In Spades - Afghan Whigs (2017)
Qualcuno lo sa, ormai con la rete si possono condividere immediatamente le prime reazioni, e ovviamente, se esce un disco degli Afghan Whigs, è naturale che lo ascolti, e che mi aspetto una cosa grande. Per essere chiari, ascolto questa band dal 1990, anno in cui uscì il loro secondo disco Up in It, e li ho visti live nel 1994. Come spesso mi accade, i primi ascolti non mi hanno soddisfatto, ma quando ho deciso di dargli l'ascolto definitivo, mi sono ricreduto. La band di Greg Dulli, un tizio che ha davvero la musica nel sangue, fu inizialmente inserita nel movimento grunge, forse solo semplicemente perché, dopo il loro debutto Big Top Halloween nel 1988, firmarono per la Sub Pop, che fece uscire i due dischi seguenti (prima che passassero alla Elektra); dopo la reunion, sono tornati alla Sub Pop, che ha fatto uscire questo In Spades e il precedente Do to the Beast. Si è sempre detto che questa band aveva come tratto distintivo, il fatto di provare a fondere rock e soul, e questo continua ancora oggi, rendendoli attuali oggi come allora. A differenza dei Black Keys, gli Afghan Whigs però, non suonano vintage quando li ascolti. Dette tutte queste cose, per provare a contestualizzare un poco, la band originaria di Cincinnati, Ohio, ha un enorme valore aggiunto: Greg Dulli. Chitarrista, splendido cantante con un timbro indimenticabile e versatile, produttore, anche amante dell'alcol, delle sigarette e pure di casini vari, genio e sregolatezza, ma sicuramente grande artista, dotato di un talento puro per la composizione. Pitchfork, in apertura della recensione di questo In Spades, riassume gli Afghan Whigs in questo modo: "Negli anni '90, gli Afghan Whigs sono stati, prima di tutti, possessori di due elementi che sarebbero poi diventati dominanti, nel rock del 21esimo secolo: un ampio uso dell'R'n'B da un lato, e un tono epico alla Bruce Springsteen dall'altro". Ecco, gran parte di questi due elementi sono dovuti a Dulli. In questo nuovo In Spades, ritroviamo tutta la grandeur degli antichi Afghan Whigs, che anche nel 2017, suona indubitabilmente bella e avvolgente. E poco importa se il disco dura solo 36 minuti, o se alcune melodie ricordano molto da vicino alcune altre degli stessi Whigs: il marchio di fabbrica è ben accetto, finché non diventa auto-plagio. Disco molto bello.
Someone knows, now with the net you can immediately share the first reactions, and of course, if an album of the Afghan Whigs comes out, it's natural that I will gonna listen to it, expecting a big thing. To be clear, I've been listening to this band since 1990, when they released their second album "Up in It", and I saw them live in 1994. As often happens to me, the first listenings did not satisfy me, but when I decided to give it the definitely listening, I made up my mind. Greg Dulli's band, a guy who really has music in his blood, was initially included in the grunge movement, perhaps simply because after their debut "Big Top Halloween" in 1988, they signed up for Sub Pop, which released the following two albums (then they switched to Elektra); after their reunion, they came back to Sub Pop, who released this "In Spades", and the previous "Do to the Beast". It has always been said that this band had a distinctive feature, the fact of trying to blend rock and soul, and this continues today, making them up to date, today as then. Unlike the Black Keys, however, the Afghan Whigs do not sounds vintage, when you listening to them. All that being said, trying to contextualize a bit, the band from Cincinnati, Ohio, has a tremendous added value: Greg Dulli. Guitarist, gorgeous singer with an unforgettable and versatile timbre, producer, even lover of alcohol, cigarettes and also fpr the fights, genius and dissoluteness, but definitely a great artist with a pure talent for songwriting. Pitchfork, opening the review of this "In Spades", sums up the Afghan Whigs in this way: "Back in the 1990s, the Afghan Whigs were way ahead of the curve on what would become two of the most dominant tropes in 21st-century rock’n’roll: an open embrace of R&B on one hand, and widescreen Springsteen-sized epics on the other". Here, most of these two elements are due to Dulli. In this new "In Spades", we find all the greatness of the ancient Afghan Whigs, which even in 2017, sounds undoubtedly beautiful and enveloping. And it does not matter if the record lasts only 36 minutes, or if some melodies are very close to some of the Whigs themselves: the trademark is well-received until it becomes self-plagiarism. Very nice album.
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