Gargoyle - Mark Lanegan (2017)
Un'amica, che ama Lanegan ormai da molto tempo, commentava a proposito di questo ultimo album: "se solo tornasse triste...". E' l'eterna condanna dell'artista: si è convinti che solo avendo un'anima in pena, possedendo il duende, si riesce a comporre poesia, arte, musica, che arrivi dritto al cuore. Cerco di comprendere, e di interpretare. Mark Lanegan, ormai ultra-cinquantenne, è sicuramente un personaggio complicato, ma questo non toglie che sia uno di quelli che ha capito, anche solo per un suo stimolo personale, che per continuare a fare questo mestiere, un po' bisogna cambiare. E quindi, già dal disco precedente, ha lasciato libere le sue influenze, anche quelle non propriamente rock e blues, di irrorare le sue composizioni. Un'elettronica per nulla invadente, adesso, pervade le sue composizioni; evidentemente, una sorta di pace interiore, fa il resto, e, all'ascoltatore, sembra di ascoltare un disco "allegro" (Nocturne, Beehive, Emperpor, Drunk on Destruction, First Day of Winter, eccetera). E' vero che può sembrare qualcosa di meno introspettivo, ma quel che è innegabile è che anche su Gargoyle, Lanegan non suona più come un reduce dell'epoca grunge, uno che pesca dal blues e mette insieme Cave e Waits; sta invece cercando di mettere insieme tutto questo, e innestarlo sull'eredità new wave (ci sono i Joy Division ma anche i primi U2), provando a generare qualcosa di moderatamente nuovo. Il risultato, a mio modesto giudizio, è già migliore di quello che avevamo in Phantom Radio, ma abbisogna ancora di ritocchi e migliorie. Per il momento, tanto di cappello a Lanegan, che ha deciso di non ripetersi all'infinito, e di cercare nuovi percorsi.
A friend who loves Lanegan for a long time commented on this latest album: "If he just could be sad back again...". It is the eternal condemnation of the artist: we, listener, are convinced that only having a soul in pain, possessing "duende", the artist can compose poetry, art, music, that comes straight to the heart. I try to understand, and to interpret. Mark Lanegan, now more than fifty years old, is certainly a complicated character, but that does not mean that he is can't understand, even for his own personal stimulation, that to keep doing this job, one has to change. And so, already from the previous album, he left his influences, even those not properly rock and blues, to spin his compositions. An electronica not invasive, now, pervades its compositions; obviously, a kind of inner peace, does the rest, and, to the listener, it seems to hear a "cheerful" (Nocturne, Beehive, Emperpor, Drunk on Destruction, First Day of Winter, etc.). It is true that it may seem less introspective, but what is undeniable is that even on "Gargoyle", Lanegan no longer sounds like a grunge veteran, one that flips from the blues and puts together Nick Cave and Tom Waits; he is trying to put together all this, and embed it on the new wave legacy (there are the Joy Division but also the first U2), trying to generate something moderately new. The result, in my humble opinion, is already better than what we had on "Phantom Radio", but still needs updating and improvement. For the moment, hats down at Lanegan, who has decided not to repeat himself indefinitely, and to seek new paths.
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