20061231
finalone?
Non so ancora se questo sarà l'ultimo post dell'anno 2006. Quest'anno ho scelto deliberatamente di declinare qualsiasi invito, per essere libero anche di non fare assolutamente niente. Devo dire che non me ne sto pentendo. Tra qualche minuto mangerò qualcosa, poco, come si usava dire tempo fa un pasto frugale, poi se mi va uscirò, passerò a salutare i miei amici che stanno cenando nelle varie case, con i relativi figli e amici. Va bene così. Qualche telefonata, non cagherò gli sms che tanto il 50% non arriva, mio nipote son passato oggi da casa sua a vederlo, dormiva come un angioletto, tutto ok.
Direi che alla fine, anche il 2006 è andato bene. Con un po' di fatica ci siamo levati di 'ulo Berlusconi, però ci siamo ritrovati un Ratzinger sempre più invadente (ma noi speriamo che Zapatero ci colonizzi); la situazione mondiale mi pare peggiorata, ma l'ottimismo e la speranza sono sempre gli ultimi a morire.
Personalmente, è stato un anno ricco. Sono entrato finalmente nelle grazie di mio nipote, ho viaggiato parecchio all'estero, e come sempre ho letto libri, visto film, concerti, ascoltato tanta musica, buona e meno buona. Ho riscoperto l'amore, quello vero, duro, quello che fa male, che ti fa passare la fame (beh questa è una bugia) e che ti fa riflettere sul futuro. Ho ritrovato la mia vena poetica, grazie all'amore. Ho pagato le tasse, ho votato, ho preso "in mano" il mio nuovo lavoro, ho conservato tutte le mie vecchie amicizie e ho consolidato quelle relativamente nuove. Ho riso, ho pianto, ho goduto. Ho anche sofferto, ma poco e di cose non gravi, se si escludono le pene sentimentali. Ho conosciuto realtà diverse, ho parlato in 4 lingue diverse, mi sono confrontato con persone diverse ed ho concluso che esiste sempre una speranza, perchè le persone belle, dentro e fuori, ci sono e sono sparse dappertutto sulla terra.
Ho grandi progetti per il futuro. Semplici, e proprio per questo grandi. Spero che niente e nessuno mi metta fretta.
E che buddy jesus (foto) vi protegga tutti. ¡Salud, dinero y amor!
PS ultime classifiche
pornostar dell'anno: Tory Lane
antipatico dell'anno: Papa Ratzinger
simpatia dell'anno: mio nipote
canzone dell'anno: U & Ur Hand, Pink
elemento chimico dell'anno: polonio
compagnia aerea dell'anno: Ryanair
rettifica
In riguardo al post trasferta mancata, un anonimo mi fa notare che il segnale di Granducato Tv arriva da Firenze al mare (Tirreno, che poi fino a Piombino, secondo le carte nautiche sarebbe Ligure), e da La Spezia all'isola d'Elba.
Rettifico e correggo volentieri la mia imprecisione, anche se il post anonimo non era il massimo della cortesia. Attendo riscontri da Firenze, La Spezia e Isola d'Elba.
Nel frattempo, inserisco il link del sito di Granducato Tv, il logo, e ringrazio ancora una volta Granducato Tv per esistere.
Confido nel perdono. Anche anonimo.
http://www.granducatotv.it/
ultima poesia del 2006?
Ti ho rivisto
ed eri bellissima
Me ne sono fatto una ragione
non essere preoccupata per me
la mia immensa autostima
quella che dimentico quando sono davanti a te
mi suggerisce, forse equivocando
che un poco lo sei
che uno spazio, piccolo
nel mezzo alla tua mente affollata di cose
è dedicato a me
Come dicono in molti
sono qui, e sono ancora in piedi
Se lo sono
è anche grazie a te
nonostante tu sia di un altro
sei ancora una di quelle cose
per cui vale la pena alzarsi la mattina
Mi passerà
penserò a te in maniere differenti
poco a poco
di certo non ti dimenticherò
Per il momento
mi basta il ricordo del tuo sorriso asimmetrico
riflesso dentro il mio, inebetito
Che cosa strana
l'amore
Soundtrack: Too Late For Love, Def Leppard, da "Pyromania"
quando eravamo re
Tutti gli uomini del re – di Steven Zaillian 2006
giudizio sintetico: si può perdere
Louisiana anni ’30, Willie Stark è un idealista piuttosto ignorante ma sveglio, e si arrangia come può per sopravvivere insieme all’amata moglie, facendo mille lavori. Da tesoriere, denuncia un’assegnazione sospetta di un appalto per la costruzione di una scuola nel suo piccolo centro. La scuola dopo qualche tempo, crolla, e muoiono tre bambini: Stark diventa un piccolo eroe. Il giornalista Jack Burden, cresciuto agiatamente, colto e di buone maniere, viene inviato controvoglia a dare un’occhiata. Intuisce le potenzialità di Stark, e, curiosamente, lo sprona a fare politica nello stesso momento in cui un’altra persona, Tiny, che poi si rivelerà uno scagnozzo del governatore in carica, fa la stessa cosa. La mossa del governatore tende a rubare voti al suo antagonista, e così sembra, ma i suggerimenti di Burden, insieme al grande potenzialità e all’indiscutibile carisma di Stark, fanno il miracolo: Stark diventa governatore della Lousiana. Più populista che democratico, Stark costruisce strade, scuole ed ospedali, ma allo stesso tempo mesta nel torbido e si crea molti nemici. Assume Tiny per ricordare sempre di non fidarsi di nessuno, e anche Burden, all’inizio riluttante, poi completamente conquistato da Stark; il corto circuito però, arriva quando Stark si mette contro al giudice Irwin, che ha fatto da padre a Jack, e allo stesso tempo cerca di ingraziarsi i fratelli Anne ed Adam Stanton, per differenti motivi, rispettivamente grande amore adolescenziale e miglior amico di Burden.
Tratto dall’omonimo libro di Robert Penn Warren, che aveva già ispirato un film anni fa, e che a sua volta era pensato sulla storia vera di Huey Long, il film di Zaillian viaggia a scatti, ma risulta pesante, lento, retorico e davvero duro da sopportare. Bella la fotografia, sporca e adatta a rendere l’idea della Louisiana anni ’30, insopportabile la musica tronfia, epica e ridondante, che appesantisce ulteriormente un plot già di per sé complesso e pieno di molti personaggi, troppi per essere trattati degnamente ed approfonditamente. Regia passabile, qualche buona intuizione (l’iniziale scena/montaggio dei comizi) e qualche supponenza di troppo (la scena finale, bella ma specchio di tutto il film, evidentemente omaggiante al Brian De Palma de Gli Intoccabili), la pellicola tenta, per l’ennesima volta, di psicanalizzare la politica e il rapporto degli uomini con il potere, ma presume troppo inserendo dentro il tutto anche un complicato rapporto padri/figli (Stark stesso, ma soprattutto Burden), un irrisolto rapporto di coppia (Jack/Anne) e uno amicale (Jack/Adam) incrinato dagli anni e dai cambiamenti. Anche l’altissimo numero di ottimi attori (Penn, Law, Hopkins, Ruffalo, Gandolfini, Winslet ed altri) costringe il regista a dare spazio a tutti, a scapito della linearità della storia e della snellezza del prodotto.
Penn spesso sopra le righe (non ricorderemo questa prova tra le sue migliori), Law interessante, languido e freddo, la Winslet con dei capelli improponibili. Il doppiaggio inconcepibilmente “meridionale” per Penn e Gandolfini finisce di rovinare un film davvero troppo pesante, che dimenticheremo presto.
20061230
black book
Nero Esquilino – di Marcello M. Giordano
Roma, quartiere Esquilino, of course. Quattro amici fraterni, cresciuti insieme nel quartiere, assistono alla colonizzazione al rovescio del loro barrio da parte degli immigrati di ogni etnia e colore, all’imbarbarimento e alla de-italianizzazione del tutto. Ognuno di loro ha intrapreso strade diverse, vive la cosa a suo modo, ma non rinunciano a viverci, in quel luogo che è pieno di ricordi.
Uno di loro fa il poliziotto, e una sera, durante una delle loro “riunioni” attorno al tavolo di una trattoria, lancia una proposta sconvolgente, sull’onda dell’ennesimo fatto di sangue avvenuto nel quartiere. Ci vorrà un po’ per convincerli tutti (e in verità mai tutti saranno convinti fino in fondo), e trascinarli in un limbo dove non erano mai stati. Non solo, presa questa decisione, le loro vite cambieranno per sempre, poco a poco, ma senza possibilità di tornare indietro.
Di Giordano colpisce la prosa classica, datata, un po’ fuori moda. Non il massimo, in effetti, per chi ama la letteratura contemporanea. C’è un ma. Ed è il fatto che il libro scorra decisamente bene, e che la storia avvinca. Due, probabilmente, i fattori che si rivelano vincenti. Il primo, l’eccessiva descrizione dell’ambiente circostante e delle piccole manie dei protagonisti; è prolissa, quasi maniacale, ma efficace. Il secondo, l’attualità urgente della storia. L’immigrazione, l’insofferenza dell’italiano medio ma anche dell’immigrato onesto, la trasformazione dei luoghi della cultura popolare, i cambiamenti dei rioni storici, la paura mai conosciuta, la perdita della tranquillità.
In definitiva, un libro che si legge bene, una storia molto cinematografica.
ancora morte
Mentre Saddam è stato impiccato, pare per volere degli iracheni, il giornale di oggi mi comunica una morte che, sinceramente, mi addolora di più. Ieri a Roma, all'età di 89 anni, è morto Aroldo Tieri. Solo i più giovani di voi possono non ricordarlo, anzi, probabilmente anche i più giovani lo avranno visto, magari in qualche film di Totò.
Attore di teatro, ma anche appunto di cinema e televisione, lo ricordo con ammirazione, e mi rendo conto che, non avendolo mai visto a teatro, mi mancherà questa esperienza e non potrò più correre ai ripari. Tutto questo mi fa pensare che devo andare di più a teatro. L'ho fatto poco fino ad oggi, ma in fondo mi piace, sia per quello che ti dà, sia perchè di solito il popolino medio si ricambia per andarci e io invece ci vado vestito come tutti i giorni, cioè con quel mio stile a metà tra lo straccione e il casual. Come direbbe qualcuno, elegantemente allezzito.
20061229
cuori in inverno
Cuori - di Alain Resnais 2006
giudizio sintetico: si può perdere
Parigi, Bercy, inverno nevoso. Thierry è un agente immobiliare attempato, solo, che vive con la sorella Gaelle, parecchio più giovane di lui; sta cercando di trovare una casa a due clienti difficili, Nicole e Dan, ma lui è stato cacciato dall'esercito e non ne vuole sapere di lavorare, e la coppia entra in crisi, crisi che si specchia nelle richieste irrealizzabili dall'agente. Thierry lavora insieme a Charlotte, donna matura, bella ma un po' troppo bigotta. Forse. Fino a quando Thierry non vede, guardando una videocassetta prestatagli proprio da Charlotte, qualcosa che trasforma il suo interesse per lei in ossessione. Nel frattempo, Dan in crisi passa un sacco di tempo in un bar dove Lionel, barista cordialissimo e molto formale, lo serve e lo ascolta, e Charlotte, vogliosa di opere pie e misericordiose, dopo il lavoro accudisce il padre di Lionel, vecchio, malato, costretto a letto e molto, molto irascibile; quando Dan e Nicole si separano temporaneamente, lo stesso Lionel gli suggerisce di mettere un annuncio su un giornale per incontrare persone nuove; così facendo, Dan conosce Gaelle, che è arrabbiata con suo fratello Thierry, avendolo trovato da solo in casa che guardava materiale scabroso, mentre Charlotte trova il metodo per far calmare il padre di Lionel.....
Tratto da una piéce teatrale di Alan Ayckbourn, Resnais torna dopo diversi anni dal suo ultimo film Parole, parole, parole... e stavolta mette in scena l'insicurezza sentimentale dei nostri giorni, i nostri piccoli grandi problemi da medio-borghesi. Con tutto il rispetto, e a dispetto dell'intreccio forse più interessante da leggere che da vedere, il film in questione risulta carino, ma poco profondo e abbastanza noioso. L'ambientazione claustrofobica crea una cappa ovattata, ingabbiando gli attori; i momenti divertenti (non moltissimi, a dire la verità), ti strappano al massimo un sorriso; il tema conduttore della neve, dopo un po' annoia, e alla fine risulta davvero ridicolo, sempre sulle spalle dei cappotti dei protagonisti. E forse, in un film come questo, tutto parlato e tutto giocato sulle psicologie e sui rapporti interpersonali dei sei personaggi principali, manca davvero una caratterizzazione che scende realmente in profondità, che ci spiega, o che ci faccia immaginare almeno, ci dia qualche indizio sul quale lavorare di fantasia, perchè Thierry, Gaelle, Charlotte, Lionel, Nicole e Dan, sono così infelici. Se è solo colpa dei tempi, beh, il film risulta decisamente superfluo.
Direzione sapiente ma convenzionale, recitazioni buone ma troppo controllate (perfino quella della Azéma, alle prese con un personaggio potenzialmente straordinario, risulta in fondo poco coinvolgente), perfino la scenografia diventa fredda e asettica. E se la cosa era voluta per assomigliare al teatro, allora sarebbe stato meglio qualcosa di drastico alla Dogville, almeno ci sarebbe stato un minimo di interesse.
Decisamente un film che non aggiunge niente. A noi, a quel che è già stato detto.
sembra quasi
Sembra quasi fatto apposta. Lafolle dice "andate meno in macchina", e io chiudo l'anno con un acquisto importante, già messo in preventivo da un po'. Mando in pensione la mia vecchia Punto 60 del 1999 e, pochi minuti fa, ho acquistato un Doblò Malibù della Fiat. Usato, anno 2004, 1.9 jtd. Una macchina da famiglia per un single. Le mie solite contraddizioni. Però sono contento lo stesso. Godete insieme a me.
sei quasi sette
di lasciare tutto a jumbolo.
il sei sta finendo.
ho avuto nuovo amore, nuovi batteristi.
nuove malattie e mal di denti.
a volte poco coraggio.
a volte troppo.
non mi sono mai confessato da un prete.
il mio peso è diminuito ma di poco.
ho scritto tante parole e troppo poca musica.
troppo poca.
più musica in futuro.
più musica per tutti.
per quasi tutti.
qualcuno non ci dovrebbe proprio pensare alla musica.
e i vecchi amici che dovrei vedere in queste vacanze ma che non vedrò.
al mio letto sempre lì.
alla bici che non ho più.
ai capelli.
al mio naso grande.
e poi ci sono i vicini di casa, come marionette camminano e si spostano un pò più in la.
ci sono troppe macchine per la strada.
andate a piedi.
andate in bici.
andate in pace.
più pace.
ciao
buon 2007!
20061227
verona
contemporanemate, dei veronesi all'interno della società dall'inizio, il solo arvedi è rimasto, gli altri invece: il presidente Sergio Puglisi Maraja e i consiglieri di amministrazione Roberto Filippini e Paolo Sirena se ne sono andati. verona ai non veronesi quindi.
i tifosi non sono molto contenti.
c'è del marcio a verona!
natale di dio
gli amici del bangladesh sono mussulmani. non conoscono molte persone in italia e la mia famiglia è da loro considerata la loro famiglia.
la famiglia è composta da i genitori più due splendide bambine una di 6 anni , una di 3. i genitori parlano italiano male, la bambina di 6 abbastanza bene, non conosce però molti vocaboli, la bimba di 3 invece dice poche parole ma correttamente.
mussulamani che festeggiano il natale perchè come ha detto la madre: io non ho nessuno con cui festeggiare il ramadam, invece festeggio il natale con voi e la vostra festa diventa anche la mia festa. perchè dio è uno solo ed è qui (e indica il cuore).
invece ho tenuto da parte la pagina del corriere che informa tutta la cittadinanza del fatto che il papa ha cambianto il rito della comunione. ricordate il verso: questo è il sangue di cristo versato per tutti in remissione dei etc...?, ecco..quel per tutti , non sarà più per tutti, ma diventerà per molti.
chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori.
giusto.
mi aspetto tra un 20ina d'anno la prossima guerra santa.
20061226
dita
Per Santo Stefano, vi regalo una traduzione di un testo che fa riflettere. Su certe inibizioni, sulle mancanze dell'uomo verso la donna, su quanto si possa dire con una canzone.
Pink - Fingers (dita)
Sono sola, adesso
fisso il soffitto
sono piuttosto annoiata ora
non riesco a dormire
e tu ed io non possiamo
rendere completa la mia vita
quando vieni, scivoli in un sogno
quando è notte fonda
e sei nel pieno del sonno
faccio camminare le mie dita
premo "record" e divento fenica
e nessun altro guarda
faccio camminare le mie dita
sto morendo di fame per avere
un pò di attenzione
sto implorando, supplicando, sanguinando
per avere un suggerimento
mi mordo la lingua perchè voglio urlare
sono lì e tu ti giri e mi guardi
quando è notte fonda
e sei nel pieno del sonno
faccio camminare le mie dita
premo "record" e divento fenica
e nessun altro guarda
faccio camminare le mie dita
torna indietro e vedrai
perchè al mattino sono felice
proprio lì allo schermo del televisore
arrivo, arrivo
sono irrequieta, hai bisogno di caffeina
ma sono sprecata... se tu solo potessi capire
perchè io ho bisogno di più di quel che mi dai
quando è notte fonda
e sei nel pieno del sonno
faccio camminare le mie dita
premo "record" e divento fenica
e nessun altro guarda
faccio camminare le mie dita
novità
Prima di andare a letto, voglio raccontarvi queste due novità.
La prima riguarda me. Ho deciso di riprendere a suonare il mio strumento, la batteria. Mi sono rivolto a due amici, che hanno una band e sono momentaneamente senza batterista. Non volendo prendere un impegno a lunga scadenza, conoscendo il poco tempo libero che ho, mi è sembrata la soluzione migliore. Gli ho proposto la cosa, diciamo che mi faranno un provino. Le canzoni sulle quali ci siamo accordati che mi preparassi sono Are You Gonna Go My Way di Lenny Kravitz, Are You Gonna Be My Girl dei The Jet e Detroit Rock City dei Kiss. Non sono sicuro di come saprò cavarmela. Ormai sono anni che non suono seriamente. Mi torneranno le galle (vesciche) alle mani. Suderò. Ma sono certo che mi divertirò. Nel frattempo, sto ascoltando quelle tre canzoni a ripetizione, ma senza studiare ossessivamente le parti di batteria. Sono un istintivo, e non credo sia il caso di cambiare adesso, a quasi 41 anni, il mio metodo e la mia maniera di suonare. Vedremo.
La seconda riguarda mio nipote. Intanto vi ragguaglio: Alessio ha in questo momento 2 anni e 4 mesi. Ma la novità è questa: ha imparato a dire una frase fondamentale nella vita: vai in culo. E va in giro dicendo che gliel'ho insegnata io.
Come mi è già capitato di dire a questo riguardo, queste si che sono soddisfazioni.
my worst nightmares
Non poteva mancare! La classifica dei peggiori dischi del 2006! Inutile aggiungere brevi commenti: dischi inascoltabili.
1 The Eraser - Thom Yorke
2 Beck - The Information
3 Afterhours - Ballad For Little Hyenas
4 5:55 - Charlotte Gainsbourg
5 Stadium Arcadium - Red Hot Chili Peppers
6 Eyes Open - Snow Patrol
7 Both Sides Of The Gun - Ben Harper
8 B'Day - Beyoncé Knowles
9 Amputechture - The Mars Volta
10 Revelations - Audioslave
20061225
top ten
La più classica. La più impegnativa. La più significativa. I dieci migliori dischi del 2006. Con brevi commenti.
1 Ovunque proteggi - Vinicio Capossela
E chi l'avrebbe detto? Vinicio scrive il suo capolavoro. E pensare che credevo fosse al capolinea.
Un disco pieno di tutto. Ricchi premi e cotillons. Emozioni e divertimenti. Marcette, techno, rock, jazz, balcanica, classica, Waits, Conte, amori, autostrade, puttane e bottiglie di vino. Il disco.
2 Orphans: Brawlers, Bawlers and Bastards - Tom Waits
Un altro del quale pensavamo di aver sentito tutto. E, in un certo senso, è vero. Ma è come una malattia: basta mettere su il primo disco, ascoltare strofa e ritornello di Lie To Me, e il gioco è fatto. Non ci stancheremo mai di Tom. Per quest'anno però, l'allievo supera il maestro. Monumentale.
3 Real Life - Joan As Police Woman
Un'assoluta sopresa, una rosa in mezzo al cemento. Canzoni delicate senza essere pallose, country o scontatissime. Costruzioni importanti, arrampicate vocali, personalità e velluto. Rivelazione.
4 Reale - Casino Royale
Li avevamo lasciati, a malincuore, 10 anni fa, e li abbiamo rimpianti in tutto questo decennio, dicendoci e dicendo al mondo che, forse, erano troppo avanti, e non ce l'avevano fatta per quello.
Invece, dopo 10 anni sono tornati, e nonostante manchi una pedina che pareva fondamentale, ascolti questo disco e ti accorgi che sono ancora un passo avanti a tutti. Il pop del futuro.
5 10.000 Days - Tool
Superare "Lateralus" era impresa improba, ma ce l'hanno fatta. Non capisco chi non li considera metal, ma per me va bene lo stesso. Tecnicamente eccelsi, riescono a rendere complicato anche un pezzo da 5 minuti scarsi ma non a renderlo palloso. Evocativi senza essere macchiette. Un disco granitico.
6 Blood Mountain - Mastodon
Il furore dei primi Metallica, il gusto strutturale dei pezzi degli Iron Maiden, la potenza dell'hardcore-punk. Forse gli unici eredi dell'heavy metal classico degni di nota, non si vergognano di continuare su questa strada, e fanno bene. Massicci.
7 No Heroes - Converge
L'urlo di dolore dell'umanità messo in musica. Adrenalina e rabbia, furore quasi sanguinolento.
L'ultima frontiera del crossover punk-metal. Travolgenti come uno schiacciasassi.
8 Chi more pe'mme - Co'Sang
Ricordano i migliori Cypress Hill, ma rappano in napoletano stretto, e non è facile capirli. Beat furiosi, a metà tra hip hop duro e melodia napoletana. Un cocktail micidiale, tutto da ascoltare e da scoprire. Rivelazione italiana.
9 Whatever People Say I Am, That's What I'm Not - Arctic Monkeys
Freschezza inglese, giovanissimi, e capaci di scrivere pezzi immediati e indimenticabili. Energici e sbarazzini, il disco che metti in casa quando senti arrivare la noia. Folgorante.
10 Move Along - The All American Rejects
D'accordo, non sono e non saranno mai importanti, e magari spariranno nel giro di due anni. Ma ascolti questo disco e pensi che i Def Leppard siano rinati ancora una volta. Il classico disco che ascolti e te ne vergogni. A meno che non hai superato quella fase. Spensierati.
live act
I migliori concerti del 2006
1 Pearl Jam - Arena di Verona, 16 settembre 2006
2 Vinicio Capossela - Saschall Firenze, 8 dicembre 2006
3 Franco Battiato/Joan As Police Woman - Piazza Bovio Piombino(LI), 5 agosto 2006
4 Mudhoney - Circolo degli Artisti Roma, 20 maggio 2006
5 Arctic Monkeys - Vox Club Nonantola(MO), 12 maggio 2006
Il peggior concerto del 2006
Ben Harper & the Innocent Criminals, Piazza Duomo Pistoia, 16 luglio 2006
Photo Filo by Suevele
top ten cinematografica
Quest'anno li metto in ordine di preferenza, e sono 10. Per me, i migliori film visti al cinema nel 2006.
1 Le mele di Adamo - di Anders Thomas Jensen
2 L'amico di famiglia - di Paolo Sorrentino
3 Le particelle elementari - di Oskar Roehler
4 Lady in the Water - di M.Night Shyamalan
5 The Producers; Una gaia commedia neonazista - di Susan Stroman
6 Thank you for smoking - di Jason Reitman
7 Little Miss Sunshine - di Jonathan Dayton e Valerie Faris
8 Syriana - di Stephen Gaghan
9 Bubble - di Steven Soderbergh
10 Il vento che accarezza l'erba - di Ken Loach
20061224
e poi vienimi a dire....
Moltheni + Hogwash, 23/12/2006, Firenze, Auditorium Flog
E' anche un'occasione per rivedere qualche amico prima di Natale. Il freddo si è leggermente addolcito, l'ultima giornata del campionato di serie A prima della lunga sosta si è consumata e poteva andare peggio, quindi si può fare lo sforzo di arrivare fino a Firenze. E poi c'è Moltheni, quasi un amico. L'ultimo disco, Toilette Memoria, somiglia un po' troppo al precedente Splendore Terrore, ma non è male. E magari, nello spazio piuttosto ampio del Flog, rispetto a quelli angusti nei quali ho avuto occasione di vederlo in tutti questi anni, riuscirò a vederlo in una versione un po' più "elettrica".
Gli orari del Flog sono quasi scandalosi (ma questo ormai si sa, e la prendiamo con filosofia), se non fosse che oggi è sabato, per di più prefestivo. Gli Hogwash suonano per una mezz'ora, pericolosamente in bilico tra indie-pop, emo e pop vero e proprio (c'è chi li accomuna, almeno per una canzone, proprio ai Lunapop). Secondo me assomigliano agli Yuppie Flu, senza averne la personalità.
Sono quasi le 23,30 quando Pietro (Wurlitzer), Gianluca (batteria) e Giacomo (basso), salgono sul palco, seguiti a ruota da Umberto Giardini (Moltheni, chitarra e voce). Introduce lo strumentale Requiem per la Repubblica Italiana, si parte con Io, l'opener del nuovo "Toilette Memoria". Non c'è il pienone, ma sicuramente più di duecento persone, molte delle quali affezionate e, in un certo qual modo, devote a Moltheni. Umberto lo sente da subito, e oltre alla sua tradizionale simpatia, estrinsecata da qualche battuta tra un pezzo e l'altro, si vede che ci mette del suo sul palco, e che la sua verve si trasmette alla band, che ci dà dentro da subito. La dimensione a quattro, anche se con la chitarra classica elettrificata, si presta a rendere versioni potenti dei pezzi del repertorio Moltheni. Ecco perchè, quindi, oltre ai pezzi del disco nuovo, che seppur ricordano quelli di "Splendore Terrore" risultano più adatti perchè già su disco suonati con basso e batteria, la fanno da padrone quelli di "Fiducia nel nulla migliore". C'è spazio perfino per Natura in replay, la title-track del primissimo disco, oltre ad estratti da "Splendore Terrore" quali In porpora e La ragazza dai denti strani (Humana). Bellissima, come sempre, anche Fiori di carne (sulla frase politico in ombra, operaio in luce, Gianluca per un attimo suona solo con la destra e alza la sinistra col pugno chiuso...chissà se gli faranno 10mila euro di multa come a Zampagna e a Lucarelli qualche anno fa).
La coesione della band è ottima, e la voce di Umberto, libera di alzare il tiro, vola alta e sicura. I pezzi, nuovi e vecchi, odorano allo stesso tempo di indie-rock e di tradizione italiana cantautoriale, e danno il senso profondo di questa carriera in chiaroscuro, ma compresa da una nicchia fedele.
Delicatissime Bufalo e L'amore d'alloro, Minerva è quasi un beat jazz-rock, e il Wurlitzer le dà una dignità tutta sua, Nella mia bocca e L'alba, la notte e l'inferno sono potenti e vibranti. L'età migliore è un pezzo micidiale, che potrebbe avere un clamoroso airplay radiofonico, ma rimarrà confinata a causa del suo testo troppo poetico.
C'è tempo anche per un accenno di Simbiosi degli Afterhours, quando si rompe la testata dell'ampli del basso, e viene sostituita da quella del bassista degli Hogwash. Gli affezionati sanno che il pezzo è quasi immancabile nei concerti di Moltheni, ma Umberto ci scherza sopra e dice "non lo diciamo a Manuel".
Per quasi un'ora e mezzo, si va avanti tra sudore e allegria sul palco, ringraziamenti per tutti, emozione tangibile di Umberto, che ci lascia con un dittico finale indimenticabile: Il bowling e il sesso e la meravigliosamente soffice, ma suonata con vigore Eternamente, nell'illusione di te; quando Umberto scandisce nel ritornello "e quando dico tanto credi è molto", ne sono sicuro, ogni persona presente corre con la mente alle sue cose più care.
Del resto, è Natale per tutti.
la sicurezza della cattiveria
L'amico di famiglia - di Paolo Sorrentino 2006
giudizio sintetico: da vedere assolutamente
Geremia ha 70 anni, è bruttissimo, sporco, deforme, viscido. Vive con la madre, paralizzata a letto (ma forse non paralitica), in un appartamento squallido, mangia semolino a pranzo e a cena, fuori pasto si ingozza di gianduiotti dei quali è geloso. Ha una piccola sartoria, che però gli serve da copertura: la sua vera attività è lo strozzinaggio. Come si direbbe a Roma, fa il cravattaro. Apparentemente gentilissimo, è spietato e senza scrupoli, sbava dietro alle belle ragazze e non perde occasione per approfittare delle sue eventuali "clienti" se si rivelano insolventi.
A lui si rivolgono tutti, insospettabilmente, per qualsiasi cosa. Al punto che non si sa bene chi, della varia umanità che gli gira attorno, sia il peggiore. Quando conosce Rosalba, una giovane stupenda e senza peli sulla lingua, per il matrimonio della quale i genitori si rivolgono a lui, inizia a sognare qualcosa di diverso dal solito.
Sono sempre restio ad usare la parola capolavoro; di solito è la storia che, poi, ti autorizza. Onestamente però, subito dopo la proiezione devo ammettere che la suddetta parola ha iniziato a farsi strada nei miei pensieri. A tutt'oggi non sono ancora sicuro se si possa usare per definire questo film strano, fuori dagli schemi come i precedenti di Sorrentino (L'uomo in più e Le conseguenze dell'amore), quello che so è che questo è senza dubbio uno dei film che più ti rimangono in mente, almeno in questo 2006. Bisogna dare atto a Sorrentino di essere un regista che osa, e che produce cose coraggiose e mai scontate; sono convinto che anche i detrattori, che come sempre, e come è giusto che sia, ci sono, dovrebbero riconoscerglielo.
Il film è destabilizzante sin dall'inizio, con una forte personalità. Si apre con una scena forte e surreale, si insinua nello spettatore con i titoli di testa che mettono in chiaro che siamo di fronte a qualcosa di inusuale. Una partita di pallavolo femminile in un campo di periferia, ripreso come un balletto, con My Lady Story di Antony & the Johnsons a fare da colonna sonora. Ruffiano ed elegante, ma anche un po' kitsch. Tutto il resto è voluto, mai lasciato al caso. L'ambientazione nell'Agro Pontino, l'insistenza sulle inquadrature simmetriche, aiutate dall'architettura fascista, ma anche dei particolari meno "squadrati" degli interni. La fotografia nitidissima, che contrasta con la sporcizia di tutti i personaggi, nessuno escluso. Le figure grottesche e macchiettistiche che scorrono sullo schermo (inutile fare un elenco, ma impossibile non citare almeno l'indimenticabile Fabrizio Bentivoglio nei panni di Gino, un impensabile cowboy veneto che sembra essere piovuto in quel contesto). La forte carica comica del tutto, che si scontra con la bassezza e la meschinità delle vicende, la tristezza del sottotesto. Si entra, ci si siede, si rimane spiazzati, poi si resta inchiodati alla poltroncina dalla bellezza che alberga nello squallore (Fellini), ci si domanda se anche noi, in fondo, siamo un po' così. Forse il finale è la parte debole del film, sappiamo che è stato rimaneggiato e che ce n'erano più di uno, ma perchè pretendere la perfezione al terzo film, in fondo. Se ne esce spossati e dubbiosi. E ci si domanda perchè non dovrebbero vederlo tutti, un film del genere. Colonna sonora, come di consueto, inappuntabile, perfetta e alternative. Cast imprevedibile e fantastico.
Non ve lo perdete, ve ne prego.
20061223
a proposito di musica
Qualche pensiero sparso e molto, molto vario, sulla musica "che ci gira intorno". Parlando di musica molto leggera, devo dire che il disco nuovo di Robbie Williams, Rudebox, ascoltato sommariamente, non mi fa una grande impressione, come invece mi fece il precedente Intensive Care. Figuratevi che, incuriosito da una cover di Io canto (di Riccardo Cocciante) eseguita da Laura Pausini, ascoltata qualche mattina fa mentre facevo colazione al bar, ho scaricato l'ultimo disco della Pausini, appunto; per sbaglio (o per un lapsus freudiano, chissà) ho scaricato la versione in castigliano Yo canto (titolo dell'album, oltre che della canzone/cover/tradotta). L'ho ascoltato tutto, ed ho confermato l'impressione che mi aveva dato quella cover: la Pausini è riuscita a rifare più brutte tutte le canzoni, alcune già brutte (Stella gemella di Ramazzotti, Non me lo so spiegare di Tiziano Ferro), altre molto belle (La mia banda suona il rock, è necessario che scriva di chi è? Il mio canto libero, e anche qui mi pare superfluo). Non mi dispiace invece, il doppio Back To Basics di Christina Aguilera, che, e qui mi ripeto, ha veramente una grandissima voce.
Ma veniamo al rock, anche se un po' "truccato". Durante le pubblicità su La7 (vi ho detto che stavo guardando Le invasioni barbariche no?), facendo zapping ho beccato su MTV, dapprima uno special sui Def Leppard (e gli All American Rejects che rifacevano un loro pezzo dal vivo), dopo un evento che si chiama Rock Honor (o qualcosa del genere; anzi, ora che ci penso probabilmente faceva parte tutto di questo evento) con una fantastica esibizione dei Kiss (Detroit Rock City e Love Gun, formazione originale meno Ace Frehley - però il chitarrista solista era truccato e vestito da space-man - e truccati e vestiti come nel tour del 1977, pressappoco lo stesso palco con le due piattaforme e la batteria almeno 10 metri sopra il palco; in prima fila fighe, di 30 anni meno dei musicisti, in delirio).
Tralascio il discorso Kiss, perchè mi dilungherei troppo, magari un giorno lo farò e vi racconterò come i Kiss hanno influenzato la mia adolescenza, la mia passione per la musica, probabilmente tutta la mia vita. Per essere breve, mi concentrerò sui Def Leppard. Potremmo parlare del batterista senza un braccio, potremmo parlare della morte di uno dei chitarristi.
Invece, mi è venuta a mente una cosa precisa, una canzone, una delle tante belle dal loro masterpiece iper venduto Hysteria: Love Bites. Ascoltatela. Non è un pezzo duro, ci sono dei suoni elettronici, è del 1987, è una specie di ballata. E' un grande pezzo. Romantico. Delicato. Una avvolgente ballata rock. Ascoltate gli armonici sul ritornello. L'arpeggio con il flanger sul finire. L'assolo che entra pian piano. Me li ricordo, forse nel 1988, dentro il palasport di Firenze, prima dell'apertura dei cancelli, con Michael Shencker Group sul palco per il soundcheck e loro insieme ai roadies in platea a giocare a calcio.
Love bites, love bleeds, it's bringin' me to your knees........
Buonanotte. Mi addormenterò con un sapore dolce in bocca. Pour Some Sugar On Me!
sospensione
Oggi mezza giornata di lavoro. Da oggi, quattro giorni di festa. Obblighi sottintesi di pranzi in famiglia. Non ho nessun problema con questo, si fa alla svelta e, se la prendi con tranquillità e ti lasci scorrere addosso qualsiasi cosa, quando hai passato il tempo delle incazzature a tutti i costi e hai ormai raggiunto un livello quasi zen di comportamento in famiglia, se sei pacificato e davvero vuoi bene, può essere anche un piacere.
Di solito vivo questi giorni, come anche i due-tre giorni a cavallo di fine anno, quasi sempre a casa (essendo uno che viaggia in periodi "alternativi") e spesso IN casa da solo, uscendo per i saluti, gli auguri, gli aperitivi, le cene si, ma le mattine e i pomeriggi, appunto, in casa da solo. Fa freddo, e non vivo mai abbastanza casa mia e i miei spazi sono solo quelli dell'abitacolo dell'auto o dell'ufficio (che però, almeno nel caso dell'ufficio, divido con altre persone). Quindi, mi piace. Ma vivo questi giorni in uno stato di sospensione, sapendo che ci sono scadenze da rispettare, non come obbligo, ma come momento di condivisione, con gli amici o con la famiglia. A volte guardo dei film, spesso quelli storici. Ben Hur, I dieci comandamenti. La televisione mi deprime, anche se, ad esempio, questa sera ho visto Le invasioni barbariche (il programma su La7 di Daria Bignardi, non il film) e mi è piaciuto. E, sembrerà strano, ma mi piacciono questi momenti di "solitudine". Non mi dispiace se qualche amico o qualche amica mi viene a trovare a casa, ma se sto solo non mi trovo affatto male.
Foto by Victor, Bahía de Ushuaia
mimì - un libro
Il caso Mia Martini - di Marcello M. Giordano
Domenica Berté, in arte Mia Martini, è stata senza dubbio una cantante che possiamo definire artista. Colpisce di lei, o forse sarebbe meglio dire colpiva, soprattutto il pathos delle interpretazioni.
Marcello M. Giordano, personaggio poliedrico, scrittore ma anche giornalista, editore, imprenditore, promoter, cittadino del mondo in quanto vissuto tra Roma, New York e Buenos Aires, spinto, come ci dice lui stesso nel prologo di questo libro molto interessante, dalla sorella maggiore di Mimì, Leda Berté, scrive questo lavoro biografico sotto forma quasi di romanzo, e aiuta decisamente ad entrare nei meccanismi che, probabilmente, creavano il valore aggiunto al modo di cantare della Martini. Dipinge alla perfezione, con un modo di scrivere classico, molto formale ed a volte enfatico, la figura della cantante, i suoi struggimenti, le sue paure, i suoi drammi, i traumi fondamentali, l'andamento altalenante di tutta la sua breve, purtroppo, vita terrena. Intervalla il tutto con alcune ampie parentesi, che collocano l'azione e la descrizione nel contesto storico; da scrittore e, perchè no, da commentatore politico (ha editato e diretto il mensile Il Diario), queste parentesi sono in pratica finestre storiche commentate in modo molto personale, e quindi più o meno condivisibili. Ciò non toglie però valore all'opera nel suo complesso, non sottrae forza al dramma di Mimì Berté.
Consigliatissimo ai fans, suggerito ai curiosi, può risultare interessante per chiunque sia minimamente interessato al mondo musicale. Prefazione nientemeno che di Pippo Baudo.
20061222
han spento già la luce
Per farvi due risate, leggete, se l'avete persa, questa notizia di qualche giorno fa:
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Spettacoli/2006/12_Dicembre/20/procol-harum.shtml
Poi, ascoltatevi in sequenza, appunto, A Whiter Shade Of Pale dei Procol Harum, e Senza luce, la cover in italiano eseguita dai grandi Dik Dik, con parole di Mogol.
Prima, ricordatevi di spegnere la luce.
crepuscolo?
Il prescelto - di Neil LaBute 2006
giudizio sintetico: orrendo
Edward Malus fa il poliziotto stradale, e rimane sconvolto da un incidente al quale assiste da molto vicino; cerca di salvare la donna e la figlioletta protagoniste involontarie dell'incidente, ma non ci riesce. Durante la convalescenza, una strana lettera scuote ulteriormente Edward: la sua ex fidanzata Willow gli chiede aiuto: sua figlia è scomparsa, e lei ha bisogno di aiuto. L'uomo va in suo soccorso, e si trova di fronte una realtà alquanto strana: una comunità segregata volutamente su un'isola in mezzo al Pacifico, dove gli uomini hanno un ruolo marginale e sembrano tutti menomati, mentre le donne sono forti, dominatrici e quasi tutte bellissime.
Edward si mette al lavoro per ritrovare la piccola Rowan, ma la sua teoria si rivelerà sbagliata, come l'impressione che lui non sia il benvenuto sull'isola......
La visione di questo film è qualcosa di sconvolgente, in senso negativo. Tralasciando il fatto che sia uno dei film più brutti degli ultimi mesi, la cosa che disarma è che il regista era stato autore, in passato, di una filmografia di tutto rispetto. Gli appassionati di un cinema intelligente, si sono spesso ritrovati a consigliare caldamente le opere di LaBute: il suo devastante (in senso positivo) debutto Nella società degli uomini, il suo esilarante e caustico secondo Amici & vicini, lo spassoso e corrosivo Betty Love; perfino il suo film d'amore, Possession - Una storia romantica aveva una marcia in più, rispetto ai film di genere. Le premesse non erano buone (il genere, il trailer, l'attore principale), ma la firma di LaBute, dunque, avrebbe dovuto essere l'unico motivo, per un amante del buon cinema, che spinge ad andare a vedere Il prescelto. Purtroppo la sua mano non si nota (oppure si è misteriosamente ammalata di ovvietà), e ne esce un film assolutamente inguardabile. Rifacimento dell'omonimo The Wicker Man di Robin Hardy, del 1973, il film è un'accozzaglia di dialoghi scontati, recitazioni pessime, situazioni grottesche e citazioni che richiamano film migliori (in molti hanno notato somiglianze con The Village, ma la tensione di Shyamalan è lontana anni luce; si possono riconoscere anche Il villaggio dei dannati o un sottile richiamo all'hitchcockiano Gli uccelli), ma non servono e non bastano per dare un minimo di senso a questo film davvero brutto. Personaggi senza un minimo di definizione, microcosmo dell'isola non sfruttato per niente a livello di metafora (o, almeno, se c'era un'allegoria si è fatto di tutto per camuffarla e non farla arrivare allo spettatore), superficialità a raffica.
Non basta nemmeno Ellen Burstyn (sorella Summersisle) in questo deserto arido. Tralasciamo le prestazioni del protagonista Nicolas Cage (ormai anche gli ultimi sparuti fans hanno capito che deve la sua fama a grandi film fatti in passato, ma la sua espressività non è mai esistita) e della inutile Kate Beahan ( - Willow - l'impressione è che si sia rifatta le labbra il giorno precedente all'inzio delle riprese); si salva la bella e magnetica Molly Parker (sorella Rose), relegata però a un ruolo abbastanza marginale (anche se presente nell'unica scena con un minimo di tensione di tutto il film).
Memori della delusione di Jersey Girl a proposito di grandi registi che poi si riprendono (Kevin Smith, Clerks II), speriamo proprio che vada così anche con Neil LaBute, e che magari questo film lo abbia diretto per caso (leggi: soldi).
Per questa volta, voi risparmiateli i soldi.
già visto?
Déjà Vu - Corsa contro il tempo - di Tony Scott 2006
giudizio sintetico: si può perdere
Doug Carlin è un bravo detective dall'ATF (alcolici, tabacchi e armi da fuoco), di base a New Orleans. In seguito ad un presunto attentato che fa saltare in aria un traghetto che stava trasportando l'intero equipaggio (famiglie comprese) di una nave statunitense in festa, viene notato per la sua acutezza da una squadra speciale dell'FBI e invitato a partecipare all'inchiesta. Essendo già arrivato, col suo fiuto e, forse, con alcune sensazioni che ancora non riesce bene a mettere a fuoco, ad una pista piuttosto interessante ma tortuosa (è convinto che chi ha ucciso Claire, una bellissima ragazza, ritrovata ustionata nello stesso fiume dove è accaduto il fattaccio, ma morta poche ore prima della tragedia, sia lo stesso attentatore), si ritrova davanti ad un supporto incredibile anche solo da immaginare, in mano alla poc'anzi citata squadra investigativa dell'FBI: è possibile vedere chiaramente il passato con 4 giorni e mezzo di ritardo. Il suo intuito dovrebbe dire ai tecnici FBI dove guardare, per identificare l'attentatore. Ma Carlin vuole fare di più: vuol provare a cambiare il passato per modificare il presente. Claire è ormai la sua ossessione, anche se rimane ligio al suo dovere di tutore dell'ordine.
Tony Scott, diciamocelo, nella sua carriera ha indovinato un solo film: quello splendido, satirico, ironico e spassoso Una vita al massimo, sceneggiato da un Quentin Tarantino non ancora imbolsito intellettualmente dal successo, e probabilmente al top della forma come nel suo Le Iene. Il resto è manovalanza hollywoodiana da grande incasso; manovalanza, sia chiaro, di altissimo livello. Anche questo ennesimo film ne è la prova. Ancora una volta un cast importante (Denzel Washington, Val Kilmer, James Caviezel, Adam Goldberg, Erika Alexander, Bruce Greenwood, in più la bella e promettente Paula Patton nei panni di Claire), una grande sapienza tecnica sciorinata ampiamente (soprattutto nella splendida sequenza iniziale, magistrale), ma un film deludente nel complesso. Anche il complicato fulcro apparente del film, l'apparato che permette non solo di "rivedere" il passato da qualsiasi angolazione (seppur con delle falle non indifferenti), che in principio può interessare e appassionare lo spettatore visionario e ben disposto verso la fantascienza verosimile, si rivela solo un espediente per raccontare la noiosa storia dell'eroe senza macchia e senza paura, innamorato della sua bella e disposto a tutto per lei, ma non a sacrificare i suoi solidissimi e patriottici ideali.
Il finale, se non vi fa ridere subito, vi fa incazzare ripensandoci, e sembra una presa in giro.
Non ci siamo Tony.
autodeterminazione
il discorso è delicato.delicatissimo.c'è di mezzo la vita. e la morte.
sono per la libertà, sono per il testamento biologico, sono per l'eutanasia, ma so bene che tutto deve essere ben normato, chiaro, anzi chiarissimo, senza ombre, che i dubbi rimarranno sempre.
20061220
schede bianche
Uccidete la demcrazia! di Deaglio.
è il resoconto di cosa è successo la notte delle elezioni, delle possibili manomissioni delle schede bianche, della facilità che si ha nel cambiare i dati informatici sui conteggi delle schede.
guardatelo, anche solo per la cronaca.
e spero che si facciano i riconteggi delle schede bianche per togliere ogni dubbio.
il rischio di golpe tecnologico è sembrato veramente alto.
20061219
saturday night's not right
Opeth + Amplifier, 16/12/2006, Ravenna (Porto Fuori), Kojak
Si decide all'improvviso, e si va. Tempo incerto, freddo che sta arrivando davvero, pioggerellina qua e là. Speriamo di trovarlo senza problemi, questo locale e questa località. In effetti, non ci sono problemi, arriviamo alle 21,15 circa, ma già da 30 metri fuori il locale si capisce che stanno già suonando. Ma come? Come è possibile? Forse ci siamo abituati agli orari toscani....e ci aspetta una brutta sorpresa. Biglietto di ingresso 25 euro. Andiamo lo stesso. Diciamoci la verità, gli Opeth interessano così così, siamo lì soprattutto per gli Amplifier. Entriamo dentro il Kojak e si fa in tempo a sentire il cantante/chitarrista cantare una strofa (bene), e poi si capisce che stanno dando il massimo. Non lo voglio confessare nemmeno a me stesso, ma il loro gig sta finendo. E infatti. Saranno a malapena 3 minuti, quelli che vediamo degli Amplifier. Mentre io e l'amica che mi accompagna fatichiamo a renderci conto dell'accaduto, i 3 Amplifier stanno già smontando l'attrezzatura insieme ai roadies. Non ci resta altro che andarli a vedere quando torneranno da headliner, e quella volta lì sarà bene che arriviamo con un po' di anticipo.
Il pubblico sarà intorno a qualche centinaio di persone, il locale è piccolo, ma si capisce che gli svedesi Opeth hanno un seguito osannante. Alle 22 precise arrivano sul palco, e a questo punto spero proprio che mi piacciano di più di quanto mi siano piaciuti ascoltando qua e là qualche loro disco (che come avrete capito, non mi ha entusiasmato). Cantante/chitarrista solista, chitarra ritmica, basso, batteria e tastiere. Pezzi minimo di 10 minuti di durata, ma anche di più. Alternanza di parti doom rallentate e pesanti, con ritmiche sferraglianti, bridge con tempi di batteria sincopati, aperture melodiche e assoli che riecheggiano vagamente grandi della chitarra, molto distanti dalle classiche scale metal, qualcosa di molto simile a volte ai Pink Floyd, a volte addirittura allo stile di Santana; voce che alterna il growling sulle parti più pesanti con un timbro fin troppo pulito e melodico sulle parti più "leggere". Il cantante parla molto tra un brano e l'altro, il pubblico è in delirio, e devo dire che per la verità, è anche simpatico. C'è un ma.
Per la prima volta, dopo circa 30 minuti, provo l'impulso irrefrenabile di andarmene da un concerto. Ci sono momenti nella musica degli Opeth che mi piacciono anche, ma ce ne sono diversi che proprio non sopporto. Qualcosa è cambiato, probabilmente in me, sarà perchè ho appeso il chiodo al chiodo (perdonatemi, so che posso fare di meglio), che poi non è vero, l'ho buttato perchè la cerniera non si chiudeva più da quanto sono ingrassato, ma certa musica non mi entusiasma più, anche se, ad onor del vero, devo riconoscere che il 99% del pubblico in sala era entusiasta. Gli Opeth fanno il loro compito con diligenza, non si danno più di tanto, sono molto controllati, ma in fondo suonano quasi due ore tonde e va bene così.
Il prossimo sabato sera cercherò di scegliere meglio.
foto tratta da http://www.herlig.net/arkiv/2005/09/20/opeth-live-pa-rockefeller
20061218
vi avevo avvertito
da Finanzaonline 18/12/2006 14:27:31
Tira una brutta aria per Air Madrid, sospesi i voli
Anche le low cost qualche volta piangono. E' il caso della spagnola Air Madrid, che ha annunciato l'immediata sospensione della sua attività. Una decisione inaspettata che ha lasciato a terra 300mila passeggeri con biglietto. La spiegazione? Secondo Air Madrid la decisione è una conseguenza delle misure adottate dal Ministero dei Trasporti, che aveva minacciato di ritirarle la licenza per non aver risolto alcuni problemi, in particolare quelli connessi ai gravi ritardi di alcuni suoi voli.
20061217
il carisma
Heavy Trash + Samuel Katarro, 15/12/2006, Firenze, Auditorium Flog
Con quel nome un po' così, non mi aspetto niente di buono. Samuel Katarro, vincitore del Rock Contest 2006. Apre per gli Heavy Trash con una mezz'ora di blues lamentoso e in un certo qual modo moderno, schizoide e schizzato, con quella voce quasi sempre urlata, insieme alla sua chitarra. Certo, è giovanissimo ed ha delle potenzialità, ma non mi piace e mi bevo una birra.
Sono passate da un po' le 23, a questo punto, ed ecco materializzarsi sua maestà il carisma in persona: mister Jon Spencer con il suo nuovo giocattolo, gli Heavy Trash appunto, con l'amico Matt Verta-Ray (cazzo di cognome ha questo?) alla chitarra elettrica. Altri amici, uno al contrabbasso, uno alla batteria, un altro al mixer ma con una ulteriore chitarra elettrica imbracciata e, come mi accorgo dopo un po', funzionante, anche se si occupa dei suoni e quindi di far capire qualcosa al pubblico del Flog, ormai abituato alla confusione che si crea nell'ormai storico locale fiorentino. Ha anche un microfono aperto, per supportare i cori. Jon, il buon vecchio Jon, imbraccia una chitarra classica elettrificata, e si diverte a martoriare il suo microfono con relativa asta per tutta la durata del concerto. Un concerto che parte lento, non come ritmo ma come partecipazione del pubblico e come calore, come coinvolgimento e come feeling tra la band e, appunto, gli spettatori, anche se già dal pronti-via gli adoratori del buon Jon si fanno sentire.
Heavy Trash è quindi questo nuovo progetto che non si sa se metterà a tacere i Blues Explosion, e si allontana dai B.E. virando verso il rockabilly, così dicono le recensioni, ma io direi più verso il classico rock and roll post-Elvis, rispetto al blues ipnotico ed elettrico dei B.E. Una sequela di canzoni che sembrano già sentite, non perchè brutte, anzi, ma perchè affondano le radici là, esattamente alle fonti del rock and roll, e usano schemi piuttosto classici. Cosa fa la differenza, quindi, è la presenza, appunto, carismatica, di Jon Spencer. Elegante come sempre, non più giovane ma neppure vecchio, carico come una molla, dirige le danze con i suoi amichetti e improvvisa a più non posso. Il divertimento che c'è sul palco suonando insieme è palese, si vede e si sente, e pian piano coinvolge e acchiappa la platea. Anche i più scettici e meno ben disposti si lasciano abbindolare dal combo nato quasi per scherzo, e si lasciano trasportare in questa serata giocosa che rimarrà indelebile nelle memorie dei presenti. Poco oltre la metà del concerto Jon scende in platea col microfono e si mette a cantare, a ballare, a farsi toccare e a farsi urlare in faccia dalla gente, a gridare i suoi yeah ormai leggendari quanto i suoi aw. L'amico del mixer con la chitarra sale sul palco, poi si scambia lo strumento col contrabbassista. Jon si porta al mixer e si mette a giocare con una specie di tastiera-synth. Urla nel microfono e manda tutto in distorsione. E' un sabba rock and roll, ed il sacerdote non poteva essere che lui.
Dopo due ore finisce, ma si ha l'impressione che avrebbero potuto andare avanti tutta la notte. Il batterista, sosia di Aki Kaurismaki (cineasta finlandese), pianta letteralmente le sue bacchette nelle pelli dei tamburi. E' il segnale che la festa è finita. Dopo 5 minuti buona parte della band, Jon Spencer compreso, è al banco del merchandise a sorridere, vendere vinili e t-shirt e firmare autografi sui poster. Vallo a raccontare a certe pseudo-star italiane.
Chi non c'era non sa cosa si è perso stasera.
time
metafora lapalissiana
I figli degli uomini - di Alfonso Cuarón 2006
giudizio sintetico: si può vedere
Siamo nel 2027, in un'Inghilterra che apparentemente è rimasta l'ultimo baluardo della civiltà. Il caos, infatti, regna nel resto del mondo. Da circa 18 anni il genere umano è diventato sterile: le donne non rimangono più incinte. La vita dell'essere umano più giovane viene seguita come in un reality, come in un "Truman Show", è la mascotte del mondo. La sua uccisione, per mano di un fan al quale, pare, ha rifiutato un autografo, scuote un umanità ormai destinata e rassegnata all'estinzione. Gli immigrati sono rinchiusi in gabbie sparse un po' ovunque, l'Inghilterra salvaguarda la sua parvenza di civiltà.
Theo è una persona come le altre, rassegnata. E' un impiegato triste e solo, dopo una separazione dalla moglie dovuta a incomprensioni reciproche ma, soprattutto, alla morte del giovane figlio. Insieme erano attivisti per i diritti umani, lui ha perso la voglia di lottare. Lei, evidentemente, no. Infatti, Theo viene rapito dall'organizzazione capeggiata dalla moglie Julian. Non vogliono fargli del male, ma hanno bisogno di lui per procurarsi un pass per far attraversare il paese da una ragazza immigrata. Gli offrono soldi, e lui cede. Quando incontra la ragazza, accetta a malincuore di accompagnarla (il pass è "di coppia"), fino a che non scopre che è incinta, oltre a scoprire che il supporto dell'organizzazione non è così limpido. Diventa così il difensore dell'unica speranza del genere umano.
Tratto da un romanzo di P.D. James del 1992, il nuovo film di Cuarón non entusiasma per originalità; la trama è prevedibile e fatta da evidenti e grossolane metafore. Non lascia un segno profondo, dunque, nella mente dello spettatore curioso. Ha però dalla sua alcune cose interessanti, che, nella desolazione delle sale pre-natalizie zeppe di film-panettone, lo rendono lievemente appetibile. Innanzitutto, l'atmosfera desolante di un mondo senza speranza e, in particolare, di una Londra grigia e spenta, indagata nei suoi angoli meno belli. Inoltre, una lunga serie di riferimenti all'attualità (uniti a citazioni curiose e a una colonna sonora molto bella), che è inutile raccontarvi, togliendovi così il piacere di scoprirli da soli. Il lavoro del regista messicano, un regista atipico che evidentemente ama mettersi alla prova cambiando completamente genere (partito con il pruriginoso ma efficace e interessantissimo Y tu mamá también nel 2001, si è poi cimentato addirittura con la saga da bambini cresciuti con Harry Potter e il prigioniero di Azkaban), è anch'esso a due facce, per questo lavoro: a una non buonissima direzione degli attori, nonostante un cast di assoluto rilievo, almeno nelle parti principali (Clive Owen, Julianne Moore, Michale Caine e Chiwetel Ejiofor), si contrappone una direzione dei movimenti della telecamera da vero grande regista. Entusiasmanti i piani sequenza, che caricano di adrenalina le sequenze di inseguimento soprattutto. Da manuale quello nel finale, dentro il centro di raccolta immigrati, ai livelli di Stanley Kubrick in Full Metal Jacket. Il piano sequenza (anche se è lecito sospettare un taglio e una sovrapposizione, visto che all'ingresso nell'edificio si vedono chiaramente schizzi di sangue sull'obiettivo, che dopo un passaggio in un androne scuro scompaiono) che segue il protagonista alla ricerca di una barca per far raggiungere l'obiettivo alla sua protetta, toglie letteralmente il respiro allo spettatore.
In definitiva, un film da vedere quasi più per la tecnica che per il contenuto.
20061215
spaccato umano pubblico
...mamma, voglio costruire quel letto...
...questi marocchini che rubano il lavoro a noi, e non guardatemi così che lo so che la pensate come me, ma non avete il coraggio di dirglielo in faccia...
...maurizio è stato con silvia ieri sera, mi ha mandato un messaggio lei...
...sono una famiglia povera, sono quatro fili...
...la scuola ormai non li segue più, il preside è sempre alle bahamas..
...la mia ditta ha capito che contro lo sciopero non si può fare nulla...
...che brava la tua ditta, io ho dovuto invece prendere un giorno di ferie...
...io ci metto un pò di prezzemolo e mi raccomando il dado vegetale, non il knorr che lo fanno con le unghie delle galline...
...io starei attento al milan, che non si sa mai, questi possono vincere anche tutte le partite adesso...
...mio marito russa...
...la marzia ha la sciatica povera sciura...
...borriello non è mica sciè-scienko...
...il silvio sembra sempre più un giovinotto...
...tu gli devi dire che non lo puoi più difendere, non sei santa tecla...
...mamma ma perchè quelli li hanno gli occhi come i mongoloidi?...
...il prof gli ha chiesto chi ha combattuto a waterloo e lui gli ha risposto il wc net, non ci potevo credere...
...se prendi sette in condotta sei bocciato di bestia...
...sabato sera siamo andato tutti in disco e poi la mary e la giuly sono andate via con ste e fede, ma non so cosa hano fatto, secondo me era tutta una messa in scena...
...il cocuzza è proprio bravo e poi è così fine...
...papà, perchè batista non lo uccide?...
...guarda quella li dentro la macchina, ha le calze a rete, chissà che scopate che si fa...
...mio figlio ha difficoltà con la matematica, proprio non riesce nelle divisioni, mi hanno consigliato di farlo giocare con i tulis, telis, non so non mi ricordo più il nome,io lo porterei dallo psicologo, ma mio marito non vuole...
...sabri dobbiamo scendere qui o alla prossima, dai svegliaaaa!!...
...e adesso paga le tasse, coglione e poi vediamo...
...ho prenotato per capodanno a sharm, ma non so se c'è caldo abbastanza per fare il bagno, vabbè al massimo prendo il sole oppure faccio una lampada...
20061214
trasferta mancata
Dovevo andarci, ad Auxerre. E invece, visto che uno dei miei colleghi domattina aveva un impegno irrinunciabile, e l'altro non è in grado di sostituirmi, responsabilmente ho rinunciato. Tutte le volte che accade un fatto come quello di questa sera, il primo ricordo va a Forcoli, provincia pisana, oltre 10 anni fa, partita di Coppa Italia dilettanti. Livorno reduce da reiterati fallimenti, squadra di ragazzini. Adesso siamo qui, ai sedicesimi di finale della Coppa Uefa. Una partita di quelle che rimangono nei ricordi per sempre, brutta, sofferta, lontani da casa, un gol al 15esimo del secondo tempo e poi le barricate, solo con la vittoria avremmo passato il turno. L'ammonizione a Cristiano Lucarelli perchè dopo aver segnato un gol splendido si arrampica sull'inferriata che divide il campo dallo spicchio con i 300 tifosi livornesi per esultare insieme, dopo una corsa fatta tutta urlando, ci sta tutta. La gioia difficilmente descrivibile. Un passettino alla volta, ci stiamo ritagliando uno spazio nella storia del calcio italiano, e chissà, magari anche in quello europeo.
Mi colpiva oggi, sulle pagine sportive di Repubblica, il paradosso. Due partite di squadre italiane in coppa, quella del Parma ormai già promosso, inutile, trasmessa da La7, che però ha solo l'esclusiva del Palermo (che è uscito dalla coppa ieri sera, ho ancora nelle orecchie il commentatore di Sky sabato, dopo Palermo-Livorno 3 a 0, che diceva "il turno infrasettimanale di Coppa Uefa è più agevole per il Palermo, che affronta in casa il Celta Vigo, rispetto a quello del Livorno..."), ma che comunque ha pensato bene di acquisire quelli del Parma per questa partita importantissima, e quella del Livorno, partita dalla posta in palio alta, il Livorno per passare il turno doveva vincere, l'Auxerre per passare non doveva perdere, trasmessa da Granducato Tv, una televisione di Livorno che arriva a Pisa e nella provincia di Livorno, e nulla più.
Vediamo cosa succede per i sedicesimi di finale, anche se in quell'occasione, sia andata che ritorno, in casa e fuori, vorrei esserci. Nell'attesa (domani i sorteggi per gli accoppiamenti), grazie Livorno, nessuno escluso.
once upon a time
Ho controllato. Oggi è esattamente un anno dalla prima volta che ho scritto su questo blog, dopo essere stato invitato a farne parte integrante. E' un anno che sono un blogger.
Il primo pensiero va a lafolle, che me ne ha dato l'opportunità. Ci stavo pensando, ma come con tutte le cose che riguardano l'informatica, sono pigro, e magari sarebbe passato del tempo. E poi, i grandi comici lavorano in coppia. Lo ringrazio adesso, come lo ringraziai allora, e continuo a farlo dentro di me, per avermi stimolato e dato questa opportunità che continua a solleticarmi ogni giorno. Credetemi, scrivere è una malattia, e quando vi rendete conto che passano alcuni giorni senza scrivere un nuovo post, si soffre un po'. Perchè una delle cose belle e impagabili di questa vita, è comunicare, e questa del blog è una maniera come un'altra di farlo. Se poi ti accorgi che ci sono persone che, per amicizia o magari altro, ti leggono anche, è una soddisfazione grande, che non ha prezzo. Mi sono già soffermato su questo, quando scrivi come giornalista, a meno che tu non sia una grande firma che può fare un po' come cazzo gli pare (come nella casa delle libertà...), anche scrivere diventa un lavoro, ha i suoi tempi e i suoi spazi, e spesso non ti gratifica più. Questa, secondo me, è la dimensione giusta, o almeno una di quelle giuste.
Quindi, il secondo pensiero va a chi legge questo blog. E a voi, va un altro grazie. L'ultimo pensiero va ai miei amici "storici", quelli con i quali sono cresciuto, ai quali voglio bene. Mi dispiace, perchè nessuno di loro o quasi, legge questo blog. Mi dispiace, ma nella vita esistono anche le piccole delusioni. Un po' come quando ieri sera ho portato mio nipote dal barbiere e non sono riuscito a convincerlo a farsi i capelli.
20061213
i trionfi di testori all'out off
lo spettacolo è visto e sentito come una mostra, un'installazione di versi e l'uomo e la parola diventano una forma d'arte da osservare e da ascoltare. una spirale di versi senza fiato.
lo spettacolo mi ha fatto schifo. non ho capito nulla del testo, faticando proprio a comprendere le parole e a darle un senso. a tratti ho dovuto distogliere lo sguardo quasi irritato. mi sembra teatro poco usufruibile, forse troppo poco usufruibile, forse è il teatro che piace a chi fa teatro.
alla prossima con testori per vedere se in un altro contesto lo apprezzo di più.
20061212
facciamo una scommessa?
La Grande Coalizione del Grande Centro Democratico Cristiano.
una sera immacolata
Vinicio Capossela, 8/12/2006, Firenze, Saschall
Metto su la mia canzone preferita di Vinicio. Con un amico, uno di quelli con i quali condividi anni, bicchieri, sbronze, musica e dolori, ci siamo convinti che, dato che è tratta dal disco “Modì”, parlasse di Amedeo e di Livorno, in qualche maniera. Ci rappresenta, la suonerò quando una donna si innamorerà di me, e perfino perdono Vinicio per averla lasciata fuori dalla scaletta di questa sera. Perché Vinicio è un amico, anche se non ci siamo mai strinti la mano, anche se non abbiamo mai diviso una bottiglia di vino o una panchina. La metto su e ne scrivo. Un concerto della Madonna. Un concerto da Chiaviconi. Da Nutless. Un concerto di Vinicio, per tutti e per uno solo. Un concerto di Natale, quasi.
Saschall, elegante come sempre. Sta arrivando il freddo pian piano, ma la gente non si scoraggia. Arriviamo con un’amica e siamo costretti a parcheggiare lontanissimo, segno evidente di un bel pienone. C’è chi si scoccia, avvolto nella solita sindrome egoistica da fan estremista e ottuso, ma a me fa solo piacere. Tante donne, anche profumate. Ho scelto un comodo posto a sedere e sopraelevato, voglia di rivederlo dopo un po’, voglia di vedere e sentire quest’ultimo bel disco dal vivo, un disco che ha squarciato l'abitudine rockettara di questo 2006 ben prima di "Orphans" del suo padre putativo Tom Waits, sorprendendomi piacevolmente, dopo che mi ero fatto un’idea ristretta sulle capacità di rinnovarsi e proseguire un discorso propositivo del buon Vinicio. Un disco che racchiude le molteplici anime di Capossela da Hannover, un disco maestoso e difficile, ostico e impegnativo, ma estremamente soddisfacente non appena trovi la manovella giusta. Un ottimo successo di vendite e di pubblico, un’esposizione mai vista per lui, copertine, interviste, libri e dvd. Vediamo come sta.
Poco dopo le 21 si apre il sipario e si parte. Palco kitsch ma simpatico, un piccolo albero di Natale in bella evidenza, la banda schierata dietro a lui, il piano al centro, ma lo userà poco, un polistrumentista sulla sinistra che sembra Neil Young, i fiati, la batteria, il contrabbasso e la chitarra. E lui. Saschall quasi al completo, fremente già da prima dell’inizio, coinvolto da subito, che applaude, urla, fischia, spinge, partecipa in maniera quasi impensabile fino a qualche anno fa. C’era meno gente, magari si rideva a crepapelle per le storielle raccontate da semi-ubriaco tra un pezzo e l’altro, invece oggi ci sono ovazioni a scena aperta. E Vinicio se la gode tutta. Sorride, incita, caccia qualche urlo. Già al secondo pezzo indossa la maschera da caprone con annesso microfono e regala Brucia Troia come se fosse un sabba. Scorre “Ovunque Proteggi” quasi al completo, ed è la conferma del capolavoro. Moskavalza è un pezzo techno ma completamente Capossela, categoria superiore, troppo avanti. Medusa cha cha cha funziona anche senza la voce femminile ed è quasi raffinata. L’uomo vivo (inno alla gioia) è coinvolgente fino all’abbraccio corale. Pena dell’alma è da brividi, una di quelle canzoni che ti mettono davanti ad un bivio: da ascoltare in religioso silenzio o da cantare a squarciagola pensando seriamente all’amata, ma con un sorriso (amaro) sulle labbra. Dalla parte di Spessotto è meglio di una cura di solletico. E Lanterne rosse, Ovunque proteggi, Dove siamo rimasti a terra Nutless, insomma, avete capito. Si integrano alla perfezione le più o meno vecchie Scatà scatà (Scatafascio), tutti che ballano, l’immortale Marajà, la splendida e sognante Con una rosa.
Vinicio, parliamone un attimo, è in grande, grandissima forma. E non è uno scherzo. Mai visto così sobrio e lucido, dimagrito, fisicamente ben messo, concentrato. Divertente come sempre, divertito e soddisfatto, contento del pubblico che finalmente gli tributa quello che gli spetta: un gran successo. Cambia cappello, giacche, dopo la maschera da caprone mette quella da leone. Attento però a non fare troppo la primadonna, lascia lo spazio giusto alla band, non mancando di darsi alla grande. Comincia a bere qualche birrino solo nella seconda parte del concerto. Ci si fa lo shampoo, ogni tanto.
La genialata, adattissima all’atmosfera di un concerto caposseliano, il mago. Inutile spiegarvelo, dovete vederlo. Vestito da soldato francese, secco e pelato am coi mustacchi, fa giochi inutili e buffi con carte, petardi, bottiglie di birra, una gallina, stelle filanti e coriandoli in tasca. Ha la scritta TA DA tatuata sul ventre, e la mostra a conclusione di due mini-set piuttosto lunghi, che in pratica fanno da intermezzo tra i blocchi di canzoni. Pubblico divertito.
La seconda parte è quasi tutta composta da canzoni di Natale, improvvisazioni (grandiosa la band), perfino una versione italianizzata di What A Wonderful World. Una festa. La band e Vinicio lasciano definitivamente il palco dopo quasi due ore tonde dall’inizio. La conferma della definitiva affermazione di un grande artista italiano. E chi non lo capisce pazienza.
Mi allontano canticchiando, forse ho trovato un’altra canzone preferita…..sospirano nell’aria le rose spirano…petalo a petalo mostrano il color…ma il fiore che da solo cresce nel rovo…rosso non è l’amore, bianco non è dolore, il fiore è solo il dono che porto a te…
Attraversiamo Firenze e ci portiamo all’Auditorium Flog. Ci sono i Twilight Singers di Greg Dulli con Mark Lanegan che lo accompagna cantando qualche pezzo. Arriviamo per i bis, paghiamo un biglietto ridotto dopo un caffè e una sigaretta, ci becchiamo gli ultimi due pezzi: una medley di cover, tra le quali riconosco Wolf Like Me dei TV On The Radio, e Black Is The Color of My True Love’s Hair. Un cioccolatino per finire la serata, prima di un’ora abbondante di chiacchiere con amici che non vedevo da oltre un mese, e un ritorno a casa sotto la pioggia battente.
20061211
la morte di pinochet vista da skarmeta
QUAND'ERA al culmine del suo potere, Pinochet immaginava centinaia di cospirazioni ai suoi danni, organizzate dai "siñores politicos".
Per qualche strana ragione, non si sa se dentale o stilistica, non riusciva a pronunciare correttamente la parola "señores". E per dimostrare la volontà dei "siñores politicos" di distruggere la libertà e l'ordine che sosteneva di rappresentare, in un celebre discorso pronunciato al Club conservatore de la Unión, si fece promotore di letture rivoluzionarie: "Bisogna leggere Lenin, "siñores"".
Leggere "Linin" per individuare con chiarezza le tattiche terroristiche dei suoi avversari. Non si sbagliava. Sono stati i "siñores politicos" cileni d'ogni tendenza - chi prima, chi con molto ritardo - a ridurre l'uomo forte a feticcio di una dozzina di anziane signore. Immagino che questo discorso dominerà la stampa di oggi: il dittatore Pinochet è morto politicamente assai prima della sua morte fisica. Per usare un'immagine cara al folclore cileno, la pannocchia si è sgranata un po' alla volta. Alla fine i suoi alleati sono rimasti in pochi come i denti nella sua bocca. È stata questa la sua sconfitta. Quando, nel 1989, la democrazia fu restituita al Cile, chi prima lo aveva appoggiato prese le distanze da lui per rendersi compatibile con le nuove regole del gioco.
Fin dal plebiscito che nel 1988 lo aveva estromesso dal governo, gli votò contro lo stesso Sebastián Piñera, noto imprenditore di destra. Ma la novità di quest'anno è che oramai, sia pure tardivamente, persino Joaquín Lavín, il leader più conservatore della destra, ha preso le distanze dal generale. Avendo perso le elezioni presidenziali del 2000 contro il socialista Ricardo Lagos col 48% dei voti, Lavín spera ancora di riuscire a convogliare forze sufficienti per farsi eleggere alla presidenza; e quindi ha ritenuto di prescriversi una forte dose di despinochetización.
Non a torto, una compunta signora, fedele al generale, si è presentata davanti all'ospedale dove il suo idolo stava agonizzando con in mano un piccolo cartello confezionato alla buona, con la seguente accusa: Derecha dormida, Pinochet te salvó la vida (destra addormentata, Pinochet ti ha salvato la vita).
Oltre ai suoi familiari, e a questa stoica signora che col suo cartellino in mano ha sopportato i 32 gradi della primavera cilena, non c'è nessuno a piangere per Pinochet. È giusto allora dire che il generale è morto molto prima di morire? Un fatto però è certo: quel cartellino non è la sola cosa che resta di lui in Cile.
Con lo stile della sua ritirata, Pinochet è stato determinante per il carattere attuale, praticamente di "unità nazionale", del governo cileno. A parte alcune questioni legate ai "valori", quali l'aborto, l'eutanasia o la pillola contraccettiva, su tutti gli altri temi regna tra governo e opposizione un consenso di base, soprattutto in campo economico. Sia i presidenti socialisti sia i democratici che li hanno preceduti hanno incassato le ovazioni degli imprenditori.
L'uomo si è ritirato a piccoli passi. Quando il popolo lo ha respinto col plebiscito del 1988, si è riservato il titolo di Comandante in capo delle forze armate. Quando ha concluso il suo mandato militare, conferitogli da una Costituzione da lui stesso confezionata su misura, si è fatto nominare senatore a vita della Repubblica. Quel seggio, lo occuperebbe ancora oggi se non avesse avuto l'idea peregrina di recarsi a Londra, dove una disposizione tempestiva del giudice spagnolo Garzón lo trattenne per le sue reiterate violazioni dei diritti umani.
Il mondo applaudì con giubilo. Alla fine un dittatore del calibro di Pinochet, il cui regime si era reso responsabile di innumerevoli sparizioni, torture, fucilazioni indiscriminate e arbitrarie e decine di migliaia di licenziamenti, costringendo all'esilio centinaia di migliaia di cileni, sarebbe stato giudicato lontano dalla protezione dei suoi camerati.
Ma la gioia fu di breve durata. Lo stesso governo democratico cileno intraprese passi ufficiosi nei confronti delle autorità britanniche per ottenere che quell'anziano "malato, moribondo", fosse rimpatriato per essere giudicato in Cile.
Quando mise piede sul territorio nazionale, all'aeroporto di Santiago, accolto con squilli marziali dai suoi compagni d'arme, si sollevò come Lazzaro dalla sua carrozzella per andare ad abbracciare il suo successore, il Comandante in Capo di Santiago. Un giornale ironizzò sull'evento con un titolo geniale, richiamandosi a un celebre film con Sean Penn, Dead man walking (Il morto che cammina).
Fu poi effettivamente chiamato a rispondere di vari reati, per alcuni dei quali i processi sono tuttora in corso. Ma alle condanne seguivano le assoluzioni. Frattanto i cileni ancora restii a riconoscere le sue malefatte dovettero convincersi che Pinochet era stato un baluardo contro i comunisti, ma non contro la corruzione. Oltre alle atroci violazioni commesse contro i diritti umani, fu portata a conoscenza dell'opinione pubblica anche una serie di conti segreti che dimostravano il suo coinvolgimento in episodi di corruzione.
Il dittatore ebbe allora la buona idea di assentarsi dalle sessioni del Senato. Ma se alla lunga alcuni dei suoi seguaci sono finiti in carcere, Pinochet in persona non è mai stato dietro le sbarre.
Diciamolo chiaramente: la democrazia non ha mai avuto la forza di mettere Pinochet sotto chiave. Anzi, diciamolo anche più chiaramente: la democrazia cilena non ha mai voluto incarcerarlo. Quest'ambiguità è forse la più sublime strategia di consolidamento di un'unità nazionale che spiega la tanto celebrata stabilità e il benessere del Cile di oggi.
Oggi è morto Pinochet: un uomo che ha distrutto la vita di molte famiglie cilene: il suo brutale golpe fu una risposta sproporzionata ai problemi, pure reali, della società del 1973. La sua eredità è dunque più poderosa, e più sottile di quanto recita il piccolo cartello dell'anziana solitaria davanti all'ospedale. Una cosa è certa: Pinochet è finito solo, perdendo la sua battaglia. In questo senso i "siñores politicos" hanno fatto un ottimo lavoro - che abbiano o meno letto "Linin". E tuttavia, la sua fuga finale da una giustizia che non abbiamo potuto o voluto fare ci coinvolge nella sconfitta, e nella tristezza.
Nel Giulio Cesare, davanti al cadavere dell'imperatore, Marco Antonio sentenzia nel suo discorso funebre: "Il male fatto dagli uomini sopravvive alla loro morte, il bene che hanno fatto viene sepolto con le loro ossa". Seppelliamo Cesare.
zimbabwe report nr.4
11/12/2006
Cari Amici,
mi rendo conto solo adesso con orrore che ormai da piú di un mese non vi faccio avere mie notizie, ma qua il tempo vola e io mi trovo in un frullatore senza fine, senza il tempo di scrivervi nulla. Oggi ho quindi deciso che rubo una mezz'oretta alla mia breve pausa pranzo e vi scrivo qualche mia nuova.
Come giá vi ho accennato, lavoro su un progetto HIV in una specie di baraccopoli ai confini della cittá. Il posto si chiama Epworth e gode di dubbia fama. Vi si trova infatti una variegata umanitá di persone che vivono in case di cartone ai margini della scintillante capitale piú cara del mondo (ebbene sí, Harare quest'anno ha battuto Oslo e Stoccolma, nessuna sorpresa, vedendo che al cambio ufficiale due panini costano 5 dollari americani), che sbarcano il lunario, vendendo merci varie agli angoli delle strade in cittá o nei quartieri un po' piú chic, oppure coltivano piccoli appezzamenti di terra, vendendo poi le verdure, o vendono se stesse, come capita quando non hai altro.
Molti di loro vengono dalle campagne o da altri stati come il Malawi o il Mozambico, attratti dal ricco Zimbabwe di un tempo, dalle luci della sua capitale, e sono finiti a Epworth, il posto dove vai se vuoi stare ad Harare e non hai i soldi per un affitto normale.
A questa variegata umanitá appartengono anche membri del partito di opposizione MDC, che pur essendo al Governo qui nel paese non é davvero benvisto. Nello scorso maggio, la polizia di stato é entrata a Epworth nel contesto dell'Operazione Restaura l'Ordine voluta dal Governo e ha buttato fuori un sacco di gente dalla loro case, invitandola -si fa per dire- a tornare alle zone rurali da dove provenivano. Questo non solo per ripulire la cittá dai venditori ambulanti (contro i quali fa continui raid in cittá) e ridarle lustro ma anche per eliminare gli oppositori politici.
A Epworth il grande problema, oltre alla mancanza di abitazioni adeguate (per altro tra le migliori che mi sia capitato di veder sino ad ora), la povertá e il tessuto sociale sfaldato, é di sicuro l'HIV con una delle percentuali piú alte del paese. In Zimbabwe, una persona su 4 é sieropositiva, a Epworth una su 7. In Zimbabwe 3500 persone muoiono ogni settimana di AIDS, piú che in Darfur, l'aspettativa di vita per gli uomini non supera i 34 anni, per le donne i 37, in Iraq invece l'aspettativa di vita é di 51 anni per gli uomini e di 61 per le donne. So che magari questi dati non vi dicono niente, ma provate a pensare al peso sociale di tutto questo: il paese sta morendo, ci saranno generazioni di orfani perché i genitori sono morti di AIDS, l'economia rallenterá, perché non ci sará piú gente che puó andare a lavorare e produrre, i bimbi a scuola non ci andranno perché dovranno prendersi cura dei fratelli e sorelle, ormai senza genitori, i cimiteri sono pieni e non c'é piú posto dove mettere i cadaveri. E tutto questo senza che ci sia una guerra, un conflitto, una catastrofe naturale, tutto senza spargimento di sangue. La gente piano piano se ne va, scompare nel vero senso della parola, spesso in stanze buie, al riparo dagli sguardi dei vicini, e viene seppellita senza fanfare e senza clamore. E questo senza che si sappia fuori dal paese e soprattutto senza che ci sia la possibilitá per molti di avere accesso ai farmaci anti retrovirali che non salvano la vita ma ti permettono di vivere meglio e piú a lungo e magari di veder crescere i tuoi figli.
Vi abbraccio
Cat
20061210
principessa
Marie Antoinette - di Sofia Coppola 2006
All'età di 14 anni, la principessa austriaca Maria Antonietta fu mandata in Francia per sposare Luigi XVI, allora delfino del re Luigi XV, in modo da rinforzare l'alleanza tra i due paesi. Non fu compito facile per lei, mai accettata dai francesi in quanto "straniera", dare un figlio maschio al consorte, vista la sua riluttanza al sesso, come immaginiamo non sia stato semplice resistere ai richiami dello sfarzo della corte di Versailles, della vita mondana, e invece capire le esigenze del popolo, sfinito dalla monarchia, ma soprattutto dagli sperperi di corte, anche in politica estera, e da inverni sempre più rigidi. Dopo la presa della Bastiglia, la Rivoluzione Francese si rivalse anche su di lei, giustiziandola, dopo alcuni anni di prigionia e un processo-farsa.
Il film di Sofia Coppola, già amata e osannata (per conto di chi scrive giustamente) per i suoi primi due film, Il giardino delle vergini suicide (tratto dal bellissimo libro di debutto di Jeffrey Eugenides, autore poi del capolavoro Middlesex) e Lost In Translation, racconta la storia della principessa-bambina dall'età di 14 anni (immediatamente prima del matrimonio) fino all'abbandono forzoso della reggia di Versailles, avvenuto quando lei aveva già 36 anni. Lo fa alla sua maniera, sperimentale e moderna, innestando nella colonna sonora un sacco di musica contemporanea, lasciandosi andare ogni tanto a scene degne di un videoclip, dipingendo la principessa come un'adolescente vogliosa solo di divertirsi, ma incapace di ribellarsi ai voleri della madre che la controlla da lontano. Un'adolescente che non capisce quello che le avviene intorno.
Purtroppo, la magia non si ripete, ed il film parte con ottime intenzioni, ma si rivela deludente e anche un po' noioso. Un susseguirsi di belle scene, girate con maestria con bei costumi, senza un apparente filo logico e, soprattutto, senza nessun valore aggiunto in quanto film storico. Assistiamo asetticamente ai dolori(ni), ai vizi, ai capricci (non solo della principessa), e perfino i sentimenti (che, in situazioni come queste, possono spesso passare in secondo piano a livello di importanza) ci appaiono superficiali e patinati. La performance della apparente mattatrice del film, una Kristen Dunst probabilmente caricata di troppa responsabilità, non fa altro che rendere il tutto piatto che più piatto non si poteva. Chissà se è dipeso da lei o dalle indicazioni della regista, che in altre situazioni (già citate) si era rivelata brava a dirigere.
Delusione in costume. Aspettiamo Sofia alla prova del prossimo film.
christmas time
L'amico Emiliano parla di regali di Natale sul suo blog, http://piazzatatu.blogspot.com/ , e già qualche giorno fa mi aveva fatto venire in mente una riflessione. Ho fatto anch'io regali comprandoli on-line, ho fatto anch'io lo shopping natalizio, i regali all'ultimo momento, ho fatto i pacchettini, ho fatto regali a tutti quelli che conoscevo, ho fatto feste in casa per la vigilia, per dare gli auguri agli amici.
Forse il discorso è legato al post di prima, forse no. Fatto sta che sento sempre meno questa necessità, la sento sempre meno vera. Vorrei che mio nipote non crescesse credendo che è obbligatorio ricevere regali, tantomeno a Natale. Sarà quel che sarà, perchè non è mio figlio, e poi era solo un esempio, lo specchio di tutta questa riflessione. Dovremmo fermarci tutti quanti e pensarci bene. Pensare ad altre cose, più necessarie, più vere, più importanti.
Non è una scusa, non mi è venuto il braccio corto. Chi mi regalerà qualcosa sa che non mi aspetto regali, e sa che molto probabilmente non risponderò al regalo, almeno a Natale. Se sbaglio, mi perdonerete. Se ho ragione, un giorno farete come me.
Foto Cat, Farchana Refugee Camp 8
che sia la volta buona?
Ho passato buona parte delle mie conversazioni, durante il mio ultimo viaggio, a spiegare ai non italiani, che uno dei problemi della politica italiana è, ancora oggi, la vicinanza con Città del Vaticano e il capo della Santa Romana Chiesa, soprattutto sui temi della famiglia, della sessualità, della libertà religiosa, della laicità. Alcuni non capivano bene, ed ero sempre costretto a portare ad esempio le riforme zapateriste in Spagna.
Dopo mesi di confusione, soprattutto sulla Finanziaria, d'improvviso ecco uno scatto d'orgoglio, di impegno politico su grandi temi di diritto civile. Nel frattempo, in sottofondo, le notizie un po' confuse su un'Inghilterra che abbandona i simboli cristiani del Natale (ci sarebbe da discutere a lungo, a parte il presepe, su quale siano i simboli cristiani del Natale) per non urtare gli islamici.
Ovviamente, ecco il contrattacco della Chiesa, che pensa evidentemente che i suoi problemi siano questi, invece di altri. Contrattacco violento, con tutte le bocche da fuoco aperte. Il Papa che tuona contro la scomparsa dei crocifissi, l'Osservatore Romano che sostiene che "sradicare la famiglia è la priorità della politica italiana".
Di recente, una cara amica, cattolica praticante, attiva nel volontariato, mi raccontava di un personaggio che entrambi conosciamo bene, un medico, politicamente vicino all'estrema sinistra, una persona splendida con un'umanità superlativa, divertente, mai palloso, che svolge con coscienza il suo lavoro di medico di base, intervallandolo con il salvataggio di centinaia di vite umane in Africa, senza pretendere medaglie o pagine di giornale. Lavorando lei per qualche settimana fianco a fianco con questa persona, è venuta a conoscenza del fatto che questo medico era un fervente cattolico, ma che dopo il genocidio del Rwanda, da lui vissuto come medico volontario, ha perso la fede in maniera radicale.
Non credo perderò la fede, né davanti a genocidi, né andando in Africa. Certo è, però, che difficilmente rimetterò piede in una chiesa, se non da turista, e soprattutto è improbabile che salga il mio rispetto per le istituzioni della già citata Santa Romana Chiesa, finchè i reggenti saranno così insopportabilmente ingerenti e fuori dal tempo.
E' l'ora di svegliarsi, mie care statue di cera con la mitra. Se non fosse che su questi temi mi incazzo facilmente, mi fareste sorridere.