No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20140722

Una questione di genere

Da Internazionale 1057, una opinione estrema, che però io sposo in pieno a costo di urtare la sensibilità di alcuni lettori, sulle abitudini sociali verso i generi sessuali. Il pezzo è di Laurie Penny, giornalista britannica, columnist del New Statesman, collaboratrice del Guardian. In Italia è uscito il suo libro Meat Market - Carne femminile sul banco del capitalismo.

Una questione di genere di Laurie Penny

Davanti a me ho un libro da colorare. Si chiama Finding Gender e me lo ha mandato un’attivista che sa quanto mi piacciono la giustizia sociale e i pennarelli. I protagonisti del libro, un bambino e un robot, vivono una serie di meravigliose avventure. È un normale libro da colorare, tranne per il fatto che il bambino non è identificabile come maschio o femmina. E neanche il robot. Chi colora può decidere quello che indossano, se sono maschio, femmina, entrambe le cose o nessuna. Finalmente succede: dalle conversazioni a tavola ai libri per bambini, si stanno ridefinendo le linee di confine tra i generi. Transessuali e transgender – le persone che non si identificano con il sesso che è stato loro assegnato alla nascita – stanno invadendo la cultura popolare. Il 9 giugno il settimanale Time è uscito con una copertina intitolata “Il punto di svolta transgender”. Affamata di nuove tendenze, la stampa statunitense inventa sempre nuovi punti di svolta, ma questo è reale e importante. A causa di secoli di emarginazione, le statistiche sono ancora incerte, ma si calcola che una percentuale tra lo 0,1 e il 5 per cento della popolazione mondiale sia trans, intersessuale o non senta di appartenere a nessuno dei due sessi. Sono milioni di esseri umani. La nostra specie ha inventato gli antibiotici e ha viaggiato nello spazio, quindi mi sembra un po’ anacronistico che tanta parte della nostra cultura sia ancora legata all’idea che esistano solo due tipi di persone distinte essenzialmente in base al contenuto della loro biancheria intima. Ormai internet permette a chi appartiene a questa fetta di popolazione finora isolata di trovarsi e aiutarsi a vicenda. Fino a poco tempo fa le persone transgender che vivevano in piccoli centri avevano difficoltà a mettersi in contatto con qualcuno che fosse in grado di capire la loro situazione e consigliarle. Molte di loro hanno aspettato decenni prima di uscire allo scoperto, e alcune hanno cercato con grande sofferenza di mantenere segreto quell’aspetto della propria vita. La rete ha cambiato tutto questo. Non tutti nascono maschi o femmine e ci rimangono. L’identità di genere non è più fissa e immutabile. Se una persona può decidere di vivere come uomo, donna o come qualcosa di completamente diverso, dobbiamo rimettere in discussione tutto quello che abbiamo dato per scontato sull’identità di genere e i ruoli sessuali dal momento in cui il dottore ci ha messi tra le braccia di nostra madre definendoci un bambino o una bambina. Per secoli era considerato normale costringere chiunque non si conformasse al ruolo attribuito dalla società alle persone del suo sesso – dai gay ai transgender alle donne che erano troppo promiscue, arrabbiate, o “mascoline” – a farlo con la forza. Generazioni di attivisti hanno lottato contro questa discriminazione, ma per la comunità transgender e transessuale questo tipo di violenza è ancora una realtà di tutti i giorni. Le persone trans hanno più probabilità di essere vittime di aggressioni e omicidi di qualunque altra minoranza: un recente studio ha dimostrato che il 25 per cento di loro ha subìto violenza a causa della sua diversità, e che circa la metà degli adolescenti transgender tenta il suicidio. Mi sento vicina al movimento per la difesa dei diritti di queste persone quanto lo può essere chi non è come loro. Oggi il mondo sta cominciando a capirle di più, e la cosa mi riempie di gioia, ma anche di paura, perché è già partita la reazione. Gli editoriali contro i loro diritti stanno aumentando, e i miei amici e colleghi transessuali subiscono attacchi e molestie online, si sentono in pericolo e temono di perdere il lavoro. Con la visibilità crescono anche i rischi e, purtroppo, alcuni settori della sinistra, comprese alcune femministe, si sono schierati con il fronte conservatore. Time la chiama giustamente “la nuova frontiera dei diritti civili”. La cultura di destra ha già perso la battaglia sull’omosessualità. Quelli che si oppongono ai matrimoni e alle adozioni gay sono sempre più in contrasto con le norme sociali, e il tipo di omofobia pseudoreligiosa, che era tanto comune negli anni ottanta, ormai è considerata sempre più bigotta. Ma sulla sessualità bisogna ancora vigilare, e se non si può più pensare di essere presi sul serio dicendo che i gay sono peccatori, serve un altro capro espiatorio, un “diverso” rispetto al quale ridefinire la “normalità”. Si sta avvicinando il momento in cui tutti quelli che credono nell’uguaglianza e nella giustizia sociale devono decidere che posizione assumere nei confronti delle persone trans e del loro diritto alle pari opportunità nel mondo del lavoro o semplicemente a girare per le strade vestite come vogliono. Sono diritti per cui i movimenti per la liberazione delle donne e dei gay combattono da generazioni. Ed è un dovere di chi li ha già conquistati lottare per chi ancora non li possiede. Se crediamo nella giustizia sociale, dobbiamo sostenere la comunità trans e aiutarla a entrare a pieno titolo nella normalità.     

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