No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20060305

a sangue troppo freddo


Truman Capote – a sangue freddo – di Bennett Miller 2006

Truman Capote (1924-1984) fu scrittore statunitense importante. Dandy, irriverente, gay (fra i primi ad ostentarlo, tra l’altro), nel novembre del 1959 scriveva già per il New Yorker ed era piuttosto famoso per “Colazione da Tiffany”, avendo tra l’altro lavorato anche alla sceneggiatura del celebre film tratto dal suo romanzo, quando un sanguinoso fatto di cronaca attira la sua attenzione: a Holcomb, in Kansas, un’intera famiglia è stata sterminata nel sonno da ignoti. Lo scrittore intuisce immediatamente qualcosa, la potenzialità di questa storia se trasportata su carta come una fiction noir, e parte immediatamente per Holcomb in compagnia dell’amica fidata, quella Nelle Harper Lee che più tardi scriverà “Il buio oltre la siepe”, vincendo un Pulitzer. Quest’ultima si rivelerà fondamentale, visto che Capote, lontano dai salotti di New York e dall’intellighentia statunitense, lì, nella profonda provincia americana, riesce con difficoltà ad essere accettato, e ancor meno a dialogare. Nonostante questo, grazie all’intercessione della moglie, fan di Capote, i due riescono a raggiungere una formale conoscenza con l’agente Dewey, incaricato delle indagini. Dewey dopo qualche tempo riesce ad arrivare ai due colpevoli della strage, Perry Smith e Dick Hickock, che vengono arrestati a Las Vegas. Incrinando il sottile legame con Dewey, Capote stringe una specie di legame con i due colpevoli, affascinato soprattutto da Perry, con il quale scopre molte affinità. Capisce che la storia può servirgli non per un articolo, bensì per un suo libro, il suo capolavoro. Li aiuta procurandogli un buon avvocato, che riesce a rallentare la macchina della giustizia prima, e a rimandare parecchie volte l’esecuzione poi. Se dapprima questa cosa gli permetterà di approfondire la conoscenza dei personaggi, e a definirli per una loro precisa descrizione, quando Capote capisce che il suo romanzo è terminato, ed è potenzialmente un grande lavoro, i continui rimandi dell’esecuzione diventano un ostacolo alla possibilità di mettere la parola fine alla storia, creando in lui un conflitto lacerante: da una parte l’affetto sviluppato per Perry, dall’altra la natura avida e profittatrice dello scrittore orgoglioso, pieno di sé, narcisista e arrivista. La coda sarà straziante, e, se per i due condannati finirà stroncata da un cappio al collo, per Capote sarà solo l’inizio di una lunga agonia.
Non è affatto male questo debutto di Miller, che decide di raccontare l’interessante figura di Capote non con la classica bio-pic, bensì con la genesi del suo romanzo fondamentale (appunto, “A sangue freddo”). Si aiuta con i dualismi (i salotti di Capote e la provincia americana, la sicurezza dei semplici – la famiglia sterminata – e l’efferatezza senza spiegazione degli assassini, l’affetto di Capote per Perry e la sua impazienza perché le esecuzioni si compiano, le sue bugie sugli avvocati o sulla stesura del romanzo, il suo rapporto con il compagno Jack Dunphy, Capote così ciarliero, estroverso e salottiero, Dunphy così riservato e low-profile), ma soprattutto lascia campo libero ad un immenso Philip Seymour Hoffman, attore straordinario, da sempre caratterista di grandissimo livello, e finalmente alla consacrazione mondiale con questo film, lavora bene con la fotografia per dipingere un’america demodè, è un po’ fermo con la telecamera, ma questo è il ritmo che ha pensato di dare al film.
Nonostante tutto ciò, alla fine il risultato è un po’ freddo, paradossale se si pensa alla complessità della storia, e il pensiero che si potesse affrontare il tutto in un altro modo non ci abbandona. Ci rimangono una prestazione straordinaria di un probabile vincitore di Oscar, e una sorta di commiserazione profonda per il personaggio Capote, viscido e incapace di essere se stesso fino in fondo; ce lo fa perdonare solo l’apparente calvario che sconterà fino alla sua morte, evidentemente incapace di perdonarsi per la sua meschinità.

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