No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100905

crying song

A volte, la cosa mi preoccupa. Più spesso, mi immagino sdoppiato, con il me più forte che rassicura il me più debole con pacche sulle spalle e dicendo "sei solo troppo sensibile", in un tripudio di luoghi comuni da peggior film americano.
So che vi starete già chiedendo di cosa voglia parlare, lo so. Vi accontento subito. Come vi ho detto più volte, piango spesso, molto più spesso di quanto possiate immaginare. Non solo piango: mi commuovo continuamente, mi toccano cose apparentemente insignificanti. Questa mattina, ad esempio, mi sono immalinconito in auto, ovviamente da solo, mentre tornavo dalla piscina, ascoltando Radio 24, trasmissione "L'amico immaginario". Parlavano di Pippi Calzelunghe. L'autrice svedese dei libri, gli attori bambini che recitavano le parti principali, i motivi che avevano spinto l'autrice ad "inventare" un personaggio così estroso.
Mi viene sempre in mente un episodio della mia vita da bambino. Una sera stavamo guardando l'Eurofestival, insieme a mia madre. Sono andato a controllare su Wikipedia: era il 1974, avevo quindi 8 anni, vinsero gli Abba con Waterloo. Dopo la loro vittoria mi misi a piangere, mia madre cercò di capire perchè. Le dissi che piangevo perchè li invidiavo: avevano raggiunto uno scopo nella vita, ce l'avevano fatta. Avevo paura di non riuscirci. Mia madre mi consolò, non ricordo neppure bene come.

Non so se i motivi che generano ancora oggi commozione in me stesso sono i soliti. Direi che forse sono più nostalgia, rimpianto per la giovinezza "perduta", rabbia per le ingiustizie e per un senso di impotenza che sento immediatamente davanti a catastrofi umanitarie, ma pure dinnanzi a palesi ingiustizie italiane, perfino quando metto a fuoco che una cosa secondo il mio punto di vista giusta non è condivisa dalla maggioranza dei cittadini.
Ma c'è di più, almeno credo. C'è pure questo senso di incompiutezza che mi assale mentre, ancora una volta, esco dal mio corpo (e, vi assicuro, ce ne vuole per trovare l'uscita) e mi guardo da spettatore imparziale, analizzando la mia vita al punto in cui sono. Vedo una persona tutto sommato tranquilla, soddisfatta, alle prese con, come sono solito dire mentre parlo con altre persone più sfortunate di me, "problemi di gente che non ha problemi". E, vi dirò, non sono per niente sicuro che l'incompiutezza dipenda dal fatto che non ho una persona con la quale fare progetti insieme per il futuro, immediato o un po' più a lunga scadenza. Non so, mi dà più l'idea che sia qualcosa di più grande, come il non essere riuscito a compiere qualcosa di grande davvero. D'altro canto, la mancanza di talento genera frustrazione, ma l'equilibrio ci impone di riconoscerla, e di imparare a conviverci.

Dite che mi serve davvero un'analista?

4 commenti:

Matteo ha detto...

no va bene così.
Considerando poi le cose che rendono soddisfatte le persone al giorno d'oggi, direi che va non bene, benissimo.

cipo ha detto...

Ale, va benissimo, davvero. Sei sensibile, tutto qui. E tutti prima o poi dobbiamo confrontarci con uno (o più) reality checks, cioè prendere atto che limiti, difficoltà, disillusioni ci sono, inevitabilmente ci sono, e dobbiamo prenderne atto e tirare avanti. Io lo so bene, ero (e per certi versi rimango) un sognatore ad occhi aperti, e ho dovuto scendere a patti col fatto che tanti sogni non si avverano.

La giovinezza non ritenerla 'perduta', però. Casomai vissuta, spesa a farsi le proprie esperienze. È ciò che ti fa essere oggi quello che sei. E la vita potrebbe riservarti meravigliose sorprese, fattelo dire da uno che sta passando un bellissimo (ancorché impegnativo...) periodo.

Auguri, sinceri, davvero.

Per finire: Pippi Calzelunghe me la ricordo bene. Io mi ero innamorato di Annika ;) Lo vedi? Un altro sogno irrealizzato :D

massi78 ha detto...

Io fossi in te andrei.
E non perché tu abbia problemi bada bene (cioè il tipo di problemi che hai l'hai già detto tu). Ma vedendola da un certo punto di vista:
i vaini non ti mancano e il tempo certo è sempre un po' quello che è, ma un'ora a settimana non è un dramma.
Vai da uno, fai un primo incontro e vedi come ti senti, al limite cambi, fai un po' di sedute, e se ti pare di star buttando via tempo e soldi puoi sempre smettere no?
Alla peggio ha pur sempre qualcosa da raccontarci sul blogghe.

Filo ha detto...

Siamo sulla stessa barca: ogni anno a Capodanno, ma più spesso alla fine delle ferie, mi coglie questo senso di tempo che scorre e io che guardo.
Faccio parte di questo mondo, ma - mi sembra - in maniera marginale. Il senso di incompiutezza della mia persona si consola solo nell'essere utile alle mie figlie, nel farle crescere il meglio possibile. E questo dà anche un senso alla mia vita, che alle volte mi sembra fin troppo inquadrata, piatta, scialba.
Come se ne esce? Non lo so. Se lo scopro te lo dico.