No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20091210

mensch


A serious man - di Ethan e Joel Coen 2009


Giudizio sintetico: da vedere e rivedere


Più di un secolo fa, forse nell'attuale Polonia, in una serata freddissima, un uomo rientra a casa da sua moglie, e si porta dietro un vecchio: la donna è sicura che sia morto alcuni mesi prima, e quindi che sia un dybbuk, uno spirito, e lo accoltella. Il vecchio se ne va nella notte, lasciando probabilmente una maledizione sulla coppia. Più di un secolo dopo, nei tardi anni '60, nel Mid West statunitense, Larry Gopnik, un ebreo osservante, aspira a diventare insegnante di ruolo all'Università locale. E' una persona timida, riservata, timorata di Dio, di pochissime pretese, amante della tranquillità e della prevedibilità. Dopo aver fatto una visita e delle radiografie, per lui cominciano una serie di avvenimenti che sconvolgono la sua vita: uno dei suoi studenti, insoddisfatto di una sufficienza, lo mette in una situazione scomoda, uno dei suoi superiori lo avverte che stanno arrivando lettere anonime alla scuola, inerenti la sua condotta morale, la moglie gli chiede improvvisamente il divorzio e gli dice apertamente che è innamorata di un altro componente della comunità ebraica, il fratello nullafacente occupa il bagno (e, in alternativa, il divano) di casa sua costantemente per un problema di salute, facendo innervosire la figlia, che si vuole rifare il naso, il figlio sta per avere il suo Bar Mitzvah ma arriva ogni giorno a casa correndo, perchè un compagno lo insegue per un debito, e così via.

Larry è costretto prima a trasferirsi, col fratello, in un motel lì vicino, poi a trovarsi un avvocato, e infine a chiedere colloqui con i rabbini della comunità, per trovare un conforto, una ragione, una speranza.


Sono solito andare al cinema da solo, possibilmente in orari e giorni nei quali sono quasi certo di trovare pochi spettatori ad assistere il film che voglio vedere. Ma, a volte, sopportare commenti, bisbigli, gomiti e quant'altro, magari a uno spettacolo del sabato sera, può servire. Serve a capire quanto è difficile essere universali, con un linguaggio come quello della settima arte. E serve pure a comprendere che registi come i Coen, quasi sempre, se la cercano, nel senso che si divertono a nascondersi dietro le storie, storie complesse ma buffe, ed è un bene, nel caso sempre dei Coen, che la critica critichi, e spinga la gente comune al cinema, quella gente che, a volte, ti ritrovi accanto, quella che alla fine, mentre sullo schermo scorrono i titoli di coda, si accusa a vicenda ricordando chi è, del gruppo, che ha "scelto" il film da vedere, perchè è risultato ostico e, ai loro occhi, brutto e incomprensibile.

Meravigliosi, e maledetti sons of a bitch, i fratelli Coen, che si divertono a spiazzarti fin dall'inizio, inserendo un prologo ottocentesco in yiddish (sottotitolato, tranquilli), una sorta di fiaba nera, che (ancora) ti mostra pure un pubblico che si guarda a vicenda, convinto di aver sbagliato film.

Più passa il tempo, e più mi convinco di aver assistito ad un film magnifico. Un film che abbisogna di essere rivisto, non riveduto, attenzione. Visto più volte, per quanto è "spesso" e denso. Che poi, alla fine, nemmeno troppo. Siamo a livelli alti, ma comprensibili. Si parla di torah, di matematica, fisica, soprattutto filosofia e religione, ma non fatevi spaventare: è tutto "applicato" e, al tempo stesso, semplificato, dalla storia di Larry Gopnik e della sua stramba e normalissima famiglia ebrea americana, inseritissima nella propria comunità, al senso della vita.

Una riflessione agrodolce, perchè ridere si ride, molto anche, ma lo spettatore attento si rende conto subito che c'è qualcosa sotto, e si ride a denti strettissimi quando si realizza dove i Coen vogliono andare a parare.

Superlativo il cast e la relativa direzione. Mai visti tanti volti poco conosciuti (molti degli attori e delle attrici del cast vengono soprattutto dalla tv) sciorinare prestazioni così scoppiettanti. Dietro il protagonista assoluto Michael Stuhlbarg (Larry Gopnik), straordinario e praticamente perfetto, tutti sono assolutamente ammirevoli, perfino i ragazzini e le ragazzine.

Fotografia perfetta. Montaggio serratissimo, che contribuisce all'ottimo ritmo del film.


Critica feroce alla religione in genere, nel caso particolare all'ebraismo da degli ebrei. Finale apocalittico che spiazza e lascia basiti, ma richiama l'attenzione sull'ineluttabilità. Di che cosa, giudicate voi.

Un film di certo non facile, ma al quale è difficile trovare difetti. Uno dei film dell'anno.

2 commenti:

massi78 ha detto...

azz. devo vedere se qui è uscito.

grazie.

. ha detto...

mah, appena visto, dovro' "rivederlo" perchè la prima non mi è bastata per capire che non è da "si puo' perdere" o al max "si puo' vedere"! Strepitosi attori, per il resto... mah...
MIKI