No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20060214

Colombia gen 06 - 23


Holiday in Colombia 9
13/1/2006 E pensare che Botero abita a Pontremoli

Sveglia quasi con il sole (diventerà una consuetudine qui in Colombia, le tende non usano, e se ci sono non trattengono la luce), colazione, poi andiamo in centro a prendere un coletivo per il terminal dei bus (uno qualsiasi, da notare che ce ne sono due a Bogotà, ma anche, scopriremo, nelle altre grandi città colombiane), e da lì cerchiamo un altro bus per Zipaquirá, un pueblito che in teoria dista meno di un'ora da Bogotà, ma che diventano due abbondanti. La realtà è che quasi tutti i bus si fermano ovunque per caricare gente, e a richiesta si fermano ovunque per farla scendere. Bisogna abituarsi.
A Zipaquirà, se possibile, fa ancora più caldo che a Bogotà; prima di cominciare a cercare di capire come possiamo fare per arrivare a questa famigerata cattedrale di sale, cerchiamo di mangiare qualcosa. Comincio a rendermi conto che anche qui, per me, vegetariano, sarà un problema. Non riesco a convincere le signore del posto dove ci fermiamo a farmi un pezzo di pizza senza prosciutto. Mi devo arrangiare con papas fritas. Prendiamo un taxi e andiamo alla cattedrale, non capendo ancora bene che cosa sia, ma ci hanno consigliato di andare. Si sale un po', e si arriva all'entrata: cara, più di 5 euro, ma sono compresi la visita guidata alla cattedrale, il museo della salina e il museo precolombiano. Occasione ghiotta.
Comincia la visita guidata, e cominciamo a capire: stiamo entrando in una montagna fatta di sale, dove da anni si estrae sale; la parte più vecchia e ormai inutilizzabile per l'estrazione, con un'abilissima mossa di marketing, è stata utilizzata per ricavarci una chiesa e una specie di Via Crucis con tanto di stazioni ed enormi croci, utilizzando i tunnel già esistenti per l'estrazione. In effetti, ci si diverte quasi di più a sentire il ragazzo che ci guida, che si dà da fare, che a vedere il tutto, anche se è senz'altro un lavoro grosso. Che cosa ti fa fare la fede…oppure, appunto, il marketing?
Nel gruppo della visita c'è anche qualche ragazza carina, così almeno si guarda altro, inoltre c'è un italiano; lo scopro quando correggo la guida che dice che il marmo di una scultura è di Massa-Carrara. Gli faccio notare che Carrara è una cosa, Massa un'altra, anche se fanno provincia insieme, e che se a uno di Carrara gli dai del massese, e viceversa, quello s'arrabbia. L'italiano apprezza e dice "si sente che è toscano" alla moglie. Segue l'altra visita guidata al niente, dove però ci spiegano come si è evoluta l'estrazione del sale, almeno qui in questa salina. Il museo precolombiano è distante, ma c'è la discesa. Ci arriviamo dopo un po', e siamo particolarmente allegri, comincia ad esserci un po' di coesione vera tra me e Juli; dopo aver visto il museo dell'oro a Bogotà questo è un po' deludente, anche se si rafforza l'idea che le tribù indios fossero davvero tantissime, e che quindi i conquistadores ne abbiano sterminate a centinaia. Attraversiamo Zipaquirà, coloniale quanto basta, e torniamo al terminal per prendere il bus e tornare a Bogotà.
Il verde ti sovrasta, e pensare che siamo lontani dalla selva. Il bus ci scarica all’altro terminal, il più lontano dal centro, ma noi (Juli) non desistiamo, prendiamo un coletivo e andiamo all’altro terminal, così facciamo i biglietti per l’indomani: viaggeremo per Santa Marta, verso nord. Per la prima volta vedo Juli “trattare”: riesce a pagare 70mila pesos cadauno dei passaggi che le avevano proposto a 100. Maradona della trattativa.
Altro coletivo, torniamo in centro, dritti al museo Botero: molto bello e ben tenuto. Botero è un artista divertente, ha, come tutti sanno, uno stile personale e riconoscibilissimo, ma soprattutto ha un’ironia devastante, tutte le sue opere sono pervase di latinoamerica ed ironia. Me encanta. C’è anche una parte dedicata a vecchi macchinari, un’altra ancora dedicata ad altri artisti, contemporanei e non; il museo però sta per chiudere, e io ho i piedi in fiamme. Torniamo verso l’hotel e facciamo un po’ di spesa in un piccolo supermercato; in fila incontriamo il figlio della signora dell’hotel Saragoza. Un’altra faccia che rimarrà a vita nella mia memoria.
Ceniamo nella cucina dell’Aragon, mi arrangio con delle pennette a rischio scottura e della crema di latte; il risultato è apprezzabile. Ci fa visita anche don Manuel (nella foto), el dueño dell’Aragon, personaggio discreto ma sempre pronto ad elargire consigli ai viaggiatori. Sono deciso ad andare a letto presto, ma l’irruzione di Peter, lo svizzero, cambia i piani. Mi convincono ad uscire. E così sia.
Prima proviamo ad entrare in un locale che ci ha consigliato Leonardo, ma costa caro, ripieghiamo su un bar angusto proprio lì di fronte, ma molto più economico, beviamo qualche birra, c’è un sacco di gente; con noi c’è anche Mohammed, un francese di chiare origini algerine, simpatico ma logorroico. Il problema è anche un altro, ripete sempre gli stessi concetti, si esprime male in castigliano, lingua di scambio in questo caso. Juli e Peter sono iper-attivi, e quindi cerchiamo un locale da ballo. Nessuno di noi balla escluso Juliana, che trova finalmente un cavaliere locale che la fa sfogare. Nel momento in cui “il cerchio si stringe” mi usa come paravento e dice che sono il suo novio. I locali chiudono alle 3, e Juli si inquieta, in Argentina, come già saprete, alle 6 si va in cerca di discoteche. Fosse per me alle 23 sarei a letto da mezz’ora. Anche per oggi abbiamo dato, domani ci aspetta un’altra giornata piena più un viaggio che si prospetta di almeno 12 ore. Entonces, buenas noches y hasta mañana.

1 commento:

lafolle ha detto...

bello bello.
avanti avanti.
il grande romanzo del viaggio!