Diver Down - Van Halen (1982)
Come regalino di Natale, vi parlerò del quinto disco dei Van Halen; come ricorderete, pochi giorni fa vi avevo annunciato che ci saremmo tornati sopra.
Erano bei tempi, non che questi siano peggiori, solo, c'erano meno pensieri, e c'era un mondo da scoprire, compreso quello della musica. Ricordo di aver comprato, o di essere in qualche modo entrato in possesso, di questo disco in formato musicassetta. Ricordo che conoscevo già i Van Halen, e che questo disco mi fece una strana impressione. Non del tutto positiva. Posso dirvi che oggi, è un disco che riascolto con grandissimo piacere.
Oggetto particolare, contiene ben cinque cover, oserei dire tutte bellissime, tutte diverse. E' con un poco di vergogna che devo ammettere che l'esatta grandezza della musica espressa da quei Van Halen, l'ho capita solo molti anni dopo, quando ho allargato i miei orizzonti, e ho finalmente capito l'ampiezza delle loro influenze, la portata del loro, chiamiamolo così, messaggio. Enorme. Dischi del genere a quei tempi erano all'ordine del giorno, adesso molto meno.
Si parte con una delle cinque cover, Where Have All the Good Times Gone!, in origine scritta da Ray Davies per i suoi The Kinks, band che evidentemente influenzò pesantemente il combo statunitense (anche You Really Got Me è dei Kinks, per dire, e gli stessi Kinks furono tra i primi a reinterpretare un altro pezzo che appare in questo stesso Diver Down, ci arriviamo tra poco), e apparsa sul loro The Kink Kontroversy del 1965. Dire che è splendida è poco, vi dirò solo questo. Si prosegue con Hang 'Em High (omonimo del titolo originale di Impiccalo più in alto, film del 1968 con Clint Eastwood), un pezzo originale della band, risalente ai primi anni, con un riff impressionante e un incedere pressoché speed, divertentissimo. Arriva poi la volta del primo strumentale del disco, Cathedral, dove Eddie prova ad imitare con la sua chitarra, il suono di un organo da chiesa: il risultato è molto interessante. Ancora un pezzo originale, Secrets, un pezzo ritmato ma come dire, mellifluo nell'accezione positiva del termine, un pezzo da trombatori per capirci, dopo di che ecco un filotto impressionante, il nucleo del disco. Si parte con un altro strumentale vagamente cupo, Intruder, che introduce pian piano, in una maniera sorprendente, ma comunque divenuta un tutt'uno, col tempo, col pezzo seguente, alla seconda cover, probabilmente il pezzo più conosciuto del disco, primo singolo con video inizialmente censurato da MTV: (Oh) Pretty Woman, di Roy Orbison, in una versione travolgente e rispettosa. Da notare che la band sostiene che Intruder sia stata scritta perché il video (diretto da David Lee Roth) durava un paio di minuti più di Pretty Woman.
Come se non bastassero le emozioni che riesce a suscitare una cover del genere, riuscita ma che non si discosta poi moltissimo dall'originale (che era già una grande canzone), eccone un'altra: Dancing in the Street, da molti conosciuta per la versione di qualche anno dopo cantata in coppia da Bowie e Jagger, e qui dirò una cosa che molti non condivideranno, ma per me è così, questa versione è di gran lunga superiore a quella dei due mostri sacri. Giusto per la cronaca, l'originale fu scritta da (nientemeno che) Marvin Gaye, William Mickey Stevenson e Ivy Jo Hunter per il trio Motown Martha and the Vandellas, e fu ripresa pure dai The Kinks (vedi sopra). Sposo in pieno il commento di DL Roth a proposito di questo pezzo, quando dice che "it sounds like more than four people are playing, when in actuality there are almost zero overdubs". Fantastica.
Poi è la volta di Little Guitars (Intro) e Little Guitars, praticamente un pezzo unico introdotto da una fascinazione chitarristica per lo stile flamenco, e un testo di Roth dedicato alle señoritas: sembrerebbe un pezzo minore, ma non lo è manco per niente.
In seguito, si passa ad un'altra cover, stavolta scritta da Milton Ager (musica) e Jack Yellen (testo) per Margaret Young e Rube Bloom nel 1924, Big Bad Bill (Is Sweet William Now), un pezzo che, se ancora ce ne fosse stato bisogno, mostra l'enorme potenziale musicale della band intera, viaggia sulla falsariga di Ice Cream Man (su Van Halen I, altra cover, di John Brim), e vede la partecipazione straordinaria di Jan Van Halen, ovviamente il padre di Eddie e Alex, al clarinetto (davvero bravo). La prestazione di David Lee Roth è di una maestrìa a tratti indescrivibile.
Siamo agli sgoccioli, e la band piazza un pezzo originale, assolutamente vanhaleniano: The Full Bug, uno speed rock and roll metal, con una sezione ritmica incalzante, un Roth superiore, e un Eddie in grandissimo spolvero.
Il disco termina con l'ultima cover, una divertentissima (adatta, molto adatta sotto le feste, provatela) Happy Trails di Dale Evans (moglie di Roy Rogers tra l'altro, cantautrice e attrice), interamente eseguita a cappella, da brividi e, come detto, al tempo stesso divertente in maniera assurda.
Se non avete mai ascoltato Diver Down, mi sento di dirvi che vi siete certamente persi qualcosa.
Curiosità: il titolo si richiama alla copertina, che rappresenta la bandiera di segnalazione della presenza di un sub.
Diver Down is the fifth album of the american band Van Halen, and is a strange kind of album. It contains five cover versions, all reinterpreted in a superb way, but is still a Van Halen album, and it represents all the faces of their music, all the infinite potential that they had. They played, apparently without effort, songs inspired by the american popular music of the 20ies, until a sort of rock and roll with muscles, metal at maximum speed. All the little passages of this album are amazing.
2 commenti:
Nemmeno questo ho mai ascoltato,
dei VH conosco bene l'esordio,
1984 e tutta la discografia con
Hagar.
Recuperollo
Comunque le recensioni degli oldies sono le
mie preferite, volevo dirtelo.
thanks buddy. in effetti c'è più ammooore
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