Tony Manero - di Pablo Larraín 2009
Giudizio sintetico: si può vedere
Santiago del Cile, fine anni '70: Pinochet è al potere, c'è il coprifuoco, i militari con le camionette che girano per le strade minacciosi, la polizia in borghese che si "occupa" dei dissidenti e di chiunque non si uniformi. Raúl Peralta è un cinquantenne disoccupato che vive da "sciacallo", sfruttando il fascino (??) perverso che esercita sulle donne: infatti, vive in un bar/pensione dove la padrona Wilma lo vorrebbe, lui sembra stare insieme a Cony ma spesso flirta con la di lei figlia Pauli, poco più che adolescente. Le donne, però, non sono la sua prima preoccupazione. Lui in verità non è Raúl Peralta, lui è Tony Manero.
Raùl/Tony ha due impegni a breve: un'esibizione nel bar/pensione dove vive (insieme a Cony, Pauli e Goyo, un amico/fidanzato di Pauli, che coinvolge la stessa Pauli in alcune attività anti-Pinochet), e il concorso televisivo per sosia di, nella serata dei sosia di Tony Manero, ovviamente. Questi impegni ci mostrano di che pasta è fatto: è disposto a tutto, ma proprio a tutto, per riuscire.
E' un po' una delusione, questo strombazzato Tony Manero, vincitore dell'ultimo festival di Torino. Come sempre, forse è colpa delle aspettative soggettive. Il film è un lavoro onesto e soprattutto simbolista, metaforico. Il protagonista è, evidentemente, la metafora del Cile di Pinochet, completamente proteso verso gli USA e disposto a qualsiasi nefandezza pur di conseguire l'obiettivo. Totalmente avulso da quello che gli succede intorno. Sta qui il difetto del film, a parere di chi vi scrive. Mentre Raùl diventa una sorta di Patrick Bateman (ancora? Dovreste averlo imparato...il protagonista di American Psycho) cileno (lo so, hanno usato questo paragone anche altri recensori, ma vi assicuro che la cosa mi è venuta in mente prima di aver letto qualsiasi altra cosa), i cileni vengono sopraffatti, violentati, privati di qualsiasi elementare diritto civile. La cosa è piuttosto chiara, e nonostante tutto si rischia di perderla di vista. Per fortuna che verso l'epilogo, la scena di Raùl che riesce ad arrivare in tempo alla sede della televisione per il concorso dei sosia, nonostante un "feroce" contrattempo, sottolinea in maniera esauriente la cosa. Perchè il comportamento di Raùl è talmente assurdo, incredibile, che il tutto assume contorni comici e soprattutto grotteschi, fino all'ilarità incontenibile che suscita negli spettatori la reazione del protagonista alla notizia che Goyo si è comprato un vestito "alla Tony Manero" e parteciperà alla gara dei sosia in televisione. Risate che, come a volte accade, ti fanno sentire colpevole un attimo dopo.
Fotografia sporca e sgranata, camera quasi perennemente a mano a scavare i volti più che imperfetti, brutti e cattivi di tutti i protagonisti, nessuno escluso, con una regia, quindi, quasi invasiva, il film si regge interamente sulle spalle, evidentemente più larghe di quel che sembra, di Alfredo Castro, il protagonista assoluto (tra l'altro anche sceneggiatore), che riesce a farsi odiare per tutta la durata del film. Provare per credere. Impressionante, in alcuni frangenti (la locandina è esplicativa), la somiglianza con Al Pacino.
Non aspettatevi quindi, un film epico, che rimarrà nella memoria del cinema per la forte denuncia, bensì un contributo molto personale del regista alla causa della conservazione della memoria del misfatto cileno, per apprezzare il quale, però, bisogna arrivare un minimo preparati storicamente.
1 commento:
LABOSO :
C'era grande attesa per il film, come diceva il grande grandissimo Ale, però il giudizio "si può vedere" potrebbe essere tradotto come uno "yes we can" di Obama...
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