continua da martedì 15 luglio
Senza una vittoria definitiva
Nel cuore climatizzato dell’incubo centrafricano, Samba-Panza cerca di mantenere la sua compostezza di avvocata. È facile capire perché sia riuscita ad affermarsi come candidata di compromesso per la guida del paese. Ma mi fa tanto pensare a un difensore d’ufficio che deve seguire un cliente impazzito, che non può più essere difeso né salvato. L’ufficiale ruandese responsabile della sicurezza della presidente è seduto vicino a noi durante l’intervista, e rimane sempre in silenzio. Nel suo paese la guerra finì solo quando il Fronte patriottico ruandese, guidato dal leader tutsi Paul Kagame, ottenne una vittoria decisiva. In seguito gli hutu sono stati integrati forzatamente nelle istituzioni del governo e della società civile.
Ma il Ruanda non sarebbe arrivato a tanto se uno dei due schieramenti non avesse vinto la guerra. Per la Repubblica Centrafricana, dove – si spera– le forze di pace impediranno che la situazione precipiti come in Ruanda, la prospettiva di una vittoria definitiva degli anti-balaka o della coalizione ribelle Séléka rianimata e vendicativa è un esito che sarebbe meglio evitare. La sicurezza dall’esterno sta lentamente arrivando, ma una sicurezza senza una dose di clemenza e perdono da parte degli stessi centrafricani è solo una ricetta per rinviare
ulteriormente il disastro. Samba-Panza preferisce parlare dei suoi progetti per il rilancio dell’economia. Quando l’intervista si sta per concludere, sentiamo dei colpi di arma da fuoco provenienti dal centro della capitale. Nessuno dei due sembra farci caso, ma io mi trovo a prolungare i saluti più di quanto sarebbe necessario, assaporando un altro minuto di pace prima di tornare a una realtà che nessun paese dovrebbe mai trovarsi ad affrontare.
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I numeri della crisi
Prima dell’inizio della crisi scatenata dal colpo di stato contro il presidente François Bozizé, nel marzo del 2013, la Repubblica Centrafricana aveva, secondo le stime delle Nazioni Unite, una popolazione di 4,6 milioni di persone, formata per il 40 per cento da minori di quindici anni. Anche se la lingua ufficiale è il francese, la maggior parte della popolazione parla il sango. La religione più diffusa è quella cristiana (cattolici e protestanti formano almeno il 50 per cento della popolazione), mentre il 35 per cento dei centrafricani segue credenze tradizionali e il 15 per cento l’islam. Anche prima della crisi, la Repubblica Centrafricana è sempre stata povera: era al 180° posto su 187 nella classifica dell’indice di sviluppo umano 2013 dell’Onu. Man mano che, verso la fine del 2013, il conflitto interno ha assunto i contorni di uno scontro religioso, almeno seicentomila centrafricani (di cui 160mila abitanti di Bangui) sono stati costretti ad abbandonare le loro case. Altre 350mila persone sono fuggite nei paesi confinanti: Camerun, Ciad, Congo e Repubblica Democratica del Congo. La Commissione europea stima che almeno 2,5 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria. Non esistono invece dati sulle vittime delle violenze degli ultimi mesi. Da dicembre del 2013 l’Unione europea ha stanziato 51 milioni di euro di aiuti umanitari per la Repubblica Centrafricana.
fine
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