No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20070411

DDR


Le vite degli altri – di Florian Henckel von Donnersmarck 2007


Giudizio sintetico: da vedere

Berlino Est, 1984. Gerd Wiesler è un capitano della Stasi, ed è molto bravo nel suo lavoro. Interrogatori, sorveglianza delle persone, pedinamenti. Ma è un uomo solo, che esegue degli ordini senza pensarci troppo. Georg Dreyman è un brillante regista di teatro, e la sua compagna una brava e bella attrice, Christa Maria Sieland; è curiosa la motivazione per la quale vengono messi sotto sorveglianza strettissima, con microspie sparse per tutta la loro casa. Nonostante Wiesler sospetti di loro, il suo diretto superiore non gli dà credito, finché al contrario, il Ministro della Cultura gli ordina di sorvegliare il regista. Si scopre immediatamente il perché: ragioni ben più basse della politica. E pensare che, in un paese dove sembra che proprio il socialismo guidi tutto, e invece è la corruzione e l’interesse personale che comandano, Dreyman è forse l’ultimo socialista rimasto.


Se lo consideriamo un debutto, quale non è, ma gli altri film dello stesso regista non hanno, credo, mai varcato i confini della Germania, questo film vincitore dell'Oscar per il miglior film straniero, è decisamente un piccolo capolavoro. Soprattutto se pensiamo al fatto che lo stesso regista è autore anche della sceneggiatura. Già partendo appunto dalla sceneggiatura, potremmo cominciare a cantarne le lodi. Una storia che scorre lineare senza esserlo, e ve ne renderete conto solamente dopo essere usciti dal cinema. Accadono un sacco di cose, nelle oltre due ore di pellicola, e non ci sembra per niente: tutto accade come se fosse già scritto, e lascia quasi impassibili. Segno evidente che la mano sapiente del direttore ha saputo calare completamente lo spettatore dentro gli anni bui oltre la cortina di ferro. La fotografia è perfetta per contrassegnare quel periodo. I giochi di potere, i sotterfugi, le prese di coscienza, le fatiche del vivere in quelle condizioni, completamente soggiogati.

Un film fatto da una quantità impressionante di scene madri, che lo spettatore mette a fuoco solo a seguire, uno di quei lavori che crescono dentro la testa di chi lo ha visto, solo in seguito. Fate caso ai più piccoli particolari, ai personaggi che paiono marginali. Potrei mettermi qui a scrivere un sacco di indizi, ma vi rovinerei la festa. Mi limito ad invitarvi caldamente ad andare a vedere questo film.


Chi parla di una nuova scuola tedesca ha ragione. Stanno arrivando, a singhiozzo, dei film di tutto rispetto dai nostri vicini; proprio loro, intesi come Germania unificata, finalmente una sola nazione. Un popolo che, a differenza nostra, è ripartito da zero, ha fatto i conti col proprio passato doloroso. A differenza nostra, i tedeschi hanno perso la Seconda Guerra Mondiale (è un paradosso, per chi non riesce a coglierlo), e lo hanno accettato. Per assurdo, hanno una grandissima ricchezza: possono, in questo tirare le fila, facendo i conti col passato appunto, disporre di due diversi binari del passato: il nazismo e il socialismo, Ovest ed Est. Ecco che ne escono film freddi come loro, ma intensamente dolorosi anche se apparentemente asettici. Tutto il dolore che c'è nell'espressione di Ulrich Muhe, splendido interprete del capitano Wiesler: guardatelo quando legge Brecht steso sul divano, lo stesso dove pregherà una prostituta di rimanere, perso nella sua immensa solitudine, la stessa che lo fa vivere, come ci dice fin dall'inzio il titolo, le vite degli altri.


Un film psicologico, molto più che politico o storico, nonostante ci illustri chiaramente come poteva lo stato, tramite la famosissima Stasi, distruggere quelle vite. Tre protagonisti splendidi. Oltre al già citato Muhe, Sebastian Koch, che abbiamo visto di recente in Black Book di Verhoeven, ma che era proprio insieme a Muhe nell'indimenticabile Amen di Costa-Gavras, tanto per dirne uno, e Martina Gedeck, che nell'altrettanto splendido Le particelle elementari di qualche tempo fa, surclassava la pur bravissima Franka Potente.

Un regista favoloso, per scrittura, precisione, meticolosità, tempismo, che firma un film importante, e che promette belle cose per il futuro.


Per palati fini e attenti.

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