Giudizio sintetico: da vedere (4/5)
Proibitogli dal governo di girare film e di lasciare l'Iran, a causa dei suoi film politicamente critici, il regista Jafar Panahi, che interpreta una versione romanzata di se stesso, ha affittato una stanza nel villaggio di Jaban, vicino al confine tra Iran e Turchia, dove sta dirigendo da remoto un docudrama su una coppia iraniana, Bakhtiar e Zara, che stanno tentando di ottenere passaporti falsi per poter fuggire dal paese dopo anni di abusi governativi. Bakhtiar è riuscito a ottenere un passaporto per Zara ma non è riuscito a ottenerne uno per sé, il che angoscia Zara. Mentre guarda la sequenza in live streaming sul suo computer, Panahi perde la connessione e viene tagliato fuori. Panahi si prepara per la giornata ed esce per fotografare il villaggio. (Wikipedia)
Non riesco a trovare più aggettivi per descrivere la bravura del regista iraniano, che ormai ha trasformato il divieto impostogli dal regime, di girare film, in una capacità aggiuntiva, in un livello ancora più alto di maestria. Anche stavolta, affascina, diverte, abbindola, e piccona fortissimo la teocrazia illiberale del suo stesso Paese, prendendosi gioco di tutti, sé stesso incluso, e portando lo spettatore ad una altalena di divertimento e commozione, lasciandolo esterrefatto e deliziato. Tutto bellissimo.
I can't find any more adjectives to describe the skill of the Iranian director, who has now transformed the regime's ban on making films into an additional skill, into an even higher level of mastery. Once again, he fascinates, entertains, deceives, and undermines the illiberal theocracy of his own country, making fun of everyone, including himself, and taking the viewer on a swing of fun and emotion, leaving him astonished and delighted. Beautiful.