No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080930

iamnotdeadbutiamdivided

taheter unkst
chi c'era sa!

Belgio set 08 - 2


Bedlam in Belgium 2
Per chi come me è un fan di Zoolander, una Blue Steel a Bruges. O In Bruges.
Foto di Dria

USA set 08 - 2

pillole del mio viaggio ammericano 1
andrea mi disse di andarci.
io ci sono andato a san francisco.
http://www.amoeba.com/
amoeba. dischi dischi dischi e ancora dischi.
ho preso 6 vinili e 6 cd.
mai comprata tanta musica in una volta sola.
per chi dovesse passare da frisco...

playlist - nel mio lettore mp3

Album

Everlast - Love War and the Ghost of Whitey Ford
Kid Rock - Rock N Roll Jesus
Metallica - Death Magnetic
Mogwai - The Hawk Is Howling
Motley Crue - Saints Of Los Angeles
Motorhead - Motorizer
Queensryche - Take Cover
Revo - We Are Revo
Seu Jorge - América Brasil
Solange Knowles - Sol-Angel and the Hadley St.Dreams
TV On The Radio - Dear Science

Canzoni

A Fine Frenzy - Almost Lover
Bersuit Vergarabat - El Tiempo No Para (en vivo)
Carlos Santana & Everlast - Put Your Lights On
Cristina Donà - How Deep Is Your Love
John Waite & Alison Krauss - Missing You 2007 (radio edit)
Puddle Of Mudd - We Don't Have To Look Back Now
Ricardo Arjona - Quiero

Italia si Italia no 2




Molto duro contro la legge sull’immigrazione è Hamid Ziarati, iraniano, dall’81 residente a Torino dove lavora come ingegnere, che con Salam, maman (Einaudi), ha narrato la scoperta del mondo da parte di un bambino nella Teheran della rivoluzione islamica. Porta come esempio la propria esperienza: «Il 95 per cento degli immigrati regolari, me compreso, sono stati per un periodo
clandestini. Io avevo problemi di salute e sono arrivato in Italia con un visto di cura, che si è trasformato in un permesso per motivi di studio. Ma a volte succedeva che quando riuscivo finalmente a ritirare il visto, era già scaduto. La burocrazia italiana è assurda. E questa legge non
aiuta di certo». Ziarati ne denuncia l’ipocrisia. «È impensabile che chi ha bisogno di una badante si rivolga al consolato moldavo chiedendo di mandargli una sconosciuta. In qualsiasi azienda c’è il periodo di prova. E dato che gli italiani, alcuni lavori, come appunto quello della badante, non li vogliono più fare, qual’è la soluzione?». Se si parla della condizione femminile, la situazione si fa ancora più drammatica. «L’unica persona veramente femminista che conosco a Roma è mio marito Nick», commenta ironica la Smith. «Quando esco con le mie amiche italiane rimango sconcertata: tutte lottano fra loro per conquistare un uomo. E usano le armi della seduzione, e il loro appeal di potenziali mamme, rispondendo soltanto con regole inventate dagli uomini». Ah, le donne italiane... Ne ha per loro anche Ornella Vorpsi (Il paese dove non si muore mai, Vetri rosa, Einaudi), nata a Tirana, che ha studiato Belle Arti a Milano dal 1991 al 1997, ma poi ha scelto di trasferirsi a Parigi. «Rispetto alla Francia le italiane sono molto più legate alla famiglia, e preoccupate di tenere il marito accanto a sé. L’altra cosa è che sono ossessionate dalla bellezza e dal tempo che passa. Capelli, corpi levigati, visi tirati, tacchi alti...». E il decantato mito del seduttore? «Gli italiani sono simpatici ma rimangono un popolo viziato, dove i figli di papà vivono in case pagate dai genitori», conclude Vorpsi. «Non mi piace il machismo italiano», aggiunge Smith. «Trovo ridicoli anche i giovani che scorrazzano per le vie romane con i cinturoni di Cavalli e le sopracciglia depilate». Anche noi. «Ma quello che più mi inquieta», continua, «è la vostra idea di casa. Sognate ancora di avere una famiglia perfetta, che in realtà non esiste. E non accettate il fatto che tutti i nuclei hanno al loro interno una normale componente psicotica». È fortunata, la Smith, a non avere ancora figli. Scoprirebbe a sue spese quel che è successo all’albanese Anilda Ibrahimi (Rosso come una sposa, Einaudi) che vive a Roma dal ’97. «Quando è nato il mio secondo figlio ho dovuto scegliere il part time, perché al nido non l’hanno preso e le baby sitter costano. Qui, se non hai le nonne a disposizione sei rovinata. Pensare che mia madre, in Albania ha tirato su tre figli facendo l’insegnante. Come? Andavamo all’asilo nido e d’estate in colonia». Amara Lakhous la pensa allo stesso modo: «Non ho figli, ma quando ho spiegato l’esistenza delle “graduatorie” per il nido a mia sorella, che vive in una banlieue parigina, è rimasta esterrefatta: ma i bambini non dovrebbero essere tutti uguali?». Il mito della Francia, uno dei pochi Paesi dove il Welfare state è degno di chiamarsi tale, persiste. «C’è più lavoro e concretezza, e meno diffidenza nei confronti degli stranieri», riprende Lakhous. «I francesi dicono meno bugie e regalano meno illusioni». Conclude Zadie Smith: «Roma è diventata pericolosa, si respira un’atmosfera di odio, intolleranza, intimidazione razziale. Io e Nick ormai abbiamo deciso: tra qualche settimana ci trasferiremo a New York». Newsweek fa un paragone fra l’immobilismo italiano e quello di Nanni Moretti nel film Caos Calmo. Nella “famigerata” scena di sesso c’è la stessa rappresentazione dei “sentimenti di alienazione, rabbia e confusione” che agitano gli italiani. “Ma con una differenza: nel film il protagonista decide di muoversi, l’Italia sta ancora cercando un modo per farlo”.

20080929

Italia si Italia no 1


Interessante anche questo, sempre da D la Repubblica delle donne nr. 615; ci troverete opinioni diverse, ma un paio di cose da condividere in pieno!



A GENNAIO TORNO A NEW YORK



SCRITTORI



L’Italia? Sta precipitando. Così Zadie Smith (foto) sceglie gli Usa. Gli autori stranieri, sempre più delusi dal nostro Paese, spiegano perché



di Benedetta Marietti


Pacchetto antimmigrati, persecuzioni dei rom, crisi Alitalia, immobilismo generale, emergenza spazzatura. Ce n’è da scoraggiare chiunque. «Due anni fa ho scelto di venire a Roma perché è una città bellissima», racconta in un italiano quasi perfetto l’anglo-giamaicana Zadie Smith, 34 anni e tre best seller, da due anni residente nella capitale col marito, anche lui scrittore, Nick Laird. «La gente è simpatica, mi piacciono la lingua, l’arte, i vecchi film. E poi sono stata attirata dalla spiritualità che si respira qui. Però, soprattutto con le ultime elezioni la situazione è precipitata: come se fossimo tornati agli anni Cinquanta. Così, oggi, ho voglia di fare le valigie». L’ha sostenuto di recente anche il settimanale americano Newsweek, quando ha messo lo Stivale in prima paginacol titolo “Italy’s mess”, ovvero il pasticcio italiano. Col sottotitolo: “Come un Paese così bello è diventato una disastrata area economica e politica dell’Europa”. Una volta artisti e scrittori venivano in Italia per il Grand Tour, un viaggio di iniziazione alla storia, un esercizio di apertura mentale. Ma oggi, passata la sindrome di Stendhal e l’innamoramento per le città d’arte, si annusa un’altra aria. Ci si accorge di vivere male, e potendo si scappa altrove. E pensare che la Smith, come pochi altri, ha avuto l’indiscusso privilegio di fare per un lungo periodo la writer in residence a Valdarno, dove Beatrice Monti della Corte, vedova dello scrittore Gregor von Rezzori, ha fondato “The Santa Maddalena Foundation”, residenza che ospita scrittori e botanici. Vista dalle dolci colline della Toscana, dove “la baronessa”, come è affettuosamente chiamata, ha istituito il premio Vallombrosa per la migliore opera di narrativa straniera, l’Italia pare ancora un paradiso, un posto perfetto per le vacanze. Ma viverla nella quotidianità, è tutta un’altra cosa. «Il problema principale è la mancanza di lavoro tra i giovani», accusa Gary Shteyngart. L’autore di Absurdistan (Guanda) non vede speranze concrete. Però chissà, alza le braccia. «Qui tutto è possibile e niente è possibile». Idem per Junot Diaz, Pulitzer 2008 (La breve favolosa vita di Oscar Wao, Mondadori), che è di origine dominicana, ex residente a Roma per una borsa di studio che ha lasciato. «Anche gli Stati Uniti, dove mi sono trasferito, stanno vivendo un periodo economicamente difficile. Ma da voi i giovani non vedono alcun futuro davanti a sé, perché non sono considerati veramente una risorsa». Meno male che ci sono il portoghese José Luis Peixoto (L’antidoto, Scritturapura edizioni), a ricordarci che «la confusione italiana è indispensabile per la creatività» e l’irlandese Colm Tóibín (Madri e figli, Fazi), che ha vissuto qui tanti anni fa, secondo cui «è il Newsweek a essere disastrato, e oltretutto scritto male». Gli altri non lesinano critiche. Dalia Sofer, iraniana, come Shteyngart ex writer in residence a Valdarno, autrice di La città delle rose (Piemme), si meraviglia del contrasto tra un passato grandioso e un presente asfittico. «Gli italiani mi sembrano come criceti in gabbia. Ed è paradossale, perché siete conosciuti all’estero soprattutto per la cultura, Michelangelo, Caravaggio, Dante. Forse l’eredità è una gloria, ma anche un peso. Lo si capisce camminando per Firenze. La città non è più quella di prima, sta ai margini del paese, ed è diventata quasi una parodia turistica di se stessa». In Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio (edizioni e/o) Amara Lakhous, algerino di 39 anni che vive a Roma dal 1995, ha esplorato il difficile rapporto di convivenza e integrazione fra popoli diversi, la paura e la diffidenza tutta italiana nei confronti degli stranieri. «C’è un’incertezza di fondo che non giova a nessuno», racconta dalla capitale, dove ha appena terminato un dottorato di ricerca sull’immigrazione musulmana in Italia. «Non c’è uno stato sociale forte, mancano gli asili nido, la gente non arriva più a fine mese, e a pagare il mutuo. E allora cosa fa? Scarica sui rom tutte le ansie e le frustrazioni, credendo di risolvere i propri problemi individuando un capro espiatorio. Prima era colpa dei marocchini, poi dei terroristi musulmani, degli albanesi e dei romeni. Oggi vanno di moda gli zingari, su cui si scatena la rabbia di un Paese. Che dimentica tutta la storia della propria emigrazione».




continua

20080928

ong 4

parte 3

FONDI, PROGETTI E ICONE. IL CASO EMERGENCY


di Andrea Debenedetti

È la più internazionale tra le nostre Ong. E anche la più “politica”. Ma il vicepresidente di Emergency, Carlo Garbagnati, ci corregge subito. «Politica, nel senso di occuparsi dei bisogni concreti dei cittadini». Come funziona una Ong? «Posso parlare del nostro caso, perché è l’unico che conosco bene». Dunque? «Innanzitutto, dallo Stato non riceviamo un euro. È il prezzo da pagare, anzi da non ricevere, per riuscire a mantenere una totale autonomia operativa». E il cinque per mille? «Nel 2007 abbiamo incassato circa quattro milioni e mezzo di euro: ma sono soldi che riceviamo dai contribuenti che scelgono di destinare la loro quota a noi». E gli altri soldi chi li mette? «Alcuni enti locali ci danno una mano. Penso alla Regione Toscana, che insieme alla Fondazione Montepaschi ha contribuito alla realizzazione del nostro nuovo centro di cardiochirurgia in Sudan. Il resto viene dai privati. A tutti i donatori spediamo in omaggio la rivista trimestrale: ecco, posso dire che a riceverla sono più di 110mila. Il nostro budget annuale è di circa 20, 25 milioni di euro. Senza le donazioni saremmo perduti». Parlava prima di autonomia operativa. «Diciamo che tutti i governi hanno delle aree geografiche di interesse. Per esempio, ora “tirano” molto l’Africa e l’Afghanistan, mentre la Cambogia, che è uno dei Paesi in cui siamo più attivi, non rientra nei loro piani. Se partecipano a un progetto, vogliono metterci la faccia e la firma. Nessuno finanzia una cosa che esiste già e che non ha una resa né politica né d’immagine». Esisteranno pure altre forme di appoggio non economico. «L’unica cosa che riceviamo è il cosiddetto “titolo di conformità”. Il ministero degli Esteri certifica che quello che facciamo riveste un interesse internazionale e questo ci garantisce due vantaggi. Al nostro personale viene riconosciuta una copertura assicurativa e pensionistica. In più, i direttori sanitari degli ospedali italiani ci devono concedere i loro medici per i nostri progetti, qualora ne facciamo richiesta». Quanta gente lavora dentro e intorno a Emergency? «In Italia ci sono una sessantina di dipendenti fissi regolarmente stipendiati, tra Milano, che è la sede principale, Roma e Palermo. In ambito internazionale il nostro staff si compone di circa 150 tra medici, paramedici e amministrativi. A cui vanno aggiunte 1.500 persone coinvolte nei progetti a livello locale. E i volontari, almeno quattromila in tutta Italia». Come nasce un vostro progetto? «Dalla valutazione oggettiva dei bisogni e della sua fattibilità. I nostri progetti, a differenza di altre realtà, non hanno data di scadenza. L’obiettivo è riuscire a creare ospedali autosufficienti dal punto di vista finanziario e tecnico-professionale, ma prima di arrivarci passano anni. Solo in Irak possiamo dire di aver portato a termine due progetti, ma lì c’era il vantaggio di lavorare con un personale locale già qualificato. Altrove invece la formazione deve partire quasi da zero, e allora diventa tutto più lungo». Quanto conta e quanto “pesa” il fatto di avere un’icona come Gino Strada per Emergency? «Conta moltissimo. E in parte pesa anche. All’inizio, quando si trattava di farci conoscere, quella di farci rappresentare da lui è stata una scelta consapevole, sia per il carisma sia perché lui realizzava materialmente gli interventi sul campo. Adesso il problema è quello di far
conoscere contenuti e ragioni del nostro lavoro, di dare continuità a Emergency al di là della faccia e del marchio. Il paradosso, oggi, è che siamo troppo conosciuti. Tutti hanno lo zainetto o la maglietta di Emergency, tutti conoscono il nostro nome, tutti danno per scontato che esistiamo: questo rischia di far passare in secondo piano che noi siamo una Onlus. E una Onlus, per sopravvivere, ha sempre bisogno di fondi».

20080927

juana


Ve ne avevo parlato secoli fa, di Juana Molina, attrice argentina ma soprattutto delicatissima cantautrice, voce chitarra e campionatori. Forse qualcuno se ne ricorderà, forse no; capisco la vostra diffidenza, giustificata evidentemente dal mio troppo entusiasmo per qualsiasi cosa venga dalla terra di Maradona. Invece, come per i Catupecu Machu, dovreste provare.
Juana sta per far uscire il suo nuovo disco dal titolo Un dìa il 7 ottobre, e sarà in tour in Europa a breve. L'ho scoperto girando in centro a Gent, ho visto una sua data ad Anversa tra poco, ho visitato il suo sito, www.juanamolina.com e ho verificato l'esistenza di una sua data italiana, finalmente, all'Acquaragia di Mirandola, Modena. Chi è interessato metta il dito qui sotto.

t-shirt


Sono riuscito a comprare una t-shirt "musicale" a mio nipote. Questa. Direi molto figa.

ong 3

parte 2

REPUTAZIONE E CONFINI

La reputazione di molte Ong - da Medici senza Frontiere ad Amnesty International - è irreprensibile. Altre invece passeggiano sul pericoloso confine tra ciò che pensano sia doveroso proteggere e ciò che si può fare per ottenerlo. Come nel caso della Peta, la più radicale fra le associazioni animaliste, che non ha disdegnato di attaccare laboratori e medici che si occupavano di esperimenti. L’American Border Patrol, poi. Fondata nel 2002 è un’Ong americana che opera nel Sud degli Stati Uniti. I suoi membri pattugliano il confine con il Messico e, a differenza di quelle che aiutano gli esausti immigrati nella prima accoglienza, loro li prendono e li consegnano alla polizia. Il fondatore, Glenn Spencer, è un noto anti-ispanico che predica contro l’immigrazione illegale, sostiene la purezza della razza bianca e un governo che usi solo la lingua inglese. In dotazione all’Abp, piccoli aeroplani e sistemi elettronici per la sorveglianza dei confini, ma soprattutto armi.

DONNE E GIARDINAGGIO

In Olanda, invece, nel 1983 cinque donne si sono unite per fondare Mama Cash, primo fondo internazionale e indipendente. Cominciando con un capitale messo a disposizione da una di loro, Marjan Sax, hanno avviato piccoli progetti in patria e poi nel resto del mondo, tra i quali il primo negozio di cosmetici per donne di colore. In 25 anni sono riuscite a sostenere seimila gruppi di donne investendo 30 milioni di euro. E la Guerrilla Gardening? Organizzazione poco conosciuta,
i suoi associati parlano di piani e missioni quasi fossero componenti cellule militari. Agiscono soprattutto di notte e se tutto è cominciato a Londra, ora sono ovunque. Anche in Italia. Il loro obiettivo è combattere il degrado ambientale piantando aiuole in zone pubbliche delle città. Si muovono a gruppetti, individuano le zone, comprano le piante, contattano i residenti affinché li aiutino a mantenere il loro lavoro (bagnare le piante!) e poi - quando nessuno li vede - trasformano angoli urbani in piccoli giardini. In Italia, dove il loro motto è “Libera il giardiniere
che c’è in te”, ci sono già stati “attacchi” - così li definiscono - a Milano, Roma, Caserta e Torino.

SCANDALI

In Sri Lanka, infine, le organizzazioni no profit sono aumentate in modo esponenziale dopo lo tsunami, ma un gruppo di stranieri che lavoravano per Ong delle quali non si conosce ancora il nome (l’indagine è in corso) sono stati arrestati per aver costretto delle volontarie locali a girare film pornografici facilmente reperibili nei mercati dell’isola. Le conseguenze? Una miriade di interruzioni di gravidanza e di suicidi, e il disgusto della militanza locale, che si è scagliata contro
tutti gli stranieri. Lo scandalo è scoppiato a seguito delle confessioni che alcune delle giovani violentate e filmate hanno fatto a un medico.

continua

20080926

ong 2


parte 1

E passa a mostrarci e-mail che arrivano dal nostro Paese: “Hello, sono italiana e vorrei sapere dove e come posso procurarmi la pillola Ru486. In Italia questo metodo è sperimentale e puoi metterci tanto, troppo tempo a cercare una clinica o un medico che ti aiutino a usarla”. Oppure: “Sono inglese, la mia compagna è italiana, abbiamo già un bambino e non siamo nelle condizioni di averne altri. Per favore aiutateci a capire cosa fare, non voglio farla tornare in ospedale, ché qui tutto ciò che riguarda l’aborto sembra essere diventato illegale e provare a fare le cose di
nascosto costa un mucchio di soldi”. Decine e decine di messaggi nella bottiglia del web, che vengono raccolti da Rebecca e dalle “donne sulle onde”.


OLTRE L’ONU
di Barbara Schiavul


Senza Ong le Nazioni Unite sarebbero come un corpo senza braccia, né gambe». Parola di Staffan
de Mistura, inviato speciale dell’Onu in Iraq. «Mi piacerebbe dire che noi siamo bravi, ma loro
hanno le capacità per intervenire prima di tutti. Certo, hanno dei limiti e non sono sufficientemente legittimate internazionalmente soprattutto se devono confrontarsi con regimi dittatoriali. Ma le Nazioni Unite non possono che riconoscere la loro essenzialità». Non è facile comprendere un mondo in continuo movimento come quello delle Organizzazioni non governative (Non Governmental Organizations), risulta complesso stabilirne i confini e capirne le definizioni. Ma è sufficiente una calamità naturale, una guerra, un’epidemia e il settore no profit fa i bagagli per trasferirsi nei luoghi più “disgraziati” del mondo. Laddove i governi non riescono, arrivano gli aiuti. Pensi a un problema, un’emergenza e trovi qualcuno che ha fondato un’Ong per risolverlo. Se bastassero lo spirito di sacrificio, il pronto intervento, il coraggio e la gratuità, il mondo sarebbe migliore. Ma non lo è. Il mare dentro il quale lavorano le Ong continua a ingrandirsi e i risultati a farsi sempre più piccoli.


MIGLIAIA, ANZI MILIONI

Le Ong sono organizzazioni legalmente costituite che rientrano nel settore no profit, nessuno dei loro associati può essere legato in alcun modo agli organismi dello Stato: 40mila quelle internazionali, mentre il numero delle locali è impressionante. Si va dalle 227mila in Russia fino
al milione e 200mila dell’India, mille soltanto in Cisgiordania e 170 al lavoro nella Striscia di Gaza. E in Italia, dove il no profit fattura più di 40 miliardi di euro l’anno, sono 220mila le organizzazioni (che impiegano circa 700mila persone) impegnate negli ambiti più diversi: dall’assistenza all’istruzione, dall’ambiente alla sanità, dagli aiuti ai rifugiati all’agricoltura. Le prime associazioni no profit nascevano nell’ambito del volontariato, deriva di un mondo che diventava sempre più vecchio e povero spingendo così migliaia di persone a intervenire. Ma oggi le Ong non necessariamente pullulano di volontari o altruisti, molti operatori sono persone altamente qualificate e pagate per la loro esperienza. Spesso realizzano progetti difficili - e pericolosi - di solidarietà internazionale. Esposte alle critiche, per esempio riguardo all’uso di costosi rappresentanti stranieri al posto di impiegati locali, si possono solo difendere attraverso il successo del loro lavoro. Accusate talvolta di comportamenti da “nuovi colonialisti”, capita che si contrappongano a governi che non tutelano i diritti dei propri cittadini. Vogliono attirare
l’attenzione sui problemi che feriscono la società contemporanea, ma si occupano anche del bisogno di vaccinazioni o di come insegnare ai bambini a non attraversare un campo minato.


NON GOVERNATIVE?

Uno dei requisiti principali è l’indipendenza dai governi. Ma a volte all’interno di una struttura internazionale le cose non sono così semplici. Esempio lampante è quello della Croce Rossa Internazionale che ingloba circa 180 Paesi. «Ogni sede mantiene un legame con il governo in
caso di emergenza interna, ma a livello internazionale la situazione si complica», spiega Ugo Bernieri, delegato internazionale della Croce Rossa Italiana dal 1998. «Le Cri europee sono più sviluppate, come quelle scandinave o francesi, e per la loro indipendenza possono essere definite Ong. A differerenza dell’Italia, dove siamo ancora molto indietro. Essendo un ente pubblico, in una situazione fuori dell’Italia il nostro intervento potrebbe essere strumentalizzato: la comunità internazionale perdona più facilmente i problemi della Croce Rossa Iraniana che di quella italiana, da cui ci si aspetta un comportamento diverso».


continua

20080925

USA set 08 - 1

san francisco bay blues
i baci proseguono da san francisco.
dettagli del viaggio al ritorno.
vi dico solo che ho conosciuto clint eastwood!

Belgio set 08 - 1

Bedlam in Belgium 1
Eccomi qua, ospite da ieri degli splendidi Sabien e Dria, e della loro bimba di 5 anni Matilde. Siamo a Gent, Belgio fiammingo. Ho capito ieri, finalmente, che il Netherlands, cioè l'olandese (leggerissimamente cambiato) è una delle lingue ufficiali del Belgio, insieme al Francese e al Tedesco. Ebbene si.
Ieri Dria e Matilde sono venuti a prendermi in macchina a Charleroi, Bruxelles Sud, un aeroporto minuscolo rivitalizzato, come ormai decine e decine di aeroporti in tutta Europa, da Santa Ryanair (lo ripeto ancora una volta: una compagnia aerea che ci ha cambiato la vita, a quasi tutti). Minuscolo ma, mi pare, ben collegato. Un'oretta di auto e siamo a Gent, anzi, a Sint Amandsberg, periferia di Gent. Quartiere con strade con limite di velocità 30 all'ora, biciclette che hanno sempre la precedenza (a parte i pedoni), un parco verdissimo dietro casa, nessun negozio. Qualità della vita: questo c'è alla base della scelta di questa coppia di amici, aiutati dal fatto che Sabien è belga.
La gente non è caldissima ed espansiva, ma sono tutti molto gentili. Questa è l'impressione del primo pomeriggio in Belgio. Ma il bello doveva ancora venire.

Questa mattina ho accompagnato Dria all'ufficio comunale dove doveva portare una foto tessera e un documento per avere un qualche documento fondamentale per la cittadinanza. Nell'ufficio, impiegate e impiegati sorridenti, vestiti casual, arredamento spartano ma per niente grigio; impiegati che si alzavano dalla loro scrivania per venire al banco e chiederti se ti stavano servendo, riuscite ad immaginarvi una cosa del genere in Italia?
Non è finita qui. Un sacco di immigrati, giovani, di seconda o terza generazione, ognuno che aspettava il suo turno senza bisogno di code o di numerini, tranquillamente seduti. Nessuno che ti o si guarda storto. Impiegati che sorridono. Sorridono, avete capito? Ho pensato inoltre, insieme a Dria, che in fondo qui è un immigrato, che la percentuale i immigrati in Belgio rispetto alla popolazione è decisamente più alta che in Italia. Quindi, Silvio, Umberto, Gianfranco, ma anche, ma anche, Pierferdinando e Walter, dove sta il nostro problema?

Oggi pomeriggio giro in centro in bici e a piedi. Sopralluogo al Vooruit, il locale dove domani sera vedremo gli Hellacopters in concerto, una struttura bella architettonicamente che apparteneva al sindacato socialista, una sorta di Casa del Popolo però con 318 sale. Giro lungo i canali, le viuzze, i baretti, le piazze, guardando le guglie post-neo-finto gotiche non solo delle chiese. Una bella cittadina, dunque.

Ad un certo punto, fermi su un marciapiede, ci passa davanti una comitiva che pare scolastica. Una ragazzina mi guarda e sembra che mi faccia dei versi con la bocca che hanno tutta l'aria di essere dei bacetti, un'altra dietro che sembra canticchiare qualcosa che pare essere la parola sexy. Un'altra biondona che mi incrocia e non mi stacca gli occhi di dosso. Addirittura 3 ragazzi, molto leccati e probabilmente molto gay, il più bello di loro si prende un torcicollo per guardarmi più che può. Mi fermo e controllo: magari ho la patta dei pantaloni aperta e non me ne sono accorto. O magari sto sognando. O forse il Belgio mi sta chiamando.

ong 1


Da D la Repubblica delle donne, nr. 615

«OGNI SETTE MINUTI UNA DONNA MUORE A CAUSA DI UN ABORTO ILLEGALE.
ECCO PERCHÉ HO FONDATO WOMEN ON WAVES»
REBECCA GOMPERTS (foto)


INCHIESTA
Viaggio nel mondo delle Organizzazioni non governative. Tra emergenze, controversie e battaglie di civiltà. Come quella di un medico olandese, che lotta perché l’interruzione di gravidanza sicura
sia un diritto ovunque


di Marco Mathieu


"Le donne oggi potrebbero praticare da sole l’interruzione di gravidanza, ma occorre garantire
loro l’accesso ai farmaci e alle informazioni necessarie". Gli occhi azzurri illuminano il viso di Rebecca Gomperts: 42 anni, medico, madre di due figli (di 2 e 3 anni) e fondatrice (nel 1999) di Women On Waves, l’Ong olandese che si batte per il diritto delle donne a «poter utilizzare la Ru486. Sono quasi 70mila le donne che ogni anno muoiono ancora per le conseguenze di aborti illegali», denuncia Rebecca, seduta nel piccolo ufficio che è sede dell’associazione. Due computer su altrettante scrivanie, una libreria, il divano, qualche sedia e un tavolo. Tutto dentro questo stanzone affacciato sul parco, al secondo piano di un palazzo in Domselaerstraat, zona orientale di Amsterdam. Al muro è appesa la carta geografica del mondo, con il rosso a segnare i Paesi in cui
l’aborto è illegale. Possibili obiettivi delle missioni delle “donne sulle onde”. Nelle acque internazionali, infatti, vigono le leggi del Paese di cui l’imbarcazione batte bandiera. Quindi, a 12 miglia dalla costa, nell’ambulatorio allestito da Rebecca, vale la legge olandese che prevede la possibilità di interrompere la gravidanza entro sei settimane e mezza dalla fecondazione.
«Rispondiamo all’invito di associazioni locali, a terra distribuiamo volantini e informazioni, poi organizziamo un servizio per traghettare le donne a bordo della nostra imbarcazione». La prima
missione di Women On Waves fu al largo delle coste irlandesi, nel 2001.
Poi in Polonia, 2003, quando gruppi di attivisti antiaborto manifestarono contro Rebecca e le altre («una dozzina in tutto, compreso l’equipaggio»). Peggio andò l’anno successivo in Portogallo, con le navi da guerra inviate a bloccare le “donne sulle onde”. Seguirono polemiche e condanne, sui media e alla Commissione Europea. «Hanno poi riconosciuto le violazioni della nostra libertà di movimento da parte del governo portoghese, però...». Però? «Hanno stabilito che rappresentavamo una reale minaccia a cui i portoghesi hanno reagito». Ride, Rebecca.
«Evidentemente non potevamo sconfessare così apertamente il governo portoghese, il risultato è stato che abbiamo sofferto un lungo periodo di pausa nelle nostre azioni, ma deve ancora pronunciarsi la Corte Europea per i Diritti Umani». Pausa. «Quello che conta però è che nel 2007 l’aborto in Portogallo è diventato legale e allora penso che la nostra azione sia stata utile comunque». Non potendo navigare per mare, l’hanno fatto nel web (http://www.womenonweb.org/ ), per offrire assistenza telematica alle donne di tutto il mondo. «Rendere legale e disponibile l’interruzione di gravidanza con metodo farmacologico sarebbe un segnale di civiltà, oltre che di difesa dei diritti delle donne», sostiene Rebecca, che prima di tutto questo era con quelli di Greenpeace e fu proprio allora che ebbe l’idea di Women On Waves. Molto diversa dalle altre Ong, soprattutto quelle più grandi, «che operano nelle zone di guerra, in situazioni causate dalle circostanze, mentre le nostre azioni, informative e mediche, prevedono una responsabilità diretta». Come per tutte le associazioni no profit che rifiutano i contributi governativi, c’è il problema del fundraising. «Dobbiamo riuscire a far coincidere i tempi delle azioni con la ricerca dei fondi necessari. Il nostro budget annuale è 100mila euro: le donazioni arrivano soprattutto da singoli individui, ma ci aiutano anche piccole organizzazioni internazionali, come Mama Cash e Hivos». Rebecca ferma le parole, poi aggiunge. «Certo, vorremmo poter avere più soldi e una barca più grande». Ma a luglio in Ecuador le “donne sulle onde” hanno dovuto rinunciare alla loro “ragione sociale”. «Una tempesta ha distrutto la barca che avevamo affittato, così la missione si è trasformata in una linea telefonica per offrire assistenza informativa e psicologica alle donne. Più di dieci chiamate al giorno, dopo le azioni di comunicazione che ci siamo inventate». Come lo striscione con il numero telefonico esposto allo stadio e sui monumenti di Quito, “Aborto Seguro”. «Ma la situazione è grave anche in Europa, le donne sono costrette a viaggiare da un Paese all’altro per poter abortire e spesso sono messe in condizioni di umiliante difficoltà». Ecco perché la prossima azione, a ottobre, avverrà nel Vecchio Continente. Destinazione “ancora segreta”. Potrebbe essere addirittura l’Italia? «In effetti da voi la situazione negli ultimi mesi è peggiorata ulteriormente».


continua

20080924

pd


Non è un disco eccezionale, almeno a livello di originalità, ma penso proprio che a livello nazionale i padovani Revo meritino una certa attenzione. Molti recensori li hanno accostati ai Queens Of The Stone Age, ma il loro approccio è, forse, ancora più pop (Banana), mentre a volte quasi emo (Faded). La cosa che mi ha sorpreso di più, piacevolmente, oltre che alla discreta produzione, è stata la voce di Paolo Da Villa, molto molto bella e ben impostata. Ascoltatela in Inside Inc.: maestosa e sfacciatamente post-grunge (ditemi se non ricorda Layne Staley in alcuni passaggi).


Revo - We Are Revo


edit


Come non condividere l'editoriale di Internazionale della settimana in corso?


La settimana


Pianeta


Il ragazzo italiano ucciso a Milano perché era nero e aveva preso un sacchetto di biscotti. L'altro ragazzo italiano estradato in Grecia perché condannato per 21 grammi di hashish. La compagnia di bandiera italiana svenduta ai peggiori offerenti. La scuola italiana distrutta mattone dopo mattone e i diritti di maestri e maestre, bambini e genitori allegramente calpestati. Il premier italiano che fa lo spiritoso con le ragazze in tv ed è sempre più popolare. Le polemiche sul fascismo, sull'antifascismo, sul postfascismo, sulla repubblica di Salò. La tv italiana che ricomincia con i soliti programmi, le solite facce, le solite battute. Il boom della cocaina tra i bambini di Milano. Il campionato di calcio e la sua scia di tifosi nazisti. La polemica sul Pincio, la polemica sulle prostitute, la polemica sulla legge elettorale per le elezioni europee. Ci sono certe settimane in cui uno vorrebbe vivere non in un altro paese, ma proprio su un altro pianeta.


Giovanni De Mauro

20080923

clima 2

A proposito di questa notizia, il comunicato stampa del comune di Rosignano Marittimo: qui.

In Bruges


In Bruges - La coscienza dell'assassino - di Martin McDonagh 2008


Giudizio sintetico: si può vedere


Ray e Ken sono due killer irlandesi operanti in Inghilterra. L'ultima loro "missione" non è andata come doveva, e il loro capo Harry li spedisce in Belgio, a Bruges, intimandogli di fare i finti turisti e di non dare nell'occhio. Ma i due sono troppo diversi, e Ray, tormentato da qualcosa di grande, è anche un attaccabrighe.


E' un film atipico, questo debutto sulla lunga distanza di McDonagh, vincitore di un Oscar con il suo corto Six Shooter. Già dall'ambientazione belga, la ben conservata cittadina medievale di Bruges, assoluta protagonista. I personaggi sono dipinti con forza soprattutto (perdonate l'ossimoro) dalle loro debolezze, e sono discretamente recitati, anche se perennemente sopra le righe (soprattutto da Farrell, che interpreta Ray, e da Ralph Fiennes, il boss schizoide Harry). I dialoghi brillanti anche se spesso grevi, permeati di linguaggio di strada ma pure da luoghi comuni europei e anglosassoni, in particolar modo. La fotografia è spesso cupa, quantomeno grigia, il ritmo non sempre serrato, il finale si impenna e tradisce quella che pareva una regola ferrea, e cioè parlare di violenza senza mostrarla, ma almeno risulta grottesca, così come paradossale è la fine dei due protagonisti. Ci sono, insomma, alcuni difetti, ma si intravede potenzialità nel lavoro di questo regista, stimato in Inghilterra soprattutto per il suo lavoro teatrale. Echi di maestri e, al tempo stesso, ricerca di originalità, o almeno di una strada personale.

20080922

shoes


Le scarpe tipo calcetto portate in giro, addirittura anche su abiti eleganti. Aggravante: con colori da evidenziatore. Orrende. Orrende. Non ho altro da aggiungere.

storie

Alcune storie di cronaca e attualità che dovrebbero farci riflettere. La prima, che innesca diversi ragionamenti, è questa; la prima battutaccia che mi viene è che C'è posta per te è pericoloso e finalmente ci se ne rende conto. La cosa seria è, invece, che forse per la prima volta le donne cominciano a ribellarsi alle violenze domestiche. Ed è un fatto grave, perchè evidentemente la legge e la società non le protegge abbastanza.

Altra notizia che mi colpisce è quella delle dimissioni del presidente sudafricano: so che non servirà, ma i politici italiani dovrebbero farne tesoro: all'estero qualcuno si dimette, quando ha fatto una figuraccia.

E che dire di questa? Niente, che è meglio. Solo che Silvio è riuscito a metterci al pari dell'Iran (inteso come un presidente spesso farneticante, non come popolo o cultura, distinzione che fa anche la diplomazia iraniana nei nostri confronti), e che sta assomigliando sempre più a Bush Jr.

Interessante è anche questo calcolo sull'Earth Overshoot Day. Quasi pauroso.

Mi fermo. E' meglio.

supper's ready


Pranzo di Ferragosto - di Gianni Di Gregorio 2008


Giudizio sintetico: imperdibile


Siamo a Roma, oggi. Gianni, come lo definisce la sinossi ufficiale del film "un uomo di mezz'età, figlio unico di madre vedova", è un alcolizzato light, buon cuoco, evidentemente disoccupato (o pensionato baby), completamente al servizio della madre, vecchissima ma sempre sveglia di cervello. Si avvicina Ferragosto, la città è semi-deserta. Madre e figlio ricevono una visita da parte dell'amministratore, che illustra a Gianni la loro disastrosa situazione condominiale, sommersa dai debiti. L'amministratore, furbescamente, offre a Gianni una via di fuga dignitosa: se è disposto a tenergli in casa la madre per un paio di giorni, proprio a cavallo del Ferragosto, i suoi debiti saranno cancellati. Gianni è costretto ad accettare, la madre è d'accordo, ovviamente. Il giorno seguente però, la situazione precipita: l'amministratore si presenta con la madre e con la zia, e lascia lì entrambe; Gianni non si sente bene, chiama un amico dottore, al quale deve molti favori, il dottore lo visita e lo tranquillizza, ma alla fine gli lascia la madre, visto che lui per il Ferragosto sarà di turno all'ospedale. Gianni, con flemma invidiabile, fa di tutto per mantenere la calma, assecondare le ospiti e non farsi travolgere.


Classico caso di "piccolo film", a budget ridottissimo, con sceneggiatura semplice, attori bravi e direzione asciutta ma efficace. Il risultato, credetemi, è di assoluto rilievo: ve lo dico subito, questo è il film che l'Italia dovrebbe presentare alla corsa all'Oscar. Scorrendo le note a proposito del regista, scopriamo che è stato aiuto regista di Matteo Garrone (qui presente in veste di produttore) in L'imbalsamatore e Primo amore, e che ha partecipato alla stesura della sceneggiatura di Gomorra. Tutto quadra. Di Gregorio, in Pranzo di Ferragosto, fa anche la parte del protagonista, interpretando Gianni. E se la cava egregiamente.

Mi rimane davvero poco da aggiungere. Il film dura un'ora e un quarto a malapena, scorre decisamente bene, fa ridere, fa sorridere e intenerisce, parla di situazioni moderne con leggiadria, ti fa uscire dalla sala contento di aver speso i soldi del biglietto, e si fa ricordare con simpatia. A volte non serve niente di più. E' solo da vedere.

20080921

Argentina ago 08 - 8

La mia compagna di viaggio ha scritto un resoconto di viaggio, di una parte del nostro ultimo viaggio, ed è stata pubblicata da La Capital, un giornale di Rosario. Qui il link, e qui sotto il copia/incolla. Brava Juliana!!

El viaje del lector: recuerdos de Calingasta

A la hora de narrar mi paso fugaz por estos suelos, el primer concepto que salpica mis ojos me habla de una tierra distante, rodeada de montañas. Sin embargo, un segundo parpadeo memorioso me convence de que "tierra de montañas" es un concepto demasiado amplio, y de que hablar de este pedacito de planeta supone, justamente, abandonar cualquier pretensión de generalización. En pocos casos ese salto cualitativo y abismal que separa lo general de lo particular es tan rotundamente necesario como a la hora de hablar del Valle de Callingasta.

Este lote escindido de árido paraíso terrenal, está encallado en el aislado occidente sanjuanino. Como tantas otras regiones de la tierra adentro, sufrió el olvido y la postergación cuando se bajó la barrera del último tren y su corazoncito minero dejó de latir. Esa puñalada a traición, dejó a este suelo de ensueño librado a su suerte y convirtió sus parajes en caseríos fantasmagóricos, donde sólo parecen llegar los carteles de propaganda política.

Sin embargo, este valle que se abre paso entre la cordillera frontal y la precordillera andina, se cuela revoltoso por todas las ventanillas cuando uno camina por sus rutas, al punto que amenaza todo el tiempo con emocionarnos hasta las lágrimas. La morfología de estos suelos, refleja el desorden ordenado del surrealismo, ahí donde la razón y el objetivismo corporizado en las explicaciones geológicas, no alcanza para dar cuenta de ese festival de formas y colores, dispuestos con la sabiduría armónica de quien mezcla doscientos instrumentos musicales y obtiene un movimiento de Brahms en lugar del más horroroso de los ruidos.

Dentro del valle, Barreal es un pedacito de silencio compactado en un bloque de tierra rojiza, dispuesto a recibir al peregrino con la paz que se respira en las mañanas de domingo. Allí el aire corre rápido y fresco por las calles de tierra, cargado de sabor a leña seca, pan casero y álamo desnudo. Allí, todos los murmullos y despertares de sus habitantes, se pierden en los paredones impenetrables del cerro Alcázar, donde mil tonos de ocre enmarañados hasta el hartazgo construyen unos balcones de roca firme que se roban la historia de miles de millones de años.

Por último, el Parque Nacional El Leoncito. En este reservorio de la fauna y la flora local, el suelo se junta con el cielo, las estrellas brillan con más fuerza y el mundo todo pareciera hacerse un alto en su girar eterno para disfrutar de esos silencios tan profundos, que ensordecen hasta la locura.

¿Que si me gustó el valle? Si, mucho. Pero no sólo me gustó sino que también logró sorprenderme, emocionarme. ¿Que si le aconsejaría a un amigo que lo visite? Por supuesto, con la tranquilidad de quien ofrece por postre un flan casero con dulce de leche repostero. ¿Que si volvería? En cuanto pueda. Frente a tanto derroche de esplendor ¿Quién puede seguir pensando que las segundas partes nunca son buenas?

Juliana Carpinetti

the three monkeys


Le tre scimmie - di Nuri Bilge Ceylan 2008


Giudizio sintetico: da vedere per appassionati


Eyup è il padre di Ismael, Hacer la madre. Vivono in una casa modesta davanti al Bosforo, Eyup fa l'autista di un imprenditore facoltoso con aspirazioni politiche, Servet, Hacer lavora in una mensa, Ismael prende il treno tutte le mattine e va a scuola. Una notte piovosa, Servet senza volerlo investe un uomo con l'auto e lo uccide; non sapendo cosa fare lascia la macchina ai bordi della strada, e l'auto che passa poco dopo prende la targa senza però fermarsi oltre. Servet propone uno scambio a Eyup: Eyup si prenderà la colpa dell'accaduto, è palusibile, essendo il suo autista, si farà 6-12 mesi di carcere, ma Servet continuerà a corrispondergli lo stipendio e, a fine pena, gli darà un grosso premio in denaro. Le elezioni sono alle porte. Eyup accetta, non sappiamo con quale grado di accettazione da parte della famiglia.

Eyup va in carcere. Ismael non ha voglia di studiare, e frequenta cattive compagnie. Hacer non sa che fare. Ismael vorrebbe lavorare, comprandosi un auto e mettendo su un servizio di scuolabus privato. La madre non ha soldi: Ismael propone di chiedere i soldi anticipati a Servet, all'insaputa del padre. Hacer accetta sfinita, e incontra Servet. L'imprenditore/politico rivela un debole per Hacer....


Ceylan prosegue un discorso del tutto personale facendo cinema con una cifra stilistica inconfondibile. E' un cinema fatto più di silenzi che di dialoghi, dove la telecamera stringe sui particolari e soprattutto sui volti, ed è anche un cinema fatto di ricerca spasmodica dell'inquadratura perfetta, con spiccato senso pittorico. Aiutato dalla fotografia, sempre virata, in questo caso spesso verso il grigio, legato al Bosforo oltre misura, questa volta cerca anche una sceneggiatura non complessa ma almeno articolata, che si snoda lentamente ma inesorabilmente, in maniera molto teatrale con inserti onirici. Il riferimento alle tre scimmie (non vedo, non sento, non parlo) è voluto e molto forte, e ogni spettatore può ritrovarci un po' di sé e della propria vita. I protagonisti sono tutti efficaci e ben diretti; l'unico difetto di questo film sono i tempi, tipicamente "asiatici" (se non fosse per le facce e l'ambientazione, potrebbe benissimo essere un film di Hong Kong, di Taiwan, o coreano), che di certo non aiutano la fruibilità da parte dello spettatore medio. Questa è più che altro un'avvertenza. Se siete pronti a questo tipo di visione, non rimarrete certamente delusi, perchè il cinema di Ceylan, superato questo scoglio, vi darà certamente delle soddisfazioni, visive ed intellettuali.

20080920

tombe


Oggi è stata una giornata impegnativa e, se volete, anche faticosa. Sveglia alle 7,45, mio nipote dalle 8,45 alle 12,45, pranzo frugale, derby Livorno-Pisa allo stadio di Livorno, finito non benissimo per noi (1 a 1). Stare dietro a mio nipote diventa sempre più impegnativo, e se normalmente la partita del Livorno mi sfinisce a livello nervoso figuratevi un derby.

Per fortuna che, dopo una cena contenuta, essendo sabato, c'era Ulisse, il piacere della scoperta, come sapete il programma televisivo preferito da questo blog, condotto da un uomo che ormai è di diritto nel mio pantheon personale, che risponde al nome di Alberto Angela (foto). Come sempre interessantissima la puntata di questa sera dedicata alle grandi tombe e al rapporto dell'essere umano con la morte.


Il sabato sera è sempre fruttuoso quando c'è Ulisse. E non scherzo.

20080919

clima


Volentieri vi do questa notizia, anche se purtroppo io non sarò presente.


Giovedì 25 settembre 2008, a Castiglioncello presso Villa Celestina, l'amico Cipo (non vi fate ingannare dal nick, che ormai già conoscete, è un oceanografo di indiscussa fama internazionale) riproporrà un dibattito aperto al pubblico (la "locandina" è quella dell'incontro dello scorso anno a Empoli); ecco qualche cenno.


IL CLIMA DEL FUTURO: UN PROBLEMA DEL PRESENTE

Il clima del nostro pianeta sta cambiando, gli effetti si vedono sia a livello locale che a livello globale e continueranno a interessare le future generazioni. Nel corso di questo incontro parleremo di come funziona il sistema climatico della terra, e come gli scienziati riescono a studiarlo, a ricostruire come si è evoluto in passato e a prevedere i suoi cambiamenti. E diremo cosa possono aspettarsi i nostri figli e nipoti; in altre parole, gli effetti indotti dal cambiamento globale del clima sull'ambiente, sugli stili di vita, sulla società, e cosa si può fare, sin da subito, per limitare i danni e lasciare in eredità ai nostri figli e nipoti un pianeta migliore, con uno sfruttamento più oculato e sostenibile dell'energia e una distribuzione più equa delle risorse.


Chi può, vada.

moody boogie


Solo un aggiornamento senza spoilers: ho visionato le prime due puntate della seconda serie di Californication, ormai la mia serie favorita, essendo Six Feet Under non più in vita (bella battuta). La prima si intitola Slip Of The Tongue e la seconda The Great Ashby, vado a memoria.


Volevo solo dirvi che Hank Moody (foto) è vivo e lotta insieme a noi. Non ci sono cali, anche se le vicende diventano veramente difficili da gestire, la sceneggiatura regge e i dialoghi sono fenomenali.

ale italia

L'amico Scoppe mi fa notare che ci ho preso, al riguardo della questione Alitalia, qui. La verità è che mi dispiace, anche se ho volato Alitalia solo un paio di volte in vita mia, per inesperienza la prima volta, per caso la seconda (e soprattutto perchè pagava Pantalone, per modo di dire, visto che non sono dipendente pubblico), e cerco di evitarla come il latte ultimamente (dopo 2 mesi di diarrea). Però, insomma, c'è da dire che quando c'è di mezzo Silvio è troppo facile essere profeti.

20080918

coming soon

A breve, recensioni di:

Le tre scimmie - di Nuri Bilge Ceylan; nuovo lavoro del regista turco che riprende le sue classiche atmosfere sulle rive del Bosforo per un dramma familiare cupo e introspettivo ma al tempo stesso ironico e amaro. Ritmi tipicamente asiatici che lo avvicinano al cinema dagli occhi a mandorla, e che quindi al tempo stesso lo rendono pesante e appetibile solo ad una platea di appassionati, pronti al "sacrificio" in sala.

Pranzo di Ferragosto - di Gianni Di Gregorio; un gioiello fulminante e inaspettato, che fortunatamente arriva dall'Italia. Film asciutto, divertente, brillante, pieno di speranza, specchio dell'Italia: è recitato da attori e attrici da 50 anni in su. Imperdibile.

In Bruges - La coscienza dell'assassino - di Martin McDonagh; gangster-movie ironico e divertente, che tenta di essere pure introspettivo ma non ci riesce troppo. Promettente.

porn-around


La notizia è di quelle che si danno quando non si ha niente da scrivere, e infatti è su Repubblica on-line nella colonna del gossip. La Disney contro la parodia porno Pirates of the Caribbean tra l'altro arrivata al secondo capitolo (quella porno). Qui i trailer abilmente montati ad incastro tra di loro.


Per gli interessati, visto il primo capitolo, posso assicurarvi che la produzione e il cast è di gran livello, ma c'è parecchia fuffa. Se davvero vi piace il porno, continuate ad orientarvi sulla Evil Angel piuttosto che sulla Digital Playground. E' anche vero che è questione di gusti, anche qui. Le produzioni DP (finezza da intenditori, nel gergo porno DP sta per Double Penetration) sono patinate e, nonostante siano comunque porno, più adatte ad un pubblico, passatemi il termine, "casalingo", inteso nel senso di coppia, mentre, probabilmente, quelle della EA sono più tendenti al "segaiolo", categoria nella quale mi inserisco volentieri. Spero di aver reso l'idea, seppur usando complicate metafore e francesismi, mi rendo conto.


E' un peccato che la DP abbia l'esclusiva, come leggerete se cliccate sul link Wikipedia poco sopra, per attrici come Devon, Teagan Presley, ma soprattutto come Tera Patrick della quale abbiamo parlato anche qui, e Jesse Jane (foto), citata sempre su questo blog qui. Questo si.

'tallica


Come avrete capito, il mio co-blogger Lafolle è a NY (ma sta per andare sulla West Coast). Di NY mi ha scritto via sms che "is alternative decadent. I guess you would like...". Ma non è questo il punto. Il punto è che mi ha segnalato un link da pubblicare, questo, a proposito del mastering errato su Death Magnetic, il nuovo disco dei Metallica. Capisco poco di termini tecnici, ma la cosa in fondo è complessa e interessante. Seguono una serie di commenti, alcuni altrettanto interessanti, altri inutili.


A proposito del disco, c'è da dire che mi ci sono avvicinato con sospetto, ma ne sono uscito con una certa soddisfazione, anche se a livello di immagine ormai i Metallica sono la caricatura di se stessi; ve lo dice, come sapete, uno al quale hanno quasi cambiato la vita.

Il disco musicalmente suona bene, e, come ho avuto occasione di dire in un giudizio sintetico, anche se in molte tracce i Metallica coverizzano se stessi, questo è, in parte, il segno di uno stile riconoscibile; c'è anche qualche pezzo bello (All Nightmare Long, The Unforgiven III, The Day That Never Comes), per cui, in definitiva, Death Magnetic è il loro miglior disco da dopo il Black Album del 1991 ad oggi.

USA set 08 - 0

NY
-i got t'go to brooklyn!!!
-oohhh bruckland!!!!

chi indovina da che film e' preso questo dialogo vince un donut!

baci da NY!

20080917

bitch

Interessante quello che sta accadendo a Roma; lo leggiamo qui. Da sottolineare alcuni passaggi dell'articolo. Quello che mi ha colpito è stato il seguente:

I primi multati. Su via Salaria e viale Togliatti, strade periferiche di Roma, anche oggi molte ragazze straniere erano "al lavoro" nonostante le multe e la penuria di clienti, fuggiti dal d-day anti meretricio. "Tanto le multe non le paghiamo", ha commentato più di una disincantata e discinta. Un cliente, uno dei pochi colto in flagrante mentre abbordava un trans, quasi incredulo ai vigili ha urlato: "E' proibito? Ma è una trasgressione innocua, non voterò più Alemanno".


Attenzione, quindi. I primi boomerang, forse, stanno piovendo sul centro-destra.

20080916

bosforo


Uzak - di Nuri Bilge Ceylan 2002


Giudizio sintetico: si può vedere


Istanbul, Yusuf, licenziato al paese natìo causa chiusura della fabbrica dove lavorava, va dal cugino Mahmut, fotografo, a chiedergli ospitalità per alcuni giorni, nei quali cercherà lavoro come mozzo, al porto, per girare il mondo e guadagnare dei bei soldi. Non andrà così, anzi, i caratteri dei due arriveranno a cozzare notevolmente, a dispetto del legame di sangue.

Vincitore a Cannes 2003 del Gran Premio della Giuria, Uzak è un film di quelli dei quali avremmo bisogno più spesso, per uscire dall'omologazione, per capire che il cinema è qualcosa di più che sogno, è anche psicanalisi, anche se superficiale. Una storia talmente semplice da fare paura (se di storia vogliamo parlare; in pratica, vediamo i due impegnati nella vita di tutti i giorni), uno sfondo (Istanbul grigia, sotto la neve, piena di occidente, pure troppo) normalissimo che ci cala dentro il film (e ci suggerisce, forse, che tutto questo stupore quando si parla di "Turchia in Europa" è ingiustificato), due personaggi che ci assomigliano spaventosamente, che, senza parlare quasi mai, mettono a nudo tutte le nostre paure, tutte le nostre paranoie, i nostri vizi, i nostri difetti. Un sacco di cose pesanti, che rendono la visione impegnativa, ma che ripagano con improvvisi sprazzi di poesia grezza, ancora da tagliare, come i panorami che Mahmut vorrebbe fotografare durante il suo servizio, quando si porta dietro come assistente Yusuf, e ai quali rinuncia, ormai disilluso nelle sue aspirazioni abbandonandosi alla piattezza dell'esistenza, o come la scena finale, quando Mahmut si siede sulla panchina in faccia al mare, scena ripresa dalla locandina (ma modificata, in quella scena non si vede la neve). Inutile, superfluo, aggiungere altri particolari, che scoprirete da soli, se accettate la sfida di questo tipo di cinema.

zar e affini


Sono rimasto un po' indietro sulla vicenda Georgia/Russia/Abkhazia/Ossezia, visto che nei giorni caldi ero in Argentina e leggevo poco i giornali. Cercando di recuperare, ho chiesto un punto di vista ad un'amica russa. Il succo è stato questo: è colpa degli americani, ed è l'ora che la smettano di fare gli sceriffi del mondo. Parlo spesso con questa amica, e a suo tempo mi ha spiegato sommariamente le differenze tra l'U.R.S.S. e l'attuale Russia di Putin/Medvedev. Anche qui, il succo: ai tempi dell'Unione avevamo tutto garantito, e io avevo la mia libertà. Adesso devo venire in Italia a lavorare, per mantenere la mia famiglia (è vedova ed ha una figlia di circa 14 anni), però i giovani che studiano e hanno voglia di fare hanno grandi possibilità. La scuola funziona, meglio di prima, ma c'è una grande criminalità e poche persone hanno un sacco di soldi.


Detto questo, e tornando sull'argomento della crisi georgiana, la fotografia interessante che ne fa Lucio Caracciolo su Repubblica di ieri (qui), con testimonianze dirette di Putin e Medvedev, mi pare da non sottovalutare. In un mondo così in movimento, bisogna ricominciare a tenere conto della Russia.

dicevamo


di David Foster Wallace, qui, poco dopo la notizia del suo suicidio. Ieri su Repubblica, Antonio Monda lo racconta in un bell'articolo, rispettoso e intimo, questo. C'è poco altro da aggiungere, se non che, personalmente, ho letto alcuni suoi libri e mi sono divertito, anche se non sono affatto facili da leggere, ma ti davano decisamente l'impressione di essere stati scritti da una persona complessa, ironica e affascinante.

20080915

Californication: Season 2 Behind the Scenes

Ci siamo. Si trovano già in rete i primi due episodi sottotitolati (grazie a Momo e Itasa, idoli).

intelligente?


La Smart. Insopportabile. Anche solo perchè parcheggia a 90 gradi rispetto a dove voi, con auto "normali", parcheggiate "normalmente". Misteri del branding: all'inizio è stato uno dei flop più clamorosi della storia dell'auto, dopo qualche anno è diventata la macchina dei fighetti.

wedding (planner)


Da sinistra a destra: Lafolle, Jumbolo, Calimero


Foto di Francy

razza

Riprendiamo il primo argomento. Qui le evoluzioni.
Come sempre, è bene non sbilanciarsi. Però questa frase dell'avvocato dei due baristi mi colpisce a fondo: "Il razzismo è fuori discussione, non c'entra nulla - spiega l'avvocato Bolchini -. Si tratta di un episodio certamente sciagurato e tragico che sarebbe successo ugualmente se il ragazzo non fosse stato di colore".

Cioè, ma allora questi sono veramente pericolosi.

tecnocontadini 2

parte 1

Per completare il quadro: niente fitofarmaci o concimi chimici, naturalmente, ma solo fertilizzanti organici e rotazioni colturali. Ma per quanto moderna e innovativa, "Guilden Gate" è anche un vero e proprio modello di continuità con la tradizione. La famiglia Saggers vive e lavora nella proprietà dal XVII secolo. La casa dove oggi abitano Simon, Jacqueline e i loro due figli, è costruita lì dove fino a qualche decina di anni fa il padre di Simon teneva 10mila polli. Per lui, quindi, creare "Guilden Gate" ha voluto dire tornare in un luogo familiare. Ma un luogo che, negli ultimi cinquant'anni, è cambiato profondamente. "Quando ero bambino io, qui c'erano una ventina di fattorie. Oggi ci siamo solo noi. Per il resto, si tratta perlopiù di pendolari tra qui, Cambridge o Londra". "Nel dopoguerra", aggiunge, "in Inghilterra è stata incoraggiata, come panacea a ogni problema, un'agricoltura convenzionale e intensiva". E questo ha finito per generare "cambiamenti tutti negativi: le comunità rurali stanno semplicemente scomparendo". uoi ideali ecologici, Simon (membro del Green Party fin dai tempi dell'università) ha deciso di creare "Guiden Gate": "L'espressione fisica delle mie convinzioni". Simon ha sempre saputo che alla fine sarebbe tornato qui. "Sarà anche un cliché", riflette, "ma la terra uno ce l'ha nel sangue. È proprio vero. Da ragazzo non vedevo l'ora di andarmene, ma sapevo che alla fine sarei tornato". E a diciotto anni, Simon se n'è andato: prima all'università, a Manchester, e poi a lavorare a Londra. Dove, nel 1995, ha incontrato Jacqueline, e insieme sono partiti per un giro dell'Asia (India, Thailandia, Malesia, Nuova Zelanda e Australia) durato due anni. Tornati in Inghilterra, ad aspettarli hanno trovato sì il loro pezzo di terra, ma anche un'infinità di inaspettate difficoltà burocratiche: fare di "Guilden Gate" una fattoria ecologica è stata un'odissea. "La verità è che oggi, in Inghilterra, coltivare e vivere della propria terra è diventato praticamente illegale. Non c'è niente altro che richieda la medesima fatica: ci vogliono tempo, denaro e una fottutissima testardaggine per ottenere l'approvazione ufficiale". Il problema secondo Simon "sta nel baratro che separa la retorica politica - tutta a favore dell'ecologia, dell'agricoltura biologica - e la burocrazia. Se il governo, laburista o conservatore che sia, avesse veramente intenzione di favorire lo sviluppo dell'agricoltura biologica, non renderebbe le cose tanto complicate, offrirebbe delle agevolazioni". E lui, che è un ottimista per natura ("Di un ottimismo che rasenta la sconsideratezza, sarebbe difficile altrimenti sopportare l'imprevedibilità dell'agricoltura") da questa esperienza è uscito scottato e deluso. "Forse siamo stati ingenui", spiega Jacqueline, "pensavamo che ci avrebbero accolti con le braccia aperte. In fondo volevamo costruire una fattoria biologica sulle rovine di vecchi pollai. Piantare alberi, crescere orti, laddove non c'era niente". Alla fine, però, hanno vinto: oggi "Guilden Gate" è un modello di architettura e agricoltura ecologica (Simon organizza visite guidate per gruppi e associazioni interessate a imparare da lui come costruire una fattoria simile). Rimane il fatto che, burocrazia a parte, mandare avanti "Guilden Gate" è faticoso. "Dal punto di vista economico, le cose sono ancora difficili", continua Simon. Paradossale, no? I prodotti biologici costano cari, ma chi li produce non si arricchisce. "Produrre in maniera etica ed ecologica è costoso. Il cibo costa. Ma siamo abituati a pensare che possiamo nutrirci pagando poco. Persino i prodotti importati, che un tempo erano considerati di lusso, da usare in occasioni speciali, sono diventati qualsiasi. È una logica, un modo di vivere, sbagliato. Soprattutto, non sostenibile: non solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico". Non c'è niente di punitivo o particolarmente austero nelle convinzioni come nelle abitudini dei Saggers. A dire il vero, seduti al tavolo della loro elegante e comoda cucina, musica di sottofondo, collegamento Internet sempre attivo, i bambini appena tornati da scuola che si aggirano curiosi e furtivi, non sembra proprio che questo stile di vita (faticoso, certo; imprevedibile, anche - ma l'agricoltura lo è sempre) comporti enormi rinunce e sacrifici. "Non c'è niente che vi manchi, di cui abbiate nostalgia?". "No, veramente non c'è niente di cui sentiamo la mancanza", risponde Jacqueline, sorridente, sicura, sincera. "La questione fondamentale", aggiunge Simon, "è riuscire a distinguere tra bisogni e desideri. Non sempre è facile. Il nostro progetto era renderci indipendenti rispetto alle nostre necessità di base, dunque rispetto al cibo, all'elettricità, all'acqua". Certo, ci sono tante cose che non sono immediatamente necessarie, ma cui non bisogna rinunciare. "Per esempio, non produciamo stivali per la pioggia", dice Simon, "quelli li compriamo". Ma una cosa è comprare un paio di galoche, un'altra nutrirsi quotidianamente di verdure che, prima di arrivare nei nostri piatti, hanno attraversato distanze maggiori di quelle che una famiglia media percorre in un anno. Fagiolini che arrivano dal Kenya, mele dal Cile, pomodori dal Sudafrica. "Perfino le verdure che magari sono state coltivate qui in East Anglia, vengono mandate in Scozia per essere impacchettate, e poi rispedite nel supermercato dietro casa". Questi percorsi inutili, questi viaggi superflui di merci, sprechi ingiustificati, costi insostenibili, sono diventati parte fondamentale del nostro modo di vivere. "Guilden Gate" vuole offrire un modello diverso. "Quando progettavamo la fattoria", racconta Simon, "sapevamo che avremmo voluto dei figli. Abbiamo cercato di costruire un luogo dove potessero crescere comodamente, piacevolmente e che fosse loro di ispirazione. "Guilden Gate" è anche il nostro testamento morale". Una generazione fa, il padre di Simon avrebbe voluto che suo figlio a tutto si dedicasse, fuorché all'agricoltura, troppa fatica, troppi rischi. Oggi, Simon e Jacqueline dicono che sarebbero felici se i loro figli scegliessero di rimanere a "Guilden Gate". Ma la generazione futura è ancora un'incognita. E una scommessa. La speranza, è che non si limiti a cambiare qualche lampadina.

fine

20080914

editoriAle flash

Da Repubblica on-line:

"Milano, giovane di colore ucciso a sprangate" - Accusati di aver rubato una scatola di biscotti, 3 giovani di colore sono stati aggrediti a sprangate dal titolare di un bar milanese e dal figlio. Uno di loro è morto. Si sprecano i commenti politici inutili. Dico due cose: ma non c'era l'esercito nella città importanti a ristabilire l'ordine? Allora, chiariamo bene e alla svelta cos'è successo; se è andata come sembra, e per di più i 3 ragazzi di colore non erano i colpevoli del terribile furto di biscotti, l'esercito ci dovrà proteggere dai gestori italiani troppo nervosi.

"Siena, ragazza muore dopo un rave party, alla festa circolava un mix di droghe" - Siamo proprio sicuri che non si possa fare niente altro che la repressione e incarcerare chi fuma spinelli, contro questi episodi?

"Il Papa, stretta sulle famiglie: stop a divorziati e unioni civili; niente comunioni a chi si risposa" - Tralasciando tutto il resto (e nell'articolo, per cui nelle dichiarazioni del Papa a Lourdes ce ne sarebbe per un dibattito di una settimana), dico solo: "Silvio, sono cazzi tuoi!!".

dfw


E' morto. Suicida, pare. R.I.P.

voi che sapete chi siete

grazie a tutti.
infinitamente.
a credito di amore.

tecnocontadini 1

Da D la Repubblica delle donne, nr. 614


Tecnocontadini
L'eco famiglia Saggers e la lattuga che salverà il pianeta

di Barbara Placido

"Non so se è così anche per voi", ha scritto sul New York Times Michael Pollan, guru del movimento ambientalista americano e autore di Il dilemma dell'onnivoro (Adelphi 2008) e La botanica del desiderio (Saggiatore 2005), "ma per me il momento più angosciante nella lettura di Una scomoda verità non è stato quando Al Gore avanza l'inoppugnabile tesi che i cambiamenti climatici stanno mettendo a rischio la sopravvivenza del nostro pianeta. No, il momento più cupo è alla fine, quando a fronte del disastro ci chiede di... cambiare le lampadine. È allora che mi dispero. La mancanza di proporzioni tra l'enormità della situazione che Gore descrive e la futilità di quello che propone è tale da far perdere la speranza". Perché, questo sostiene Pollan, cambiare le lampadine non basta. Dobbiamo, invece, iniziare a "coltivare un po' - anche solo una minima parte - del nostro cibo". Proposta indecente? Non per gli inglesi. Oggi, chi si trovi a camminare per Londra, per Manchester, o per i paesini della campagna inglese, si scopre circondato da balconi, terrazze e giardini ricchi di verdure: nei luoghi più inaspettati vede spuntare gli allotments, orti demaniali (oggi in Gran Bretagna ce ne sono 330mila) che il Comune offre in concessione a chi si impegna a coltivarli. La sola città di Londra produce, nei suoi orti, 16mila tonnellate di verdure all'anno. E, secondo le statistiche dell'Associazione del commercio agricolo, negli ultimi tempi le vendite dei semi da fiore sono diminuite del 32%, mentre sono cresciute del 31% quelle dei semi di erbe aromatiche e verdure. L'Inghilterra, ormai, è piena di contadini dilettanti. A motivarli "non è più", spiega Mr. Stokes, segretario dell'Associazione nazionale parchi e lotti, "la necessità di risparmiare, come accadeva cinquant'anni fa. Ma il desiderio di avere cibo fresco e uno stile di vita diverso". Sempre più consapevoli e preoccupati degli effetti che pesticidi e fertilizzanti hanno sui prodotti che consumiamo, quindi sulla salute, nostra e della terra, i cittadini inglesi si difendono così: dedicandosi all'orto. Ma se i giardinieri della domenica sono molti, sono in pochi a impegnarsi a tempo pieno all'agricoltura. Pochi e determinati, come Simon e Jacqueline Saggers. Per loro davanzali e lotti non erano sufficienti: ci voleva invece "Guilden Gate", una fattoria di circa 20mila mq di terra coltivati biologicamente. Altro che dilettanti, i Saggers sono (così amano definirsi) technopeasants, contadini tecnologici, capaci di unire sapere tradizionale e tecniche moderne. E di creare un'oasi ecologica. "Guilden Gate" (http://www.guildengate.co.uk/ ), nel paesaggio piatto e verdeggiante dell'East Anglia, nel villaggio di Bassingbourn, circa 25 km a sud di Cambridge, è proprio questo: un podere tradizionale e al tempo stesso un modello innovativo di agricoltura e di architettura ecologica. L'edificio principale, una struttura elegante, moderna e discreta è, spiega Simon, "il frutto di anni di ricerca e studio". Qui tutto - dal legno dell'edificio principale alle tegole, fino al letto a castello dei bambini, George di 6 anni e Maddie di 4 - è riciclato o riciclabile. L'isolamento termico è impeccabile, l'esposizione (naturalmente a sud) perfetta: persino Jacqueline, che si dice freddolosa, deve ammettere che la casa, riscaldata com'è solo da una stufa, è veramente calda. A provvedere al fabbisogno d'acqua è la pioggia, raccolta in tre enormi cisterne sotterranee, da cui Simon estrae con nonchalance, malgrado la fatica, l'acqua con una pompa azionata a mano. Le acque nere diventano concime. E adesso che in mezzo al prato di fronte alla casa si erge un'alta turbina eolica, i Saggers sono indipendenti dalla rete elettrica nazionale (anzi, vendono alla rete elettrica l'energia che producono in sovrappiù).

continua

20080913

Almodovar d'Italia


Il seme della discordia - di Pappi Corsicato 2008


Giudizio sintetico: si può vedere


In una Napoli che pare futuristica (Centro Direzionale, architetto Kenzo Tange), si muove con flessuosa bellezza Veronica, perfetta sintesi di bellezza mediterranea e internazionale, proprietaria di una boutique e in procinto di aprire un concept store (che diavolo sarà poi). Intorno a lei ruotano la madre Luciana, che freme per avere un nipotino, il marito Mario, rappresentante di fertilizzanti sempre in giro per lavoro, l'amica del cuore Monica, gestrice di un bar, ottima cuoca (Veronica la vuole per il concept store....ma allora è un ristorante!) e madre single di 4 figli, la commessa della boutique Nike, testa tra le nuvole e aspirante ballerina, Gabriele, vigilante di quartiere, fidanzato ma innamorato di Veronica.

Mentre sia Veronica che Mario decidono di sottoporsi al test di fertilità, su insistenza della madre di lei, visto che Veronica non rimane incinta, la stessa Veronica viene aggredita, una sera mentre rientra in casa, da due balordi che le vogliono rubare l'incasso. Si difende ferendoli, poi sviene in seguito ad una testata di uno dei due, e l'intervento di Gabriele mette in fuga gli aggressori.

Poche settimane dopo, Veronica scopre di essere incinta, mentre arrivano i risultati del test di fertilità di Mario....


Liberamente ispirato al libro La marchesa di O... di Heinrich von Kleist, di cui esiste una trasposizione cinematografica, La marquise d'O... di Eric Rohmer, Corsicato mette in scena un film leggero e leggiadro, che affronta temi anche importanti, ma lo fa con un respiro soffice e soprattutto visivamente allegro e acceso. Il film è gradevole e pure divertente, ma è soprattutto l'aspetto visivo che cattura. Fotografia nitida, contrasti tra l'ambientazione futuristica e fredda architettonicamente con i colori caldi delle donne e dei vestiti, e ancora tra l'asetticità dei palazzi e la musica beat e comunque datata, il film risulta vagamente almodovariano fin dalla bellissima scena dei titoli di testa, e decisamente "femminile". Non dà risposte sulle questioni (maternità, violenze, inseminazione artificiale, gelosia) e, anzi, sembra fare di tutto per allontanare ogni riflessione sui temi, ma è un godibile divertissement molto ben girato e recitato con dignità dai vari interpreti. Menzione speciale per Caterina Murino (Veronica), di una bellezza abbagliante e decisamente niente male come attrice; nonostante, stranamente, in alcuni passaggi abbia una pronuncia che ricorda quella della Bellucci, risulta bella in modo imperfetto, rispetto ancora alla Bellucci, ma molto più attrice.
Non mi ha convinto per niente la locandina, troppo apertamente citazionista (American Beauty).

20080912

liane psicotrope

Da D la Repubblica delle donne, nr. 613

Ayahuasca un viaggio nell'anima

ESPERIENZE
Se il subconscio è il nostro personale e inesplorato web, questa liana psicotropa dell'Amazzonia peruviana è il suo Google

Testo di Sergio Ramazzotti

Lo sciamano ha un sito Internet, un nome utente Skype, guida un fuoristrada giapponese di seconda mano e vi promette un viaggio che nessun tour operator è in grado di organizzare: quello dentro voi stessi, prima classe, posto di finestrino. Suoi sono i segreti dell'ayahuasca, una liana psicotropa che cresce nell'Amazzonia peruviana e che gli indios usano da sempre per raggiungere attraverso le allucinazioni uno stato di autoconsapevolezza o trance che altrove verrebbe definito Nirvana. E sua è stata l'idea, un decennio fa, di capitalizzare quei segreti organizzando cerimonie a pagamento per il mercato statunitense, dove l'ayahuasca, messa fuorilegge come sostanza stupefacente (non in Perú), suscita notevole interesse nell'ambiente medico (esperimenti hanno dimostrato la possibile efficacia nella cura delle tossicodipendenze e di alcune psicopatologie), in quello artistico (ne hanno fatto uso Paul Simon, Sting, Isabel Allende) e fra le sempre nutrite schiere di inveterati epigoni della Beat Generation, adepti della New Age, persone alla ricerca di sé o entronauti, come li ha definiti qualcuno, suggerendo l'analogia fra subconscio e web, il che mi spinge a dire, per averne provati gli effetti, che se il subconscio è il nostro personale web l'ayahuasca è il suo Google: la psicanalisi, a confronto, è un modem a 32k. Il nome dello sciamano è Diego Palma, nato quarant'anni fa a Lima, iniziato all'ayahuasca nella foresta, convertito al Buddismo, oggi residente nella valle sacra degli Incas, vicino a Cuzco. Palma vive in un'ampia proprietà circondata da un impeccabile prato all'inglese. Si chiama Ayahuasca-wasi, casa dell'ayahuasca, è una specie di resort olistico dove gli ospiti paganti di questa settimana sono una trentina. Tutti statunitensi, appaiono intimiditi dall'atmosfera da ashram, trattano Palma come un maestro o santone (il cranio rasato e la tunica arancio gli danno in effetti un'aria da Lama), chiedono consigli come a un guru. "La gente", dice lui, "viene qui aspettandosi d'incontrare una sorta di Don Juan, uno che ti legge nel pensiero, uno stregone. Mi chiamano sciamano, ma cos'è uno sciamano? Per quanto ne so è qualcuno che ti guida a un'esperienza che lui ha fatto prima di te. Ma, una volta dentro, sei tu che devi vedertela con te stesso: prendere l'ayahuasca equivale a concentrare due anni di psicoterapia in una notte. In quest'ottica, anche uno psicanalista è uno sciamano".
La prima "cerimonia" è prevista per le nove di sera nel "tempio": la sacralità di entrambi i termini serve forse a compensare l'immagine di Milagros, sua moglie, che intorno alle otto comincia a battere cassa: 60 dollari a testa, in anticipo. I partecipanti, tesi, siedono in circolo, Palma, in ginocchio davanti a un altarino buddista, introduce con un breve discorso: "Ci vogliono coraggio e un po' di follia per affrontare quest'esperienza che vi cambierà la vita. Gli effetti dell'ayahuasca non finiscono quando terminano: talvolta durano tutta la vita". Quindi chiede a ciascuno dei presenti di raccontare a voce alta le ragioni per cui è qui e le sue aspettative, come in una seduta degli alcolisti anonimi. La maggior parte dichiara il rigetto verso la vita materialistica, il ripudio della società occidentale che ci rende aridi e aggressivi, l'ambizione di cambiare il mondo a partire da se stesso, e per ironia quanto sopra viene espresso proprio nella lingua franca simbolo di quell'Occidente malvagio da cui tutti vogliono fuggire. Un uomo del New Jersey dice di avere paura, perché durante la prima esperienza "mi sono trasformato in un mostro malvagio e pericoloso". S., ex art director a New York, oggi di professione "guaritrice spirituale", vuole sperimentare nuove tecniche di cura. K., una fotomodella di San Francisco, riservatissima, sul volto una costante espressione di tristezza, dichiara quasi in lacrime: "Ho così tanto dolore dentro di me, devo trovare un altro modo di vivere". Una coppia di medici non più giovani, originari dell'Azerbaigian, residenti a Philadelphia, confessa: "Nostro figlio ha una malattia mentale, nessuno riesce a trovare una cura. Sembra che l'ayahuasca sia stata usata con successo in casi simili, così siamo qui per provarla su di noi e decidere se portare anche lui". Un regista di Hollywood dice semplicemente: "Voglio incontrare Dio". Palma ha ascoltato impassibile, e al termine consegna a ciascuno un secchio di plastica: serve per il vomito, l'effetto collaterale più comune dell'ayahuasca (lui lo chiama "depurazione dalle energie negative"). Quindi consiglia: "Quali che siano gli effetti che sentirete, non spaventatevi e non cercate di opporre resistenza: lasciatevi andare, non potete lottare contro la vostra mente". Poi spegne le luci, lascia accese tre candele e intona un canto alla "Madre ayahuasca" (è così che la chiamano gli Indios), il cui decotto è contenuto in due poco ieratiche bottiglie di plastica arrivate ieri dall'Amazzonia. Beviamo il frappé terroso, amaro come il fiele, dopodiché lo sciamano soffia sulle candele e ciascuno si rannicchia sul pavimento ghiacciato dalla notte andina. Un'ora più tardi sono ancora perfettamente lucido, mentre le tenebre intorno a me risuonano di sospiri, rantoli, spaventosi conati di vomito, grida raccapriccianti miste a singhiozzi, tonfi di pugni sferrati sul pavimento. Dopotutto Palma mi aveva avvertito, quando gli avevo chiesto quale fosse la scena peggiore cui avesse assistito in una cerimonia: "Hai presente l'Esorcista? Beh, c'è stato un uomo al quale mancava solo che si girasse la testa al contrario. Dovetti trascinarlo fuori e placarlo con una nenia imparata dagli Indios: una crisi come quella può essere contagiosa, sotto ayahuasca le persone sono ipersensibili e se perdi il controllo della situazione sei finito". Dopo un'altra mezz'ora sono ancora in me e comincio a chiedermi che ci sto facendo qui, penso di mandare al diavolo tutto e uscire a guardare le stelle sopra le Ande. Poi mi ricordo del consiglio di lasciarsi andare, decido di provarci ancora. E a quel punto, all'improvviso, tutto accade.Eccomi sprofondare in una specie di Giardino delle delizie di Bosch tridimensionale e interattivo, dove i personaggi sono dipinti da Bosch o da me, non ha importanza, galleggio in questo iperuranio liquido, ne sono anch'io un abitante ma al tempo stesso il creatore e, ahimé, non si tratta della parte sinistra del trittico ma della destra, quella che rappresenta gli inferi. Da destra (quale destra, visto che ho gli occhi chiusi?) partono lampi di luce rossa, e scariche elettriche mi scuotono la parte destra del corpo causando al braccio e alla gamba convulsioni inarrestabili, e tuttavia piacevoli come un massaggio shiatsu. Sento ancora la colonna sonora dei mugolii e sospiri e rantoli e grida, solo che ora è come se tutti quei suoni echeggiassero dentro di me, o come se fossi io a emetterli: improvvisamente mi sento un tutt'uno con gli altri esseri umani nella stanza, in un esaltante picco di empatia virale che ci ha trasformati in neuroni e sinapsi dello stesso cervello, computer interconnessi nella stessa rete (non è quanto afferma la fisica delle particelle subatomiche?). Capisco cosa intende Palma quando parla di ipersensibilità e rischio di contagio. Quando gli altri rantolano voglio rantolare, quando sospirano sospiro, quando qualcuno emette un ringhio catartico fremo, e poi sembriamo calmarci tutti insieme, nuotare a bracciate più lente nel Giardino delle delizie, ciascuno dentro la sua versione. Infine trovo una porta: la varco, oltre ci sono le sale di un museo. Le teche sono ben illuminate e sui ripiani è disposto tutto ciò che, negli anni, ho rimosso, dimenticato ad arte, raccontato a me stesso di non sapere, in perfetto ordine e illustrato da didascalie fin troppo esaurienti. È la "proiezione esplosa", come la chiamerebbe un ingegnere, del mio subconscio: un diagramma che la maggior parte di noi non ha la fortuna o la sventura di poter vedere, e a lato un'avvertenza: fanne l'uso che credi.Lo sciamano riaccende le candele prima dell'alba. Oltre le fiammelle vedo la fotomodella che singhiozza fra le braccia del suo vicino. L'impiegato del New Jersey, in ginocchio sul pavimento, disegna spirali su un blocco con una frenesia da tarantolato. Il produttore in piena crisi catartica piange sdraiato con la faccia a terra. I medici azeri fissano il vuoto con un'espressione di serenità acquosa, che forse assomiglia alla mia. Nella stanza aleggia una sconcertante atmosfera di pace, mi viene da pensare che se al posto dei proiettili riuscissimo a sparare il principio attivo dell'ayahuasca avremmo vinto tutte le guerre, o smetteremmo per sempre di combatterne. Dopo la cerimonia non ho chiesto agli altri cosa avessero provato o come si sentissero. Posso immaginare tutto e il contrario di tutto, poiché è quanto avrei potuto dire io ed è esattamente questo che si trova nella nostra mente, dietro quelle porte di cui siamo così abili a nascondere le chiavi, e che l'ayahuasca spalanca davanti ai nostri occhi con brutalità. In una notte ho appreso su di me più di quanto avrei voluto sapere, e certamente non tutto: non si visita un museo del calibro dell'Ermitage in un giorno solo. Non mi dispiacerebbe fare un altro giro fra quelle teche, tuttavia non ne sento il bisogno immediato, perché per il momento ho abbastanza su cui lavorare: non saprei come scriverlo, so che mi ci vorrà molto tempo a leggerlo.