No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20070111

storie scandinave


Dopo il matrimonio - di Susanne Bier 2006

Giudizio sintetico: da vedere.

Jacob, danese, fa il volontario in India, ama quello che fa, i bambini che, ogni giorno, riesce non senza fatica a salvare dalla strada, dargli un'istruzione. Alla ricerca di fondi, visto che al progetto al quale sta lavorando mancano, è costretto a malincuore a tornare in Danimarca: un finanziatore è interessato al progetto, ma vuole conoscere di persona il curatore. Visibilmente scocciato, cerca di fare buon viso a cattivo gioco, ma non vede l'ora di tornarsene in India. Il finanziatore, Jorgen, è un ricchissimo uomo d'affari, che però temporeggia, dimostrandosi interessatissimo al progetto, ma rimandando a dopo il fine settimana la decisione. Il giorno seguente si sposa sua figlia maggiore, e in uno slancio, invita Jacob al matrimonio; Jacob si vede costretto ad accettare.
L'indomani il missionario, sempre più a disagio, arriva in ritardo in chiesa, e lì, trafelato, trova ad attenderlo una sorpresa: la moglie di Jorgen è una sua vecchia fiamma. Si incrociano gli sguardi, si gonfiano i visi di imbarazzo.
Le soprese non finiscono qui.

E' un'accoppiata micidiale quella alla "testa" di questa pellicola davvero interessante; la regista ci aveva incantato col suo ultimo lavoro Non desiderare la donna d'altri, mentre le altre due mani che scrivono la sceneggiatura sono niente meno che quelle di Anders Thomas Jensen, sceneggiatore e regista del fantastico Le mele di Adamo, un film che ha sovrastato tutte le altre uscite del 2006. La faccia dell'interprete principale, per rimanere in zona, è quella di Mads Mikkelsen, il prete de Le mele di Adamo, in questi giorni sugli schermi nei panni del cattivo in 007 - Casino Royale, e sinceramente, di meglio non potevamo pretendere.

Il film è intenso sin da subito, con una fotografia calda, così da scioccarci al passaggio tra India e Danimarca; la camera, spesso a mano, è alternativamente invasiva sui primi piani, bucolica e particolareggiata sui campi lunghi nel verde danese e nei particolari di contorno (piante, animali impagliati). Esemplare la ripresa avvolgente con il carrello che gira intorno all'altro protagonista, Jorgen, finendo quasi violentandogli il volto: la regista sta tentando di dirci qualcosa, qualcosa che scopriremo più avanti. L'invasività della macchina da presa della prima parte, così come questa ripresa, acquista un senso profondo nella seconda parte, quando i sentimenti forti, i legami antichi invadono la scena: in quel momento, la regista si fa leggermente da parte, mantenendo però una mano forte, quella mano che riesce a far parlare i volti e le espressioni degli attori.
La storia appare scontata solo quando ci è chiara, e in quel momento ci rendiamo conto che ci siamo arresi davanti al volere più che legittimo di un uomo ormai vicino alla fine. La maestria degli orchestratori di questa storia sta nel rimanere pericolosamente in bilico tra melodramma e realtà, verosimiglianza e tragedia forzata. Non poteva essere sobrio, un film così, ma poteva essere scontato e pesante in mano ad altri registi. La Bier invece maneggia con cura il materiale a sua disposizione, e ne ricava un altro spaccato profondo su come può essere inteso e vissuto il dolore in seno alla famiglia. Attori meravigliosi.
Intenso.

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