Tradotto per Internazionale nr. 1048. L'articolo originale.
Di François Musseau, Libération
Un leader rivoluzionario non ha orari. È venerdì sera, quasi mezzanotte, quando Juan Manuel Sánchez Gordillo, 64 anni, ci riceve a casa sua, un edificio basso in un quartiere piuttosto anonimo. Sulla porta di un minuscolo salotto senza lussi particolari, quest’uomo di bassa statura appare nel suo aspetto abituale: lunga barba da profeta, camicia rossa a quadri e kefiah palestinese. Ha i lineamenti tirati, la gola irritata e il respiro rumoroso, tutti effetti collaterali del suo sacerdozio sociale. Quasi fosse ispirato dal ritratto del Che Guevara appeso al muro, afferma con la sua voce acuta e nasale: “La situazione attuale mi dà ragione. Il capitalismo, questa idra dalle mille teste, divora le nostre vite in modo subdolo. È un sistema necrofilo. Dobbiamo resistergli. Questo è lo scopo della mia lotta”. Il suo sguardo è intenso e i piccoli occhi neri sono scintillanti. Trent’anni dopo la sua nascita, nel cuore dell’Andalusia rurale e povera, avevamo quasi dimenticato l’esperimento della ribelle e anarchica Marinaleda, la cittadina di 2.786 abitanti di cui Sánchez Gordillo è l’inossidabile e carismatico sindaco. Quando è stato eletto per la prima volta, nel 1999, aveva alle sue spalle già dodici anni di lotte per la terra. In questo villaggio di braccianti, che vive grazie all’occupazione di terre appartenenti all’aristocrazia e grida slogan rivoluzionari, la maggior parte degli abitanti riceve lo stesso salario, abita in case di proprietà collettiva e in occasione delle “domeniche rosse” si dedica ai lavori comunitari. Una sorta di Cuba in miniatura, nascosta tra Siviglia e Cordova, che ha in Sánchez Gordillo il suo líder máximo e che, dopo tanti anni, ha finito per assumere un’immagine quasi folcloristica, attirando scrittori, intellettuali, giornalisti e comunisti di tutto il mondo. Negli ultimi anni, però, la crisi economica e l’abilità politica di Sánchez Gordillo hanno dato una nuova popolarità a Marinaleda. In una regione dove la disoccupazione raggiunge il 36 per cento (il 62 per cento tra i giovani) e dove il 40 per cento degli abitanti vive appena sopra il limite della povertà (in totale tre milioni e mezzo di persone), l’attività del sindaco ha conquistato una nuova legittimità agli occhi dei cittadini,sempre più poveri. Nel 2007, nel pieno della crisi immobiliare che aveva colpito la Spagna, Sánchez Gordillo ha capito che il vento stava soffiando dalla sua parte. E ha deciso di cambiare il nome del suo storico sindacato da Soc (cioè Sindicato de Obreros del Campo) a Sat, dove la A sta per andaluz e la T per trabajadores, tutti i lavoratori. Oggi il Sat ha sostenitori anche nelle città, non più solo nelle campagne.
Espropri proletari
Con il tempo le iniziative del sindaco di Marinaleda si sono moltiplicate. Nel maggio del 2012 alcuni militanti del Sat hanno saccheggiato un supermercato di Écija (una cittadina a mezz’ora di macchina da Marinaleda) distribuendo il bottino tra le famiglie povere del posto. Tre mesi dopo ad Arcos de la Frontera (un’altra città andalusa) sono entrati in un supermercato Carrefour e hanno portato via diversi carrelli di beni alimentari di prima necessità. Sempre nel 2012, accompagnato da cinquecento simpatizzanti, il líder máximo di Marinaleda ha occupato 470 ettari di terra che stavano per essere messi all’asta dal governo autonomo dell’Andalusia a Somonte, nella provincia di Cordova. Nell’estate del 2012, poi, un gruppo di braccianti del Sat si è impadronito per una quindicina di giorni di un’area militare nei pressi di Osuna, non lontano da Siviglia: 1.200 ettari, di cui solo venti erano usati per l’allevamento di cavalli. L’azione gli è costata una denuncia per “reati contro la proprietà”, “danni materiali” e "insubordinazione”. Nel novembre del 2013 quattro leader del sindacato, tra cui Sánchez Gordillo, sono stati condannati a 275mila euro di multa e sette mesi di prigione. Contro la sentenza hanno presentato ricorso. Quando parla della condanna, il sindaco è un fiume in piena: “In passato quella proprietà l’avevamo già occupata una quindicina di volte. Per quanto riguarda le multe, ci siamo abituati: in trent’anni abbiamo accumulato un debito di circa un milione di euro. Ma la prigione è una novità. Questo significa una repressione più forte. Hanno paura perché si rendono conto che le nostre azioni sono condivise da una popolazione sempre più prostrata a causa della politica ultraliberista imposta da Bruxelles e dai mercati”. I suoi occhi si fanno ancora più neri: “Come si fa a condannare l’occupazione di terre non coltivate e abbandonate dai loro proprietari, quando questa serve a dare lavoro a migliaia di jornaleros (braccianti agricoli) che fanno fatica a sopravvivere? In una regione latifondista dove il 3 per cento della popolazione possiede il 50 per cento delle terre, da che parte sta la giustizia?”. A Somonte una trentina di giovani sembrano aver recepito il messaggio. Quasi due anni dopo l’ocupación del marzo del 2012 un gruppo di braccianti disoccupati, provenienti dai paesi vicini, ha occupato 400 ettari di terra, sottraendoli all’abbandono e seminando avena, orzo, fagioli e girasoli. Alla guida di un trattore c’è Juan Manuel Borrego, 38 anni, che pensa a un progetto a lungo termine: “Con la crisi migliaia di persone che lavoravano nell’edilizia sono tornate nei villaggi, senza formazione e senza risorse. Vogliono solo lavorare la terra, come i loro padri e i loro nonni. Quando non rimane nient’altro, si torna alla terra. È una questione di sopravvivenza. E questo lo dobbiamo al Sat e a Sánchez Gordillo”.
Continua dopodomani
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