ieri sera (ieri l'altro sera, n.d.jumbolo) ero al bowling al compleanno di una mia amica con tutta la sua classe quando sono arrivato ho iniziato a girellare per li e non trovavo nessuno che conoscevo invece alla fine lo trovai era Michele un bimbo che conoscevo da tempo.Quando si è iniziato a giocare a bowling, ci siamo divisi in 2 squadre, dopo vari tiri che vari facevo, ero in testa, alla fine della partita ho vinto io come al solito, dopo siamo andati a mangiare al piano superiore dove si trovava la pizzeria,la pizza ci è arrivata alle 9,30 io avevo una fame che sghiandellavo infatti quando mi è arrivata l'ho mangiata tutta poi dopo un po' io ho pestato per sbaglio il bicchiere di questa bimba e gli'è l'ho reso tutto rotto lei ha preso il mio pieno di CocaCola e l'ha rovesciata sul tavolo io gli ho detto che era una (stronza) lei a preso direttamente la bottiglia di coca e me l'ha rovesciata sul giacchetto quindi io gliel'ho sbatacchiato addosso. Era una stronza stronza perché una stronza così stronza non l'avevo mai vista. Comunque è stato divertente.
Ci vediamo alla prossima puntata di jumbolino ;)
No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.
20151130
20151129
Xanten/Rheinberg (Germania) - Novembre 2015
Martedì 17 novembre
Il volo è domattina prima delle 12. Ma da Orio al Serio, visto che l'amata/odiata Ryanair vola su Weeze solo pochi giorni alla settimana, mentre da qui, dal rinnovato terzo scalo milanese, vola ogni giorno. Quindi, che si fa? Si lavora fino alle 17, e poi si sale in auto, e via verso la nebbia padana. La Spezia-Parma, un pezzo di Autosole, poi la bretella verso Brescia, adesso che ci penso non so neppure se è la prima volta che la percorro, mi sa di si. Mi fermo poco prima delle 20 a mangiare in Autogrill: profumo di letame tutto intorno, uomini soli ai tavoli, un fastidioso mal di gola che mi tiene compagnia. Riparto deciso ad andare a letto presto, e arrivo all'Airport Hotel di Bagnatica verso le 21, in mezzo alla nebbia che la leggenda voleva essere sparita. Camera triste, qualche problema col wifi, sbrigo un po' di lavoro, mi guardo un telefilm mentre mi cala la palpebra, e buonanotte.
Mercoledì 18 novembre
Sveglia e colazione, mi preparo ed esco nel nebbione, in direzione del parcheggio ParkinGO. Ho già pagato online, ma mi chiedono 1 euro perché, se capisco bene, la zona dove raccolgono i passeggeri con le navette davanti all'aeroporto, è stata di recente chiusa e messa a pagamento. Non capisco perché non adeguare le tariffe online e basta.
L'aeroporto Il Caravaggio di Bergamo Orio al Serio è stato di recente ristrutturato, ed è un bene, perché me lo ricordavo pieno di gente ed incasinatissimo. La cosa bella (o brutta) è che non mi ricordo neppure quando son partito da qui l'ultima volta e in quale occasione. Come che sia, vocazione low cost, zone di arrivo e partenza che si incrociano, ma ampi corridoi e sufficiente spazio per negozi, un po' di fila ai controlli ma è normale, e non si attende poi molto. Qualche email, qualche telefonata, ascolto un po' di musica, arriva pian piano l'ora dell'imbarco. Solita sonnolenza in volo, ed eccomi al piccolo aeroporto di Weeze, al confine tedesco con l'Olanda. Ho noleggiato con Hertz perché gli orari di AVIS non coincidevano con le mie esigenze. Al banco, chiedo un GPS, che io mi sono dimenticato il mio in auto, al parcheggio. La gentile signora mi dice che può darmi un GPS oppure una macchina più grande con GPS incorporato. Vada per quella. Potrebbe essere una Toyota RAV4 ultimo modello, ma non ci scommetterei. Automatica, quindi devo adattarmi un poco alla guida, epperò è decisamente un viaggiare diverso dalla mia Punto.
La giornata è grigia, ho mangiato qualcosa sull'aereo, è primo pomeriggio con niente da fare. Riconosco le strade che mi avvicinano a Xanten, ricorderete che giusto l'anno scorso venni qua, per qualche giorno di più e con un tempo splendido, quindi, arrivo in albergo, mi sistemo, non funziona il wifi quindi posso solo riposarmi e guardare qualche serie.
Più tardi esco a sgranchirmi le gambe, ripercorro strade conosciute, fa freddo. Torno in albergo ed incrocio la collega bulgara, la accompagno in giro, fin dentro al duomo, dove è in allestimento un concerto di musica classica. Torniamo all'albergo.
L'appuntamento è alle 19,30 per la cena. Ci sono tre colleghi tedeschi, la collega bulgara di cui sopra, quella francese, che conosco già, e poi c'è il collega spagnolo, che vedo per la prima volta (è entrato "nel team" ad inizio 2015). Attraversiamo la piazza antistante all'albergo per recarci al ristorante Zur Borse, e aspettiamo un altro collega, francese ma che lavora a Bruxelles, che sta arrivando. Arriva, ritardato dal traffico, e diamo inizio alla cena. Assaggio tutte le birre disponibili, e riparto dalla prima. Ormai conosco tutti (o quasi), e sono conosciuto, posso permettermi di fare il coglione simpatico come se fossi tra amici, e in effetti, quando attraversiamo la piazza per tornare all'albergo, non riesco a camminare propriamente a dritto. Appuntamento per la mattina seguente a Rheinberg.
Giovedì 19 novembre
Sveglia e ci ritroviamo in cinque allo stesso tavolo, poi si parte. Con la mia auto accompagno la collega bulgara, visto che i due francesi sono con le loro auto, e rientreranno non appena terminata la riunione, e lo spagnolo, pure, appena finita la riunione prenderà un taxi per l'aeroporto di Dusseldorf. In 10 minuti siamo lì, piove un poco, il luogo non è dentro lo stabilimento (come lo scorso anno), bensì in una guesthouse (con tanto di campi da tennis) sempre di proprietà della società per cui lavoro, posta giusto dall'altro lato della strada. Arrivano anche "il mio capo di Bruxelles", come lo chiamo per inquadrarlo un po' (quello con cui ho pranzato qualche settimana fa proprio nella capitale belga), e un altro collega che lavora sempre con lui (credo sia belga/fiammingo). Si inizia, ci vengono esposti scenari futuri sui due prodotti principali, si parla delle nostre problematiche, abbiamo una conf call con il capo del team logistico (il catalano simpaticissimo, che ci parla proprio dallo stabilimento dove lavoro io), ci raggiunge un componente di spicco del team del marketing, che ci parla della situazione globale del prodotto che rappresenta il nostro core business. Arriva l'ora di pranzo, mangiamo tutti insieme, l'atmosfera è amichevole e rilassata.
Si riprendono i lavori, ma dopo neppure due ore cominciamo a "perdere i pezzi". Il mal di gola ed il raffreddore non mi fa essere al massimo della forma, ma comunque anche oggi ho contribuito in qualche modo. Ci salutiamo, e rientro in albergo sempre con la collega bulgara. Dopo poco usciamo per cenare insieme, attraversiamo di nuovo la piazza per andare al Ristorante Pizzeria Teatro, dove cercano di fare gli italiani (ma la pizza è davvero buona), e ci serve una cameriera simpatica che scopriamo essere serba. Ottime chiacchiere con l'amica/collega, e rientriamo salutandoci, visto che lei alle 5 dovrà salire su un taxi, anche lei verso l'aeroporto di Dusseldorf.
Venerdì 20 novembre
Sveglia e colazione, saldo e parto. Mi convinco di essere in ritardo, e sicuramente prendo una multa (vedo un flash, facevo sicuramente più del limite di velocità consentito, non mi è ancora arrivata). Riconsegno l'auto e comunico che probabilmente ho preso una multa. Passo i controlli, aspetto il gate, mi metto in fila. Si parte e, come al solito, sonnecchio. A Bergamo fa quasi caldo, ed è una bella giornata. Navetta per il parcheggio, riconsegna dell'auto, e via. Faccio rifornimento, e vista l'ora, cerco un ristorante. Cerco su google, e dopo qualche minuto sono all'Antico Mulino Urgnano, tra le sperdute frazioni di Urgnano e Basella. Cucina tipica bergamasca, dicono, pieno di gente, varie opzioni menù e un buffet davvero ricco. Spesa irrisoria. E si riparte per il paesello. Domani si vola di nuovo.
Il volo è domattina prima delle 12. Ma da Orio al Serio, visto che l'amata/odiata Ryanair vola su Weeze solo pochi giorni alla settimana, mentre da qui, dal rinnovato terzo scalo milanese, vola ogni giorno. Quindi, che si fa? Si lavora fino alle 17, e poi si sale in auto, e via verso la nebbia padana. La Spezia-Parma, un pezzo di Autosole, poi la bretella verso Brescia, adesso che ci penso non so neppure se è la prima volta che la percorro, mi sa di si. Mi fermo poco prima delle 20 a mangiare in Autogrill: profumo di letame tutto intorno, uomini soli ai tavoli, un fastidioso mal di gola che mi tiene compagnia. Riparto deciso ad andare a letto presto, e arrivo all'Airport Hotel di Bagnatica verso le 21, in mezzo alla nebbia che la leggenda voleva essere sparita. Camera triste, qualche problema col wifi, sbrigo un po' di lavoro, mi guardo un telefilm mentre mi cala la palpebra, e buonanotte.
Mercoledì 18 novembre
Sveglia e colazione, mi preparo ed esco nel nebbione, in direzione del parcheggio ParkinGO. Ho già pagato online, ma mi chiedono 1 euro perché, se capisco bene, la zona dove raccolgono i passeggeri con le navette davanti all'aeroporto, è stata di recente chiusa e messa a pagamento. Non capisco perché non adeguare le tariffe online e basta.
L'aeroporto Il Caravaggio di Bergamo Orio al Serio è stato di recente ristrutturato, ed è un bene, perché me lo ricordavo pieno di gente ed incasinatissimo. La cosa bella (o brutta) è che non mi ricordo neppure quando son partito da qui l'ultima volta e in quale occasione. Come che sia, vocazione low cost, zone di arrivo e partenza che si incrociano, ma ampi corridoi e sufficiente spazio per negozi, un po' di fila ai controlli ma è normale, e non si attende poi molto. Qualche email, qualche telefonata, ascolto un po' di musica, arriva pian piano l'ora dell'imbarco. Solita sonnolenza in volo, ed eccomi al piccolo aeroporto di Weeze, al confine tedesco con l'Olanda. Ho noleggiato con Hertz perché gli orari di AVIS non coincidevano con le mie esigenze. Al banco, chiedo un GPS, che io mi sono dimenticato il mio in auto, al parcheggio. La gentile signora mi dice che può darmi un GPS oppure una macchina più grande con GPS incorporato. Vada per quella. Potrebbe essere una Toyota RAV4 ultimo modello, ma non ci scommetterei. Automatica, quindi devo adattarmi un poco alla guida, epperò è decisamente un viaggiare diverso dalla mia Punto.
La giornata è grigia, ho mangiato qualcosa sull'aereo, è primo pomeriggio con niente da fare. Riconosco le strade che mi avvicinano a Xanten, ricorderete che giusto l'anno scorso venni qua, per qualche giorno di più e con un tempo splendido, quindi, arrivo in albergo, mi sistemo, non funziona il wifi quindi posso solo riposarmi e guardare qualche serie.
Più tardi esco a sgranchirmi le gambe, ripercorro strade conosciute, fa freddo. Torno in albergo ed incrocio la collega bulgara, la accompagno in giro, fin dentro al duomo, dove è in allestimento un concerto di musica classica. Torniamo all'albergo.
L'appuntamento è alle 19,30 per la cena. Ci sono tre colleghi tedeschi, la collega bulgara di cui sopra, quella francese, che conosco già, e poi c'è il collega spagnolo, che vedo per la prima volta (è entrato "nel team" ad inizio 2015). Attraversiamo la piazza antistante all'albergo per recarci al ristorante Zur Borse, e aspettiamo un altro collega, francese ma che lavora a Bruxelles, che sta arrivando. Arriva, ritardato dal traffico, e diamo inizio alla cena. Assaggio tutte le birre disponibili, e riparto dalla prima. Ormai conosco tutti (o quasi), e sono conosciuto, posso permettermi di fare il coglione simpatico come se fossi tra amici, e in effetti, quando attraversiamo la piazza per tornare all'albergo, non riesco a camminare propriamente a dritto. Appuntamento per la mattina seguente a Rheinberg.
Giovedì 19 novembre
Sveglia e ci ritroviamo in cinque allo stesso tavolo, poi si parte. Con la mia auto accompagno la collega bulgara, visto che i due francesi sono con le loro auto, e rientreranno non appena terminata la riunione, e lo spagnolo, pure, appena finita la riunione prenderà un taxi per l'aeroporto di Dusseldorf. In 10 minuti siamo lì, piove un poco, il luogo non è dentro lo stabilimento (come lo scorso anno), bensì in una guesthouse (con tanto di campi da tennis) sempre di proprietà della società per cui lavoro, posta giusto dall'altro lato della strada. Arrivano anche "il mio capo di Bruxelles", come lo chiamo per inquadrarlo un po' (quello con cui ho pranzato qualche settimana fa proprio nella capitale belga), e un altro collega che lavora sempre con lui (credo sia belga/fiammingo). Si inizia, ci vengono esposti scenari futuri sui due prodotti principali, si parla delle nostre problematiche, abbiamo una conf call con il capo del team logistico (il catalano simpaticissimo, che ci parla proprio dallo stabilimento dove lavoro io), ci raggiunge un componente di spicco del team del marketing, che ci parla della situazione globale del prodotto che rappresenta il nostro core business. Arriva l'ora di pranzo, mangiamo tutti insieme, l'atmosfera è amichevole e rilassata.
Si riprendono i lavori, ma dopo neppure due ore cominciamo a "perdere i pezzi". Il mal di gola ed il raffreddore non mi fa essere al massimo della forma, ma comunque anche oggi ho contribuito in qualche modo. Ci salutiamo, e rientro in albergo sempre con la collega bulgara. Dopo poco usciamo per cenare insieme, attraversiamo di nuovo la piazza per andare al Ristorante Pizzeria Teatro, dove cercano di fare gli italiani (ma la pizza è davvero buona), e ci serve una cameriera simpatica che scopriamo essere serba. Ottime chiacchiere con l'amica/collega, e rientriamo salutandoci, visto che lei alle 5 dovrà salire su un taxi, anche lei verso l'aeroporto di Dusseldorf.
L'hotel |
La piazza principale di Xanten, il duomo sullo sfondo, gli addobbi di Natale e i banchetti dei mercatini. |
Venerdì 20 novembre
Sveglia e colazione, saldo e parto. Mi convinco di essere in ritardo, e sicuramente prendo una multa (vedo un flash, facevo sicuramente più del limite di velocità consentito, non mi è ancora arrivata). Riconsegno l'auto e comunico che probabilmente ho preso una multa. Passo i controlli, aspetto il gate, mi metto in fila. Si parte e, come al solito, sonnecchio. A Bergamo fa quasi caldo, ed è una bella giornata. Navetta per il parcheggio, riconsegna dell'auto, e via. Faccio rifornimento, e vista l'ora, cerco un ristorante. Cerco su google, e dopo qualche minuto sono all'Antico Mulino Urgnano, tra le sperdute frazioni di Urgnano e Basella. Cucina tipica bergamasca, dicono, pieno di gente, varie opzioni menù e un buffet davvero ricco. Spesa irrisoria. E si riparte per il paesello. Domani si vola di nuovo.
20151128
20151127
Mungere le stelle
Milking the Stars: A Re-Imagining of Last Patrol - Monster Magnet (2014)
C'è chi vive di reunions. C'è chi sta perennemente in tour, e magari suona interamente dal vivo uno o due album per intero, quelli per cui hanno raggiunto il successo. Si invecchia, anche nella musica, in molti modi, e soprattutto, in modi molto diversi da 30/40 anni fa. Anni fa, si moriva di overdose, e chi s'è visto s'è visto. Adesso, alle overdose si sopravvive, e magari si ha una seconda giovinezza. Forse, questo è quello che sta accadendo ai Monster Magnet di Dave Wyndorf. Come vi ho raccontato in passato, nel 2006 Dave ebbe un'overdose, dalla quale si è fortunatamente ripreso. Nel novembre del seguente anno fu pubblicato il loro buon ritorno 4-Way Diablo, al quale sono seguiti gli altrettanto ottimi Mastermind (2010) e Last Patrol (2013). Ecco: inventandosene una abbastanza originale (contraddizione in termini, ora vedrete), dal 2014 hanno cominciato a reinterpretare i loro dischi, andando all'indietro nel tempo. Sono quindi partiti proprio dal disco del 2013, risuonando con nuovi arrangiamenti, e addirittura nuovi titoli, tutti e nove i pezzi della versione base di Last Patrol (non contiamo le due bonus track). Sette versioni in studio, due pezzi live (tra cui Three Kingfishers di Donovan, anch'essa originariamente su Last Patrol), e due inediti (la lunga intro Let the Circus Burn e lo strumentale Goliath Return). Il risultato è intrigante, divertente, avvolgente, naturalmente ricorda il disco originale ma accontenta i vecchi fan dei MM, perché riprende i binari dello space rock dei loro esordi (Wyndorf ha definito lo stile del disco "a weird 1960s vibe"), e ci regala una band in ottima forma, Wyndorf compreso.
Per terminare il discorso aperto prima, è da poco uscito Cobras and Fire (The Mastermind Redux), naturalmente la rivisitazione del disco precedente a Last Patrol, Mastermind. Chissà dove arriveranno. Ne parleremo.
Some band get in a reunion. Some other band are constantly on tour, and they plays entirely one or two albums in full, those with that have achieved success. You get older, even in music, in many ways, and above all, in very different ways from 30/40 years ago. Years ago, rockstars dying of a drug overdose, and wave goodbye. Now, you often survives overdose, and sometimes you have a second chance. Perhaps, this is what is happening to the Monster Magnet of Dave Wyndorf. As I told you in the past, in 2006 Dave had overdosed, from which he fortunately recovered. In November of the following year, the band released their good return "4-Way Diablo", which was followed by the both excellent "Mastermind" (2010) and "Last Patrol" (2013). Invented a quite original one (a contradiction in terms, now you'll see), from 2014 they began to reinterpret their albums, going back in time. They started precisely with the album of 2013, re-playing those songs with new arrangements, and even new titles, all nine pieces of the basic version of "Last Patrol" (not counting the two bonus tracks). Seven versions in the studio, two live tracks (including "Three Kingfishers", a Donovan cover, also this one originally contained in "Last Patrol"), and two new songs (the long intro "Let the Circus Burn" and the instrumental "Goliath Return"). The result is intriguing, entertaining, fascinating, naturally recalls the original album, but make happy the old fans of MM, because it takes up the footsteps of the space rock of their beginnings (Wyndorf has defined the style of the album "a weird 1960s vibe"), and there it gives back a band in top form, including Wyndorf.
To end the conversation I opened first, it's being rolled out "Cobras and Fire (The Mastermind Redux)", of course, the review of the previous album of "Last Patrol", "Mastermind". Who knows where they will arrive. We'll talk about that.
C'è chi vive di reunions. C'è chi sta perennemente in tour, e magari suona interamente dal vivo uno o due album per intero, quelli per cui hanno raggiunto il successo. Si invecchia, anche nella musica, in molti modi, e soprattutto, in modi molto diversi da 30/40 anni fa. Anni fa, si moriva di overdose, e chi s'è visto s'è visto. Adesso, alle overdose si sopravvive, e magari si ha una seconda giovinezza. Forse, questo è quello che sta accadendo ai Monster Magnet di Dave Wyndorf. Come vi ho raccontato in passato, nel 2006 Dave ebbe un'overdose, dalla quale si è fortunatamente ripreso. Nel novembre del seguente anno fu pubblicato il loro buon ritorno 4-Way Diablo, al quale sono seguiti gli altrettanto ottimi Mastermind (2010) e Last Patrol (2013). Ecco: inventandosene una abbastanza originale (contraddizione in termini, ora vedrete), dal 2014 hanno cominciato a reinterpretare i loro dischi, andando all'indietro nel tempo. Sono quindi partiti proprio dal disco del 2013, risuonando con nuovi arrangiamenti, e addirittura nuovi titoli, tutti e nove i pezzi della versione base di Last Patrol (non contiamo le due bonus track). Sette versioni in studio, due pezzi live (tra cui Three Kingfishers di Donovan, anch'essa originariamente su Last Patrol), e due inediti (la lunga intro Let the Circus Burn e lo strumentale Goliath Return). Il risultato è intrigante, divertente, avvolgente, naturalmente ricorda il disco originale ma accontenta i vecchi fan dei MM, perché riprende i binari dello space rock dei loro esordi (Wyndorf ha definito lo stile del disco "a weird 1960s vibe"), e ci regala una band in ottima forma, Wyndorf compreso.
Per terminare il discorso aperto prima, è da poco uscito Cobras and Fire (The Mastermind Redux), naturalmente la rivisitazione del disco precedente a Last Patrol, Mastermind. Chissà dove arriveranno. Ne parleremo.
Some band get in a reunion. Some other band are constantly on tour, and they plays entirely one or two albums in full, those with that have achieved success. You get older, even in music, in many ways, and above all, in very different ways from 30/40 years ago. Years ago, rockstars dying of a drug overdose, and wave goodbye. Now, you often survives overdose, and sometimes you have a second chance. Perhaps, this is what is happening to the Monster Magnet of Dave Wyndorf. As I told you in the past, in 2006 Dave had overdosed, from which he fortunately recovered. In November of the following year, the band released their good return "4-Way Diablo", which was followed by the both excellent "Mastermind" (2010) and "Last Patrol" (2013). Invented a quite original one (a contradiction in terms, now you'll see), from 2014 they began to reinterpret their albums, going back in time. They started precisely with the album of 2013, re-playing those songs with new arrangements, and even new titles, all nine pieces of the basic version of "Last Patrol" (not counting the two bonus tracks). Seven versions in the studio, two live tracks (including "Three Kingfishers", a Donovan cover, also this one originally contained in "Last Patrol"), and two new songs (the long intro "Let the Circus Burn" and the instrumental "Goliath Return"). The result is intriguing, entertaining, fascinating, naturally recalls the original album, but make happy the old fans of MM, because it takes up the footsteps of the space rock of their beginnings (Wyndorf has defined the style of the album "a weird 1960s vibe"), and there it gives back a band in top form, including Wyndorf.
To end the conversation I opened first, it's being rolled out "Cobras and Fire (The Mastermind Redux)", of course, the review of the previous album of "Last Patrol", "Mastermind". Who knows where they will arrive. We'll talk about that.
20151126
Credo che sto andando giù
B'lieve I'm Going Down - Kurt Vile (2015)
Nonostante vi abbia già parlato di Kurt Vile, e nonostante molti di voi lo apprezzino molto più di me, sapete che il suo genere non è propriamente quello che "coltivo nel mio giardino" (perifrasi per non usare quella della "tazza di té": vi piace?), seppure la vecchiaia incombente mi faccia via via perdere l'identità (probabilmente fino all'uscita del prossimo Volbeat). Ho ascoltato più e più volte questo suo nuovo B'lieve I'm Going Down, e l'impressione che mi ha fatto è stata più o meno quella che mi fece il precedente Walkin' on a Pretty Daze, e cioè non impressionante, tanto è vero che non ve ne ho parlato, come invece feci a proposito dell'ancor precedente Smoke Ring for My Halo, che invece mi colpì molto. Non vorrei passare queste righe di commento ad autoanalizzarmi, ma visto che proprio il disco del 2011 era, per me, il primo approccio col ragazzo di Philadelphia, evidentemente la novità prese il sopravvento.
Cerchiamo di capirci: non c'è nulla di sbagliato in questo sesto disco, da molti recensori accolto in maniera entusiastica. La solita attitudine low-fi, la stessa somiglianza ad un J Mascis meno ubriaco, stessa sensibilità poliedrica attorno ad una sorta di americana influenzata da tutto quello che il rock ha offerto in questi ultimi 30 anni, il che lo rende diverso da qualsiasi cosa si senta in giro. Ci sono momenti davvero interessanti, anche in questo disco, come lo splendido giro di chitarra di Wheelhouse, l'arpeggio stoppato di All in a Daze Work, il mellotron accennato nell'eterea That's Life, Tho (Almost Hate to Say), e probabilmente i due pezzi migliori (o forse solo i più immediati) sono quelli che "racchiudono", come fossero parentesi, il disco, l'apertura ritmata di Pretty Pimpin, e la chiusura folk elettrica di Wild Imagination.
C'è qualcosa che non mi convince, paradossalmente una certa monotonia, anche in questo B'lieve I'm Going Down, e che non riesce a farmi gridare al miracolo, però.
Although we have already talked about Kurt Vile, and despite many of you appreciate him, much more than me, you know that his genre is not exactly what "I grow in my garden" (just to don't use the paraphrase "it's not my cup of tea": did you like it?), although old age is making me gradually lose the identity (probably until the next Volbeat record). I heard over and over again his new "B'lieve I'm Going Down", and the impression I had was pretty much what I had with the previous "Walkin 'on a Pretty Daze": not so impressive. At the contrary, the earlier "Smoke Ring for My Halo", impressed me a lot. Anyway.
Let us be clear: there is nothing wrong with this sixth album, that many reviewers welcomed enthusiastically. The usual low-fi attitude, the same resemblance to a J Mascis less drunk, the multifaceted same sensitivity around a kind of Americana affected by everything that rock has offered over the past 30 years, which makes it different from anything you've heard around. There are some really interesting things, even in this record, such as the beautiful guitar riff of "Wheelhouse", the syncopated arpeggio of "All in a Daze Work", the almost-hidden mellotron in the ethereal "That's Life, Tho (Almost Hate to Say)", and, probably, the two best songs (or perhaps only the most immediate ones) that seems "containing", as they were parentheses, the rest of the album, the rhythmical opening of "Pretty Pimpin", and the closure with the electric folk "Wild Imagination".
There is something that does not convince me, paradoxically, a certain monotony, even in this "B'lieve I'm Going Down", and that doesn't allow me to scream at the miracle, though.
Nonostante vi abbia già parlato di Kurt Vile, e nonostante molti di voi lo apprezzino molto più di me, sapete che il suo genere non è propriamente quello che "coltivo nel mio giardino" (perifrasi per non usare quella della "tazza di té": vi piace?), seppure la vecchiaia incombente mi faccia via via perdere l'identità (probabilmente fino all'uscita del prossimo Volbeat). Ho ascoltato più e più volte questo suo nuovo B'lieve I'm Going Down, e l'impressione che mi ha fatto è stata più o meno quella che mi fece il precedente Walkin' on a Pretty Daze, e cioè non impressionante, tanto è vero che non ve ne ho parlato, come invece feci a proposito dell'ancor precedente Smoke Ring for My Halo, che invece mi colpì molto. Non vorrei passare queste righe di commento ad autoanalizzarmi, ma visto che proprio il disco del 2011 era, per me, il primo approccio col ragazzo di Philadelphia, evidentemente la novità prese il sopravvento.
Cerchiamo di capirci: non c'è nulla di sbagliato in questo sesto disco, da molti recensori accolto in maniera entusiastica. La solita attitudine low-fi, la stessa somiglianza ad un J Mascis meno ubriaco, stessa sensibilità poliedrica attorno ad una sorta di americana influenzata da tutto quello che il rock ha offerto in questi ultimi 30 anni, il che lo rende diverso da qualsiasi cosa si senta in giro. Ci sono momenti davvero interessanti, anche in questo disco, come lo splendido giro di chitarra di Wheelhouse, l'arpeggio stoppato di All in a Daze Work, il mellotron accennato nell'eterea That's Life, Tho (Almost Hate to Say), e probabilmente i due pezzi migliori (o forse solo i più immediati) sono quelli che "racchiudono", come fossero parentesi, il disco, l'apertura ritmata di Pretty Pimpin, e la chiusura folk elettrica di Wild Imagination.
C'è qualcosa che non mi convince, paradossalmente una certa monotonia, anche in questo B'lieve I'm Going Down, e che non riesce a farmi gridare al miracolo, però.
Although we have already talked about Kurt Vile, and despite many of you appreciate him, much more than me, you know that his genre is not exactly what "I grow in my garden" (just to don't use the paraphrase "it's not my cup of tea": did you like it?), although old age is making me gradually lose the identity (probably until the next Volbeat record). I heard over and over again his new "B'lieve I'm Going Down", and the impression I had was pretty much what I had with the previous "Walkin 'on a Pretty Daze": not so impressive. At the contrary, the earlier "Smoke Ring for My Halo", impressed me a lot. Anyway.
Let us be clear: there is nothing wrong with this sixth album, that many reviewers welcomed enthusiastically. The usual low-fi attitude, the same resemblance to a J Mascis less drunk, the multifaceted same sensitivity around a kind of Americana affected by everything that rock has offered over the past 30 years, which makes it different from anything you've heard around. There are some really interesting things, even in this record, such as the beautiful guitar riff of "Wheelhouse", the syncopated arpeggio of "All in a Daze Work", the almost-hidden mellotron in the ethereal "That's Life, Tho (Almost Hate to Say)", and, probably, the two best songs (or perhaps only the most immediate ones) that seems "containing", as they were parentheses, the rest of the album, the rhythmical opening of "Pretty Pimpin", and the closure with the electric folk "Wild Imagination".
There is something that does not convince me, paradoxically, a certain monotony, even in this "B'lieve I'm Going Down", and that doesn't allow me to scream at the miracle, though.
20151125
Rochefort-en-Yvelines (Francia) - Ottobre 2015 (2)
Giovedì 22 ottobre
Prendo un caffè e un croissant al volo, che i colleghi si stanno già riunendo nella sala che stiamo usando da ieri. Oggi la giornata è improntata su presentazioni dei risultati, vari speech, e qualche riconoscimento per i risultati raggiunti. Non ci crederete, ma per me è interessante pure la giornata di oggi, per vedere cosa stiamo facendo in tutti i continenti, e per vedere se i nostri sbattimenti valgono a qualcosa. Certo, quando si arriva a discutere della qualità dei prodotti, soprattutto dei reclami che stiamo prendendo, la Supply Chain viene messa sulla graticola, ma va bene sentirsi pungolati, che altrimenti ci si annoia (questa è una delle mie battute più classiche). C'è anche il momento Q&A (questions and answers), che seppur pilotato, mi fa prendere coraggio e domandare alla solita rappresentante delle Risorse Umane se ho il permesso di contattarla, nel caso non ricevessi sufficienti risposte dal capo delle Risorse Umane del mio stabilimento. Qui ci sarebbe da aprire una parentesi ampia, ma non è il caso: vi basti sapere che stiamo combattendo per una persona temporanea (ormai da 4 mesi), e per una sostituzione di una collega che andrà in pensione a breve, con qualcuno di valido, e ci siamo rotti le scatole di accettare sempre quelli che dagli altri sono considerati scarti.
I lavori terminano verso le 5 del pomeriggio, e io sono uno degli ultimi ad andarmene. C'è tempo per scambiare due parole con uno dei miei capi, che mi chiede se possiamo vederci lunedì prossimo, dato che sarò a Bruxelles, quindi fissiamo di pranzare insieme. C'è in ballo una mia candidatura per un posto che implica un trasferimento, per cui prima so qualcosa, meglio è. Gli amici sudamericani e l'amico bulgaro, che mi ha dato molte dritte sui piatti da scoprire quando ho fatto i miei giri nei Balcani, sono tra gli ultimi ad andarsene.
Ero arrivato qui quasi intimorito, felice di essere stato invitato, me ne vado, io che sono ingenuo e credo davvero a quello che dicono le persone, con una grande soddisfazione: il lavoro che sto facendo con il mio gruppo, è apprezzato anche al di fuori dell'organizzazione di cui facciamo parte, la Supply Chain. Ho conosciuto, come detto, colleghi provenienti da ogni parte del mondo, Bulgaria, Germania, Inghilterra, poi Asia e Sud America, Nord America, e tutti mi hanno ringraziato per il lavoro che stiamo facendo. C'è chi, addirittura, uno dei componenti del marketing più anziani, riconosciuto da tutti come un vero personaggio (somiglia ad Agassi), si è spinto ancora più in là, stringendomi la mano per un po', e dicendomi, in presenza di un'altra persona, che gli piace come approccio le problematiche: sempre positivo, propositivo, veloce nelle risposte. Mi commuovo solo a ripensarci.
Dopo le 18 ecco il mio taxi: sono solo io su un veicolo tipicamente statunitense, una jeep enorme della quale non oso immaginare la cilindrata. Soliti ingorghi sulla via per Parigi, sono stanco e quasi mi assopisco. Riesco a scherzare in francese con il tassista, che mi scarica davanti all'Hilton di Orly aeroporto, dove ho prenotato la notte. Faccio una foto all'auto, per mio nipote: per qualche strano motivo, il giorno seguente mi accorgo che non è venuta. Check in, salgo in camera (spaziosissima, anche se si nota che l'albergo comincia ad aver bisogno di una rinfrescata), e poi scendo per cenare, che sono quasi le 20.
Esco, fumo una sigaretta, torno in camera e mi sparo una serie di episodi vari delle mie serie preferite.
Venerdì 23 ottobre
Mi sveglio con calma, oggi è, come dire, una giornata persa. Scendo per la colazione, risalgo per preparare il tutto, scendo di nuovo, saldo, prendo la navetta, arrivo all'aeroporto, passo i controlli, attendo il mio volo, mangio qualcosa, mi imbarco. Sul volo c'è una band, evidentemente reggae, con ben due componenti in sedia a rotelle. Dalla prima fila osservo la lunga trafila per il loro imbarco. Bella giornata, il volo è di quelli tutti da osservare al finestrino. Le Alpi son sempre uno spettacolo, e quando se ne esce riconosco La Spezia e il litorale. All'atterraggio, è tardi per rientrare a lavoro. O meglio, sarebbe tardi. Se non fosse che mi chiama il capo, c'è un problema, ho il pc con me e sono le 17 passate, rientro e ci faccio le 20. E' un lavoro duro, in pochi lo capiscono, ma qualcuno lo deve fare.
Domani allo stadio col nipote, e domenica mattina si riparte per Bruxelles.
Prendo un caffè e un croissant al volo, che i colleghi si stanno già riunendo nella sala che stiamo usando da ieri. Oggi la giornata è improntata su presentazioni dei risultati, vari speech, e qualche riconoscimento per i risultati raggiunti. Non ci crederete, ma per me è interessante pure la giornata di oggi, per vedere cosa stiamo facendo in tutti i continenti, e per vedere se i nostri sbattimenti valgono a qualcosa. Certo, quando si arriva a discutere della qualità dei prodotti, soprattutto dei reclami che stiamo prendendo, la Supply Chain viene messa sulla graticola, ma va bene sentirsi pungolati, che altrimenti ci si annoia (questa è una delle mie battute più classiche). C'è anche il momento Q&A (questions and answers), che seppur pilotato, mi fa prendere coraggio e domandare alla solita rappresentante delle Risorse Umane se ho il permesso di contattarla, nel caso non ricevessi sufficienti risposte dal capo delle Risorse Umane del mio stabilimento. Qui ci sarebbe da aprire una parentesi ampia, ma non è il caso: vi basti sapere che stiamo combattendo per una persona temporanea (ormai da 4 mesi), e per una sostituzione di una collega che andrà in pensione a breve, con qualcuno di valido, e ci siamo rotti le scatole di accettare sempre quelli che dagli altri sono considerati scarti.
La camera |
Un particolare della sala riunioni che mi ha colpito |
I lavori terminano verso le 5 del pomeriggio, e io sono uno degli ultimi ad andarmene. C'è tempo per scambiare due parole con uno dei miei capi, che mi chiede se possiamo vederci lunedì prossimo, dato che sarò a Bruxelles, quindi fissiamo di pranzare insieme. C'è in ballo una mia candidatura per un posto che implica un trasferimento, per cui prima so qualcosa, meglio è. Gli amici sudamericani e l'amico bulgaro, che mi ha dato molte dritte sui piatti da scoprire quando ho fatto i miei giri nei Balcani, sono tra gli ultimi ad andarsene.
Ero arrivato qui quasi intimorito, felice di essere stato invitato, me ne vado, io che sono ingenuo e credo davvero a quello che dicono le persone, con una grande soddisfazione: il lavoro che sto facendo con il mio gruppo, è apprezzato anche al di fuori dell'organizzazione di cui facciamo parte, la Supply Chain. Ho conosciuto, come detto, colleghi provenienti da ogni parte del mondo, Bulgaria, Germania, Inghilterra, poi Asia e Sud America, Nord America, e tutti mi hanno ringraziato per il lavoro che stiamo facendo. C'è chi, addirittura, uno dei componenti del marketing più anziani, riconosciuto da tutti come un vero personaggio (somiglia ad Agassi), si è spinto ancora più in là, stringendomi la mano per un po', e dicendomi, in presenza di un'altra persona, che gli piace come approccio le problematiche: sempre positivo, propositivo, veloce nelle risposte. Mi commuovo solo a ripensarci.
Dopo le 18 ecco il mio taxi: sono solo io su un veicolo tipicamente statunitense, una jeep enorme della quale non oso immaginare la cilindrata. Soliti ingorghi sulla via per Parigi, sono stanco e quasi mi assopisco. Riesco a scherzare in francese con il tassista, che mi scarica davanti all'Hilton di Orly aeroporto, dove ho prenotato la notte. Faccio una foto all'auto, per mio nipote: per qualche strano motivo, il giorno seguente mi accorgo che non è venuta. Check in, salgo in camera (spaziosissima, anche se si nota che l'albergo comincia ad aver bisogno di una rinfrescata), e poi scendo per cenare, che sono quasi le 20.
Esco, fumo una sigaretta, torno in camera e mi sparo una serie di episodi vari delle mie serie preferite.
Venerdì 23 ottobre
Mi sveglio con calma, oggi è, come dire, una giornata persa. Scendo per la colazione, risalgo per preparare il tutto, scendo di nuovo, saldo, prendo la navetta, arrivo all'aeroporto, passo i controlli, attendo il mio volo, mangio qualcosa, mi imbarco. Sul volo c'è una band, evidentemente reggae, con ben due componenti in sedia a rotelle. Dalla prima fila osservo la lunga trafila per il loro imbarco. Bella giornata, il volo è di quelli tutti da osservare al finestrino. Le Alpi son sempre uno spettacolo, e quando se ne esce riconosco La Spezia e il litorale. All'atterraggio, è tardi per rientrare a lavoro. O meglio, sarebbe tardi. Se non fosse che mi chiama il capo, c'è un problema, ho il pc con me e sono le 17 passate, rientro e ci faccio le 20. E' un lavoro duro, in pochi lo capiscono, ma qualcuno lo deve fare.
Domani allo stadio col nipote, e domenica mattina si riparte per Bruxelles.
20151124
Bruxelles (Belgio) - Ottobre 2015
Domenica 25 ottobre
Ore 6 AM ritrovo all'ingresso dello stabilimento. Con me ci sono due colleghi, un vecchio amico che fa parte della mia squadra, e una giovane ma qualificatissima collega che, dopo svariati contratti a tempo, è stata finalmente assunta, e adesso si occupa di qualità e reclami. Stiamo andando a fare un corso su un nuovo sistema sul quale saranno poi riversati i reclami, per cui mi sembrava giusto portare queste due persone, per motivi diversi, ma è giusto così. Per loro è la prima volta in assoluto a Bruxelles, non solo per lavoro, ma pure per piacere, quindi mai volo fu più "giusto" come orario: arriveremo alle 11, ci vorrà un'oretta per arrivare all'albergo (voliamo con Ryanair da Pisa su Charleroi, che come ormai tutti sanno, è a ben 75 km da Bruxelles), ma abbiamo tutto il pomeriggio per fare i turisti, e a me, nonostante ormai ci sia stato già molte volte, piace sempre. Già prima dell'imbarco, scopriamo che sul volo con noi c'è anche un altro collega, di un altro servizio, ma amico comune. Volo tranquillo, un po' sonnolento ovviamente, arrivo in orario, anche l'amico, che va da un'altra parte, ha noleggiato un auto, quindi prendiamo un caffè senza fretta e ci avviamo al noleggio. L'essere iscritto al programma di fidelizzazione della Hertz (oltre che a quello AVIS), mi regala questa sorpresona che voglio fotografare:
Salutiamo l'amico e partiamo in direzione Bruxelles, tempo grigio ma poca pioggia, e fortunatamente poco traffico. Abbiamo perso un po' di tempo, quindi mi dirigo direttamente al ristorante dove avevo già pensato di portare i colleghi per pranzo, ancora prima di andare in albergo. Loro accettano di buon grado, e quindi ci dirigiamo giusto lì. Sto parlando della brasserie De Drie Fonteinen, un luogo dove, forse lo ricorderete, sono capitato per caso la seconda volta che son venuto nella capitale belga (la prima in cui ho prenotato da solo), solo perché era il ristorante più vicino all'albergo che avevo prenotato un quella occasione. E siccome mi è piaciuto molto, stavolta voglio condividere.
Ottimo pranzo, anche se stavolta la bistecca di cavallo non è cotta come piace a me, ma il resto è tutto ok. Ci spostiamo verso l'albergo, il già descritto The Lodge di Vilvoorde, il quartiere dove vorrei vivere nel caso mi trasferissero qui (solo perché è il più vicino al Quartier Generale, e perché davvero poco simile alla ressa del centro), facciamo il check in e ci installiamo, una quarantina di minuti prima di ritrovarci nella hall per andare verso il centro. Mi metto in libertà in camera (mi sembra esattamente la stessa della volta scorsa), e mi metto a vedere la partita di calcio femminile tra le nazionali della Germania e quella della Turchia. Però!
Sono le 15, e ci ritroviamo nel cortile centrale; vi ricordo che l'albergo è stato ricavato da un'antica casa di correzione. I colleghi apprezzano l'idea e l'albergo. Prendiamo l'auto e ci dirigiamo verso quella che abbiamo stabilito essere la prima tappa: l'Atomium, che come forse vi sarete accorti, non ho mai visto, pur essendo ormai stato spesso a Bruxelles. Qualche giro per trovare un parcheggio non troppo lontano, ed eccoci lì.
Struttura imponente, c'è un sacco di gente fuori, e un sacco di gente in fila per entrare. Desistiamo per quanto riguarda la visita "interna", e nel frattempo, mentre la mia collega era impegnata a farsi delle foto con la struttura sullo sfondo, attacco bottone con tre ragazze portoghesi. Torniamo all'auto e ci dirigiamo verso il centro, in direzione di un parcheggio che mi ricordo di aver "usato" insieme ad altri colleghi in un'altra occasione. Arriviamo nonostante alcune deviazioni (in centro ci sono molti lavori), parcheggiamo, e prendiamo una delle vie che dal Boulevard du Jardin Botanique vanno verso la Grand Place. E' un bel passeggiare, molta gente, bei negozi, temperatura giusta. Pian piano arriviamo alla piazza, e ci sediamo per un caffè.
Due chiacchiere, si fa una certa, e torniamo all'auto. Si torna in albergo, e si esce dopo una mezz'ora per la cena, al ristorante vicino all'albergo, il da me già testato (un paio di volte) Canal Vilvoorde, giusto a quattro passi a piedi. Sono appena le 20, ma c'è poca gente e quando finiamo stanno praticamente chiudendo. Cena soddisfacente, attraversiamo la piazza pedonale, e ci salutiamo per la notte.
Lunedì 26 ottobre
Sveglia presto, check out e via verso il quartier generale. Ci registriamo all'ingresso, e devo scomodare l'unica collega che so essere a lavoro a quell'ora. Ci salutiamo, e comincio ad introdurre i miei colleghi ad altri colleghi, che io conosco già. Io faccio un po' di pubbliche relazioni, uno dei colleghi controlla che "a casa" fili tutto liscio. Alle 9 scendiamo di un piano e andiamo verso la sala riunioni dove si svolgerà il corso. Abbiamo già avuto una sessione introduttiva qualche settimana prima, via conf call, tutto fila liscio e terminiamo prima dell'orario prestabilito. Saluto tutti, i miei due colleghi vanno a pranzo con il resto del corso, io salgo di due piani e vado ad attendere il mio capo (uno dei) nel suo ufficio. Non è ancora arrivato, saluto l'ufficio dei suoi collaboratori, quello che potrebbe essere il mio tra poco. Come forse vi ho detto, mi sono candidato per un posto vacante, proprio lì, in quell'ufficio. Arriva il mio appuntamento, e andiamo verso il ristorante aziendale. Mentre pranziamo, F., il mio capo, mi fa qualche domanda introduttiva, soprattutto sulla situazione dell'ufficio in Italia. Gli espongo le cose che già sa, aggiungendo la novità che una del mio team è stata convocata dal capo delle Risorse Umane per la pensione, e lei ha accettato. Nel giro di due mesi (neppure) se ne andrà, e al suo posto ci è stata proposta una persona che non è assolutamente adatta a sostituirla. Lui mi supporta al 100%, e scuote la testa per questa ulteriore notizia che non lo convince proprio. Entriamo nel discorso personale: mi dice, in maniera gentile ma molto diretta, che ha scorso la lista dei candidati per questo posto a Bruxelles, e che sicuramente non mi sceglierà, ma non sceglierà nessuno della lista. E' un posto delicato, per il quale vuole una persona altamente qualificata. Mi ribadisce che mi tiene in grande considerazione, mi domanda il mio curriculum, e se rimango comunque disponibile al trasferimento, se ho delle preferenze. Gli rispondo che non ne ho, che ho voglia di un'esperienza diversa, e che mi sento pronto a qualsiasi destinazione. Mi dice che potrei ricoprire altri ruoli, anche altrettanto prestigiosi, al momento giusto. Riapre un discorso di promozione di livello, che avevamo intrapreso il mese scorso, ribadendo che è ridicolo che non sia ancora a livello quadro, mi promette che spingerà per quanto può (ma la cosa dipende dal mio sito di appartenenza), mi dice che anche il suo capo, quello dell'intera Supply Chain, è del suo stesso parere, che ne hanno parlato. Lo ringrazio, sinceramente, non mi sento squalificato dal fatto che abbia deciso di non scegliermi per quella posizione, anzi, mi sento lusingato di tutto quello che mi ha detto, delle possibilità che mi ha lasciato intravedere, della considerazione che ha sempre dimostrato per me, e che oggi ha ribadito. Torniamo verso il suo ufficio, saluto ancora i suoi collaboratori, e torno al piano di sotto dai miei colleghi. Continuo fra pubbliche relazioni e chiacchiere di lavoro, una sorta di riunione informale, ricevo anche un invito ad uscire a bere qualcosa insieme a tre colleghi molto più giovani di me, con i quali nonostante la distanza e le frequentazioni dilatate nel tempo, si è creata una sorta di amicizia. Dico loro che accetto volentieri, la prossima volta sicura che dovrò tornare a Bruxelles sarà in gennaio 2016, e che sarò col mio capo italiano, che parteciperà volentieri. Alle 16,30 non transigo, si parte per l'aeroporto: la strada non è lunga ma il traffico potrebbe essere infernale, non voglio rischiare. Ci siamo dati appuntamento con l'altro collega, per mangiare qualcosa prima del volo. Si parte.
Il traffico non è malaccio, ma comunque ci impieghiamo quasi 2 ore. Durante il tragitto, mi chiedono come sia andato l'incontro, e racconto tutto. Sono quasi più delusi loro di me. So che non lo fanno per adulazione o piaggeria, mi stimano veramente.
Rifornimento alla stazione di servizio a poche centinaia di metri dall'aeroporto, il collega mi chiama per dirmi che lui ha già consegnato l'auto, gli dico che stiamo arrivando.
Consegno l'auto, e mangiamo qualcosa prima dei controlli di sicurezza. Acquisti di cioccolatini per i colleghi e le mogli, una tradizione, e poi controlli di sicurezza. Si attende il gate, ci mettiamo in fila, ci imbarchiamo, sonnecchiamo durante il volo. Puntuale, salutiamo il collega a Pisa, proseguiamo per il parcheggio. Veloci verso il paesello, verso la mezzanotte siamo al punto di incontro. A domattina, di nuovo al pezzo.
Ore 6 AM ritrovo all'ingresso dello stabilimento. Con me ci sono due colleghi, un vecchio amico che fa parte della mia squadra, e una giovane ma qualificatissima collega che, dopo svariati contratti a tempo, è stata finalmente assunta, e adesso si occupa di qualità e reclami. Stiamo andando a fare un corso su un nuovo sistema sul quale saranno poi riversati i reclami, per cui mi sembrava giusto portare queste due persone, per motivi diversi, ma è giusto così. Per loro è la prima volta in assoluto a Bruxelles, non solo per lavoro, ma pure per piacere, quindi mai volo fu più "giusto" come orario: arriveremo alle 11, ci vorrà un'oretta per arrivare all'albergo (voliamo con Ryanair da Pisa su Charleroi, che come ormai tutti sanno, è a ben 75 km da Bruxelles), ma abbiamo tutto il pomeriggio per fare i turisti, e a me, nonostante ormai ci sia stato già molte volte, piace sempre. Già prima dell'imbarco, scopriamo che sul volo con noi c'è anche un altro collega, di un altro servizio, ma amico comune. Volo tranquillo, un po' sonnolento ovviamente, arrivo in orario, anche l'amico, che va da un'altra parte, ha noleggiato un auto, quindi prendiamo un caffè senza fretta e ci avviamo al noleggio. L'essere iscritto al programma di fidelizzazione della Hertz (oltre che a quello AVIS), mi regala questa sorpresona che voglio fotografare:
Salutiamo l'amico e partiamo in direzione Bruxelles, tempo grigio ma poca pioggia, e fortunatamente poco traffico. Abbiamo perso un po' di tempo, quindi mi dirigo direttamente al ristorante dove avevo già pensato di portare i colleghi per pranzo, ancora prima di andare in albergo. Loro accettano di buon grado, e quindi ci dirigiamo giusto lì. Sto parlando della brasserie De Drie Fonteinen, un luogo dove, forse lo ricorderete, sono capitato per caso la seconda volta che son venuto nella capitale belga (la prima in cui ho prenotato da solo), solo perché era il ristorante più vicino all'albergo che avevo prenotato un quella occasione. E siccome mi è piaciuto molto, stavolta voglio condividere.
Ottimo pranzo, anche se stavolta la bistecca di cavallo non è cotta come piace a me, ma il resto è tutto ok. Ci spostiamo verso l'albergo, il già descritto The Lodge di Vilvoorde, il quartiere dove vorrei vivere nel caso mi trasferissero qui (solo perché è il più vicino al Quartier Generale, e perché davvero poco simile alla ressa del centro), facciamo il check in e ci installiamo, una quarantina di minuti prima di ritrovarci nella hall per andare verso il centro. Mi metto in libertà in camera (mi sembra esattamente la stessa della volta scorsa), e mi metto a vedere la partita di calcio femminile tra le nazionali della Germania e quella della Turchia. Però!
Sono le 15, e ci ritroviamo nel cortile centrale; vi ricordo che l'albergo è stato ricavato da un'antica casa di correzione. I colleghi apprezzano l'idea e l'albergo. Prendiamo l'auto e ci dirigiamo verso quella che abbiamo stabilito essere la prima tappa: l'Atomium, che come forse vi sarete accorti, non ho mai visto, pur essendo ormai stato spesso a Bruxelles. Qualche giro per trovare un parcheggio non troppo lontano, ed eccoci lì.
Struttura imponente, c'è un sacco di gente fuori, e un sacco di gente in fila per entrare. Desistiamo per quanto riguarda la visita "interna", e nel frattempo, mentre la mia collega era impegnata a farsi delle foto con la struttura sullo sfondo, attacco bottone con tre ragazze portoghesi. Torniamo all'auto e ci dirigiamo verso il centro, in direzione di un parcheggio che mi ricordo di aver "usato" insieme ad altri colleghi in un'altra occasione. Arriviamo nonostante alcune deviazioni (in centro ci sono molti lavori), parcheggiamo, e prendiamo una delle vie che dal Boulevard du Jardin Botanique vanno verso la Grand Place. E' un bel passeggiare, molta gente, bei negozi, temperatura giusta. Pian piano arriviamo alla piazza, e ci sediamo per un caffè.
Due chiacchiere, si fa una certa, e torniamo all'auto. Si torna in albergo, e si esce dopo una mezz'ora per la cena, al ristorante vicino all'albergo, il da me già testato (un paio di volte) Canal Vilvoorde, giusto a quattro passi a piedi. Sono appena le 20, ma c'è poca gente e quando finiamo stanno praticamente chiudendo. Cena soddisfacente, attraversiamo la piazza pedonale, e ci salutiamo per la notte.
Lunedì 26 ottobre
Sveglia presto, check out e via verso il quartier generale. Ci registriamo all'ingresso, e devo scomodare l'unica collega che so essere a lavoro a quell'ora. Ci salutiamo, e comincio ad introdurre i miei colleghi ad altri colleghi, che io conosco già. Io faccio un po' di pubbliche relazioni, uno dei colleghi controlla che "a casa" fili tutto liscio. Alle 9 scendiamo di un piano e andiamo verso la sala riunioni dove si svolgerà il corso. Abbiamo già avuto una sessione introduttiva qualche settimana prima, via conf call, tutto fila liscio e terminiamo prima dell'orario prestabilito. Saluto tutti, i miei due colleghi vanno a pranzo con il resto del corso, io salgo di due piani e vado ad attendere il mio capo (uno dei) nel suo ufficio. Non è ancora arrivato, saluto l'ufficio dei suoi collaboratori, quello che potrebbe essere il mio tra poco. Come forse vi ho detto, mi sono candidato per un posto vacante, proprio lì, in quell'ufficio. Arriva il mio appuntamento, e andiamo verso il ristorante aziendale. Mentre pranziamo, F., il mio capo, mi fa qualche domanda introduttiva, soprattutto sulla situazione dell'ufficio in Italia. Gli espongo le cose che già sa, aggiungendo la novità che una del mio team è stata convocata dal capo delle Risorse Umane per la pensione, e lei ha accettato. Nel giro di due mesi (neppure) se ne andrà, e al suo posto ci è stata proposta una persona che non è assolutamente adatta a sostituirla. Lui mi supporta al 100%, e scuote la testa per questa ulteriore notizia che non lo convince proprio. Entriamo nel discorso personale: mi dice, in maniera gentile ma molto diretta, che ha scorso la lista dei candidati per questo posto a Bruxelles, e che sicuramente non mi sceglierà, ma non sceglierà nessuno della lista. E' un posto delicato, per il quale vuole una persona altamente qualificata. Mi ribadisce che mi tiene in grande considerazione, mi domanda il mio curriculum, e se rimango comunque disponibile al trasferimento, se ho delle preferenze. Gli rispondo che non ne ho, che ho voglia di un'esperienza diversa, e che mi sento pronto a qualsiasi destinazione. Mi dice che potrei ricoprire altri ruoli, anche altrettanto prestigiosi, al momento giusto. Riapre un discorso di promozione di livello, che avevamo intrapreso il mese scorso, ribadendo che è ridicolo che non sia ancora a livello quadro, mi promette che spingerà per quanto può (ma la cosa dipende dal mio sito di appartenenza), mi dice che anche il suo capo, quello dell'intera Supply Chain, è del suo stesso parere, che ne hanno parlato. Lo ringrazio, sinceramente, non mi sento squalificato dal fatto che abbia deciso di non scegliermi per quella posizione, anzi, mi sento lusingato di tutto quello che mi ha detto, delle possibilità che mi ha lasciato intravedere, della considerazione che ha sempre dimostrato per me, e che oggi ha ribadito. Torniamo verso il suo ufficio, saluto ancora i suoi collaboratori, e torno al piano di sotto dai miei colleghi. Continuo fra pubbliche relazioni e chiacchiere di lavoro, una sorta di riunione informale, ricevo anche un invito ad uscire a bere qualcosa insieme a tre colleghi molto più giovani di me, con i quali nonostante la distanza e le frequentazioni dilatate nel tempo, si è creata una sorta di amicizia. Dico loro che accetto volentieri, la prossima volta sicura che dovrò tornare a Bruxelles sarà in gennaio 2016, e che sarò col mio capo italiano, che parteciperà volentieri. Alle 16,30 non transigo, si parte per l'aeroporto: la strada non è lunga ma il traffico potrebbe essere infernale, non voglio rischiare. Ci siamo dati appuntamento con l'altro collega, per mangiare qualcosa prima del volo. Si parte.
Il traffico non è malaccio, ma comunque ci impieghiamo quasi 2 ore. Durante il tragitto, mi chiedono come sia andato l'incontro, e racconto tutto. Sono quasi più delusi loro di me. So che non lo fanno per adulazione o piaggeria, mi stimano veramente.
Rifornimento alla stazione di servizio a poche centinaia di metri dall'aeroporto, il collega mi chiama per dirmi che lui ha già consegnato l'auto, gli dico che stiamo arrivando.
Consegno l'auto, e mangiamo qualcosa prima dei controlli di sicurezza. Acquisti di cioccolatini per i colleghi e le mogli, una tradizione, e poi controlli di sicurezza. Si attende il gate, ci mettiamo in fila, ci imbarchiamo, sonnecchiamo durante il volo. Puntuale, salutiamo il collega a Pisa, proseguiamo per il parcheggio. Veloci verso il paesello, verso la mezzanotte siamo al punto di incontro. A domattina, di nuovo al pezzo.
20151123
Danzica (Polonia) - Ottobre 2015 (3)
Arrivo fino alla stazione dei treni, divago fuori dal centro storico, ma è palese che la parte più bella e interessante sia quella attorno all'albergo. Comincia a piovere, continuo a passeggiare, ma a metà pomeriggio desisto. Rientro in albergo e mi dedico all'attività che preferisco nel tempo libero: stare sdraiato e guardare serie tv.
Esco di nuovo verso l'ora di cena, rimango sulla via lunga (Ulica Dluga), e mi faccio convincere dal ristorante Napoli, dove capito accanto ad un tavolo fastidiosissimo, dove tre energumeni, forse svedesi, evidentemente alticci, importunano un po' tutte le cameriere, che però conservano una calma olimpica e ammirevole. Al momento del conto ci scherzo sopra con una di loro, e domando chi è italiano nello staff del ristorante, e mi rispondono candidamente "nessuno". Rientro in albergo. Domenica 18 ottobre
Giornata uggiosa come da previsioni, ma con l'aiuto dell'ombrello si viaggia ugualmente.
Faccio colazione presto, poi perdo un po' di tempo in camera. Esco, faccio un escursione oltre la Porta Verde, attraverso un paio di ponti e passeggio lungo la marina, lungo un altro braccio di fiume. Ubico un paio di ristoranti che hanno buone recensioni, ma l'orario non è ancora giusto per il pranzo, e quindi giro ancora un po', attorno alla cattedrale, lungo le vie turistiche, fino all'ora del pranzo. Qui, opto per il Literacka in Mariacka, anche di questo in rete se ne parla bene. Il ristorante è vuoto, ma è piccolo, la cameriera mi domanda se ho prenotato, le dico di no, e mi dice che per le 13,30 ha tutto prenotato. Rispondo che non le darò problemi. Ordino un piatto solo, e un bicchiere di vino. Finisco in breve, e vedo la ragazza sorridente ma stanca. Faccio qualche battuta sulla seratona di ieri (immagino), e ci prendo, mi spiega che doveva essere di festa, e invece il suo collega si è dato malato, e l'hanno richiamata in extremis, insomma, prendo un caffè, insisto perché prenda la mancia (rifiuta un paio di volte, proprio perché sa di non essere in gran forma), la invito a fumarsi una sigaretta insieme a me fuori dal locale, accetta, facciamo due chiacchiere, un bel momento. Arrivano dei clienti, la saluto, e riprendo a passeggiare per le vie di Danzica.
Ho visto quasi tutto, quindi la giornata finisce dopo qualche ora. Riprendo le attività di ozio, e tra l'altro, il piatto di pasta di oggi, molto carico, fa si che non abbia fame neppure all'ora di cena, esco brevemente per mangiare un'insalata in un altro locale della via lunga, e rientro.
Lunedì 19 ottobre
Mi sveglio con calma, colazione, preparo i bagagli e lascio la camera. La giornata è sempre nuvolosa ma migliore delle precedenti, quindi lascio il trolley alla reception ed esco per una passeggiata. All'ora di pranzo, come ripromessomi, mi accomodo al Cafe Bar Mon Balzac, il ristorante inglobato nell'albergo, mi prende in cura una rossa interessantissima, intravedo dalla finestra il tassista che mi ha accompagnato all'arrivo. Faccio l'ora del trasferimento, vado alla reception, l'autista si presenta, prendo il trolley e saluto, via verso l'aeroporto.
Domani si riparte per Parigi.
Esco di nuovo verso l'ora di cena, rimango sulla via lunga (Ulica Dluga), e mi faccio convincere dal ristorante Napoli, dove capito accanto ad un tavolo fastidiosissimo, dove tre energumeni, forse svedesi, evidentemente alticci, importunano un po' tutte le cameriere, che però conservano una calma olimpica e ammirevole. Al momento del conto ci scherzo sopra con una di loro, e domando chi è italiano nello staff del ristorante, e mi rispondono candidamente "nessuno". Rientro in albergo. Domenica 18 ottobre
Giornata uggiosa come da previsioni, ma con l'aiuto dell'ombrello si viaggia ugualmente.
Faccio colazione presto, poi perdo un po' di tempo in camera. Esco, faccio un escursione oltre la Porta Verde, attraverso un paio di ponti e passeggio lungo la marina, lungo un altro braccio di fiume. Ubico un paio di ristoranti che hanno buone recensioni, ma l'orario non è ancora giusto per il pranzo, e quindi giro ancora un po', attorno alla cattedrale, lungo le vie turistiche, fino all'ora del pranzo. Qui, opto per il Literacka in Mariacka, anche di questo in rete se ne parla bene. Il ristorante è vuoto, ma è piccolo, la cameriera mi domanda se ho prenotato, le dico di no, e mi dice che per le 13,30 ha tutto prenotato. Rispondo che non le darò problemi. Ordino un piatto solo, e un bicchiere di vino. Finisco in breve, e vedo la ragazza sorridente ma stanca. Faccio qualche battuta sulla seratona di ieri (immagino), e ci prendo, mi spiega che doveva essere di festa, e invece il suo collega si è dato malato, e l'hanno richiamata in extremis, insomma, prendo un caffè, insisto perché prenda la mancia (rifiuta un paio di volte, proprio perché sa di non essere in gran forma), la invito a fumarsi una sigaretta insieme a me fuori dal locale, accetta, facciamo due chiacchiere, un bel momento. Arrivano dei clienti, la saluto, e riprendo a passeggiare per le vie di Danzica.
Ho visto quasi tutto, quindi la giornata finisce dopo qualche ora. Riprendo le attività di ozio, e tra l'altro, il piatto di pasta di oggi, molto carico, fa si che non abbia fame neppure all'ora di cena, esco brevemente per mangiare un'insalata in un altro locale della via lunga, e rientro.
L'interno del Literacka |
Mi sveglio con calma, colazione, preparo i bagagli e lascio la camera. La giornata è sempre nuvolosa ma migliore delle precedenti, quindi lascio il trolley alla reception ed esco per una passeggiata. All'ora di pranzo, come ripromessomi, mi accomodo al Cafe Bar Mon Balzac, il ristorante inglobato nell'albergo, mi prende in cura una rossa interessantissima, intravedo dalla finestra il tassista che mi ha accompagnato all'arrivo. Faccio l'ora del trasferimento, vado alla reception, l'autista si presenta, prendo il trolley e saluto, via verso l'aeroporto.
Domani si riparte per Parigi.
20151122
Austria/Svizzera - Ottobre 2015 (3)
Mercoledì 14 ottobre
Sveglia, si scende per la colazione (sempre nell'albergo di fronte), si ride perché circondati da anziani anche poco in salute, si torna in camera a prendere i bagagli, si scende, si salda (stavolta la reception è aperta), si mettono i bagagli in auto, si imposta l'indirizzo del sito della nostra stessa società in quel paesello, e si va. Parcheggiamo, e cerchiamo l'ingresso. Individuato, entriamo, e chiediamo alla reception dei nostri due referenti, dando i nostri nomi. Mentre la signorina li chiama, ci accorgiamo che giusto sotto la finestrella della reception, c'è un leggio con i nostri nomi e la scritta welcome. Arrivano i nostri due ospiti, ci salutiamo e ci accomodiamo in una sala riunioni vetusta, ma non come quelle che abbiamo noi nello stabilimento nel quale lavoro ormai da oltre 26 anni. Ci presentiamo meglio, ci fanno delle domande, parlo soprattutto io, ormai mi sono calato quasi del tutto nella parte del capofila. La sensazione che abbiamo da subito, e i nostri ospiti ce la confermano poco a poco, anche spiegandoci cosa hanno fatto negli ultimi anni, è che qua ci sia proprio la sensazione che la società (per cui lavoriamo tutti) li abbia abbandonati. Sono molto felici che qualcuno li sia andati a trovare, e questa sensazione ci avvolge tutti e tre. E' curioso, perché queste persone lavorano da anni per la nostra stessa compagnia. Quando tutte le produzioni sono state fermate, loro pian piano hanno cominciato ad affittare gli spazi ad altre società. Pensiamo, e glielo diciamo, seppure conti poco, "bravi". Si esce, un fresco frizzante in una giornata molto bella, e pian piano facciamo il giro dell'intero sito. In alcuni edifici si sono installati anche uffici di altre società. Verifichiamo lo stato del materiale che ci interessa, ma nel frattempo ci mostrano tutto il resto. Ci sono perfino dei vagoni ristorante di treni svizzeri dismessi, ma ancora in buono stato. Entriamo perfino in un edificio dichiarato pericolante, dove incrociamo un paio di operatori di origine italiana, uno dei quali ci saluta con un preciso accento siciliano. Do qualche dritta al mio diretto collaboratore, senza voler sembrare direttivo. Non sembra aver problemi, incamera volentieri, capisco che non è la sua prima preoccupazione, e comprendo perfettamente, ma la sua faccia mi ispira simpatia.
Torniamo alla sala riunioni, ci chiedono se rimaniamo per pranzo, gentilmente decliniamo l'invito, son tre giorni che siamo in giro e vorremmo arrivare a casa per cena. Nessun problema, ci salutiamo, li ringraziamo, loro ringraziano noi. Ci scambiamo riflessioni immediate, saliamo in auto e ci tuffiamo subito alla corsa verso la frontiera italica.
La strada scorre, i paesaggi sono piacevoli. Passano le 12, e anche le 13. Ormai decidiamo di passare anche il tunnel del San Gottardo: 17 chilometri sotto la montagna, un'opera maestosa. Ci fermiamo al primo autogrill, ormai si parla italiano, seppur siamo sempre in Svizzera; ma tra le numerosissime lavoranti dell'area di servizio, noto tante immigrate dell'Est Europa. E sapete che queste particolarità, le noto sempre con occhio positivo. Il pranzo è decente, e la compagnia continua ad essere piacevole. Sono contento di lavorare con queste persone, ma loro lo sanno già: spero che loro pensino lo stesso, e anche questo non è un dubbio. Si passa la frontiera inesistente, e comincio ad assopirmi. Dormicchio, e riapro gli occhi decisamente che siamo già quasi all'imbocco della Parma-La Spezia. Ormai ci siamo. Ci si ferma per un caffè, per l'ora di cena saremo sicuramente a casa.
E' stata un'altra esperienza interessante. Realtà completamente diverse, storie differenti, eppure, sarò retorico, ma da ognuna di esse c'è da imparare. A L. e F., grazie della compagnia, e alla prossima.
Sveglia, si scende per la colazione (sempre nell'albergo di fronte), si ride perché circondati da anziani anche poco in salute, si torna in camera a prendere i bagagli, si scende, si salda (stavolta la reception è aperta), si mettono i bagagli in auto, si imposta l'indirizzo del sito della nostra stessa società in quel paesello, e si va. Parcheggiamo, e cerchiamo l'ingresso. Individuato, entriamo, e chiediamo alla reception dei nostri due referenti, dando i nostri nomi. Mentre la signorina li chiama, ci accorgiamo che giusto sotto la finestrella della reception, c'è un leggio con i nostri nomi e la scritta welcome. Arrivano i nostri due ospiti, ci salutiamo e ci accomodiamo in una sala riunioni vetusta, ma non come quelle che abbiamo noi nello stabilimento nel quale lavoro ormai da oltre 26 anni. Ci presentiamo meglio, ci fanno delle domande, parlo soprattutto io, ormai mi sono calato quasi del tutto nella parte del capofila. La sensazione che abbiamo da subito, e i nostri ospiti ce la confermano poco a poco, anche spiegandoci cosa hanno fatto negli ultimi anni, è che qua ci sia proprio la sensazione che la società (per cui lavoriamo tutti) li abbia abbandonati. Sono molto felici che qualcuno li sia andati a trovare, e questa sensazione ci avvolge tutti e tre. E' curioso, perché queste persone lavorano da anni per la nostra stessa compagnia. Quando tutte le produzioni sono state fermate, loro pian piano hanno cominciato ad affittare gli spazi ad altre società. Pensiamo, e glielo diciamo, seppure conti poco, "bravi". Si esce, un fresco frizzante in una giornata molto bella, e pian piano facciamo il giro dell'intero sito. In alcuni edifici si sono installati anche uffici di altre società. Verifichiamo lo stato del materiale che ci interessa, ma nel frattempo ci mostrano tutto il resto. Ci sono perfino dei vagoni ristorante di treni svizzeri dismessi, ma ancora in buono stato. Entriamo perfino in un edificio dichiarato pericolante, dove incrociamo un paio di operatori di origine italiana, uno dei quali ci saluta con un preciso accento siciliano. Do qualche dritta al mio diretto collaboratore, senza voler sembrare direttivo. Non sembra aver problemi, incamera volentieri, capisco che non è la sua prima preoccupazione, e comprendo perfettamente, ma la sua faccia mi ispira simpatia.
Torniamo alla sala riunioni, ci chiedono se rimaniamo per pranzo, gentilmente decliniamo l'invito, son tre giorni che siamo in giro e vorremmo arrivare a casa per cena. Nessun problema, ci salutiamo, li ringraziamo, loro ringraziano noi. Ci scambiamo riflessioni immediate, saliamo in auto e ci tuffiamo subito alla corsa verso la frontiera italica.
Sosta in autogrill per il pranzo, poco prima di rientrare in Italia |
E' stata un'altra esperienza interessante. Realtà completamente diverse, storie differenti, eppure, sarò retorico, ma da ognuna di esse c'è da imparare. A L. e F., grazie della compagnia, e alla prossima.
20151121
20151120
Danzica (Polonia) - Ottobre 2015 (2)
Il ristorante si chiama MONO Kitchen, ed è bello, non esageratamente elegante, accogliente. Mi capita una cameriera giovane e chiaramente alle prime armi, me lo conferma anche il maitre al momento di saldare. La incoraggio e spendo qualche parola buona, le lascio una mancia più che proporzionata. Crepi l'avarizia, soprattutto in ferie. E largo ai giovani.
Riprendo l'esplorazione del cuore di Danzica, ed esco dalla parte propriamente centrale, arrivando fino alla stazione.
Molto carino il ristorante, perfino i piatti sono fighi |
Il municipio e la sua torre |
La Fontana di Nettuno |
Wieza Wiezienna, la torre della prigione |
La sede della Banca Nazionale Polacca |
Brama Wyzynna, la Porta Alta |
Un particolare dell'ingresso della Banca Nazionale |
La stazione centrale |
Torno verso il centro storico |
Due vedute della Porta d'Oro, la Zlota Brama |
Altre due vedute del municipio |
20151119
Fuoco estenuante
Exhausting Fire - Kylesa (2015)
Settimo disco per la band di Savannah, Georgia, a due anni da Ultraviolet, e nonostante avessi letto una recensione poco incoraggiante, devo dire che di sicuro i Kylesa non fanno parte di quelle band che si siedono sugli allori, o non osano mai niente. Nonostante un discreto seguito e un buon successo di critica, non reiterano mai schemi predefiniti, e certo la definizione di sludge metal comincia ad andar loro molto stretta. Avevamo già individuato in una sorta di shoegaze metal una delle loro tante sfaccettature, ma stavolta si va pure oltre. Pur conservando una struttura ed un suono sporco e pesante, sono forti le influenze new wave con echi eighties (reverberi, voci con molto eco, andamenti cadenzati, percussioni incessanti e quasi tribali - dal vivo hanno la doppia batteria), strofe cantilenanti e ripetitive che li rendono psichedelici quanto basta, alternanza della voce femminile (Laura Pleasants, anche chitarra) e quella maschile (Philip Cope, anche chitarra, basso, tastiere), incedere prepotente e digressioni strumentali asimmetriche che tornano sul riff predominante, insomma, costruzioni interessanti, avvolgenti e mai banali, per una band che, come detto, non se ne sta buona buona in una nicchia.
Canzoni che, nonostante la ruvidità e una discreta complessità, non rinunciano alle melodie, seppure selvagge, ma a volte perfino sorprendentemente catchy, basti ascoltare la meravigliosa Moving Day, una perla che Brandon Stosuy su Pitchfork definisce "una canzone mid-tempo death rock che si piazzerebbe perfettamente tra i Killing Joke e i Christian Death su una compilation, e spicca come una delle mie singole canzoni dell'anno"; lo stesso recensore usa il nome dei Pixies, e addirittura dei Meat Puppets alla lontana, per dare le coordinate del suono dei Kylesa su questo loro ultimo lavoro, e devo dire che in alcuni passaggi, pure sui Pixies ci prende, ma certo, l'amalgama di influenze, non sempre riuscito alla perfezione, è senza dubbio affascinante, ancora una volta, e qui davvero, dopo qualche ascolto, ho ripensato alla recensione negativa letta su un giornale italiano, e non l'ho proprio capita.
No, anche stavolta i Kylesa si distinguono per personalità, e si confermano una band alla quale portare il massimo rispetto.
Seventh album for the band of Savannah, Georgia, and I must say that for sure, Kylesa are not part of those bands that do not dare anything. Despite a good following, and a critical acclamation, they do not reiterate default schemes, and certainly the definition of sludge metal it's too tight for them. We had already identified, in a sort of shoegaze metal, one of them many facets, but this time they gone well over. While retaining a structure and a rough sound, here we have strong influences of eighties new wave (reverb, echo voices, rhythmic patterns, and almost tribal percussion - they have two drummers, live).
The reiteration of some verses make them psychedelic enough, the alternation of the female voice (Laura Pleasants, also guitar) and the male voice (Philip Cope, also guitar, bass, keyboards), the gait overbearing and the instrumental digressions, the sudden return to the dominant riff, the interesting and complex songwriting, the enveloping and never trivial sound, are the sign of a band that, as said, it's not comfortable in a niche.
They write songs that, despite the roughness and a good complexity, do not give up the melodies, even if "wild", but sometimes even surprisingly catchy, just listen to the wonderful "Moving Day". The reviewer on Pitchfork magazine uses the name of the Pixies (and even of Meat Puppets distantly), to give the coordinates of the sound of Kylesa on this their last job, and I must say that in some passages I strongly agree. But of course, the amalgam of influences, not always managed to perfection, is undoubtedly fascinating. Kylesa are distinguished by personality, and confirmed, they are a band to whom we must bring the utmost respect.
Settimo disco per la band di Savannah, Georgia, a due anni da Ultraviolet, e nonostante avessi letto una recensione poco incoraggiante, devo dire che di sicuro i Kylesa non fanno parte di quelle band che si siedono sugli allori, o non osano mai niente. Nonostante un discreto seguito e un buon successo di critica, non reiterano mai schemi predefiniti, e certo la definizione di sludge metal comincia ad andar loro molto stretta. Avevamo già individuato in una sorta di shoegaze metal una delle loro tante sfaccettature, ma stavolta si va pure oltre. Pur conservando una struttura ed un suono sporco e pesante, sono forti le influenze new wave con echi eighties (reverberi, voci con molto eco, andamenti cadenzati, percussioni incessanti e quasi tribali - dal vivo hanno la doppia batteria), strofe cantilenanti e ripetitive che li rendono psichedelici quanto basta, alternanza della voce femminile (Laura Pleasants, anche chitarra) e quella maschile (Philip Cope, anche chitarra, basso, tastiere), incedere prepotente e digressioni strumentali asimmetriche che tornano sul riff predominante, insomma, costruzioni interessanti, avvolgenti e mai banali, per una band che, come detto, non se ne sta buona buona in una nicchia.
Canzoni che, nonostante la ruvidità e una discreta complessità, non rinunciano alle melodie, seppure selvagge, ma a volte perfino sorprendentemente catchy, basti ascoltare la meravigliosa Moving Day, una perla che Brandon Stosuy su Pitchfork definisce "una canzone mid-tempo death rock che si piazzerebbe perfettamente tra i Killing Joke e i Christian Death su una compilation, e spicca come una delle mie singole canzoni dell'anno"; lo stesso recensore usa il nome dei Pixies, e addirittura dei Meat Puppets alla lontana, per dare le coordinate del suono dei Kylesa su questo loro ultimo lavoro, e devo dire che in alcuni passaggi, pure sui Pixies ci prende, ma certo, l'amalgama di influenze, non sempre riuscito alla perfezione, è senza dubbio affascinante, ancora una volta, e qui davvero, dopo qualche ascolto, ho ripensato alla recensione negativa letta su un giornale italiano, e non l'ho proprio capita.
No, anche stavolta i Kylesa si distinguono per personalità, e si confermano una band alla quale portare il massimo rispetto.
Seventh album for the band of Savannah, Georgia, and I must say that for sure, Kylesa are not part of those bands that do not dare anything. Despite a good following, and a critical acclamation, they do not reiterate default schemes, and certainly the definition of sludge metal it's too tight for them. We had already identified, in a sort of shoegaze metal, one of them many facets, but this time they gone well over. While retaining a structure and a rough sound, here we have strong influences of eighties new wave (reverb, echo voices, rhythmic patterns, and almost tribal percussion - they have two drummers, live).
The reiteration of some verses make them psychedelic enough, the alternation of the female voice (Laura Pleasants, also guitar) and the male voice (Philip Cope, also guitar, bass, keyboards), the gait overbearing and the instrumental digressions, the sudden return to the dominant riff, the interesting and complex songwriting, the enveloping and never trivial sound, are the sign of a band that, as said, it's not comfortable in a niche.
They write songs that, despite the roughness and a good complexity, do not give up the melodies, even if "wild", but sometimes even surprisingly catchy, just listen to the wonderful "Moving Day". The reviewer on Pitchfork magazine uses the name of the Pixies (and even of Meat Puppets distantly), to give the coordinates of the sound of Kylesa on this their last job, and I must say that in some passages I strongly agree. But of course, the amalgam of influences, not always managed to perfection, is undoubtedly fascinating. Kylesa are distinguished by personality, and confirmed, they are a band to whom we must bring the utmost respect.
20151118
Allons Enfants
Cominciamo col dire che la retorica del tipo Je suis Charlie o siamo tutti francesi ha rotto il cazzo. Un po' come mettere una roba per me sacra come La Marseillaise prima delle nostre partite di calcio di sabato 14 novembre. I monumenti o le strutture illuminate di biancorossoblu invece secondo me sono belle.
Epperò. Quel che è accaduto a Parigi il 13 novembre 2015, visto che nonostante si sia trattato di diversi eventi tragici, ma palesemente orchestrati per accadere quasi contemporaneamente, è un fatto decisamente grave, un (lo dico, sapendo di risultare praticamente conservatore) attacco allo stile di vita occidentale, alla libertà di espressione e anche alla libertà di farsi i cazzi propri e a non rinunciare a godere dei piaceri della vita: ristoranti, eventi musicali, eventi sportivi.
Comincerò col dire che leggendo ed ascoltando i resoconti dell'accaduto, aver letto Sottomissione di Houellebecq qualche mese fa mi ha generato una sorta di dejà vu. Le strade di Parigi deserte, gli incidenti, gli incendi, le sparatorie. Ma il proseguimento è decisamente diverso, in quel caso (quello del libro), gli eventi prendono una piega del tutto differente. Userò questo spunto per argomentare il mio ragionamento.
Più che in televisione, ho ascoltato i resoconti via radio, essendo stato sostanzialmente in viaggio per il giorno degli eventi e quello seguente. E, ad un certo punto, ho ascoltato un parere che mi ha trovato del tutto concorde: una persona diceva che questi assassini, compresi i kamikaze, avevano sicuramente vissuto una vita complicata, di sicuro non tutto sommato agiata come le nostre. Tutto questo è quel terreno fertile per le ideologie estreme, e quindi, il nostro impegno, la nostra guerra, deve essere quella rivolta all'accoglienza totale: (qui ci metto del mio) non possono esistere, nei paesi che si suppongono essere civilizzati, persone che sono costrette a dormire in strada, a rovistare nei cassonetti dell'immondizia per mangiare (a meno che non sia una loro libera scelta).
Faccio parte di quegli ottusi che sono convinti che a chiunque basti assaggiare la libertà come la conosciamo noi, per convincersi che non c'è nessun valore aggiunto, non si raggiunge nessun Eden pieno di vergini e con fiumi di latte e miele che scorrono, a far del male a persone che non credono nel tuo stesso dio (altra cosa discutibile, ma lasciam perdere).
Non ho detto che è la maniera giusta di vivere la vita: a me personalmente piace, ma se vedo altri vivere in un altro modo non chiedo loro di cambiare.
Sui fatti materiali, mi sento di aggiungere questo: ancora non mi capacito come i cosiddetti servizi di intelligence non riescano ad arginare questi eventi. Ci scovano qualunque cosa facciamo, che ci facciamo una canna, che ci facciamo sodomizzare in un cespuglio da una drag queen, che molestiamo una cameriera all'Hilton, ci tolgono gli accendini all'ingresso delle manifestazioni sportive, e questi se ne vanno in giro a fare stragi. Vogliamo fare il nostro lavoro oppure no? Dite che guardo troppo Homeland?
Per ora mi fermo. Non escludo di tornarci in futuro.
Epperò. Quel che è accaduto a Parigi il 13 novembre 2015, visto che nonostante si sia trattato di diversi eventi tragici, ma palesemente orchestrati per accadere quasi contemporaneamente, è un fatto decisamente grave, un (lo dico, sapendo di risultare praticamente conservatore) attacco allo stile di vita occidentale, alla libertà di espressione e anche alla libertà di farsi i cazzi propri e a non rinunciare a godere dei piaceri della vita: ristoranti, eventi musicali, eventi sportivi.
Comincerò col dire che leggendo ed ascoltando i resoconti dell'accaduto, aver letto Sottomissione di Houellebecq qualche mese fa mi ha generato una sorta di dejà vu. Le strade di Parigi deserte, gli incidenti, gli incendi, le sparatorie. Ma il proseguimento è decisamente diverso, in quel caso (quello del libro), gli eventi prendono una piega del tutto differente. Userò questo spunto per argomentare il mio ragionamento.
Più che in televisione, ho ascoltato i resoconti via radio, essendo stato sostanzialmente in viaggio per il giorno degli eventi e quello seguente. E, ad un certo punto, ho ascoltato un parere che mi ha trovato del tutto concorde: una persona diceva che questi assassini, compresi i kamikaze, avevano sicuramente vissuto una vita complicata, di sicuro non tutto sommato agiata come le nostre. Tutto questo è quel terreno fertile per le ideologie estreme, e quindi, il nostro impegno, la nostra guerra, deve essere quella rivolta all'accoglienza totale: (qui ci metto del mio) non possono esistere, nei paesi che si suppongono essere civilizzati, persone che sono costrette a dormire in strada, a rovistare nei cassonetti dell'immondizia per mangiare (a meno che non sia una loro libera scelta).
Faccio parte di quegli ottusi che sono convinti che a chiunque basti assaggiare la libertà come la conosciamo noi, per convincersi che non c'è nessun valore aggiunto, non si raggiunge nessun Eden pieno di vergini e con fiumi di latte e miele che scorrono, a far del male a persone che non credono nel tuo stesso dio (altra cosa discutibile, ma lasciam perdere).
Non ho detto che è la maniera giusta di vivere la vita: a me personalmente piace, ma se vedo altri vivere in un altro modo non chiedo loro di cambiare.
Sui fatti materiali, mi sento di aggiungere questo: ancora non mi capacito come i cosiddetti servizi di intelligence non riescano ad arginare questi eventi. Ci scovano qualunque cosa facciamo, che ci facciamo una canna, che ci facciamo sodomizzare in un cespuglio da una drag queen, che molestiamo una cameriera all'Hilton, ci tolgono gli accendini all'ingresso delle manifestazioni sportive, e questi se ne vanno in giro a fare stragi. Vogliamo fare il nostro lavoro oppure no? Dite che guardo troppo Homeland?
Per ora mi fermo. Non escludo di tornarci in futuro.
20151117
I'll come back if you'll come back
Foo Fighters + Trombone Shorty, Unipol Arena (Bologna), venerdì 13 novembre 2015
Sottotitolo: A Night To Remember (manamanà)
Ebbene si: mentre Parigi bruciava, e al concerto degli Eagles of Death Metal venivano uccise barbaramente 80 persone, noi ce la spassavamo con i Foo Fighters. Una sera nebbiosa giusto all'inizio della Pianura Padana, ritorno ai concerti dopo oltre due anni di inattività per manifesta vecchiaia, e rivedo un sacco di amici che non riabbracciavo da tempo (più ne conosco di persona uno "nuovo"). Tutto comincia all'Ikea vicina all'Unipol Arena, laddove l'amico bolognese consiglia a tutti di parcheggiare (ma lui, scopriremo alla fine, non lo fa). Naturalmente, io sbaglio parcheggio e mi infilo in quello del centro commerciale a fianco, poi raggiungo gli altri al ristorante dell'Ikea, dove si sono già scofanati le famose polpettine.
Non sono ancora arrivati tutti, ma siccome non abbiamo i posti vicini, decidiamo di andare, visto che il supporter, Trombone Shorty da New Orleans, sta per cominciare. Ed eccoci dentro all'Unipol Arena, il ragazzo sta già suonando con la sua band, gli Orleans Avenue, bravi e tutto, apprezzabilissimi seppure non abbiano niente a che spartire con i fuffa. Il ragazzo è assurto alla celebrità apparendo in Treme, ed in seguito anche su Sonic Highways. Accenni a RATM e Green Day fanno capire che quello che suona Trombone non è certo jazz, ma qualcosa di diverso, che però ha bisogno di ascolti e abitudine.
Ci prendiamo una birra, io pure un panino, ed eccoci pronti all'apertura. L'Arena è piena, non essendoci le curve suppongo siamo sulle 12mila presenze abbondanti (continuano a dire che sono 15mila, ma a me non pare), e tutti fremono per la band di Dave Grohl, che in Italia ha già suonato pochi giorni fa a Cesena, per omaggiare l'ormai famosissimo Rockin' 1000, i mille musicisti che hanno suonato la loro Learn To Fly, concerto al quale alcuni degli amici qui stasera hanno assistito. Palco mastodontico, intro rumoroso, Dave che urla un paio di are you ready?, cala il sipario e si parte alla grande con Everlong, inizio più che azzeccato.
Dalla nostra posizione, i suoni non sono propriamente il massimo, e miglioreranno solo di poco, ma ormai è assodato che in Italia non c'è la minima idea di come progettare una struttura adatta da questo punto di vista. E' un peccato, perché possono dire quel che vogliono, ma il calore che gli italiani riescono a trasmettere, soprattutto quando si tratta di rock, è unico. Anche stasera ne avremo la riprova.
Dave suona da seduto, su una sorta di trono (chiaramente ispirato al trono di spade, con tanto di manici di chitarra che emulano le spade, e faretti tutti intorno allo schienale), dato che l'incidente nel quale si è rotto una gamba in giugno, lo costringe ancora adesso ad indossare un tutore (e una scarpa con un rialzo). Il trono scorre su una rotaia, che lo porta fino al fondo della passerella, in mezzo alle prime file del pubblico in platea.
Non cambia moltissimo, visto che i FF non sono certo una di quelle band dinamiche, che non si fermano mai sul palco. Questo è uno dei limiti vistosi dello show: mi dispiace, ma dopo aver visto di Dillinger Escape Plan, niente è più come prima, nel rock.
Dalla sua, però, i FF hanno un paio di cosette che li hanno fatti diventare una delle band più famose del pianeta, e dato una celebrità incredibile al suo leader, che ne ha fatta di strada da quando suonava negli Scream (prima ancora di entrare in pianta stabile nei Nirvana).
La prima è una simpatia incontenibile del suo stesso leader. Una simpatia che ti porta ogni volta a pensare che abbia sbagliato mestiere, e che in realtà dovesse fare lo stand up comedian. La seconda è un gusto tutto particolare nello scrivere belle canzoni, né troppo dure, né troppo morbide, che declinano lo stile Nirvana verso il pop, pur rimanendo rock.
E insomma. La scaletta parla, dopo Everlong, di Monkey Wrench, Learn To Fly, Something From Nothing, The Pretender (probabilmente uno dei momenti migliori), Big Me, Congregation, Walk, Cold Day in the Sun, My Hero, Times Like These, Breakout, Arlandria, White Limo, Wheels, All My Life, These Days, The Feast and the Famine, Skin and Bones, This Is A Call, la cover di In The Flesh dei Pink Floyd cantata da Taylor Hawkins, ed il gran finale con Best Of You. Quasi due ore e mezzo di musica, suonata degnamente da una band che di certo non annovera tra i loro membri fenomeni di tecnica musicale. Ma questa è un'altra delle cose che la storia del rock ci ha insegnato: i fenomeni difficilmente scrivono canzoni che rimangono (vedi, per fare un nome, Yngwie Malmsteen).
I difetti, in uno show dei Foo Fighters, ci sono eccome. Canzoni troppo dilatate che, se uno si mette a spaccare il capello in quattro, rubano spazio ad altri pezzi, che magari uno vorrebbe sentire. Il cercare di spacciare Taylor come un cantante (Cold Day in the Sun, il pezzo con lui alla voce, è probabilmente il pezzo più debole dell'intera produzione dei FF, e lasciare a lui la parte vocale su un pezzo - In The Flesh - che in origine era di tale Roger Waters potrebbe risultare perfino offensivo, così come il siparietto dove cerca di emulare Freddy Mercury). Il fatto che Dave non sia così performante alla voce, live. Il fatto, già citato, che tutti i componenti siano piuttosto statici sul palco.
Eppure, ottime canzoni, discreta energia, attitudine cazzara e una simpatia innata, rendono il loro live un evento al quale bisogna assistere almeno una volta.
Momenti da ricordare, ne avremo. I siparietti di Grohl hanno regalato delle perle. Quando si è messo a raccontare del suo legame con l'Italia, dove pare si sia fatto il primo tatuaggio, e dei concerti degli Scream (quando ha detto che a quei concerti non andava nessuno, lo ammetto, mi son messo a dire ad alta voce che io c'ero, e che mi ricordavo di lui praticamente biondo; lui non ha sentito, ma una buona fetta di Unipol Arena si), quando più volte ha definito il pubblico di questa sera best audience ever, o quando ha dichiarato che I'll come back if you'll come back, quando ha detto che ad un certo punto, sembrava che noi fossimo la band, e loro gli spettatori, beh, in quei momenti capisci che per fare il frontman, anche ingessato, ci vuole faccia di culo, simpatia, ma che bisogna esserci nati.
E, naturalmente, quando su Skin and Bones, è uscito fuori, non si sa come, il ritornello di Mah-nà mah-nà, il pezzo reso celebre dai Muppets, ma che in realtà ha origini italianissime, lì si è raggiunto l'apice della fratellanza tra, appunto, l'audience e la band.
Ad un certo punto, per chiosare, ho detto ai miei amici: "il trionfo della mediocrità". Eppure, non è una cosa negativa. I Foo Fighters, come detto, non annoverano tra i loro membri nessun fenomeno dello strumento, eppure, sono tra le band più conosciute del pianeta. Il loro live show, è uno di quelli più divertenti in questo momento. Le loro canzoni sono conosciute, suonate, piacevoli da ascoltare. Se non ci fossero state le notizie da Parigi, usciti dal concerto, avremmo potuto ricordare questa serata con gioia e leggerezza d'animo. Ecco quello che voglio dire: l'essenza del rock, era qui, e con i Foo Fighters rimane.
Grazie a tutti.
Sottotitolo: A Night To Remember (manamanà)
Ebbene si: mentre Parigi bruciava, e al concerto degli Eagles of Death Metal venivano uccise barbaramente 80 persone, noi ce la spassavamo con i Foo Fighters. Una sera nebbiosa giusto all'inizio della Pianura Padana, ritorno ai concerti dopo oltre due anni di inattività per manifesta vecchiaia, e rivedo un sacco di amici che non riabbracciavo da tempo (più ne conosco di persona uno "nuovo"). Tutto comincia all'Ikea vicina all'Unipol Arena, laddove l'amico bolognese consiglia a tutti di parcheggiare (ma lui, scopriremo alla fine, non lo fa). Naturalmente, io sbaglio parcheggio e mi infilo in quello del centro commerciale a fianco, poi raggiungo gli altri al ristorante dell'Ikea, dove si sono già scofanati le famose polpettine.
Non sono ancora arrivati tutti, ma siccome non abbiamo i posti vicini, decidiamo di andare, visto che il supporter, Trombone Shorty da New Orleans, sta per cominciare. Ed eccoci dentro all'Unipol Arena, il ragazzo sta già suonando con la sua band, gli Orleans Avenue, bravi e tutto, apprezzabilissimi seppure non abbiano niente a che spartire con i fuffa. Il ragazzo è assurto alla celebrità apparendo in Treme, ed in seguito anche su Sonic Highways. Accenni a RATM e Green Day fanno capire che quello che suona Trombone non è certo jazz, ma qualcosa di diverso, che però ha bisogno di ascolti e abitudine.
Ci prendiamo una birra, io pure un panino, ed eccoci pronti all'apertura. L'Arena è piena, non essendoci le curve suppongo siamo sulle 12mila presenze abbondanti (continuano a dire che sono 15mila, ma a me non pare), e tutti fremono per la band di Dave Grohl, che in Italia ha già suonato pochi giorni fa a Cesena, per omaggiare l'ormai famosissimo Rockin' 1000, i mille musicisti che hanno suonato la loro Learn To Fly, concerto al quale alcuni degli amici qui stasera hanno assistito. Palco mastodontico, intro rumoroso, Dave che urla un paio di are you ready?, cala il sipario e si parte alla grande con Everlong, inizio più che azzeccato.
Dalla nostra posizione, i suoni non sono propriamente il massimo, e miglioreranno solo di poco, ma ormai è assodato che in Italia non c'è la minima idea di come progettare una struttura adatta da questo punto di vista. E' un peccato, perché possono dire quel che vogliono, ma il calore che gli italiani riescono a trasmettere, soprattutto quando si tratta di rock, è unico. Anche stasera ne avremo la riprova.
Dave suona da seduto, su una sorta di trono (chiaramente ispirato al trono di spade, con tanto di manici di chitarra che emulano le spade, e faretti tutti intorno allo schienale), dato che l'incidente nel quale si è rotto una gamba in giugno, lo costringe ancora adesso ad indossare un tutore (e una scarpa con un rialzo). Il trono scorre su una rotaia, che lo porta fino al fondo della passerella, in mezzo alle prime file del pubblico in platea.
Non cambia moltissimo, visto che i FF non sono certo una di quelle band dinamiche, che non si fermano mai sul palco. Questo è uno dei limiti vistosi dello show: mi dispiace, ma dopo aver visto di Dillinger Escape Plan, niente è più come prima, nel rock.
foto di Supergossard |
foto di Dino |
Dalla sua, però, i FF hanno un paio di cosette che li hanno fatti diventare una delle band più famose del pianeta, e dato una celebrità incredibile al suo leader, che ne ha fatta di strada da quando suonava negli Scream (prima ancora di entrare in pianta stabile nei Nirvana).
La prima è una simpatia incontenibile del suo stesso leader. Una simpatia che ti porta ogni volta a pensare che abbia sbagliato mestiere, e che in realtà dovesse fare lo stand up comedian. La seconda è un gusto tutto particolare nello scrivere belle canzoni, né troppo dure, né troppo morbide, che declinano lo stile Nirvana verso il pop, pur rimanendo rock.
foto di Iacopo |
I difetti, in uno show dei Foo Fighters, ci sono eccome. Canzoni troppo dilatate che, se uno si mette a spaccare il capello in quattro, rubano spazio ad altri pezzi, che magari uno vorrebbe sentire. Il cercare di spacciare Taylor come un cantante (Cold Day in the Sun, il pezzo con lui alla voce, è probabilmente il pezzo più debole dell'intera produzione dei FF, e lasciare a lui la parte vocale su un pezzo - In The Flesh - che in origine era di tale Roger Waters potrebbe risultare perfino offensivo, così come il siparietto dove cerca di emulare Freddy Mercury). Il fatto che Dave non sia così performante alla voce, live. Il fatto, già citato, che tutti i componenti siano piuttosto statici sul palco.
Eppure, ottime canzoni, discreta energia, attitudine cazzara e una simpatia innata, rendono il loro live un evento al quale bisogna assistere almeno una volta.
foto di Dino |
Momenti da ricordare, ne avremo. I siparietti di Grohl hanno regalato delle perle. Quando si è messo a raccontare del suo legame con l'Italia, dove pare si sia fatto il primo tatuaggio, e dei concerti degli Scream (quando ha detto che a quei concerti non andava nessuno, lo ammetto, mi son messo a dire ad alta voce che io c'ero, e che mi ricordavo di lui praticamente biondo; lui non ha sentito, ma una buona fetta di Unipol Arena si), quando più volte ha definito il pubblico di questa sera best audience ever, o quando ha dichiarato che I'll come back if you'll come back, quando ha detto che ad un certo punto, sembrava che noi fossimo la band, e loro gli spettatori, beh, in quei momenti capisci che per fare il frontman, anche ingessato, ci vuole faccia di culo, simpatia, ma che bisogna esserci nati.
E, naturalmente, quando su Skin and Bones, è uscito fuori, non si sa come, il ritornello di Mah-nà mah-nà, il pezzo reso celebre dai Muppets, ma che in realtà ha origini italianissime, lì si è raggiunto l'apice della fratellanza tra, appunto, l'audience e la band.
Ad un certo punto, per chiosare, ho detto ai miei amici: "il trionfo della mediocrità". Eppure, non è una cosa negativa. I Foo Fighters, come detto, non annoverano tra i loro membri nessun fenomeno dello strumento, eppure, sono tra le band più conosciute del pianeta. Il loro live show, è uno di quelli più divertenti in questo momento. Le loro canzoni sono conosciute, suonate, piacevoli da ascoltare. Se non ci fossero state le notizie da Parigi, usciti dal concerto, avremmo potuto ricordare questa serata con gioia e leggerezza d'animo. Ecco quello che voglio dire: l'essenza del rock, era qui, e con i Foo Fighters rimane.
Grazie a tutti.
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