La città svedese di Göteborg ha ridotto a metà del suo personale l’orario di lavoro, mantenendo invariata la paga. L’obiettivo è migliorare la produttività degli uffici e ridurre i costi
Lavorare meno e guadagnare come prima
Philipp Löpfe, Watson, Svizzera
Il comune di Göteborg, in Svezia, ha lanciato un esperimento sull’orario di lavoro dei suoi dipendenti. Il personale è stato diviso in due gruppi: una metà lavora come sempre sette ore al giorno, mentre per l’altra le ore si riducono a sei, ma con la stessa paga. “In futuro confronteremo il rendimento dei due gruppi e analizzeremo le differenze”, ha spiegato Mats Pilhelm, il vicesindaco della città. Con questa riduzione dell’orario lavorativo, l’amministrazione comunale di Göteborg non vuole elargire regali, ma si propone di tagliare i costi e creare nuovi posti di lavoro. “Speriamo che le persone inserite nel gruppo con l’orario ridotto si ammalino anche di meno e rendano di più”, ha continuato Pilhelm, che ha citato come esempio il settore sanitario, dove i turni troppo lunghi rendono il lavoro inefficiente. Un esperimento simile è stato fatto anche dalla casa automobilistica Volvo, che nel suo impianto di Göteborg ha ottenuto ottimi risultati. L’esempio della città svedese dimostra che il dibattito sulla riduzione dell’orario di lavoro è tornato d’attualità. Una quantità crescente di attività non è più svolta da manodopera mal pagata dei paesi in via di sviluppo, ma da macchine di ultima generazione. Oggi un software intelligente può verificare contratti, tradurre da una lingua all’altra e perfino scrivere semplici testi giornalistici. Da questo punto di vista ha senso ripartire il lavoro in modo ragionevole tra tutta la popolazione attiva e ridurre l’orario. Per molto tempo è stata questa la politica dei paesi industrializzati: in Svizzera, tra il 1950 e il 1980 l’orario di lavoro medio si è ridotto del 18 per cento, e in Germania quello annuo ha registrato addirittura un calo del 27 per cento, passando da 2.372 a 1.717 ore. Tutto questo è stato reso possibile dal fatto che i guadagni ottenuti con la maggiore produttività erano suddivisi equamente tra i dipendenti e i datori di lavoro. Negli anni ottanta questa tendenza si è interrotta e nel decennio successivo si è perfino invertita: così in alcuni casi la giornata lavorativa si è allungata. Nell’industria metallurgica ed elettrica tedesca, per esempio, tra il 1993 e il 2012 l’orario di lavoro è passato da 36,5 a 37,9 ore alla settimana, e le imprese hanno colto l’occasione per imporre di “lavorare di più per la stessa paga”, sfruttando le nuove condizioni offerte dall’economia globalizzata. I guadagni ottenuti con l’aumento della produttività non sono stati più distribuiti e sono finiti esclusivamente nelle tasche degli azionisti.
Esclusi dal mercato
Negli ultimi decenni il prl progresso tecnologico e la globalizzazione hanno trasformato drasticamente il mercato del lavoro. Da una parte si è creata una nuova élite di professionisti altamente specializzati capaci di gestire macchine complesse. Dall’altra ci sono sempre più lavoratori, soprattutto giovani maschi con un basso livello d’istruzione, che non riescono a stare al passo con i tempi e sono esclusi dal mercato del lavoro. Anche chi ha un buon impiego non sempre se la passa bene. In generale lo stress sul posto di lavoro è aumentato, quindi le persone devono sopportare troppe tensioni. Così il malessere psichico dilaga, con manifestazioni che vanno dall’esaurimento nervoso alla depressione. Non è un caso che una sperimentazione sull’orario di lavoro sia stata decisa proprio in Svezia. Il modello nordico, com’è definito il sistema economico di Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia, si distingue dal tipico capitalismo incentrato sugli azionisti: questo sistema dà molto più valore alla parità sociale e cerca di ammortizzare i lati più duri dell’economia di mercato e di andare incontro ai bisogni degli individui. Non si tratta però di un modello socialista: oggi solo in Danimarca c’è un governo socialdemocratico, mentre gli altri tre paesi hanno una maggioranza di centro. Dopo la crisi che lo ha colpito nei primi anni novanta, il modello nordico è di nuovo in ottima salute. Gli scandinavi non sono solo tra i più ricchi del pianeta, ma anche tra i più felici. Molte loro istituzioni sono prese a modello, per esempio le scuole finlandesi o lo stato sociale danese ispirato alla cosiddetta flexicurity. Tipici del modello nordico sono anche i lunghi congedi di maternità e paternità. Non è quindi un caso che ora proprio a Göteborg stia partendo un esperimento per armonizzare il progresso tecnologico con forme di lavoro più umane.
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Da Internazionale nr. 1047
1 commento:
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1 – 1 di 1
Anonimo ha detto...
E intanto Ernesto prende come modello i giapponesi, che da quanto sono felici appena trovano il tempo o il coraggio si levano dal mondo...
maggio 09, 2014 12:06 AM
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