continua da giovedì 10 luglio
Contro i ciadiani
Nessuno dei cristiani di M’Poko o di altri quartieri sembra rendersi conto di quanto siano precarie anche le condizioni di vita dei musulmani. “Vengono qui e ci uccidono con la protezione dei burundesi”, dichiara Andre Keke, un giovane in tuta. “Non sono centrafricani. Gran parte di loro è del Ciad, e sono venuti qui per massacrarci”. Mentre si raduna una folla, dice che i suoi vicini musulmani del Mali e del Senegal sono i benvenuti se vogliono restare.
Ma i ciadiani devono andarsene. La folla ruggisce di rabbia quando dice “ciadiani”, e ripete questa parola. Alcuni li definiscono “colonizzatori”, affaristi che hanno conquistato troppo potere nei confronti della maggioranza cristiana, e che ora vanno cacciati via. Keke sostiene che i ciadiani hanno ucciso trenta persone negli ultimi tre giorni – “Trenta morti!”, continua a ripetere, “Trenta morti!” – e ogni volta la folla mormora in segno di disapprovazione. Cerco di capire se fanno differenza tra le milizie locali che sorvegliano i quartieri e gli antibalaka che vanno a caccia di musulmani. Nessuna differenza. Al contrario, quando parlo degli anti-balaka, la folla lancia grida di entusiasmo. A questo punto Keke è pronto a esplodere. “Gli anti-balaka sono il popolo”, grida. Nel quartiere di Miskine lo sono tutti, “anche i neonati”.
Per la riconciliazione
Quando si cercano soluzioni per questo tipo di orrori, si è tentati di concludere che qualsiasi compromesso in grado di allontanare l’ipotesi di un genocidio sia da accogliere positivamente. Le forze di pace straniere potrebbero di fatto congelare il conflitto, creando una situazione instabile, ma senza continui spargimenti di sangue. Oppure un’altra soluzione potrebbe semplicemente essere la partenza dei musulmani verso altri paesi o verso le aree della Repubblica Centrafricana a maggioranza islamica. Tra i sostenitori di questa seconda soluzione ci sono molti musulmani, che chiedono principalmente di poter attraversare senza rischi le frontiere con il Ciad e il Camerun. Augustin Migabo, l’ufficiale ruandese dal volto rotondo e impassibile, dichiara che questa soluzione non gli piace perché alla lunga non può funzionare. Quando gli spiego che i musulmani vogliono solo andarsene, scuote la testa. “Se andassero via, la guerra finirebbe”, dice. Gli faccio notare che questo sarebbe uno sviluppo positivo, almeno a breve termine. Tuttavia, questo sarebbe in contraddizione con il modello di riconciliazione che i ruandesi promuovono – o sostengono di promuovere – dalla fine della loro guerra civile, vent’anni fa. Le forze di pace dell’Unione africana, a detta di Migabo, perseguono una strategia che né gli anti-balaka né i musulmani sarebbero disposti ad accettare: il loro piano è proteggere gli ultimi musulmani da ogni tipo di attacco e costringere i due gruppi in lotta a convivere pacificamente. Se i musulmani reagiranno, sostiene Migabo, ci saranno violenze ancora più gravi. “Torneranno i musulmani del nord”, spiega l’ufficiale ruandese, e daranno il via a una “guerra del terrore”. Ci sono già elementi della ribellione Séléka ammassati vicino alla frontiera con il Ciad che si oppongono al disarmo e con ogni probabilità si preparano a tornare a Bangui. Il peggior scenario ipotizzabile, conclude, è una resa dei conti finale, più simile al Ruanda del 1994 che alla Bangui di oggi. Centinaia di migliaia di morti contro le decine di migliaia di oggi. La maggior parte degli esperti pensa che l’opzione più valida – o forse quella meno peggiore – è quella che avrebbe dovuto essere realizzata già da tempo: una forza internazionale di mantenimento della pace con un mandato unico, che difenda vigorosamente tutti i soggetti vulnerabili. Lo scorso 10 aprile, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato l’invio di una missione formata da 11.800 peacekeeper. Il loro arrivo è previsto per settembre, sperando che nel frattempo la Repubblica Centrafricana non vada a pezzi.
continua martedì 15 luglio
Nessun commento:
Posta un commento