No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100224

rosarno 9

Chiamare i mafiosi per nome

Geneviève Makaping

Gli abitanti di Rosarno sono scesi in piazza per dire che non sono razzisti. Ma il loro è un messaggio sbagliato

Duemila immigrati che raccoglievano le arance in Calabria sono scappati o sono stati portati via da Rosarno per placare gli animi di persone che ora sembrano scomparse. L’11 gennaio, infatti, tutti gli abitanti sono scesi in piazza per protestare contro chi li ha accusati di essere razzisti.
Alcuni immigrati sono finiti nei centri d’accoglienza sparsi tra Calabria e Puglia. In eredità hanno lasciato un ghetto caotico, com’era la loro vita: spazzatura, sporcizia, puzza, vestiti luridi, resti di cibo abbandonati per la fretta. Ancora pochi giorni e non ci sarà più traccia di loro. Eppure da anni venivano a svernare qui, raccogliendo agrumi. Lo sapevamo tutti ma dalle nostre tavole non vedevamo il colore nero della loro pelle e delle loro mani né i loro sacrifici. Vedevamo solo i colori delle nostre arance, tra le più buone del mondo. Non vedevamo neanche i loro sfruttatori: le ’ndrine, le organizzazioni criminali a cui nessun quotidiano ha dedicato un’apertura. Alcuni commentatori hanno sostenuto che la ’ndrangheta non perde tempo dietro a questioni di poco conto. Ma dimenticano che la ’ndrangheta non è solo quella dei colletti bianchi. È anche quella dei neoschiavisti, che si arricchiscono sulla pelle degli altri. Nella cosiddetta rivolta dei clandestini non ha vinto nessuno. Hanno perso i migranti e hanno perso i cittadini di Rosarno. Abbiamo perso tutti l’occasione di puntare il dito contro gli sfruttatori, che per giunta ricevono consistenti aiuti dall’Unione europea. Vivo in Calabria da più di trent’anni e in questa terra mi ci rispecchio. Rosarno, come la Calabria, non è tutta razzista. Per colpa di alcuni prepotenti non si può “marchiare” un’intera regione. Ma bisogna chiamare i mafiosi con il loro nome. Il comune di Rosarno è stato commissariato nel 2008 per infiltrazioni mafiose ed è difficile che duemila migranti possano invadere una cittadina di 15mila abitanti. Ancora una volta la questione
dell’immigrazione è stata presentata dai politici come un problema di sicurezza. Da immigrata, ma soprattutto da calabrese, mi sono sentita insultata dalle osservazioni del ministro dell’interno
Roberto Maroni, secondo il quale la rivolta di Rosarno è colpa dei calabresi che sono stati troppo tolleranti con i clandestini. Cosa avremmo dovuto fare? Noi non buttiamo in mare nessuno e non spariamo. E poi chi sono i “clandestini”? Alcuni sono in attesa del permesso di soggiorno, altri hanno chiesto l’asilo politico. Sono persone che puntualmente, una volta finita la stagione di raccolta degli agrumi, tornano per strada. Alcuni spacciano droga ma, accanto a loro, ci sono milioni di immigrati che danno il loro contributo al pil nazionale. Sono artefici della ricchezza materiale dell’Italia ma anche di quella immateriale, garantendo una diversità culturale di usi e costumi. A Rosarno abbiamo perso una buona occasione. Siamo scesi in piazza solo per dire che non siamo razzisti invece di urlare agli sfruttatori che devono lasciare la Calabria. Secondo lo scrittore Domenico Gangemi, “la ’ndrangheta cavalca certe situazioni per dimostrare che è padrona del territorio”. Don Giacomo Panizza, fondatore della Comunità progetto sud, più volte minacciato dalla ’ndrangheta, si è fatto invece portavoce di quattrocento migranti in fuga. “Raccontano di aver denunciato, ma senza risposta”, dice. Gli immigrati hanno denunciato le ’ndrine alle autorità. Ma in Calabria dobbiamo ancora sconfiggere l’omertà.

Geneviève Makaping è una giornalista e antropologa camerunese che vive in Calabria.

Da Internazionale 829

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