No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20090228

mama Africa 2


Ancora da D la Repubblica delle donne nr.634; le teorie di questa giovane economista sono di rottura ma davvero interessanti.



0086-0091: Call Cindia L'analisi di Dambisa
La trentenne economista dello Zambia attacca i protagonisti occidentali degli aiuti allo sviluppo. A cominciare dalle star


di Federico Rampini


Noi occidentali siamo convinti che è in corso un'invasione dell'Africa da parte dei cinesi, attirati dalle risorse naturali del Continente nero. Ci raffiguriamo la penetrazione degli interessi economici di Pechino come un saccheggio, una neocolonizzazione. Sorprende perciò il parere anticonformista di Dambisa Moyo, una giovane economista originaria dello Zambia che ha il coraggio di prenderci in contropiede. Secondo la Moyo (nella foto) per l'Africa è una benedizione lo sbarco in forze degli investitori asiatici, cinesi ma anche indiani. Non perché le nuove superpotenze economiche venute da Oriente siano meno avide ed egoiste degli europei e degli americani. Il beneficio per l'Africa nasce dal fatto che finalmente esiste una vera concorrenza tra gli investitori stranieri. Gli antichi colonizzatori occidentali devono reagire all'ingresso dei rivali. Le nazioni africane possono attirare capitali contando sulle proprie forze, non sulla carità e sulla logica degli aiuti. È proprio contro gli aiuti allo sviluppo che la Moyo ha scritto un libro destinato a fare scalpore: Dead Aid (pubblicato a Londra da Allen Lane). Fin qui le politiche economiche per lo sviluppo erano un terreno di caccia riservato a maschi bianchi, ricorda lo storico Nial Ferguson nella sua introduzione al saggio della Moyo: se ne occupavano economisti come Jeffrey Sachs o Joseph Stiglitz, rockstar come Bono e Bob Geldof. È la prima volta che una donna nera invade questo territorio, e di certo non passerà inosservata. La Moyo non ha complessi d'inferiorità verso i maîtres-à-penser occidentali. Trentenne, appartiene a una nuova generazione di "afropolitani", il neologismo coniato in Kenya per definire quei giovani che hanno avuto una formazione cosmopolita e hanno collezionato esperienze all'estero scrollandosi di dosso gli antichi complessi d'inferiorità. Lei di certo li ha persi da un pezzo. Con un master a Harvard e un dottorato a Oxford, esperienze di lavoro alla Banca mondiale e alla Goldman Sachs, non solo la Moyo padroneggia l'analisi economica ma ha anche il gusto della polemica. Attacca l'establishment occidentale degli aiuti allo sviluppo, cominciando proprio dalle star. Cosa diremmo noi occidentali, si chiede, se Michael Jackson fosse considerato un esperto capace di dare indicazioni a Obama sulla recessione? O se Britney Spears dicesse la sua sulla politica monetaria della Bce? E dunque perché mai gli africani devono tollerare che i cantanti rock siano considerati come dei guru sui problemi economici delle aree subsahariane? Dead Aid è una implacabile requisitoria contro mezzo secolo di aiuti all'Africa. La giovane nera lancia una tesi radicale: meglio smantellare tutto, interrompere i flussi dai Paesi donatori. L'aiuto, secondo lei, è fonte di corruzione e di inefficienza. Ciò che arriva gratis di fatto mette in difficoltà chi opera in loco in condizioni di mercato. I produttori locali sono incentivati a diventare dei parassiti dell'assistenzialismo. I debitori insolventi vengono mantenuti a galla. I politici sono incoraggiati nell'irresponsabilità, nel clientelismo, e nella ricerca di "legami preferenziali" con questo o quello Stato-donatore. Dambisa Moyo ne è certa: la cosa migliore che potrebbero fare i nostri governi, è annunciare una progressiva eliminazione degli aiuti. Secondo lei per i politici africani sarebbe un brutale risveglio, dovrebbero imparare ad attirare i capitali contando sulla vitalità delle proprie economie. L'Occidente a sua volta dovrà accettare la logica della sfida con la Cina e l'India per trovare progetti d'investimento competitivi, anziché consolarsi la coscienza con un po' di elargizioni umanitarie. L'economista dello Zambia non è un'integralista del neoliberismo. Non si illude che i mercati possano fare tutto da soli. Il suo saggio propone un ventaglio di riforme che vanno dal micro-credito a una migliore tutela dei diritti di proprietà per i contadini. Lungi dal predicare il laissez-faire, è una fautrice del rinnovamento politico e dell'autodeterminazione della società civile. A conclusione del suo libro ha messo un proverbio africano: "Il momento migliore per piantare un albero è vent'anni fa. Il secondo momento migliore è adesso". E a noi rivolge un appello pressante: è ora che sull'Africa accettiamo di ascoltare il parere degli africani.

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Visto che non sono in grado di leggere un romanzo in inglese, figuriamoci un saggio, non vedo l'ora che Dead Aid sia tradotto in italiano.

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