La storia del cammello che piange – di Byambasuren Davaa e Luigi Falorni 2005
Giudizio sintetico: imperdibile per amanti del cinema orientale
Mongolia, deserto del Gobi. Una famiglia che vive del proprio gregge di cammelli e capre, e’ preoccupata per la stagione delle nascite da parte delle cammelle. Va tutto bene fino all’ultimo nato: nasce un piccolo albino, che viene rifiutato dalla madre. La famiglia le prova tutte, fino a mandare i figli giovani ‘’in citta’’’ (un accampamento con elettricita’ e una scuola vicina) a precettare un musicista che suonera’ perche’ la madre riconosca il piccolo.
Co-diretto dall’italiano Luigi Falorni, autore di una tesi di laurea sull’argomento, insieme alla mongola Byambasuren Davaa, largo uso di camera fissa, sottotitolato solo per tradurre i dialoghi e le frasi salienti, il film ha il suo fascino, e piacera’ agli amanti di un certo cinema, quello che fa dei silenzi, dei paesaggi mozzafiato, e delle metafore la sua forza.
Piu’ che il tema principale del piccolo ‘’escluso’’ per la sua diversita’, colpisce lo spaccato quotidiano dei mongoli, la loro semplicita’ e l’impatto con uno spicchio di modernita’ da parte dei giovanissimi; ma soprattutto, come, nello specifico, viene liquidata la richiesta della televisione dall’anziano capofamiglia.
Finale amaro, quasi sussurrato. Quando il cinema e’ conoscenza.
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