No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20090115

la supercazzola


Amici Miei - di Mario Monicelli 1975

Amici Miei Atto II - di Mario Monicelli 1982

Amici Miei Atto III - di Nanni Loy 1985


Giudizio sintetico: imperdibili


Amici Miei: Firenze, anni '60. 4 inseparabili amici non più giovanissimi non riescono a frenare il loro istinto infantile di fare continuamente scherzi e di prendere sempre la vita dal suo lato migliore, il divertimento a tutti i costi.

Il Necchi è sposato e ha un bar che gestisce con la moglie: la sala biliardo del bar è il "quartier generale" dei fantastici quattro.

Il Perozzi è un redattore di un quotidiano locale, lavora di notte e di solito prima di rientrare si intrattiene con l'amante, la moglie del fornaio del quartiere, prima di tornare a casa dalla moglie soffocante e dal figlio secchione.

Il Conte Mascetti è un nobile decaduto perennemente senza un soldo ma con tutti i vizi del mondo. Riesce a stento a mantenere moglie e figlia sempre con soluzioni di fortuna, a partire dall'abitazione.

Il Melandri è un architetto irrealizzato con un cuore romantico che non sa resistere all'incanto dell'innamoramento ma neppure a quello delle zingarate (così si chiamano le "spedizioni" dei quattro alla ricerca di qualche scherzo memorabile da fare a poveri malcapitati).

La conseguenza di una zingarata porta i quattro tutti in una clinica in seguito ad un incidente: lì il Melandri si innamora di una splendida donna, che si rivela già sposata. Il marito altri non è che il primario della clinica nella quale si trovano: il professor Sassaroli.

Il Sassaroli sarà ben contento di lasciare la moglie al Melandri, ma vista la sua indole quasi "peggiore" dei quattro, in breve diventerà un pilastro della banda. Il film illustra una serie di zingarate, ma la tragedia è dietro l'angolo. Come reagiranno i nostri?


Atto II: morto uno dei componenti, anche gli altri invecchiano ma non mollano. A partire dalla prima scena, con uno scherzo pesante da parte del Sassaroli ai danni di un povero vedovo sulla tomba della moglie. I quattro "sopravvissuti" continuano le zingarate e ricordano episodi della vita del Perozzi. Il Mascetti ci illustra il rigatino, ma scopriamo che ovviamente è indebitato fino all'inverosimile col terribile strozzino Savino Capogreco. Grazie all'aiuto degli amici, tutto si risolverà per il meglio. Ma la sfortuna, il fato, è ancora dietro l'angolo. Chissà se i nostri amici si arrenderanno...


Atto III: i quattro sopravvissuti sono davvero invecchiati, e in pratica trasferiscono il loro quartier generale dalla sala biliardo del bar del Necchi a Villa Serena, lussuosa casa di riposo, dove inizialmente, gli altri tre sistemano il Mascetti, messo chiaramente peggio di tutti sia a livello di salute, sia economico, dopo di che, uno alla volta, arrivano anche gli altri, ognuno a modo suo. Le zingarate continuano, anche se aleggia un po' di malinconia per i tempi che furono, basta adattarsi alle nuove condizioni.


Basterebbe dire che il soggetto del primo Amici Miei è di Pietro Germi, per dare una vaga idea della grandiosità dell'opera. I più attenti, infatti, ricorderanno (o noteranno) che nei titoli di testa appare la scritta "regia di Pietro Germi". Invece, Germi venne a mancare nel dicembre 1974, e già da un po' aveva lasciato il progetto nelle mani dell'amico Monicelli. Monicelli trasferisce l'ambientazione da Bologna a Firenze, grazie ai due sceneggiatori fiorentini Benvenuti e De Bernardi (gli altri due accreditati per il primo capitolo sono lo stesso Germi e Tullio Pinelli), e, dirigendo poi, visto l'enorme successo del film del 1975, il secondo atto, firma una specie di pietra miliare del cinema italiano e soprattutto della commedia all'italiana, concludendo nel contempo un'epoca. Le chiavi di lettura dei film sono plurime, e la verità è che non sono propriamente dei film comici. Inutile, per l'umile recensore che ne scrive con oltre 30 anni di ritardo, lanciarsi in analisi particolareggiate. Da toscano però, mi sento di dire che oltre alla realtà italiana che esce dal dopoguerra ed entra in pompa magna nel boom economico, attraversando però i ciclici disastri naturali (leggi l'alluvione del 1966 a Firenze - e non solo -, anno di nascita proprio di chi vi scrive), dentro a questa serie di film c'è anche e soprattutto lo spirito toscano, che da sempre ci contraddistingue.

Se vi fermate a pensare che gli "strascichi" di questi film esistono ancora oggi nella lingua, nell'uso comune di alcuni modi di dire "lanciati" dagli autori delle zingarate, a 34 anni di distanza dal primo atto, avrete modo di capire l'importanza dell'opera nella sua interezza.

Inutile sottolineare la debolezza del terzo atto, ad opera di un pur bravo Nanni Loy, rispetto ai precedenti due, travolgenti e coinvolgenti, ma pure malinconici e mai banali: è giusto gustare, dopo tutto questo tempo, l'opera nella sua interezza.

La grandiosità del tutto fa si che gli si perdonino le numerosissime incongruenze, la fotografia d'epoca (vista oggi si rivela in tutta la sua bruttezza), l'approssimazione del lavoro sul dialetto dei protagonisti non toscani, e così via.

Una saga indimenticabile, della quale si stentano a ritrovare i frutti oggigiorno. Quanta nostalgia a rivedere gli splendidi protagonisti (Tognazzi e Celi oserei dire giganteschi), dei quali sopravvive il solo Moschin, a oggi.


Meravigliosi.

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