No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20090521

storia d'amore nella steppa


Tulpan - La ragazza che non c'era - di Sergei Dvortsevoy 2009


Giudizio sintetico: si può perdere


Asa è un giovane kazako che ha appena terminato il servizio militare in Marina. Torna a vivere con quel che resta della famiglia: la sorella, che vive insieme al marito Ondas e ai tre figli nella loro yurta in mezzo alla steppa, badando al gregge delle pecore che hanno in sub-appalto, insieme a cani, asini, cammelli e vacche. Per rendersi indipendente, Asa deve sposarsi. Senza moglie, il "compagno-capo" che gestisce le pecore e le distribuisce (appunto, in una specie di sub-appalto), non gli darà un gregge da gestire. Insieme al cognato e all'amico Boni si presentano alla famiglia che ha l'unica ragazza "disponibile" della steppa: Tulpan, tulipano. La ragazza si nasconde dietro una tenda durante l'incontro, e rimarrà invisibile anche quando Asa tenta di parlarle in seguito: riuscirà a vederla solo di spalle. Tulpan fa sapere ad Asa che non lo vuole perchè ha le orecchie a sventola. Asa, respinto dall'unica ragazza, mal sopportato dal cognato, inadatto alla vita dura della steppa, sogna un futuro diverso e si innamora perdutamente di Tulpan.


E' un peccato, per me che amo questo tipo di ambientazioni, dire che questo Tulpan è un film piuttosto prescindibile. Non è tutto da buttare, anzi, nel debutto sul lungometraggio del documentarista Dvortsevoy: provare per credere, la steppa kazaka, così come quella mongola, ha il suo dannato fascino selvaggio, duro e crudele. Polvere, vento, trombe d'aria improvvise, rumori animali di ogni tipo, canti femminili (incantevoli, a dire la verità), cieli infiniti e orizzonti lontanissimi, facce che sembrano caricature, eppure piene d'umanità.

Eppure, nonostante la fotografia nitidissima, la camera a mano, i racconti strampalati dell'ex marinaio Asa e le iperboliche orecchie a sventola (Tulpan ha ragione!), le foto delle ragazze tettone di Boni, i trattori che sembrano dragster, il veterinario sul sidecar col cammello bendato al posto del passeggero, la storia è esilissima, i tempi estenuanti, e, tanto per fare un esempio, non si riesce a raggiungere risultati come quelli con il fascino (seppur estenuante anche quello) dei film di Davaa (La storia del cammello che piange, diretto insieme a Luigi Falorni, o Il cane giallo della Mongolia) o de Il matrimonio di Tuya, senza scomodare capolavori come Lunapapa, straordinario masterpiece grottesco e post-sovietico del 1999 del tagiko Khudojnazarov.

Nonostante la vittoria nella sezione Un certain regard a Cannes nel 2008, c'è da migliorare. Vedremo in seguito.

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