Lo so che sono noioso e che paio pigro. Ma questo articolo, tradotto su Internazionale nr.1053, e originariamente pubblicato sullo statunitense The New Republic, fa venire i brividi. Ve lo propongo a piccole dosi, perché vi assicuro che avrete bisogno di un po' di tempo per digerirlo.
Qui le foto, di Michael Christopher Brown
Qui l'articolo originale, di Graeme Wood
La capitale dell'orrore
Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana, non è mai stata famosa per l’efficienza dei suoi servizi. Gli animali selvatici passano al setaccio la spazzatura, e quello che resta – noccioli di mango, pezzi di plastica, tappi arrugginiti – forma dei cumuli lungo le strade di terra battuta o finisce nelle fogne a cielo aperto. Ma dal dicembre del 2013, su un tratto desolato dell’avenue de France, la Croce rossa gestisce un eccellente servizio igienicosanitario che, su richiesta, provvede in meno di un’ora dalla chiamata a recuperare cadaveri umani, integri o fatti a pezzi. L’avenue de France marca la linea di divisione tra due quartieri. I cadaveri sono quelli di chi, per una ragione o per l’altra, si è spinto troppo nella direzione sbagliata. È una strada senza pedoni, una terra di nessuno dove le fazioni in lotta tra loro possono abbandonare i morti per non doverli seppellire e per evitare che marciscano sotto il sole. A nord di questa strada c’è il quinto arrondissement. I vecchi abitanti di questo quartiere erano quasi tutti musulmani, ma sono stati uccisi o costretti all’esilio, e ora ci abitano quasi esclusivamente dei cristiani. I pochi musulmani che non hanno lasciato Bangui vivono nel terzo arrondissement, appena a sud dell’avenue de France. Lì, essere cristiani è una condanna a morte, come lo è essere musulmani poco più a nord, a sud, a est o a ovest. I musulmani formano il 15 per cento della popolazione centrafricana. Per gran parte dei 54 anni di storia del paese la minoranza islamica e la maggioranza cristiana hanno convissuto in relativa armonia. Ma dal marzo del 2013 la repubblica si è disintegrata, prima in uno spasmo di violenza politica e ora in un’orgia di massacri a sfondo settario e religioso. Non esistono dati precisi sul numero delle vittime, ma negli ultimi mesi i linciaggi sono diventati così frequenti da non fare più notizia. Dopo la sua visita a metà aprile diquest’anno, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha dichiarato alla BBC che per quanto riguarda la Repubblica Centrafricana parlare di “disperazione è un eufemismo”. Samantha Power, l’ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu, ha fatto tappa a Bangui all’inizio di aprile per fare pressione a favore dell’invio di caschi blu nel paese il più presto possibile (tuttavia non arriveranno prima di settembre). Power ha seguito in dall’inizio la crisi nella Repubblica Centrafricana, e probabilmente lo fa perché spera di non dover aggiungere un nuovo capitolo al suo libro del 2002 Voci dell’inferno (Dalai editore), che parla dell’inerzia degli Stati Uniti davanti ai genocidi. Basta passare un giorno nelle strade di Bangui per capire cosa preoccupi tanto Samantha Power. L’ultimo anno di combattimenti ha traumatizzato la popolazione, e ora tutti o quasi covano rancore. Bangui è diventata una città di vendette incrociate. Ci sono posti di blocco presidiati da ragazzini armati di fucile e induriti dalla guerra, dove perfino una semplice battuta, come lamentarsi per il cellulare rotto, può scatenare una raffica di mitra contro la folla. Nella settimana che ho trascorso nel paese, ho imparato a rimanere in silenzio con le mani intorno alle orecchie per individuare la direzione da cui provengono gli spari.
continua domani
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