona. Prima di tutto, aspettiamo che si liberi un tavolo, poi ordiniamo al banco, paghiamo, dopo di che ci danno un soprammobile col numero del tavolo e ci indicano qual è. I coperti e le bevande te le porti al tavolo da solo, e attendi che ti servano il cibo. Mentre aspettiamo, addirittura spiego come funziona alla coppia che ci segue, e siccome si libera un tavolo da due, e davanti a noi c'è un terzetto di ragazzi, la "caposala" ci fa passare avanti spiegando la cosa al terzetto, con i quali c'è uno sguardo di intesa simpatico. Ovviamente pesce, il problema qua è che soprattutto lo friggono (vabbè, fish & chips, cosa ti aspettavi), ma la "doratura" è tutto fuorchè pesante. Consigliato. Un giro in centro, il solito movimento da giorno infrasettimanale, poi finiamo per aggirarci sui moli del vecchio porto, assaporando la luce delle undici di sera, e oltre. Siamo più rilassati, e la giornata è stata piena. Domani un altro giorno intero a disposizione della capitale.



Il mercoledì è una bella giornata, meglio di quella precedente, e facciamo colazione "a casa", il giorno prima ce l'abbiamo fatta perfino a fare spesa. Nel 10/11 vicino, abbiamo scoperto che esiste un banco self-service dove ti puoi fare la tua pasta fredda personalizzata. Dopo di che, ci dirigiamo verso il Museo Nazionale (tra l'altro, il mercoledì gli ingressi ai musei sono gratuiti), rigorosamente camminando. La struttura, vista da fuori, non fa una grande impressione, ma dentro ci sono un sacco di cose, tre piani organizzati per periodi storici (colonizzazione, secoli seguenti, tempi moderni), reperti interessanti con trovate interattive anche angoscianti (i telefoni che ti mettono in contatto con uomini e donne vichinghe che ti raccontano come si svolgeva la loro giornata). Per non parlare dei bagni ultra-moderni, del guardaroba gratuito (dappertutto), della tipa all'ingresso gentilissima, del funzionale caffé, dove ci rifocilliamo dopo aver compiuto l'intero percorso cronologico. Una delle soprese di questo viaggio, e ve lo dico anche se non depone a mio favore, è quella della data dell'indipendenza dell'Islanda: 17 giugno 1944 (dalla Danimarca). Proprio la sera precedente, abbiamo cominciato a leggere il libro di storia islandese comprato dalla mia compagna di viaggio a Borgarnes, e proprio lei mi ha fatto questa rivelazione che a me era completamente sfuggita, nonostante preparassi questo viaggio da qualche anno. L'ultima parte della storia d'islanda, ben rappresentata da un percorso cronologico situato proprio alla fine del museo, al terzo piano, dimostra molto bene quanto il progresso di questo piccolo paese sia stato esponenziale dopo la Seconda Guerra Mondiale. Torniamo verso il centro, passando vicino, anzi, attraversando il Tjornin, un laghetto pieno di uccelli acquatici, sulle cui sponde si affaccia pure il municipio, punto di ritrovo delle famiglie (che ovviamente hanno tutte un sacco di bambini), e puntiamo alla Casa della Cultura Nazionale, nella zona dei ministeri. Dopo un macchinoso deposito (gratuito, of course) dei nostri averi negli armadietti appositi dotati di lucchetto (per far funzionare i quali ci vuole un gettone, sempre gratuito, che si può chiedere all'ingresso), cerchiamo di capire meglio cosa ci offre. E dunque, partiamo dall'alto, con il piano dedicato alla mostra sul cinema islandese, un enorme stanza dove, su diversi schermi, scorrono le immagini di molti film islandesi, dal 1904 al 2009, in ordine cronologico, a gruppi di 5, con schede dedicate alle sinossi, e con 4 o 5 postazioni che permettono di vedersi l'intero film che uno può scegliere tra tutti quelli presenti. Poi c'è la Library Room, con una serie imponente di testi, una mostra dedicata a Sigurdur A. Magnusson, uno particolarmente stimato pare, una discreta mostra fotografica intitolata Icelanders (alla faccia della fantasia), tratta dal libro omonimo del 2004 (di Unnur Jokulsdóttir e Sigurgeir Sigurjónsson), ovviamente con soggetti locali, con una certa predilezione per quelli delle campagne, ed una sala con molti manoscritti medievali. Non è finita qui. Quando andiamo a riprenderci le nostre cose, nel sottoscala, c'è una sala dove viene proiettato a ciclo continuo un documentario di mezz'ora dal titolo The Nation And The Nature, di Páll Steingrímsson. Tutto in islandese, senza sottotitoli, illustra il rapporto che gli islandesi hanno con gli animali che popolano l'isola, e ci colpisce la parte sui Puffin (pulcinella di mare), che i locals fanno fuori un po' come i nostri anziani facevano con i polli. Alla fine, interessante anche questo posto. Vaghiamo per un po' di shopping, ma alla fine non compriamo niente, anzi, un cd in uno dei due negozi "famosi" per essere legati ai Sigur Rós, e ci riposiamo al Té og Kaffi, dove avevamo fatto tappa anche ieri (ma mi ero dimenticato di dirvelo, rivivendo la stanchezza di quel giorno), posto al piano superiore di un negozio di souvenir, libreria compresa, dove il caffè è buono, così come il cappuccino e le varianti aromatiche, sono buoni anche i dolci, e si può leggere un libro prendendolo direttamente dagli scaffali; il personale è cordiale, ma ti ricorda che durante la settimana chiudono alle 18,00 (il sabato addirittura alle 16,00). Ci divertiamo a guardare gli e le abitanti della capitale passeggiare lungo lo struscio, aprire e chiudere negozi, spingere i (numerosi) passeggini.


Continuiamo a girare per le vie principali in tutta tranquillità, consci di avere visto quanto più possibile, assaporando il ritmo islandese fatto soprattutto di rilassatezza e sorrisi. Per la cena, scegliamo, su mio suggerimento, Piripiri, del quale vi ho parlato nel post Reykjavík 1, e scambiamo addirittura due chiacchiere con il cameriere, che contrariamente a quelli che ci hanno servito fino ad ora, ci chiede da dove veniamo. Non sembra, ma è islandese purosangue (è castano scuro di capelli), ha viaggiato, e ci dice che Roma città è nel suo cuore, il luogo dove vorrebbe tornare almeno una volta. Il cibo è come sempre molto carico ma buono (ricordate che Piripiri è specialista nel pollo), e lo smaltiamo lentamente con una passeggiata lungomare, dove troviamo una mostra all'aperto di fotografie di luoghi della capitale "a confronto" (50, 60, 100 anni fa e oggi), e una locomotiva restaurata e posta sui 100 metri di binario, gli unici esistenti in Islanda, messi giù quando si stava ingrandendo il porto. Rientriamo curiosi di proseguire la lettura del libro di storia islandese, che, non ci crederete, fa molto ridere. Vi spiegherò perchè più avanti. Domattina lasceremo la capitale per gettarci nel Circolo d'Oro, e probabilmente ci fermeremo a Hveragerdi per la notte.




Nelle foto: alle 23,40 del 27 agosto, preso dal molo del vecchio porto, il cielo di Reykjavík (dalla parte del Sole, e verso la Luna)

miral




La faccio breve. Magari molti di voi sanno già tutto. Ad ogni modo: alla Mostra del Cinema di Venezia, sarà presentato in anteprima, tra gli altri, Miral, nuovo film di Julian Schnabel (ultimo film: Lo scafandro e la farfalla, straziante ma molto bello).




La storia pare interessante. Ed è tratta da un libro: Le strade dei fiori di Miral. Di chi è il libro? Di Rula Jebreal, della quale fassbinder è fan, in quanto molto figa. Ovviamente il libro non l'ho letto, ma è una sorta di autobiografia. Nel film, il personaggio che parrebbe essere quello di Rula, è interpretato da Freida Pinto (The Millionaire): altra bellezza da paura.




Non è finita qui. Non lo sapevo, ma molti siti dicono che Rula è la compagna di Schnabel (pare si siano addirittura sposati in segreto, ma secondo Wikipedia il secondo matrimonio di Schnabel è sempre "attivo"), e vivono negli USA (ecco perchè non la si vede più da queste parti, almeno in tv).






In tutto questo, nonostante si viva in una società gossippara, ci interessa il film. Anche perchè non possiamo puntare ad altro.

Matchstick Men


Il genio della truffa - di Ridley Scott 2003


Giudizio sintetico: si può evitare (2/5)

Giudizio vernacolare: un me l'arriordo nemmeno


Ridley Scott continua a passare di genere in genere, e il risultato è la totale confusione (aggiungerei perdita di identità, ma mi allargherei, dato che ormai mi pare, nel suo caso, persa da tempo).


Film che ci racconta la storia di questo truffatore interpretato magistralmente (e per me dire così è strano, a proposito di Cage) da Nicolas Cage, un tipo che pare avere più tic e fobie che medicine un ricettario, che nel bel mezzo di un "affare" scopre di avere una figlia di 14 anni.


Sceneggiatura a "matrioska", con continui ribaltamenti e "colpi di scena" (modo di dire un po' forte per questo film), il film vivacchia fino ad un finale scontatissimo, e niente riesce a stimolare una visione più attenta nello spettatore.

Ottimo, come sempre del resto, Sam Rockwell che interpreta il "socio" di Cage. Film mediocre.

20100824

time for changing


Time For Annihilation...On The Record & On The Road - Papa Roach (2010)


Non dico di no: è (sempre) colpa mia. Era probabilmente dal 2002, dal loro terzo Lovehatetragedy, che li avevo "persi di vista". Ricordavo una band di stampo nu metal, con velleità popular e di classifica. Li riascolto con questo nuovo disco, che unisce cinque tracce nuove ad altre nove di repertorio, eseguite dal vivo, e la prima cosa che mi viene da dire è "ma da quando i Papa Roach si sono trasformati nei Nickelback?

Poi, faccio un veloce ripasso su youtube, e mi accorgo che anche a livello di look qualcosa è cambiato: già nel 2004 sembravano improvvisamente diventati gli Hardcore Superstar! Diete, eyeliner, hairdresser, smesse le camicie nere (che, detta così sembra brutto, ma era come dire, il nu metal elegante, non cose da ventennio italiano) e pure le movenze nu metal, i Papa Roach sono diventati un incrocio tra, appunto, una band streetmetal con reminescenze hard rock classiche, tanto che non è difficile riconoscere una forte influenza defleppardiana tra le righe.

Fatta questa introduzione, che potrebbe sembrare detrattoria, bisogna mettere in chiaro che, al contrario, non lo è. Il respiro che i ragazzi californiani sono sempre, fin dagli inizi, riusciti a mettere nei loro pezzi, è arioso e melodico al punto giusto, e mi è piaciuto fin da subito. Dopo sette dischi, sono liberi di scrivere ballate come No Matter What, dove, appunto, l'eco dei leopardi sordi, del quale vi parlavo prima, si sente benissimo, e di conservare tutta la loro carica esplosiva nell'iniziale Burn, dove Jacoby Shaddix, che a livello di look ricorda come detto Jocke Berg degli Hardcore Superstar (però con i capelli più corti), vocalmente somiglia sempre più a Sammy Hagar.

Niente di particolarmente innovativo, ma sicuramente rock potente, energico ed onesto. I pezzi nuovi illustrano l'amalgama, proseguendo il cammino intrapreso, quelli live fanno una sorta di riassunto della loro carriera. Basso e chitarra, se ascoltati bene, inglobano influenze ed usi maideniani in una struttura tipicamente hard-rock-oriented, che però non dimentica la "lezione" nu metal, ormai storia anche quella.

Alla fine, ci piace.

summertime


L'estate, turisticamente parlando, sta finendo, proprio come dicevano i Righeira (siamo arrivati a rimpiangerli, ed è tutto dire a livello musicale italiano). Ci sono molti metodi per capirlo, uno di questi, come vi ho già spiegato in passato, è la densità di auto presenti nel parcheggio davanti a casa mia, ma da quest'anno ve ne voglio rivelare altri.


Il primo, che, capisco, è un po' complesso, e non da tutti, è monitorare gli spostamenti delle escort e delle transessuali, sui siti principe del settore del sesso a pagamento. Noterete immediatamente che già da una settimana stanno tornando in città. Le pagine degli annunci su Milano, tanto per citare una città a caso, passeranno rapidamente dalle misere 3/4, alle più consone 8 o addirittura 9.


Il secondo è più semplice. Andate in un qualsiasi alimentari, se avete confidenza col padrone, e domandate quanti sacchi di pane sono avanzati a fine giornata. Capirete tutto.

qualcosa d'altro


Anything Else - di Woody Allen 2003


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: leggerino


Un altro film non eccezionale ma molto godibile per il maestro Allen.

Si ride, come sempre, con grandi battute disseminate per l'intero film, ma, sotto sotto, c'è qualcos'altro nelle inquietudini del suo alter-ego interpretato da Jason Biggs, soprattutto nelle incertezze in amore. Non un Allen completamente introspettivo come in "Interiors" e "Settembre", ma un qualcosa a metà come in "Io e Annie" o "Hannah e le sue sorelle", senza però quel senso di profonda amarezza di fondo.


In definitiva, il solito esercizio di stile di grande spessore nascosto sotto una valanga di battute intelligenti. Personalmente però, inizio a pensare che preferirei aspettare qualche anno in più tra un film e l'altro, restando però a bocca aperta al momento della visione.

Sono sicuro che potrebbe ancora farlo Woody.

20100823

ragazze copertina


Calendar Girls - di Nigel Cole 2003


Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)

Giudizio vernacolare: sempati'o


Tratto da una storia vera, questa piacevola commedia ci parla di un gruppo di attempate signore inglesi dello Yorkshire, che decidono di posare nude per un calendario.


Interessante il fine, riflettendo troppo sul quale rischieremmo di non dormire più la notte (il marito di una delle signore muore di cancro nel giro di pochi mesi; l'idea del calendario viene alla migliore amica della vedova, facendo un'associazione indebita di alcuni fattori molto diversi tra loro; il ricavato dovrebbe servire a comprare un divano nuovo per la sala d'attesa dell'ospedale dove l'uomo è stato ricoverato, sala riservata ai familiari dei degenti. Il divano vecchio ha una molla rotta).


Recitato piuttosto bene dalle protagoniste, diverte il giusto e commuove pure nella prima parte, si sgonfia e tira le somme in maniera un po' affrettata nella seconda. Solo godibile, ma non abbastanza incisivo per l'argomento trattato.

20100822

embargo


Nella mia vita, ho avuto solo una volta un auto che non fosse una Fiat: una Renault 4. Mio padre, che mi ricordi, ha avuto 2 Fiat 500, una 127, una 128 (quella con la quale ho imparato a guidare).C'è stata una parentesi con una Alfasud, quando mia madre ebbe un incidente con la 128, avevamo pochi soldi e mio padre comprò, appunto questa orrenda (ma molto performante, e assetata di benzina) Alfasud.
Poi, da quando ho cominciato a lavorare, e quindi a pagarmi le auto da solo, ho avuto due o tre Fiat Uno, una Panda, una Tempra SW, una Punto, dopo la parentesi della Renault 4, e, infine, l'attuale Fiat Doblò Malibù.

Grazie alla gestione Marchionne, allo scontro con la FIOM e ai suoi maglioncini (suoi di Marchionne, non della FIOM), sto seriamente pensando di passare ad altre marche.

Intolerable Cruelty


Prima ti sposo, poi ti rovino - di Joel e Ethan Coen 2003


Giudizio sintetico: semi-culto (4/5)

Giudizio vernacolare: ganzabbestia!


Un film che vi consiglio caldamente e sinceramente di vedere.

Ero sospettoso ed un po' preoccupato che i Coen potessero essersi "svenduti" facendo un film ad alto budget con due attori con i cachet più alti ad Hollywood.

I sospetti sono caduti dopo la scena introduttiva e i titoli di testa (bellissimi). Il film è scoppiettante, divertente da far pisciare addosso dalle risate con umorismo intelligente e grandi, grandi battute; la trama regge bene anche se le gag comiche sono quasi tutte già viste; all'inizio del secondo tempo preoccupa un po' il possibile "happy end" con l'amore che trionfa, ma i Coen se la cavano alla grande e si ride fino in fondo anche con il lieto fine.

Grandissimo tutto il cast, con George Clooney mattatore assoluto. Una dimostrazione ulteriore di come si potrebbe fare cinema intelligente anche a Hollywood.

20100821

kate


Caterina va in città - di Paolo Virzì 2003


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: sufficienza di stima...maddé se era pisano un niela davo!


Ma l'Italia (e gli italiani) è davvero così? Mi devo preoccupare ancora di più di quanto già sto facendo? O è tutto amplificato ai fini della storia? Sono perplesso.


Caterina è la persona più equilibrata del film, il padre professore frustrato e leccaculo, la madre serva e svampita, i parenti chiaccheroni, le nuove amiche snob ed egoiste sia che siano grunge-no global, sia che siano destrorse-parioline.

Il primo tempo è nevrotico e ricorda il Muccino di Ricordati di me meno patinato (poco meno).

Il secondo tempo chiude i perimetri aperti con l'amore e la normalità (la mediocrità?!?) che trionfa, ma non sa rinunciare ad una fuga.

E' innegabile che il film dia spunti di riflessione a piene mani, ma rimane l'impressione che la stragrande maggioranza dei personaggi sia veramente troppo schematica. Forse ho trovato il senso.

Caterina è l'unica che si mette in discussione seriamente. La verità è qui. Forse.

20100820

islanda lug/ago 2010 - 11

islanda lug/ago 2010 - 10


Reykjavík 1
Piove. Ma nessuno, o quasi, porta l'ombrello. Nessuno ha su il cappuccio come me. Il nostro appartamento ha il solo difetto di avere una finestra che dà sulla strada. Ma nonostante, come scoprirò tra pochissimo, sia praticamente a ridosso del centro, non è così trafficata. Siamo alloggiati in Aegisgata, a pochi metri dall'incrocio, con semaforo, con Myrargata, praticamente strada principale che fa da lungomare, e che cambia nome (andando verso il centro prende il nome di Geirsgata, poi Kalkonfnsvegur, poi Saebraut). Se prendete una cartina di Reykjavík, e pensate che Tryggvagata, che poi diventa Hverfisgata, Versturgata, Hafnarstraeti, Austurstraeti che poi diventa Bankastraeti e poi ancora Laugavegur, sono le vie principali, capirete che eravamo posizionati magnificamente. Percorro queste strade per orientarmi, prendere punti di riferimento, capire cosa c'è attorno. Il mio passatempo preferito quando sono fuori dall'Italia, guardarmi intorno, guardare i luoghi, le persone. Supermercati, negozi, caffè, pub, discoteche, ristoranti, locali heavy metal (il vicinissimo Sodoma), hotel, ostelli, negozi di souvenir. C'è tutto a un passo. Non solo: siamo praticamente davanti al vecchio porto, e nei vecchi docks ci sono ristoranti e negozi, e lì dintorno almeno 5 agenzie che vendono escursioni per il whale-watching, addirittura con la clausola "avvista la balena altrimenti hai diritto ad un'altra escursione gratis". Molti giovani in giro, tutti vestiti alternative, con tocchi personali, soprattutto sulle ragazze. Gli islandesi si sposano presto e fanno figli. Molti turisti, anche. Dopo un paio d'ore, ho capito e visto abbastanza. Mi viene fame, e torno verso "casa". Voglio provare uno di quei posti vicinissimi all'appartamento. La mia compagna di viaggio poco prima, mi ha mandato un sms per chiedermi se poteva usare le mie infradito per farsi la doccia, è già successo, lei le ha dimenticate, il fatto che me lo chieda via sms è indice del fatto che non vuole fare quella che se ne frega, ma che c'è ancora "ruvidità". Rifletto un po', se sia il caso di mandargliene un altro chiedendole se vuole uscire, attraversare la strada, e cenare insieme a me, poi desisto, se ha voglia di stare da sola è un suo diritto. Opto per Piripiri, specialista del pollo, cucina portoghese. Non mi piace moltissimo cenare fuori da solo, ma tant'è. Spesa modica, porzioni super. Soddisfatto, lascio una mancia discreta. Esco e torno verso il centro, ho notato un posto dove pare si possa usare internet, ed è esattamente presso il Reykjavik Backpackers (come potete intuire dal nome, un ostello), in Laugavegur; alla reception, che funziona anche da punto informazioni, ci sono due ragazzi giovani ed efficientissimi, che snocciolano un inglese senza il forte accento che abbiamo notato un po' dappertutto, e un sacco di gente che chiede info, che va e che viene. Chiedo al più estroso, uso internet per scrivere questo post qui, e quando gli chiedo quanto gli devo mi fa un cenno amichevole di andarmene. Passeggio ancora un po', poi mi infilo in un pub dove c'è musica dal vivo, bevo una Guinness, e rientro pian piano. Sono oltre le 23,00, ed è forse la prima volta che in questo viaggio, a parte il giorno dell'arrivo, che vado a dormire così tardi.
Se andate a Reykjavík, procuratevi The Reykjavík Grapevine: è un giornale, mensile da novembre ad aprile, quindicinale da maggio a ottobre. Scritto in inglese, formato tabloid, è interessantissimo, ti dà un'idea di cosa succede in Islanda, di cosa si dibatte, oltre a contenere l'elenco dei locali dove si suona dal vivo e dei concerti, recensioni musicali, ristoranti e via discorrendo. Senza peli sulla lingua, è pure molto divertente ed autoironico. L'ultima copia la troviamo nell'appartamento. Detto questo, partiamo con il primo giorno interamente trascorso nella capitale islandese. Usciamo non prestissimo, e mi pare giusto, non c'è fretta, e non avendo fatto spesa facciamo colazione all'ottimo Café Paris in Austurstraeti 14, che offre un po' di tutto. Decidiamo il da farsi. Partiamo dal Reykjavik 871 +/- 2, che prende il nome dalla datazione del ritrovamento sul quale fa perno (871 Dopo Cristo, con una tolleranza in più o in meno di due anni): una casa vichinga, probabilmente la cosa più antica d'Islanda. Ora, essendo obiettivi, c'è da aprire una parentesi (auto)critica, dopo aver visitato questa sorta di mostra della colonizzazione. E, secondo me, ragionamenti del genere sono obbligatori, in quanto italiani e "possessori" di una percentuale stratosferica del patrimonio storico mondiale. Hanno ritrovato queste pietre, disposte a rettangolo, ed altre cosette nei pressi. Ci hanno costruito una struttura ultra-moderna tutto intorno, con una teca di vetro che dà sulla strada sovrastante. Hanno inoltre costruito una sorta di percorso multimediale ad ellisse, sempre intorno, che mostra, sfiorando alcuni schermi, costumi ed usanze, storia. Premendo dei bottoni su alcune "consolle" addirittura si accende un fuoco ologrammato nel centro della casa. Ogni cosa è spiegata nei minimi dettagli (anche in inglese), con soluzioni all'avanguardia, le informazioni sono numerose, allargano il campo a tutta la cronologia della colonizzazione, insediamento, le "conquiste" vichinghe, le influenze genetiche (anche non vichinghe) sulla popolazione islandese, la lingua; i giovani custodi sono disponibili e si dilungano oltremodo, rispiegando il tutto, dialogando, rispondendo a domande e a battute, sopportando anche i visitatori più tediosi, sbruffoni e antipatici. Il merchandising è simpatico, i bagni ovviamente sono pulitissimi, l'ingresso è moderno e suggestivo. E' aperto 7 ore al giorno. E ci sono 4 sassi in fila, del 900 dc. La domanda sorge spontanea: cosa dovremmo fare noi in Italia? La risposta, lo sapete già, come diceva Quelo, "è dentro di te epperò è sbajata".

La giornata è discreta, si fa spazio il sole, fuori si sta bene. Decidiamo di "tentare l'impresa": andiamo a piedi a Perlan. La Lonely Planet parla di 2 km dal centro, ma secondo me sono di più. Tra l'altro, all'andata sono tutti, inesorabilmente in salita. Perlan è una struttura architettonicamente moderna, ma sicuramente non di alta qualità di design, che "impatta" molto, ed è situata giusto sopra l'aeroporto nazionale, in cima ad una collinetta verdissima (Oskjuhlid). Costruita attorno alle enormi cisterne di acqua calda, fatta principalmente di vetro ed acciaio (molto simile ad un aeroporto, quindi), consta di più piani, dove ci sono un caffé/snack bar/self service con vista a 360 gradi sulla città e sulle colline circostanti, un ristorante di lusso (ultimo piano), due geyser finti, uno all'interno della struttura, uno all'esterno, e il Museo delle saghe. Dopo uno spuntino al caffé, entriamo a vedere questo museo. C'è anche qui un "cd player" (così lo chiama il sito ufficiale, ma come vi ho spiegato in occasione del meraviglioso Settlement Centre di Borgarnes, è una sorta di lettore mp3 che fa da guida), che però non ha l'opzione dell'italiano, quindi scegliamo l'inglese. La caratteristica del museo è che ricostruisce la storia islandese, sempre a metà tra realtà e leggenda (le saghe, appunto), con "quadri" realizzati da manichini in silicone (i modelli sono stati, oltre al proprietario - nonchè ideatore e realizzatore, insieme ad una società da lui fondata - e alla sua famiglia, anche abitanti della capitale), spesso inseriti in scene cruente. Alcuni di essi sono semoventi, e qualche visitatore si spaventa. C'è anche un documentario che illustra la realizzazione dei manichini; il problema, oltre alle lunghe spiegazioni in inglese, è l'odore che ricorda la candeggina, il quale può indurre mal di testa. Interessante, ma mi aspettavo di più, vagamente tetro, questi si. Torniamo "verso casa", ma siccome non ci vogliamo far mancare nulla, sulla strada del ritorno facciamo in modo di passare dalla Hallgrímskirkja, che visitiamo velocemente. Imponente ma sobria, interni moderni e funzionali, l'organo interno ha 5275 canne, e l'intera chiesa sembra costruita più per i concerti che per le funzioni. Distrutti dalla camminata, ci dirigiamo all'appartamento, e un riposino più doccia ci sta tutto, prima di uscire a cena.

Nelle foto, interno (l'organo) ed esterno della Hallgrímskirkja.

il fiume Mystic


Mystic River- di Clint Eastwood 2003


Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: chiamatele ghinnie


L'uomo dalla cravatta di cuoio lascia sempre il marchio di fabbrica sui suoi lavori, sempre impregnati di una certa epicità "western" pur se ambientati nel mondo (leggi USA) contemporaneo.


Il film ha un incedere lento, se lo vogliamo considerare un difetto, però ci fa entrare appieno dentro la psicologia dei tre protagonisti. Proprio per questo il finale, dove improvvisamente il palesarsi del carattere del personaggio di Annabeth (una Laura Linney quasi mefistofelica), la seconda moglie di Jimmy (Sean Penn) che "risolve" la storia, pare l'unica incongruenza nella sceneggiatura.


Coerente al "credo" di Eastwood, che (ci) ha fatto sospettare per anni fosse repubblicano (fiducia nella giustizia, che alla fine trionfa di fronte a quella sommaria e fallace dell'uomo della strada), non troppo forte nell'intreccio, Mystic River è comunque un film godibile e con personalità, che ci consegna, tra le superbe prestazioni recitative dell'intero cast, uno Sean Penn definitivamente consacrato unico erede di De Niro.

20100819

Vosvrašcenie


Il ritorno - di Andrey Zvyagintsev 2003


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: un è un chiacchierone luilì


Questo film russo vinse, tra le polemiche, a Venezia nel 2003. Il ritorno è un film ermetico, che racconta poco e spiega ancora meno (pressoché mai).


Girato con una grandissima padronanza (bellissimi movimenti della macchina da presa, ottime inquadrature dei campi lunghi che ricordano Kiarostami), ci racconta di un padre che ritorna, dopo12 anni di assenza, dalla famiglia, nonna, moglie e i due figli che, davanti all'evento, assumono atteggiamenti completamente opposti, il più grande accondiscendente e remissivo, il più piccolo insofferente e testardo; appena tornato, il padre costringe i due figli ad un viaggio, ancora una volta senza dare spiegazioni, e mettendo i figli continuamente alla prova quasi per testarne la devozione e il rispetto.

Il viaggio si snoda attraverso paesaggi stupendi e desolati (stupendamente desolati?), e le "prove" rivolte ai figli creano una situazione di tensione ad "elastico", che va e viene, fino alla tragedia finale.


Simbolismi, coincidenze e sentimenti inespressi. Non un capolavoro, ma un film dal fascino innegabile.

20100818

islanda lug/ago 2010 - 09


Per il vostro "orientamento".

islanda lug/ago 2010 - 08


Stykkishólmur e poi Reykjavík



Mattinata nuvolosa, in tutti i sensi. Poco più di un'ora per la prima destinazione. Quando arriviamo al porto (posto proprio davanti ad un'isola di basalto) di quest'altra cittadina (poco più di 1000 abitanti) sonnacchiosa, verifichiamo che ci sono solo escursioni verso le isole disabitate che si trovano davanti, alla ricerca della avifauna, mentre quelle per vedere le balene non si svolgono neppure più da Olafsvík, bensì solo dalla capitale. Compriamo i biglietti per l'escursione, e riflettiamo sul da farsi. A questo punto, ci conviene andare a Reykjavík finita l'escursione, e cercare una sistemazione per due/tre giorni. E così sia. Il giro in battello dura due ore abbondanti, si vedono un sacco di uccelli, ma la cosa che mi colpisce di più alla fine è un tratto di mare, sempre calmissimo, dove pare ci siano correnti fortissime. In effetti, osservandone la superficie, si notano movimenti davvero particolari, sembra di vedere flussi d'acqua a velocità differenti, fiumi d'acqua salata all'interno di una distesa di altra acqua salata. Il fuori programma, che ci era stato anticipato dal marinaio di Hvammstangi, è la calata di un cestello a strascico, poi ritirato a bordo, che si riempie di frutti di mare, stelle marine gigantesche comprese (che fortunatamente vengono ributtate in mare), offerte dall'equipaggio ai partecipanti. I tedeschi presenti ci vanno giù pesanti, noi non ci fidiamo.

Rientriamo che si è fatta una certa, quindi pranziamo da Narfeyrarstofa (vicinissimo al porto, noi hamburger e patatine, anche per una questione economica, ma il posto è carino, pieno, prezzi accettabili, e, almeno visivamente, sembra che carne, pesce e dessert siano buoni; buono anche il caffè, in tutte le sue varianti), dopo di che facciamo rotta sulla capitale, lasciandoci alle spalle lo Snaefellsjokull, il vulcano (con ghiacciaio annesso) "protagonista" di Viaggio al centro della Terra di Jules Verne. Il cielo continua ad essere nuvoloso, e durante il tragitto comincia a piovere, non forte, quanto basta per disturbare. Ripassiamo per Borgarnes, poi ancora strada nr. 1 fino a lambire Grundartangi, e dopo un po' il tunnel di Hvalfjordur, che prende il nome dal fiordo sotto il quale passa (a dire il vero il nome islandese sarebbe Hvalfjardargongin), di quasi 6 km (con pedaggio). Siamo vicini, e quando arriviamo all'uscita per il centro di Reykjavík mi "butto". Non ci eravamo preparati, per cui dopo qualche giro di "ispezione", capiamo pressappoco quale sia il centro (una strada pedonale, che poi scopriremo essere Austurstraeti, una delle vie più frequentate), ci fermiamo un momento (davanti alla biblioteca, un luogo davanti al quale ripasseremo decine di volte), e definiamo una guesthouse da cercare, in quella che in quel momento mi appare come una selva inestricabile di sensi unici e divieti di transito. Cerchiamo la guesthouse Butterfly, che pare al completo, ma, gentilissimo, uno dei gestori ci accompagna direttamente all'angolo della strada, dal proprietario del Three Sisters, come dice il sito "una guesthouse suddivisa in monolocali", non tutti nel solito "blocco". Il prezzo è alto, ma non impossibile: 3 notti a 297 euro, per due persone. Il proprietario, dice la Lonely Planet, è un ex pescatore (rileggendolo adesso, mi spiego le mani enormi), e mi spiega dove parcheggiare per non pagare, dopo di che ci diamo appuntamento in ottobre alle Canarie, visto che gli dico che ci vorrei andare e lui mi comunica che ci sarà: aggiungo che se ci troviamo, pagherà lui la cena. Ride di gusto. E' simpatico.

Parcheggio l'auto, ci sistemiamo. Abbiamo pagato tre notti, ci pare un tempo giusto. Sta piovigginando. Sono circa le 18,00. Propongo di uscire e di esplorare, la mia compagna di viaggio, evidentemente meno capace di me quando si tratta di mettersi alle spalle gli screzi, è un po' imbronciata e mi dice che rimane in casa. Mi tiro su il cappuccio della giacca a vento, quella comprata a Rosario, Argentina, un paio di anni fa, come vi raccontai qua, ed esco alla scoperta di una delle città più di moda negli ultimi anni.



Nella foto: una veduta di Stykkishólmur.

islanda lug/ago 2010 - 07



Akureyri - Borgarnes via Hvammstangi



Come consuetudine, lasciamo Akureyri verso le 9,00, e senza colazione. Solo ripensandoci adesso, sono quasi convinto che avessimo pagato pure il breakfast, ma che non ne abbiamo approfittato. Di prima mattina, ho una discussione con una pompa di benzina. A parte il fatto che è domenica, fino alle 10,00 in Islanda non apre niente, per cui provo a fare il pieno con la mia carta di credito, ma non c'è modo. Fa niente, proveremo più avanti. Il programma originario, fatto da me a tavolino addirittura prima che la mia compagna di viaggio si unisse all'avventura, prevedeva di "esplorare" lo Skagafjordur, dopo di che fermarsi a Blonduós. Le notizie lette con calma sulla Lonely Planet non mi convincevano, e quindi propongo di prolungare di poco il tragitto, fino ad arrivare a Hvammstangi, che sembra avere qualcosina in più da vedere.

Attacco la strada con decisione, fino a Varmalid (un'ora circa di strada), primo punto che dovrebbe dare segni di vita, e possedere addirittura una stazione di servizio, per fare rifornimento e magari colazione. Così è, anche se apprendo che, nonostante il personale "operante", si paga con carta di credito e stop, cioè si fa tutto alla pompa. Fortuna che a questa, magicamente la mia carta di credito funziona. Si prosegue quindi per un altro paio d'ore, solita bella giornata, solita strada così così, e pian piano si arriva, appunto, a quella che la guida descrive, in un certo senso, come la capitale della foca, suscitando naturalmente ilarità.
Meno di 600 abitanti, Hvammstangi è in festa, c'è una specie di palio tra i quattro "quartieri" (davvero un eufemismo, credetemi). Mentre cerco una guesthouse per sistemarci, in modo da visitare quel poco che c'è, e fare l'escursione alla ricerca delle foche, visto che riflettendo sulla qualità delle strade, aiutandoci con una cartina dettagliata, abbiamo deciso di non addentrarci verso i fiordi del nord-ovest (quella specie di "manina" che sta in alto a sinistra dell'isola), la mia compagna di viaggio si oppone decisamente, proponendo di fare l'escursione e di proseguire, di dormire e fermarsi qui non ne vuole sapere. Prendo atto, non essendo per niente d'accordo (non è ancora passata una settimana, e ne abbiamo ancora un'altra intera; arrivando a
Borgarnes, cittadina dove ci accordiamo per fermarci, abbiamo praticamente quasi completato
il giro dell'Islanda. Anche se dobbiamo ancora vedere la capitale, che faremo dopo? Ma,
soprattutto: perchè venire in Islanda, luogo con pochissima gente, bella proprio perchè vuota
e suggestiva, sinonimo di tranquillità, e farsi prendere dalla frenesia e dal rifiuto di passare
mezza giornata e una notte in un luogo dove c'è poco o niente, quando lo abbiamo già fatto
almeno in un paio di luoghi?), e concordiamo come finire la tappa odierna.
Troviamo facilmente il molo da dove partono le escursioni in barca, domandiamo gli orari al
vicino ufficio informazioni, e aspettiamo poche decine di minuti.
L'escursione si rivela abbastanza interessante, le foche sono numerose, così come numerose sono le specie di uccelli che riusciamo a vedere. C'è anche un "extra", come lo definisce il capitano: un balenottero, che ci coglie di sorpresa, e ci lascia a bocca aperta.
L'assistente del capitano, in uno slancio di curiosità, mi domanda da dove veniamo (sulla barca
siamo in parecchi, diciamo una ventina), e mi suggerisce di visitare Stykkishólmur, da dove, dice lui, partono altre escursioni meravigliose via battello. Me lo faccio appuntare sul retro della ricevuta di pagamento dell'escursione, ovviamente tramite carta di credito. Tornati a terra, mangiamo qualcosa che avevamo sempre in auto, e ripartiamo. Due ore abbondanti, il tempo si guasta un po', arriviamo a Borgarnes per verificare che è poco più grande di Hvammstangi, troviamo da dormire al secondo tentativo, presso la guesthouse del Golf Club del luogo, una sorta di scelta a prezzo inferiore rispetto all'ex Hotel Hamar, divenuto Icelandair Hotel, e ci precipitiamo quindi a visitare il Centro Studi sulla Colonizzazione di Borgarnes, visto che sono quasi le 18,00 e sta per chiudere. Una parentesi sul golf: ogni piccolo centro ha il suo campo di golf, e pare proprio che in Islanda non sia uno sport da fighetti. Detto questo, nonostante la visita preceda la litigata più grossa del viaggio, il museo risulta il migliore visitato qua, e l'acquisto di un libro di storia islandese fatto dalla mia compagna di viaggio risulterà una delle cose più indovinate in assoluto. Andiamo con ordine. Il Settlement Centre, oltre ad avere un fornitissimo negozio di souvenir, libri ed altre amenità, ha due piani e due percorsi, che è possibile compiere "guidati" da una specie di lettore mp3 che contiene una traccia audio esplicativa in almeno 10 lingue, tra le quali l'italiano (cosa rarissima). Gli interni sono bui e quindi piuttosto evocativi, e contengono mappe, disegni, sculture, scheletri, ricostruzioni di scene storiche, addirittura una prua di una nave vichinga semovente; la voce della traccia audio ha una splendida pronuncia e un timbro che tiene desta l'attenzione. La prima parte spiega piuttosto dettagliatamente la cronologia dell'insediamento vichingo in Islanda, terra completamente disabitata, se non da numerose specie animali, prima dell'850 dopo Cristo, mentre la seconda racconta una delle saghe più famose, la saga di Egill Skallagrimsson, un personaggio a dir poco fuori di testa, ambientata proprio nei dintorni, e più che esplicativa sulle usanze dell'epoca, oltre ad essere avvincente e perfino divertente. Dopo la visita ci accomodiamo nel ristorante annesso al Centro, pieno
all'inverosimile, dove i numerosi camerieri stentano a star dietro alle ordinazioni (dopo l'orario di chiusura del museo, addirittura vedremo sbucare il nerd che ci ha fatto i biglietti, spiegato il funzionamento e consegnato la guida audio, e lo vedremo sparecchiare alcuni tavoli); non capiamo bene se effettivamente è una giornata piena per loro, visto che constateremo che il ritmo lavorativo islandese non è dei più forsennati. A parte la bistecca di cavallo (buona) accompagnata da una salsa a base di marmellata di mirtillo (disgustosa), che conferma il tipo di cucina alla quale dobbiamo fare buon viso, come anticipato durante la cena comincia una discussione piuttosto dura, che andrà avanti fino all'ora di dormire, e la cosa ovviamente scuote entrambi. Si cerca di raggiungere un compromesso quantomeno sul programma dell'indomani: come consigliatoci dal tipo dell'escursione di Hvammstangi, domani ci dirigeremo verso la penisola Snaefellsnes, più precisamente a Stykkishólmur, da dove verificheremo la possibilità di effettuare un paio di escursioni (isole antistanti e whale-watching), oppure se spostarci fino a Olafsvík (per il whale-watching, come dice la Lonely Planet).

Nella foto: come ci si arrangia per far asciugare i panni.

gimme (a kiss)


Prima dammi un bacio - di Ambrogio Lo Giudice 2003


Giudizio sintetico: si può perdere (1,5/5)

Giudizio vernacolare: mah


Se il cinema è fatto anche di, e dai, particolari, i paracarri di plastica con catarifrangenti sulla Porrettana nei '60 e la targa, allora inesistente in quella maniera, della Renault 4 della figlia della protagonista nei primi '70, non depongono certo a favore del film di Lo Giudice.

Ma la sua debolezza però, non è ovviamente tutta qui. La storia (un uomo e una donna, destinati a stare insieme fin dalla nascita, vengono separati dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla storia dell'Italia di quegli anni prima, dagli eventi personali poi) è piuttosto prevedibile e scontata, ancorchè ruffiana nei punti giusti per toccare le corde della commozione; i contesti storici sono definiti piuttosto sommariamente.


Il risultato, in fin dei conti, non è granché appassionante. Unica nota positiva, e direi finalmente (ricordiamoci che, esempio, i grandi attori internazionali sono noti e rispettati anche per questo), il buon lavoro dei tre protagonisti (Luca Zingaretti, Stefania Rocca e Marco Cocci), oltre che sulla recitazione, sulla pronuncia del dialetto emiliano. Questo è un particolare nel quale gli italiani hanno sempre difettato, quindi onore al merito dei tre.