Post Mortem - di Pablo Larraín (2010)
Giudizio sintetico: da vedere (4/5)
Giudizio vernacolare: addiacciante
Santiago del Cile, settembre 1973. Mario Cornejo è un funzionario dell'obitorio di uno dei maggiori ospedali della capitale: trascrive, battendoli a macchina, i referti delle autopsie, eseguite dal dottor Castillo, il capo reparto, e Sandra, una collega con la quale ha una relazione. Mario, però, è fortemente attratto dalla donna che abita la casa di fronte alla sua, Nancy Puelma, più giovane di lui ma ormai troppo vecchia per fare il suo lavoro: è una ballerina di
can-can, in un teatro della città. Mario la avvicina nel camerino che divide con le altre ballerine più giovani, proprio mentre lei sta avendo una discussione col suo capo, sul fatto che sia troppo magra e non abbastanza attraente per essere una
primadonna. Comincia così una strana relazione, che Mario, persona a compartimenti stagni e con una logica di principi altrettanto di strette vedute, prende per un fidanzamento, o, quantomeno, a lui piace pensare che sia così.
La casa di Nancy è teatro di riunioni di attivisti socialisti, sostenitori del Presidente Allende, mentre quella di Mario, lontana solo la larghezza di una strada, è silenziosa, dimessa, lo rispecchia in pieno. Nancy a volte la prende per un rifugio.
Arriva l'11 settembre, e la vita cambia. All'obitorio arrivano i militari e molti, moltissimi cadaveri, sempre di più. Dottori e funzionari vengono controllati dai militari. Contemporaneamente, la casa di Nancy viene devastata, lei sparisce come pure il padre ed il fratellino. Mario comincia a cercarla disperatamente, e subito dopo viene convocato, insieme al dottor Castillo e a Sandra, per effettuare un'autopsia in un altro luogo, un'autopsia di un cadavere che rimarrà nella storia del suo Paese per sempre. Vengono dotati di elmetto per attraversare una città ormai desolata.
E' sempre rischioso usare certe parole, ma per questo film ne potremmo pure rischiare una come
capolavoro. Larraín, che personalmente non mi aveva convinto in pieno col suo precedente
Tony Manero, dopo la visione di questo
Post Mortem mi ha fatto quasi rivedere il mio giudizio pure su quello. Perché pur essendo mediamente giovane (35 anni), e quindi non avendo vissuto in prima persona il 1973 cileno, e pur essendo figlio di due politici dell'
UDI, partito centrista, non direttamente collegato a Pinochet, ma che sicuramente è, almeno ideologicamente, meno lontano da lui rispetto allo
schieramento di centro-sinistra, persegue una personale indagine su quella pagina cilena. Lo fa usando personaggi come metafore, lasciando però ampio spazio al lavoro dello spettatore, che travolto dalla freddezza estetica che è la cifra stilistica del regista stesso, unita ad un senso dell'umorismo spietato (e ad un disinvolto uso della morbosità, altra caratteristica che lo contraddistingue), che non fa prigionieri e ti obbliga a ridere quasi controvoglia, viste la situazioni morbose messe in piedi ogni volta, spettatore che, terminata la visione, si ritrova a cercare di interpretare la messa in scena. Il bello di questo tipo di cinema sta proprio qui. Larraín, che in moltissimi passaggi mi viene da descrivere come asiatico, definizione che ormai non è più centrata, visto che lo stile minimale e rarefatto, condito da un umorismo caustico, è comune a una buona parte di cinema sudamericano, non si limita però all'indagine: ci regala grande cinema, con grandissime scene madri, che rimangono piantate nella memoria, magari, per il momento, usando sempre gli stessi attori, ma che per il momento gli danno ragione. Alfredo Castro, nel film Mario Cornejo (che, pare, esista veramente, e pare che l'idea del film sia scaturita da un articolo che raccontava la sua partecipazione all'autopsia su Allende), dopo questa prova diventa una realtà attoriale straordinaria: la sua prova è strabiliante, da 10 su 10. Per non dire poi del resto del cast, non numerosissimo, ma tutto splendidamente in parte.
Lo stile di Larraín è riconoscibile, ma se possibile affinato: alternando inquadrature fisse alla camera a mano, di certo non verrà ricordato per il suo funambolismo, ma così facendo non distoglie lo spettatore dalla storia, e lo costringe pure a perdersi nei particolari.
Fotografia pulita, ma tutta giocata su colori tendenti al grigio, ritmo lento ma non noioso, momenti di tensione emotiva vibrante, ottenuti solo con la forza della storia e dei personaggi, senza "aiutini" (come la musica), alcune scene da grandissimo cinema: ne cito solo tre, per non esagerare. La scena iniziale. La devastazione della casa di Nancy, con Mario sotto la doccia. La scena finale: cinque minuti di camera fissa, con il protagonista che esce e rientra nell'inquadratura, senza dialogo, senza dissolvenza, con lo spettatore lì, obbligato a prendere coscienza di quello che Mario sta facendo, e a tirare le prime conclusioni della storia.
Il film, che ha rischiato di prendere il Leone d'Oro all'ultima Mostra di Venezia, risulta uscito in Italia il 29 ottobre 2010, ma se davvero è stato così, la distribuzione lo ha massacrato. Esiste la locandina italiana, quindi al massimo lo troverete in dvd a breve.
Pablo Larraín, segnatevi questo nome. E' nata una stella.