No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20060216

Colombia gen 06 - 28


Holiday in Colombia 13
17/1/2006 Rats

Qui non ci sono tende, ci si sveglia col sole e via, si sonnecchia un altro po’ e ci si dondola. Ho dormito peggio altre volte, in verità. La colazione si fa con quel poco che ci avanza negli zainetti, qualche wafer comprato sul bus per arrivare. Salutiamo Colin Farrell e ci incamminiamo per Cabo, meno di un’ora di cammino, sentiero che costeggia il mare ma è già dentro la jungla, il sole picchia abbastanza anche se è mattina. Arriviamo senza difficoltà, il posto mi pare meno suggestivo di Arrecifes; c’è un ristorante, un piccolo bar, una grande tettoia dove da una parte stanno i tavoli del ristorante e il banco dove fanno le macedonie di frutta (particolare che si rivelerà importantissimo), dall’altra stanno già pronte le amache, una accanto all’altra, molto strette. Ormai siamo lì, rimaniamo e affittiamo un’amaca ciascuno. Andiamo in spiaggia (si dice così, ma è a due metri), e constatiamo che l’impressione che avevamo avuto il giorno precedente è realtà: l’onda di risacca del mare è fortissima e piuttosto lunga, non è semplicissimo fare il bagno, bisogna stare attenti. Io Peter e Francesco troviamo il modo di divertirci: rincorsa dalla battigia e tuffo di schiena contro l’onda in arrivo, meglio se grande. Ci viene fame, e rifacciamo quei pochi metri che ci separano dal ristorante. C’è da dire che dentro il parco, in generale, c’è meno gentilezza da parte di gestori e camerieri. A parte Colin Farrell. Dopo mangiato, camminiamo lungo la costa, ma le spiagge sono tutte simili. Ci divertiamo ancora un po’ a tuffarci dentro le onde, camminiamo ancora un po’ ma c’è poco, a parte questa natura debordante, e non riusciamo a fare buio, quindi torniamo a Cabo, ci mettiamo a un tavolino, beviamo qualcosa e diamo il via libera alla chiacchera; Juli familiarizza con una ragazza di Buenos Aires, un’altra l’avevamo conosciuta ieri ad Arrecifes. Quando si allontana, comincio a capire, come già detto, che i porteños non stanno molto simpatici agli altri argentini, dai commenti di Juli. Andiamo a fare la doccia, fredda, qualcuno (io) lava un po’ di biancheria, qualcuno riposa in amaca. Cerchiamo di tirare più tardi possibile, ma non c’è niente altro da fare, e quindi ci sediamo e ceniamo. Dopo un buon piatto di spaghetti, il che mi stupisce, devo sfoderare tutta la mia simpatia e 1000 pesos di mancia per farmi fare una porzione di papas fritas, e anche chiamando mi vida la camarera (che, per inciso, dimostra si e no 14 anni) ci vuole mezz’ora. Le papas fritas o le mangi nel piatto unico, oppure devi pregare per fartele fare da sole. Finita la cena rimaniamo al tavolo, beviamo cerveza, raccontiamo di noi, c’è una bella alchimia. Le luci si spengono a poco a poco, chiude il ristorante, chiude il bar. E’ quasi l’ora di andare in amaca. Guardo il sottotetto e intravedo un topo abbastanza grande che scorazza sulle travi di legno, qualcuno strilla. Sarà una cosa isolata? Si spengono le luci, tutti in amaca. Quando le voci si abbassano, ma gli occhi sono ancora aperti, si cominciano a sentire dei rumori, degli squittii. Si aguzza la vista nel vuoto, aiutati dalla luna, e si riesce a vedere distintamente che la trave centrale, dove sono legate anche le amache, è una specie di “passeggiata” di topi da una decina di centimetri. Qualcuno dorme, ma chi è sveglio e capisce non è molto contento. Non mi sento molto comodo, a Peter non fa né caldo né freddo, Francesco è piuttosto schifato, Juli anche. La processione aumenta di intensità, comincio a pensare che sensazione sarebbe sentirsene cadere uno addosso e mi irrigidisco. Forse era meglio una noce di cocco da 15 metri di altezza? Occhi sbarrati. Non so come, riesco a prendere sonno. Domattina abbiamo deciso di andare a Pueblito, c’è da camminare in salita almeno un’ora e mezzo all’andata e altrettanto al ritorno, poi almeno altre due ore per uscire dal Tayrona, torniamo a Santa Marta, e vediamo che ora facciamo, poi decidiamo.
Ma durante questo sonno leggerissimo e preoccupato, all’improvviso sento Juli che strilla e, avendo l’amaca accanto alla mia, mi dà un colpo al fianco. Il giorno dopo riuscirò a capire che si era svegliata con la sensazione che le fosse caduto un topo nell’amaca. Mi rompo i coglioni e mi alzo. Non posso dormire con questo stato d’animo, non lì sotto l’autostrada dei topi. Vado in riva al mare, prendo due sedie dal ristorante e aspetto l’alba. Tanto prima o poi arriva. Io l'aspetto qui.

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