No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20111015

il bello di piangere



Lo bueno de llorar – di Matías Bize (2006)



Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: ‘iacchera ‘iacchera…


Barcellona. Vera e Alejandro non sono giovanissimi, ma neppure anziani. Una bella coppia, stanno insieme da anni. Ma, dopo qualche minuto, si capisce che tra di loro sta finendo. Aleggia la rottura, e la rottura durerà una notte intera, incontrando amici e conoscenti, parenti, andando in discoteca per una festa di compleanno, prendendo i mezzi pubblici, passeggiando, entrando in un supermercato aperto 24 ore, trovandosi immischiati in discussioni assurde, impaurendosi per un nulla. Attraversando la città, dall’alto, verso il mare. E lì, finalmente, trovare la pace, e la forza di lasciarsi.

Dopo Sábado e En la cama (e prima di La vida de los peces), Bize continua il suo personale percorso nell’osservazione delle dinamiche di coppia. E prosegue pure sperimentando un linguaggio visto, ma personale, dal punto di vista tecnico/formale: digitale, camera a mano, sempre addosso ai protagonisti, largo uso del piano-sequenza. Oltre ai due attori, che interpretano la coppia protagonista, il terzo protagonista è pure la città di Barcellona: intima, grande, accogliente, calda. Una lezione per il Woody Allen di Vicki Cristina Barcelona.
Come fa notare correttamente Tonio L. Alarcón, il riferimento chiaro è a Before Sunset – Prima del tramonto di Linklater, il sequel di Before Sunrise – Prima dell’alba, ma i dialoghi sono sicuramente meno interessanti, anche se c’è da notare che in realtà, nella vita non è che si facciano tutte queste riflessioni sui massimi sistemi: abbiamo tutti un serio problema di comunicazione, soprattutto quando stiamo parlando alla persona amata.
I due protagonisti sono abbastanza bravi, mi è piaciuta di più Vicenta N’Dongo (Vera) di Alex Brendemuhl (Alejandro, quest’ultimo troppo sofferente), c’è sicuramente qualche sbavatura in Lo bueno de llorar, girato in 11 giorni e montato in meno di una settimana, e non è certo un film usuale. Ma rimane un’opera interessante, anche se di transizione, secondo me.

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