In the Red - Crucified Barbara (2014)
Quarto disco in studio del quartetto svedese tutto al femminile. Partite come punk band, si spostano verso un hard & heavy tutto sommato classico, e girano in tour anche con i Motorhead, dei quali hanno coverizzato Killed By Death e Please Don't Touch in occasione dell'album-tributo alla band di Lemmy Saint Valentine's Day Massacre del 2005. Ora, le ragazze non sono male neppure come musiciste, la tecnica non manca. I pezzi sono piacevoli, su questo disco, ma manca davvero qualcosa per "spaccare". Si sentono le influenze classiche, un tentativo di proporre musica dinamica, più hard rock che heavy metal, non dimenticarsi delle melodie, non dimenticarsi di essere svedesi (e quindi conterranee di quel genio di Nicke Andersson), e via discorrendo. E' vero che vedere quattro ragazzacce (nel senso positivo del termine, se capite cosa voglio dire) suonare basso, batteria e chitarre, è sempre qualcosa di straordinario, per noi rocker che vorremmo essere politicamente corretti, ma che ci scontriamo con un immaginario collettivo totalmente machista; ma se per un attimo ci dimenticassimo che a suonare sono quattro donne, il voto a questo disco sarebbe al limite della sufficienza.
The Crucified Barbara are a swedish all-female band. This "In the Red" is their fourth album; they started as an hardcore-punk band, but soon they move toward an hard and heavy sound. In their music, you can recognize the "right" influences of any hard rock and heavy metal band, the ladies aren't so bad with the instruments, the songs aren't so bad, but they lack something, in order to be really good. You can listen this album without grimace, but at the end of the day, we are around the sufficiency, and not so much more.
No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.
20141031
20141030
Rheinberg (Germania) - Ottobre 2014 (3)
Vado verso il centro, son giusto due passi, e non so come ma l'avevo intuito, c'è un mercato. Giostre, banchi di alimentari, degustazioni, artigianato. Un sacco di gente. I tavoli esterni dei ristoranti, delle gelaterie, dei caffé, sono pieni. Mi guardo intorno e poi entro nel duomo. La prima cosa che salta agli occhi è il monumentale organo, che ha uno stile moderno, quasi futurista.
L'altare e il coro sono notevoli. C'è una cripta, dedicata alle vittime del nazismo. Mi colpisce una delle pale degli altari secondari, e lo fotografo per controllare se ci avesse messo lo zampino il mio pittore preferito, Hieronymus Bosch. Scoprirò che no, non ce le ha messe, almeno non che si sappia, ma il caprone tentatore in piedi su due zampe incombere sulla figura ecclesiastica ultima a destra, ha proprio quello stile (notate la faccia disegnata sull'alto pube). Mi scuso per la luce, proprio non sono riuscito ad evitarla.
Esploro il chiostro esterno, e poi torno in cammino all'esterno. Indugio per le vie del centro e poi decido di tentare di raggiungere il cosiddetto "parco archeologico". Esco dalle mura attraverso un ponte, e seguo le indicazioni. Non lo avevo notato, ma c'è un mulino all'interno delle mura.
Continuo la passeggiata, ed arrivo al parco archeologico. Non prima di aver apprezzato questa scritta "romantica".
Visto che mi sono allontanato e che il cielo sta divenendo un po' più scuro, visito velocemente la ricostruzione accurata del castro prima, dopo colonia, e torno verso il centro, dove faccio qualche piccola compera in un piccolo market, dove mi ricordo che nonostante in Germania gli stipendi siano più alti dei nostri, tutto costa molto meno.
Verso le 19 mi siedo nel ristorante dell'albergo con un po' di materiale di lavoro da ripassare. L'albergo/ristorante è molto attivo, organizza serate culinarie a tema, e stasera c'è il buffet italiano. Di italiano c'è poco, ma va bene lo stesso e il cibo non è per niente male. Salgo in camera, mi vedo un po' di tele, e mi addormento presto.
L'altare e il coro sono notevoli. C'è una cripta, dedicata alle vittime del nazismo. Mi colpisce una delle pale degli altari secondari, e lo fotografo per controllare se ci avesse messo lo zampino il mio pittore preferito, Hieronymus Bosch. Scoprirò che no, non ce le ha messe, almeno non che si sappia, ma il caprone tentatore in piedi su due zampe incombere sulla figura ecclesiastica ultima a destra, ha proprio quello stile (notate la faccia disegnata sull'alto pube). Mi scuso per la luce, proprio non sono riuscito ad evitarla.
Esploro il chiostro esterno, e poi torno in cammino all'esterno. Indugio per le vie del centro e poi decido di tentare di raggiungere il cosiddetto "parco archeologico". Esco dalle mura attraverso un ponte, e seguo le indicazioni. Non lo avevo notato, ma c'è un mulino all'interno delle mura.
Continuo la passeggiata, ed arrivo al parco archeologico. Non prima di aver apprezzato questa scritta "romantica".
Visto che mi sono allontanato e che il cielo sta divenendo un po' più scuro, visito velocemente la ricostruzione accurata del castro prima, dopo colonia, e torno verso il centro, dove faccio qualche piccola compera in un piccolo market, dove mi ricordo che nonostante in Germania gli stipendi siano più alti dei nostri, tutto costa molto meno.
Verso le 19 mi siedo nel ristorante dell'albergo con un po' di materiale di lavoro da ripassare. L'albergo/ristorante è molto attivo, organizza serate culinarie a tema, e stasera c'è il buffet italiano. Di italiano c'è poco, ma va bene lo stesso e il cibo non è per niente male. Salgo in camera, mi vedo un po' di tele, e mi addormento presto.
20141029
Rheinberg (Germania) - Ottobre 2014 (2)
Dormo in un hotel vicinissimo all'aeroporto, che pare in mezzo al nulla. Il mattino della domenica esco dopo la colazione, e mentre metto i bagagli in auto per recarmi al parcheggio, incappo in un'esperienza surreale. E' presto, nel parcheggio dell'albergo arriva un auto, gira, si ferma nelle mie vicinanze, e il tipo che guida, solo, mai visto in vita mia, mi saluta e mi dice "non ti ricordi di me?". Scende, mi si avvicina, e attacca una storia che solo dopo mi renderò conto non essere troppo credibile. Mi dice di essere un fornitore che aveva avuto rapporti lavorativi con me, di aver cambiato lavoro, di aver messo su un'attività nel campo dell'abbigliamento. Mi, come si dice, "intorta". Mi chiede di me, io ingenuo rispondo ma rimango sul vago. Alla fine, mi regala due abiti e un cappotto, secondo me sbagliando anche la taglia. Me li carica proprio in auto. E poi, eccolo lì. Quando io dico, sempre più sbalordito, che non so come sdebitarmi, lui mi chiede qualcosa "per la benzina". In quel momento, evidentemente, io "rinvengo". Cortesemente, gli dico che magari quegli abiti non mi entrano neppure, e lo invito a riprenderli. Lui mangia la foglia, e sempre cortesemente, se ne va e saluta. Tentata truffa? Chissà. Certo, che per essere un truffatore, il poveraccio si è pure alzato presto, e tra l'altro ce la metteva tutta per parlare con un accento emiliano, tradendosi verso la fine. Andiamo avanti. Parcheggio, navetta, aeroporto. Sulla navetta insieme a me, un signore bolognese anziano, col quale scambiamo battute sull'attualità politica, e poi dentro l'aeroporto ci auguriamo reciprocamente buon viaggio. Lui, evidentemente pensionato e solo, sta andando in Iran, "per capire com'è davvero la situazione, perché dei telegiornali non mi fido". Spettacolare. Come dire, in mezz'ora da un estremo ad un altro dell'Italia vera. Ecco, queste sono i plus del viaggio. Osservare, ascoltare, incamerare. Un caffè dopo i controlli di sicurezza. La fila al gate dove l'addetta si lamenta perché non ha l'apposito segnalatore per le code "normali" e "prioritaria"; tutto il mondo è paese, quindi, io che mi lamento spesso dell'aeroporto di Pisa (certo, qui almeno gli spazi non sono così angusti). L'aereo è un po' in ritardo, ascolto le voci in fila e mi rendo conto che ancora oggi, un sacco di italiani, non solo gli scienziati, lavorano all'estero, e la Germania è ancora oggi accogliente con i paisà. Poi si parte. Un'ora e mezzo circa, ma tremenda: il tipo accanto a me ha fatto colazione con la cipolla (ho visto chiaramente l'ultimo passeggero salire sull'aereo, sentire la zaffata del fiato del mio vicino, e portarsi la sciarpa alla bocca), e paradossalmente si bacia pure sulla bocca con la sua compagna. La bambina dietro a me prende a calci la mia poltroncina per tutto il viaggio, e naturalmente la madre non se ne cura. Ma ho un bel panorama dal finestrino, e i Bush in cuffia, quindi va tutto bene.
Atterriamo all'aeroporto di Weeze che le 12 sono già passate, e io, seppure a dieta, qualcosa dovrò pur mangiare, visto che non ho fatto neppure lo spuntino. Quindi mi guardo intorno. L'aeroporto è piccolo, ma come di dice da noi "c'è tutto", decido di mangiare qua, per correttezza passo dal banco AVIS per dire all'addetta se va bene che passi tra mezz'ora a ritirare l'auto, ma la ragazza (carina) mi dice "l'auto è al parcheggio fuori, la chiave è qui (e la poggia sul banco), se mi fa una firma qui siamo a posto". Beh, cliente fidelizzato, che spettacolo. Firmo e prendo le chiavi. Salgo al primo piano ed entro in un ristorante semi-self service, con una interessante varietà di primi piatti; anche se siamo in Germania, perché non dare loro una chance. E poi, la ragazza alla cassa, dai lineamenti asiatici, è di una bellezza imbarazzante. E quindi "spaghetti toskana" siano. Paghi, ti metti al tavolo, ti danno un aggeggio elettronico, che si mette a vibrare quando il tuo piatto è pronto, ed il cuoco lo deposita in un apposito banco riscaldato. Beh, come dice Cruciani "siamo al top". Non posso fare a meno di notare che molti altri viaggiatori, seppure io sia ben cosciente che il mio inglese non sia proprio il massimo, hanno problemi di comprensione che vanno oltre i miei. Mangio e gradisco, resisto alla tentazione di dire alla tedesca-dai-lineamenti-asiatici che è davvero bellissima, bevo un discreto espresso ed esco nel sole della domenica pomeriggio fumandomi una sigaretta e facendo quei 20 passi che mi separano dal parcheggio delle auto a noleggio. Una VW Polo. Inserisco il GPS ed imposto l'indirizzo dell'albergo, si parte. Sarà la giornata veramente splendida, ma il paesaggio mi rapisce. Verde dappertutto, pianura, case di campagna e agricoltura tutto intorno, strade lisce, poco traffico. Arrivo in mezz'ora, giro intorno all'isolato dove si trova l'albergo, c'è parcheggio anche davanti ma tutto occupato, intuisco dov'è il parcheggio riservato, piazzo l'auto, giro a piedi l'isolato anche se sono sicuro che c'è il modo di passare direttamente dall'albergo al parcheggio, e faccio il check in. Salgo in camera per poggiare i bagagli, struttura caratteristica, odore di cibo, camere piccole ma carine, pulitissimo, il televisore ha l'ingresso USB. Ora, c'è un motivo se ci hanno fatto alloggiare qui a Xanten. Suppongo. Il motivo è che la cittadina, che conta poco più di 20mila abitanti, è carina, è stata un insediamento romano (prima Castra Vetera, poi Colonia Ulpia Traiana), ed ha, in centro, un interessante duomo intitolato a San Vittore di Xanten. La giornata, come detto più volte, è calda e soleggiata, non ho niente da fare, i colleghi non arriveranno fino a domani pomeriggio. Esco e mi metto a fare il turista.
Atterriamo all'aeroporto di Weeze che le 12 sono già passate, e io, seppure a dieta, qualcosa dovrò pur mangiare, visto che non ho fatto neppure lo spuntino. Quindi mi guardo intorno. L'aeroporto è piccolo, ma come di dice da noi "c'è tutto", decido di mangiare qua, per correttezza passo dal banco AVIS per dire all'addetta se va bene che passi tra mezz'ora a ritirare l'auto, ma la ragazza (carina) mi dice "l'auto è al parcheggio fuori, la chiave è qui (e la poggia sul banco), se mi fa una firma qui siamo a posto". Beh, cliente fidelizzato, che spettacolo. Firmo e prendo le chiavi. Salgo al primo piano ed entro in un ristorante semi-self service, con una interessante varietà di primi piatti; anche se siamo in Germania, perché non dare loro una chance. E poi, la ragazza alla cassa, dai lineamenti asiatici, è di una bellezza imbarazzante. E quindi "spaghetti toskana" siano. Paghi, ti metti al tavolo, ti danno un aggeggio elettronico, che si mette a vibrare quando il tuo piatto è pronto, ed il cuoco lo deposita in un apposito banco riscaldato. Beh, come dice Cruciani "siamo al top". Non posso fare a meno di notare che molti altri viaggiatori, seppure io sia ben cosciente che il mio inglese non sia proprio il massimo, hanno problemi di comprensione che vanno oltre i miei. Mangio e gradisco, resisto alla tentazione di dire alla tedesca-dai-lineamenti-asiatici che è davvero bellissima, bevo un discreto espresso ed esco nel sole della domenica pomeriggio fumandomi una sigaretta e facendo quei 20 passi che mi separano dal parcheggio delle auto a noleggio. Una VW Polo. Inserisco il GPS ed imposto l'indirizzo dell'albergo, si parte. Sarà la giornata veramente splendida, ma il paesaggio mi rapisce. Verde dappertutto, pianura, case di campagna e agricoltura tutto intorno, strade lisce, poco traffico. Arrivo in mezz'ora, giro intorno all'isolato dove si trova l'albergo, c'è parcheggio anche davanti ma tutto occupato, intuisco dov'è il parcheggio riservato, piazzo l'auto, giro a piedi l'isolato anche se sono sicuro che c'è il modo di passare direttamente dall'albergo al parcheggio, e faccio il check in. Salgo in camera per poggiare i bagagli, struttura caratteristica, odore di cibo, camere piccole ma carine, pulitissimo, il televisore ha l'ingresso USB. Ora, c'è un motivo se ci hanno fatto alloggiare qui a Xanten. Suppongo. Il motivo è che la cittadina, che conta poco più di 20mila abitanti, è carina, è stata un insediamento romano (prima Castra Vetera, poi Colonia Ulpia Traiana), ed ha, in centro, un interessante duomo intitolato a San Vittore di Xanten. La giornata, come detto più volte, è calda e soleggiata, non ho niente da fare, i colleghi non arriveranno fino a domani pomeriggio. Esco e mi metto a fare il turista.
20141028
uomo in fuga
Man on the Run - Bush (2014)
Come forse ricorderete, a me i Bush di Gavin Rossdale sono sempre piaciuti, e non me n'è mai fregato niente di chi li considerava dei pagliacci o dei fighetti. Il sesto disco da studio (in venti anni di carriera), uscito da più o meno una settimana, suscita in me le stesse emozioni di sempre: vorrei essere stato io a scrivere le loro canzoni. La voce di Rossdale è una delle più belle di sempre, e i detrattori possono dire quello che vogliono, io non cambio idea. Il suono è granitico, ma la ricerca di melodie che fanno breccia nel cuore di quelli più sensibili è sempre lì, e non accenna ad andarsene. Qua e là ci sono inserimenti elettronici a volte impercettibili, ma la predilezione per le chitarre distorte e gli assoli non virtuosistici, ma funzionali alle armonie, rimangono cose irrinunciabili per i Bush. E vincenti.
Curiosamente, il mio pezzo preferito è il primo delle bonus tracks contenute nell'edizione Deluxe, Let Yourself Go ("Let yourself go/You can be the Queen/I can be bold/You give the love/That's heavy like gold/Let yourself go"), ma vi assicuro che più ascolto Man on the Run, e più questa convinzione viene minata dalla bellezza cristallina di tutte le altre composizioni. Vi invito ad ascoltarlo senza preconcetti.
I always loved Gavin Rossdale's Bush, since I listened their first song. I hardly can explain why, but Rossdale's voice and their constant research to merge heavy music and beautiful melodies, pop-rock romanticism and distorted guitars, brings out the sentimental side of my character. This sixth album, in twenty years of career, produces the same effect on me, maybe especially because I had the first listen to this disc on a plane during a beautiful day: the vision of the Alps and the listen of Let Yourself Go, while Rossdale sings "You can be Queen, I can be bold, you give the love, that's heavy like gold", gave me the key to get in this Man on the Run, and stay inside.
Come forse ricorderete, a me i Bush di Gavin Rossdale sono sempre piaciuti, e non me n'è mai fregato niente di chi li considerava dei pagliacci o dei fighetti. Il sesto disco da studio (in venti anni di carriera), uscito da più o meno una settimana, suscita in me le stesse emozioni di sempre: vorrei essere stato io a scrivere le loro canzoni. La voce di Rossdale è una delle più belle di sempre, e i detrattori possono dire quello che vogliono, io non cambio idea. Il suono è granitico, ma la ricerca di melodie che fanno breccia nel cuore di quelli più sensibili è sempre lì, e non accenna ad andarsene. Qua e là ci sono inserimenti elettronici a volte impercettibili, ma la predilezione per le chitarre distorte e gli assoli non virtuosistici, ma funzionali alle armonie, rimangono cose irrinunciabili per i Bush. E vincenti.
Curiosamente, il mio pezzo preferito è il primo delle bonus tracks contenute nell'edizione Deluxe, Let Yourself Go ("Let yourself go/You can be the Queen/I can be bold/You give the love/That's heavy like gold/Let yourself go"), ma vi assicuro che più ascolto Man on the Run, e più questa convinzione viene minata dalla bellezza cristallina di tutte le altre composizioni. Vi invito ad ascoltarlo senza preconcetti.
I always loved Gavin Rossdale's Bush, since I listened their first song. I hardly can explain why, but Rossdale's voice and their constant research to merge heavy music and beautiful melodies, pop-rock romanticism and distorted guitars, brings out the sentimental side of my character. This sixth album, in twenty years of career, produces the same effect on me, maybe especially because I had the first listen to this disc on a plane during a beautiful day: the vision of the Alps and the listen of Let Yourself Go, while Rossdale sings "You can be Queen, I can be bold, you give the love, that's heavy like gold", gave me the key to get in this Man on the Run, and stay inside.
20141027
Rheinberg (Germania) - Ottobre 2014 (1)
A meno di una settimana di distanza dal mio weekend inglese, eccomi impegnato in un nuovo viaggio di lavoro, e sinceramente, non riesco a nascondere la mia eccitazione quando si presentano occasioni del genere. Non so se riuscirò mai a diventare uno di quelli che dice "uff che palle devo andare a xxxxxx per lavoro". Proprio non mi ci vedo, sarà un difetto ma non riesco a riconoscermelo come tale. Dunque, l'occasione era una riunione dei miei omologhi a livello europeo, dopo quella del giugno scorso a Bruxelles, e un ritorno nella Renania Settentrionale-Vestfalia, dopo la visita a Kerpen dello scorso febbraio. Vista la libertà che il mio capo mi lascia, mi sono organizzato così, sapendo che appunto, la riunione era di martedì a Rheinberg (tra parentesi, città natale di Claudia Schiffer), l'hotel dove l'organizzatrice (un'altra mia capa) aveva deciso di farci soggiornare tutti era a Xanten, e un'altra presenza richiesta era quella del lunedì sera a cena proprio nel ristorante dell'albergo. L'aeroporto più vicino è quello Niederrhein di Weeze, tra l'altro vicinissimo al confine con l'Olanda (ricordavo che un collega olandese, conosciuto lo scorso anno, e che di base lavora a Rheinberg, mi raccontasse che era molto felice di lavorare lì perché vicinissimo a casa). L'alternativa era quello di Dusseldorf, dove tra l'altro sono arrivati tutti gli altri che sono arrivati in aereo (quelli che venivano dal Belgio e dalla Francia sono venuti in auto). Sapendo che Weeze è un aeroporto usato da Ryanair, anche da Pisa, mi sono subito precipitato a verificare i voli, ma non erano comodi (sabato, troppo presto, e martedì, anche questo troppo presto). Per curiosità, controllo i voli da Bologna: domenica e mercoledì: direi perfetti. Col sennò di poi, potrei averci visto giusto, dato che l'alternativa sarebbe stata probabilmente Lufthansa con un Pisa-Monaco (Air Dolomiti) e un Monaco-Dusseldorf, visto che proprio in quei giorni la Germania è stata "investita" da una raffica di scioperi, incluso quello della compagnia di bandiera (anche se, diciamocelo: incappare in uno sciopero e dover rimanere qualche giorno in più non mi sarebbe dispiaciuto, tornando al discorso fatto in apertura, non riesco ad essere infelice se sto viaggiando). Prenoto quindi quello che devo: l'hotel a Bologna (il volo era alle 10 di mattina, partire direttamente da casa mi avrebbe costretto all'ennesima levataccia), l'auto a Weeze e basta, visto che l'albergo a Xanten era già a posto. Dato che la mia permanenza presso il sito di Rheinberg sarebbe stato praticamente di 3 giorni pieni, solo uno dei quali occupato dal motivo di questo meeting, mi sono organizzato del lavoro: il lunedì mattina un incontro con un collega di lì, già conosciuto nei primi mesi dell'anno, il mercoledì una visita ad un deposito esterno (a Wesel). Il resto del tempo, avrei lavorato ugualmente, solo insieme a colleghi che normalmente sento per telefono, per email o per chat, ma sempre giornalmente. Il bello di lavorare per una multinazionale, il bello della tecnologia. Pensate solo che già il lunedì si è aggiunto un ulteriore impegno (una conf call, tranquillamente realizzabile per telefono da dovunque), e che insomma, alla fine il tempo non basta mai (i colleghi da conoscere erano tanti, e si finisce, almeno dal mio punto di vista, a non passarci mai abbastanza tempo per creare un legame, ma questo è solo un punto di vista mio, che come è noto sono un sentimentale pure nei rapporti di lavoro).
Detto tutto questo, infatti, pur essendomi ripromesso di partire con calma alle 17 da casa, in auto, per Bologna, in modo da arrivare in tempo per andare a mangiare una pizza in quella mitica pizzeria di San Lazzaro di Savena dove l'amico Mazza mi ha portato tante volte, e che, pur con la sua assenza giustificata, mi avrebbe fatto tornare alla mente tante risate, tanti concerti, tante sere allegre, mi ritrovo a dover riempire il trolley (si, ne abbiamo già parlato della mia borghesizzazione) a quell'ora, e a partire quasi in fretta oltre le 18. Quindi, senza spingere, quando la fame bussa sono da poco sulla Firenze-Bologna, e l'area di servizio Aglio mi ospita a cena in questa tiepida notte d'ottobre.
Detto tutto questo, infatti, pur essendomi ripromesso di partire con calma alle 17 da casa, in auto, per Bologna, in modo da arrivare in tempo per andare a mangiare una pizza in quella mitica pizzeria di San Lazzaro di Savena dove l'amico Mazza mi ha portato tante volte, e che, pur con la sua assenza giustificata, mi avrebbe fatto tornare alla mente tante risate, tanti concerti, tante sere allegre, mi ritrovo a dover riempire il trolley (si, ne abbiamo già parlato della mia borghesizzazione) a quell'ora, e a partire quasi in fretta oltre le 18. Quindi, senza spingere, quando la fame bussa sono da poco sulla Firenze-Bologna, e l'area di servizio Aglio mi ospita a cena in questa tiepida notte d'ottobre.
20141026
semplicità elettorale
Purtroppo, il mio crescente impegno lavorativo, del quale, sia chiaro, sono molto contento, mi sta costringendo a "tagliare" cose che prima mi piaceva fare, o che forse facevo anche solamente per passare il tempo. Non vado più per concerti, non vado praticamente più al cinema, non riesco più neppure a vedere un film a casa, ho smesso di seguire molte serie tv meno interessanti, leggo meno libri (questo anche perché ho fatto molti viaggi nell'ultimo anno, ma troppo brevi per leggere un po'). Ma qualche giornale, soprattutto Internazionale, continuo a leggerlo, e mi capita spesso di imbattermi in articoli che suscitano il mio interesse, e dei quali vi vorrei parlare. Non sempre ce la faccio, ma stavolta ci provo. Ho appena letto un articolo tratto da La Nación, un giornale argentino, che parla delle elezioni uruguaiane, che si svolgeranno proprio oggi. Dell'Uruguay si è parlato molto, io ve ne ho parlato, soprattutto per il fatto che nonostante ci sia stato per pochi giorni, ne ho tratto una splendida impressione, tanto che sto ancora pensando di andarci a vivere dopo la pensione, ultimamente è perfino salito alla ribalta, un po' per la sua nazionale di calcio, un po' per il suo Presidente. Domani, gli elettori sceglieranno tra un ex presidente, Tabaré Vázquez, che ha governato nei 5 anni prima di Pepe Mujica (i due appartengono allo stesso partito, il Frente Amplio; leggete la scheda linkata, curiosamente una specie di PD), e Luis Lacalle Pou, giovanissimo esponente del Partido Nacional. Per onore di cronaca, è giusto dire che in Uruguay esiste anche un terzo partito (che fino a qualche anno fa si alternava al governo col Partido Nacional), il Partido Colorado, che però adesso pare in caduta libera. Ora, così a pelle non voterei mai per il Partido Nacional, che già dal simbolo mette i brividi (un fascio littorio dal quale spunta un'ascia); leggendo in proposito dei suoi punti fermi, non ho potuto far altro che confermare questa mia ipotetica scelta, visto che il partito rifiuta tutte le conquiste raggiunte dal Frente Amplio in termine di diritti civili (matrimoni gay, adozioni gay). Ma mi ha colpito moltissimo leggere brevemente come Lacalle Pou abbia impostato la sua campagna, approfittando anche del fatto che gli uruguaiani siano diventati esigentissimi, e non abbiano apprezzato che il paese non sia riuscito ad aumentare benessere, stabilità e sicurezza negli ultimi anni di governi del Frente Amplio. Con differenze così ampie, e abituati all'Italia, mi aspettavo chissà cosa. E invece, il candidato del Partido Nacional propone piccole modifiche alla linea politica del Frente Amplio. L'eccezione più significativa riguarda l'istruzione, mentre sul lavoro, sulle politiche sociali o sulla politica estera non ci sono grandi differenze di fondo. Mentre Vázquez ha passato la campagna elettorale difendendo i meriti della sua passata amministrazione (2005/2010) e di quella di Mujica, senza proporre novità che potessero soddisfare le esigenze crescenti dei cittadini, Lacalle Pou ha riconosciuto i meriti del governo Mujica, e ha fatto campagna elettorale con lo slogan Por la positiva ("in positivo"). Magari non sarà stato del tutto onesto, ma ve la immaginate una roba del genere in Italia?
20141025
20141024
Solihull (Birmingham, UK) - Ottobre 2014 (4)
La sveglia per me è alle 3,30, che sono lento e non si sa mai. Verso le 4,15 son pronto e chiamo mia sorella, che è quasi a posto. Svegliamo e facciamo preparare i bambini. Ci ritroviamo che siamo un pochino in anticipo. Salutiamo e partiamo. Ricevo un sms che mi segnala un addebito di qualche sterlina da parte dell'hotel: non mi quadra, ma adesso non ho tempo. Passiamo dal distributore che abbiamo visto ieri, proprio dietro l'hotel. Rifornimento di poche sterline (abbiamo fatto si e no una quarantina di miglia), ritiro dello scontrino che ci vuole per non pagare l'intero pieno. Via verso l'aeroporto. Pioggerellina inglese. Qualche problema a trovare la rotatoria giusta per entrare nel parcheggio delle macchine a noleggio. Ci siamo. Parcheggiamo le auto e via col rumore dei trolley sui marciapiedi intorno all'aeroporto. Consegna delle chiavi e delle ricevute nell'apposita dropbox al banco AVIS. Via per i controlli. Ci fermano tutti e otto. Ci aprono le valigie. La mia la richiudono subito. Abbiamo perso molti minuti. Entriamo nella zona Duty Free, guardo il tabellone e il nostro volo è in modalità last call. Non c'è tempo di fare colazione, a me non piace che mi aspettino, qualcuno mi segue, qualcuno no. L'autobus aspetta anche quelli no. In autobus mi diverto a fotografare gli occhi di mio nipote.
Si parte. E' ancora buio. Ma poco dopo sorge il sole ed è una splendida giornata. Mia sorella ormai ha superato l'emozione del primo volo, mio nipote ormai pare non accorgersene più nemmeno. Guardatelo.
Mia sorella, provvidenzialmente, si è portata dietro una confezione di pancakes avanzati dalla colazione da McDonald's ieri mattina. Ci prendiamo cappuccino, cioccolata e acqua sulla Monarch. Volo un po' turbolento. Due ore e 25 minuti dopo siamo a Roma Fiumicino, usciamo, andiamo verso il Terminal 1, dove ci caricherà la navetta del parcheggio dove abbiamo lasciato le auto, mentre io telefono al loro numero. Riconosco la navetta, saliamo, 5 minuti e siamo alle auto già posizionate per la partenza. Caldo. Entriamo in autostrada, ci fermiamo al secondo autogrill per mangiare, che sono le 11,30. Ancora due ore abbondanti per casa, ma la consapevolezza di aver vissuto un'esperienza unica, almeno per me: dopo il primo volo di mio nipote, il primo volo di mia sorella. Non ultima, l'esperienza della prima gara estera di Alessio. Certe volte, la felicità è talmente vicina, che ci dimentichiamo quanto sia semplice raggiungerla.
Si parte. E' ancora buio. Ma poco dopo sorge il sole ed è una splendida giornata. Mia sorella ormai ha superato l'emozione del primo volo, mio nipote ormai pare non accorgersene più nemmeno. Guardatelo.
Mia sorella, provvidenzialmente, si è portata dietro una confezione di pancakes avanzati dalla colazione da McDonald's ieri mattina. Ci prendiamo cappuccino, cioccolata e acqua sulla Monarch. Volo un po' turbolento. Due ore e 25 minuti dopo siamo a Roma Fiumicino, usciamo, andiamo verso il Terminal 1, dove ci caricherà la navetta del parcheggio dove abbiamo lasciato le auto, mentre io telefono al loro numero. Riconosco la navetta, saliamo, 5 minuti e siamo alle auto già posizionate per la partenza. Caldo. Entriamo in autostrada, ci fermiamo al secondo autogrill per mangiare, che sono le 11,30. Ancora due ore abbondanti per casa, ma la consapevolezza di aver vissuto un'esperienza unica, almeno per me: dopo il primo volo di mio nipote, il primo volo di mia sorella. Non ultima, l'esperienza della prima gara estera di Alessio. Certe volte, la felicità è talmente vicina, che ci dimentichiamo quanto sia semplice raggiungerla.
20141023
Solihull (Birmingham, UK) - Ottobre 2014 (3)
La giornata di domenica nasce un po' così: non avevo comprato la colazione in albergo, un po' perché abbastanza cara, un po' perché per due notti, non avremmo senz'altro sfruttato una colazione su due (domattina dovremo alzarci ben prima dell'alba). Quindi verso le 7,00, io, mia sorella, Alessio e Asia siamo in giro per il centro di Solihull a cercare un posto dove fare colazione, scansando i resti di un sabato sera inglese. Indovinate? C'è aperto solo McDonald's, pure Starbucks aprirà con comodo alle 9,00. Gli altri fanno colazione in albergo. Ci si ritrova dopo, prendiamo le auto, imposto il GPS e via, una ventina di chilometri ci separano dal sobborgo di Chelmsley Wood, laddove si trova il North Solihull Sports Centre, centro sportivo dove si svolgeranno le gare. Giriamo intorno all'aeroporto e al NEC, un pizzico di autostrada (entrare in autostrada da sinistra anziché da destra è un'esperienza che può cambiarti la vita) e siamo in quel neighbourhood, ma mica è così facile: il GPS non riconosce la strada. Inizio a girare un po' a caso un po' a naso, ma non si vedono indicazioni, e l'ora è di quelle che in giro ci sono solo quelli che portano a spasso il cane. E meno male, perché alla seconda richiesta di indicazione, quando ormai mi ero visto perso, una signora gentile (ma chi ha detto che gli inglesi non sono gentili?) mi dice che devo solo passare due rotatorie a dritto, e quasi ci sbatterò il muso. "The island" dice, riferendosi alle rotatorie. Ok, comunque ci siamo. Il centro è spartano, ma funzionale. Spogliatoi, due piscine, bar, distributori automatici. Un sacco di gente. Le tribune? Scomode, molto. Ci piazziamo su un tratto di panca che sarà la nostra casa per ore. Attorno a noi, gallesi. E si nota.
Più tardi mi accorgerò che sull'altro lato c'è una "comunità" russa. E noi che si pensava di essere venuti da lontano. Si comincia con i Kata dei più piccoli, e comincio a divertirmi pure io che non ne capisco niente. Soprattutto le piccole atlete, ce ne sono alcune spettacolari da vedere, tenere e dure al tempo stesso. Sono molto fisionomista e comincio a riconoscere le persone. Passano i minuti e le ore, e arriva il turno di Alessio e di Asia praticamente insieme, su due tatami adiacenti. Non si sa chi guardare. Entrambi passano il primo turno, la prima scrematura. Alessio non passa la seconda, e si classifica settimo su 25 partecipanti. Non è contentissimo, ma, è sempre un bambino sia chiaro, non è uno che sembra dare più peso di tanto a cose come queste. Asia arriva terza, e si prende una medaglia. Siamo tutti davvero felici per lei, mi dicono che sia solo un anno che si è avvicinata a questo sporto; si nota nei movimenti, ancora grezzi ma pieni di grinta, Alessio è più, come dire, raffinato. Certo, i voti sono dati da dei giudici, non è detto che il giudizio sia imparziale, ma ai miei occhi inesperti, mi son sembrati piuttosto equilibrati. Nella categoria di Alessio passa il turno una bambina di origini indiane o pakistane che avevo già notato prima, ha una sorella più piccola, e se non erro, la madre è allenatrice o qualcosa di simile. Le due piccole, due gioiellini da soprammobile, parteciperanno ad una serie infinita di gare (il loro Kata di coppia è uno spettacolo, sembrano danzare), così come una ancor più piccola di origini cinesi, uno scricciolo che vince anche la sua categoria di Kumite (combattimenti), sbaragliando avversarie ben più alte di lei. Poi, noto un atleta di colore, avrà 14 anni, già molto alto, che si distingue sia nel Kata singolo che in quello di coppia, con un altro ragazzo di colore leggermente più piccolo (forse anche in questo caso il fratello, chissà). Mentre aspettiamo il turno dei più grandi, andiamo al bar e ci mangiamo quel che c'è. Mia sorella si stupisce che in una palestra, da mangiare ci siano patate fritte, salsicce e panini rigorosamente con una quantità di salse. Mentre siamo lì che cazzeggiamo, una mamma inglese si avvicina ad Alessio e indica le sue scarpe: sta portando, ovviamente, quelle che mammà gli ha comprato ieri. Mia sorella mi chiama, la tipa mi dice che le piacciono quelle scarpe, mi domanda dove le abbiamo prese, le dò l'indicazione richiesta. Mia sorella è orgogliosa di aver acquistato al bimbo un qualcosa che piace. Iacopo non se la sente, non combatterà, più tardi arriva il turno di Dario, che si distingue nel Kumite vincendo due incontri e perdendone uno. Direi che il bilancio è soddisfacente. Si aspetta Dario, ci fumiamo una sigaretta fuori, sono quasi le 16,00 quando facciamo nuovamente rotta verso l'albergo. Lasciamo gli atleti al meritato riposo, e usciamo nella sonnolenta domenica inglese, tutto chiuso o quasi, rientriamo al Touchwood e da Bella Italia c'è chi prende una cioccolata calda, chi un té (io), tanto per stare in tema. La cameriera capisce che siamo italiani e ci "connette" col simpatico vecchietto del tavolo accanto, che sta sorseggiando la rigorosa pinta di birra, dicendogli che così può praticare il suo stentato italiano. Ci faccio due chiacchiere. Si rientra pian piano. Qualche scorcio dei dintorni. La St. Alphege Church (esattamente davanti al nostro hotel) e, sulla destra, la Manor house.
Un paio di foto fatte alla mia maniera, molto brutte e sfuocate, del cimitero della St. Alphege (ovviamente anche questo davanti all'albergo).
Si rientra e si riesce per la cena, tutti insieme. Alessio è stanco e fa un po' di bizze: si lamenta delle salse. Siamo al Chimichanga (sempre nel "complesso" del Touchwood), e faccio assaggiare i nachos a mia sorella, che ne rimane soddisfatta. Rientriamo, che come detto domattina sarà una levataccia. Mi addormento col pensiero che la cosa più importante della giornata, ancora una volta, l'ha detta e notata mia sorella. Mentre eravamo sulle scomode tribunette del North Solihull, vedendo tutta quella moltitudine, mi fa: "certo che qui di etnie ce ne sono tante... non come in Italia eh?". "Eh si..." mi avete già capito vero?
Più tardi mi accorgerò che sull'altro lato c'è una "comunità" russa. E noi che si pensava di essere venuti da lontano. Si comincia con i Kata dei più piccoli, e comincio a divertirmi pure io che non ne capisco niente. Soprattutto le piccole atlete, ce ne sono alcune spettacolari da vedere, tenere e dure al tempo stesso. Sono molto fisionomista e comincio a riconoscere le persone. Passano i minuti e le ore, e arriva il turno di Alessio e di Asia praticamente insieme, su due tatami adiacenti. Non si sa chi guardare. Entrambi passano il primo turno, la prima scrematura. Alessio non passa la seconda, e si classifica settimo su 25 partecipanti. Non è contentissimo, ma, è sempre un bambino sia chiaro, non è uno che sembra dare più peso di tanto a cose come queste. Asia arriva terza, e si prende una medaglia. Siamo tutti davvero felici per lei, mi dicono che sia solo un anno che si è avvicinata a questo sporto; si nota nei movimenti, ancora grezzi ma pieni di grinta, Alessio è più, come dire, raffinato. Certo, i voti sono dati da dei giudici, non è detto che il giudizio sia imparziale, ma ai miei occhi inesperti, mi son sembrati piuttosto equilibrati. Nella categoria di Alessio passa il turno una bambina di origini indiane o pakistane che avevo già notato prima, ha una sorella più piccola, e se non erro, la madre è allenatrice o qualcosa di simile. Le due piccole, due gioiellini da soprammobile, parteciperanno ad una serie infinita di gare (il loro Kata di coppia è uno spettacolo, sembrano danzare), così come una ancor più piccola di origini cinesi, uno scricciolo che vince anche la sua categoria di Kumite (combattimenti), sbaragliando avversarie ben più alte di lei. Poi, noto un atleta di colore, avrà 14 anni, già molto alto, che si distingue sia nel Kata singolo che in quello di coppia, con un altro ragazzo di colore leggermente più piccolo (forse anche in questo caso il fratello, chissà). Mentre aspettiamo il turno dei più grandi, andiamo al bar e ci mangiamo quel che c'è. Mia sorella si stupisce che in una palestra, da mangiare ci siano patate fritte, salsicce e panini rigorosamente con una quantità di salse. Mentre siamo lì che cazzeggiamo, una mamma inglese si avvicina ad Alessio e indica le sue scarpe: sta portando, ovviamente, quelle che mammà gli ha comprato ieri. Mia sorella mi chiama, la tipa mi dice che le piacciono quelle scarpe, mi domanda dove le abbiamo prese, le dò l'indicazione richiesta. Mia sorella è orgogliosa di aver acquistato al bimbo un qualcosa che piace. Iacopo non se la sente, non combatterà, più tardi arriva il turno di Dario, che si distingue nel Kumite vincendo due incontri e perdendone uno. Direi che il bilancio è soddisfacente. Si aspetta Dario, ci fumiamo una sigaretta fuori, sono quasi le 16,00 quando facciamo nuovamente rotta verso l'albergo. Lasciamo gli atleti al meritato riposo, e usciamo nella sonnolenta domenica inglese, tutto chiuso o quasi, rientriamo al Touchwood e da Bella Italia c'è chi prende una cioccolata calda, chi un té (io), tanto per stare in tema. La cameriera capisce che siamo italiani e ci "connette" col simpatico vecchietto del tavolo accanto, che sta sorseggiando la rigorosa pinta di birra, dicendogli che così può praticare il suo stentato italiano. Ci faccio due chiacchiere. Si rientra pian piano. Qualche scorcio dei dintorni. La St. Alphege Church (esattamente davanti al nostro hotel) e, sulla destra, la Manor house.
Un paio di foto fatte alla mia maniera, molto brutte e sfuocate, del cimitero della St. Alphege (ovviamente anche questo davanti all'albergo).
Si rientra e si riesce per la cena, tutti insieme. Alessio è stanco e fa un po' di bizze: si lamenta delle salse. Siamo al Chimichanga (sempre nel "complesso" del Touchwood), e faccio assaggiare i nachos a mia sorella, che ne rimane soddisfatta. Rientriamo, che come detto domattina sarà una levataccia. Mi addormento col pensiero che la cosa più importante della giornata, ancora una volta, l'ha detta e notata mia sorella. Mentre eravamo sulle scomode tribunette del North Solihull, vedendo tutta quella moltitudine, mi fa: "certo che qui di etnie ce ne sono tante... non come in Italia eh?". "Eh si..." mi avete già capito vero?
20141022
so close
Così vicini - Cristina Donà (2014)
Bene. E così Cristina Trombini Sapienza aka Cristina Donà continua a fare musica, e con questo disco continua a fare quella che le riesce meglio. Qualche novità, appena appena, begli arrangiamenti avvolgenti, testi come riescono a lei, belle canzoni, un pizzico di asimmetricità (esempio: l'inizio de Il senso delle cose), ma fondamentalmente, ripeto, belle canzoni con la sua voce in evidenza. Già dall'apertura ariosa e toccante della canzone che dà il titolo al disco, scelta anche come primo singolo e video (che trovate in allegato), si capisce che questo è un bel disco. A tre anni, più o meno, dal precedente Torno a casa a piedi, che mi era piaciuto così così, Cristina all'ottavo album dimostra di avere ancora qualcosa da dire e da cantare. E' paradossale, riflettevo inoltre, che abbia anche dei testi interessanti, anche se non particolarmente pregnanti dal punto di vista socio-politico, perché il suo timbro e l'uso della voce basterebbe anche se non ci fossero le liriche, per raggiungere la sufficienza con un disco di buone canzoni. Come che sia, l'ennesimo buon disco, seppur non sia un capolavoro.
Eighth disc for the italian female singer/guitarist, born in the Milan's suburbs, in my opinion one of the best female voices in Italy. And this is the way in order to make a good record, for Cristina Donà: a touch of innovation, airy arrangements, a bunch of beautiful songs, and her wonderful voice. She adds interesting lyrics, never senseless, and obviously this is a plus. Not a masterpiece, but indeed a very good work.
Bene. E così Cristina Trombini Sapienza aka Cristina Donà continua a fare musica, e con questo disco continua a fare quella che le riesce meglio. Qualche novità, appena appena, begli arrangiamenti avvolgenti, testi come riescono a lei, belle canzoni, un pizzico di asimmetricità (esempio: l'inizio de Il senso delle cose), ma fondamentalmente, ripeto, belle canzoni con la sua voce in evidenza. Già dall'apertura ariosa e toccante della canzone che dà il titolo al disco, scelta anche come primo singolo e video (che trovate in allegato), si capisce che questo è un bel disco. A tre anni, più o meno, dal precedente Torno a casa a piedi, che mi era piaciuto così così, Cristina all'ottavo album dimostra di avere ancora qualcosa da dire e da cantare. E' paradossale, riflettevo inoltre, che abbia anche dei testi interessanti, anche se non particolarmente pregnanti dal punto di vista socio-politico, perché il suo timbro e l'uso della voce basterebbe anche se non ci fossero le liriche, per raggiungere la sufficienza con un disco di buone canzoni. Come che sia, l'ennesimo buon disco, seppur non sia un capolavoro.
Eighth disc for the italian female singer/guitarist, born in the Milan's suburbs, in my opinion one of the best female voices in Italy. And this is the way in order to make a good record, for Cristina Donà: a touch of innovation, airy arrangements, a bunch of beautiful songs, and her wonderful voice. She adds interesting lyrics, never senseless, and obviously this is a plus. Not a masterpiece, but indeed a very good work.
20141021
Solihull (Birmingham, UK) - Ottobre 2014 (2)
Ecco, dopo vi racconto la giornata di domenica. Intanto, vogliate sopportare la sequenza del primo Kata di Alessino (il secondo non l'ho fotografato, altrimenti me lo perdevo).
Preparazione.
Kata.
Perdonate le "sfuocature".
Preparazione.
Kata.
20141020
ancora sul ponte
The Bridge - di Meredith Stiehm e Elwood Reid - Stagione 2 (13 episodi; FX) - 2014
A Juárez, Marco continua a fare il suo dovere di poliziotto, ma fatica ad elaborare il lutto per la morte di suo figlio. Non si è fatto un buon nome al dipartimento, e infatti, durante una retata, un suo collega gli spara, cercando di ucciderlo. Nel frattempo, a El Paso, Sonya viene avvertita dal centro di detenzione dove Jim Dobbs, l'assassino di sua sorella, è detenuto, che l'uomo sta morendo. Quando si reca a fargli visita, incontra il di lui fratello Jack. Un classico di Sonya: comincia con Jack una storia di sesso.
Daniel Frye e Adriana Mendez continuano ad indagare sul riciclaggio di denaro del cartello messicano comandato da Fausto Galvan, scoprendo cose impensabili.
Eva abita sempre al ranch di Hank, che però non riesce a tenerla al sicuro; decide quindi di riportarla all'altro ranch, quello di Bob, dove Eva fu condotta da Linder.
Sopra a tutto questo sfondo, il cartello invia a El Paso Eleanor Nacht, una fixer che lavora per malviventi, una che non esita ad innescare bagni di sangue. Hank e la sua squadra si accorgono di lei, e decidono di darle la caccia.
Seconda stagione della versione statunitense di Bron I Broen denominata The Bridge, che ormai ha preso la sua strada. Strada che però, durante questa stagione ha dato l'impressione di essere più che impervia, smarrita. Da notare innanzitutto che una dei due sviluppatori, Meredith Stiehm, ha lasciato la serie dopo la prima stagione, riunendosi al team di Homeland, del quale aveva già fatto parte. Elwood Reid quindi è rimasto come unico showrunner. Le intenzioni di Reid, solo da un certo punto in poi, mi sono parse quelle di avvicinarsi a costruzioni simili agli episodi di Breaking Bad, senza però averne la minima potenza. Il personaggio di Eleanor Nacht, interpretato da una Franka Potente a filo di gas, sembra piovuto lì per caso, e la storia si dipana con una innegabile difficoltà e pesantezza. Le intenzioni sono buone, il cast ci sarebbe pure, ma a questa serie sembra sempre che manchi qualcosa, un pizzico di fascino in più per diventare imperdibile, un po' di decisione per essere convincente. Così come è stata fino ad ora, rimane una tra tante. E Demián Bichir continua a sembrarmi totalmente a disagio. Nel cast di questa stagione anche uno dei suoi fratelli, Bruno, nei panni di Sebastian Cerisola, l'amministratore delegato del Grupo Clio, una finanziaria che scopriamo essere strettamente connessa con il cartello e Galvan.
A Juárez, Marco continua a fare il suo dovere di poliziotto, ma fatica ad elaborare il lutto per la morte di suo figlio. Non si è fatto un buon nome al dipartimento, e infatti, durante una retata, un suo collega gli spara, cercando di ucciderlo. Nel frattempo, a El Paso, Sonya viene avvertita dal centro di detenzione dove Jim Dobbs, l'assassino di sua sorella, è detenuto, che l'uomo sta morendo. Quando si reca a fargli visita, incontra il di lui fratello Jack. Un classico di Sonya: comincia con Jack una storia di sesso.
Daniel Frye e Adriana Mendez continuano ad indagare sul riciclaggio di denaro del cartello messicano comandato da Fausto Galvan, scoprendo cose impensabili.
Eva abita sempre al ranch di Hank, che però non riesce a tenerla al sicuro; decide quindi di riportarla all'altro ranch, quello di Bob, dove Eva fu condotta da Linder.
Sopra a tutto questo sfondo, il cartello invia a El Paso Eleanor Nacht, una fixer che lavora per malviventi, una che non esita ad innescare bagni di sangue. Hank e la sua squadra si accorgono di lei, e decidono di darle la caccia.
Seconda stagione della versione statunitense di Bron I Broen denominata The Bridge, che ormai ha preso la sua strada. Strada che però, durante questa stagione ha dato l'impressione di essere più che impervia, smarrita. Da notare innanzitutto che una dei due sviluppatori, Meredith Stiehm, ha lasciato la serie dopo la prima stagione, riunendosi al team di Homeland, del quale aveva già fatto parte. Elwood Reid quindi è rimasto come unico showrunner. Le intenzioni di Reid, solo da un certo punto in poi, mi sono parse quelle di avvicinarsi a costruzioni simili agli episodi di Breaking Bad, senza però averne la minima potenza. Il personaggio di Eleanor Nacht, interpretato da una Franka Potente a filo di gas, sembra piovuto lì per caso, e la storia si dipana con una innegabile difficoltà e pesantezza. Le intenzioni sono buone, il cast ci sarebbe pure, ma a questa serie sembra sempre che manchi qualcosa, un pizzico di fascino in più per diventare imperdibile, un po' di decisione per essere convincente. Così come è stata fino ad ora, rimane una tra tante. E Demián Bichir continua a sembrarmi totalmente a disagio. Nel cast di questa stagione anche uno dei suoi fratelli, Bruno, nei panni di Sebastian Cerisola, l'amministratore delegato del Grupo Clio, una finanziaria che scopriamo essere strettamente connessa con il cartello e Galvan.
20141019
Siro-?
Syro - Aphex Twin (2014)
C'è un momento, prima di mettersi davanti allo schermo e alla tastiera per scrivere di un disco, in cui ti fai la fatidica domanda: "come cazzo faccio a descriverlo?". Il cazzo rafforzativo diventa ancor più marcato se si parla di Richard D James, musicista elettronico prima e britannico poi (forse), che torna a noi 13 anni dopo Drukqs. Nessuno si immaginava fosse meno folle, ma naturalmente non si sapeva esattamente cosa attendersi. Beh, Syro è qua, e si ascolta così, con la stessa tranquillità con cui si può sorseggiare un succo di frutta, ma con la stessa inquietudine di quando passeggi per strada in una grande città in un paese che non hai mai visitato. Territori in parte inesplorati, suoni ovattati che ricordano vagamente la versione dura di quello che i Sigur Ròs hanno fatto in passato, naturalmente più spinti sul versante elettronico e delle tastiere, vocine assurde, beat incalzanti ma sorprendentemente delicati. Come da copione, quindi, anche se non certamente qualcosa di previsto, un disco da sottofondo che però può rapirti ossessivamente.
C'è un momento, prima di mettersi davanti allo schermo e alla tastiera per scrivere di un disco, in cui ti fai la fatidica domanda: "come cazzo faccio a descriverlo?". Il cazzo rafforzativo diventa ancor più marcato se si parla di Richard D James, musicista elettronico prima e britannico poi (forse), che torna a noi 13 anni dopo Drukqs. Nessuno si immaginava fosse meno folle, ma naturalmente non si sapeva esattamente cosa attendersi. Beh, Syro è qua, e si ascolta così, con la stessa tranquillità con cui si può sorseggiare un succo di frutta, ma con la stessa inquietudine di quando passeggi per strada in una grande città in un paese che non hai mai visitato. Territori in parte inesplorati, suoni ovattati che ricordano vagamente la versione dura di quello che i Sigur Ròs hanno fatto in passato, naturalmente più spinti sul versante elettronico e delle tastiere, vocine assurde, beat incalzanti ma sorprendentemente delicati. Come da copione, quindi, anche se non certamente qualcosa di previsto, un disco da sottofondo che però può rapirti ossessivamente.
20141018
20141017
Solihull (Birmingham, UK) - Ottobre 2014 (1)
Ora, non so se ve l'ho mai detto, ma Alessio, mio nipote, è un karateka, da qualche anno. E, devo dire, con buoni risultati: qualche tempo fa si è piazzato secondo ad una sorta di campionato italiano. Sapevamo, dopo quel piazzamento, che con la sua associazione, ogni tanto si sarebbero presentate occasioni di gareggiare all'estero; il suo sensei ha dichiarato che era sua intenzione di portarlo, visto il suo impegno e la sua bravura, al pari ovviamente di altri atleti ed atlete. Ecco quindi che da qualche tempo avevamo prenotato volo e soggiorno di un paio di giorni presso un suburb (o forse un borough) di Birmingham, UK. Si parte molto presto di sabato mattina, alla volta di Roma Fiumicino: si vola con Monarch, mai volato con loro. Siamo otto, il sensei, la moglie, due atleti adulti (Dario e Iacopo, entrambi, curiosamente, nipoti di due colleghi), una ragazza di circa 13 anni (Asia, in affidamento ad uno dei due colleghi di cui sopra), mio nipote e mia sorella. Parcheggio, navetta, aeroporto, controlli, attesa, imbarco, volo. Per mia sorella è la prima volta, ma mio nipote, già esperto, le fa coraggio. Ma poco dopo il decollo, dorme della grossa.
Giornata splendida. Arriviamo all'aeroporto, il banco dell'AVIS è sguarnito, c'è scritto di andare direttamente al parcheggio, e questo facciamo. Ho prenotato 2 auto, scartoffie, si parte dopo aver installato il GPS. Rapidamente, nonostante sia per me che per mia sorella sia la nostra prima volta con la guida a sinistra, troviamo il nostro albergo, nel centro di Solihull. Mia sorella ha un problemino mentre parcheggia l'auto nel parcheggio dell'albergo: quel che mi aveva anticipato l'amico Cipo è proprio vero: la difficoltà più grande della guida "rovesciata" è prendere le misure con il lato opposto alla guida. Anche per smaltire l'incazzatura, ci sistemiamo ed usciamo (non prima di apprezzare una ragazza della reception che prova a dire qualche parola in italiano, scoprirò che è croata), ho dato un'occhiata in rete e già so che siamo praticamente adiacenti alla zona pedonale e ad un centro commerciale di quelli all'inglese, incastonati nel centro città, ricavati in questo caso dalla copertura di due vie principali, con tanti negozi e ristoranti, con un sacco di gente che passeggia e cazzeggia. In effetti, all'aperto non è proprio quel caldo afoso. Prima di entrare, i piccoli vincono e si "pranza" (saranno oltre le 15) da McDonald's, naturalmente pieno di gente di tutte le età ed estrazioni sociali. Si fanno notare giovanissime inglesine vestite poco, soprattutto con pance rigorosamente scoperte anche se non hanno propriamente la pancia piatta). Ovviamente, siamo nella perfida Albione, per cui anche se è una bellissima giornata, non è che siamo esenti dalla classica pioggerellina inglese. Dopo aver mangiato si entra al Touchwood, si fanno acquisti (mia sorella compra un paio di Converse ad Alessio: sono di gomma come gli stivali da pioggia, colori accesi, ma fatti appunto come le All Star), spesso sono richiesto come interprete, anche se altri se la cavano con l'inglese, i bambini sono stanchi, alle 18 il centro chiude, rientriamo in albergo e ci si riposa un paio d'ore. Si esce verso le 20, si gira un poco ma i ristoranti sembrano tutti pieni: è sabato sera. Non mi fanno entrare in un pub perché ho i pantaloni della tuta. Ma pensa. Poi, un lampo: il centro commerciale è aperto. I negozi, al piano terreno, sono chiusi, ma al secondo piano c'è una pletora di ristoranti di tutti i tipi, e ovviamente sono aperti. C'è perfino un cinema multisala. E vai, da bravi italiani in gita, con PizzaExpress, dove uno dei ragazzi si innamora della cameriera Mary. La pizza non è male, tra l'altro al momento dell'ordine ti chiedono se la vuoi alta o bassa. Intorno al tavolo non si invecchia mai, anche se io devo ricordarmi che sono a dieta. Dopo cena ci si spegne lentamente, siamo tutti stanchi, ci siamo alzati presto e domani qualcuno dovrà gareggiare. Rientriamo al Ramada (dimenticavo: classico inglese lo stile), e facciamo le nanne.
Giornata splendida. Arriviamo all'aeroporto, il banco dell'AVIS è sguarnito, c'è scritto di andare direttamente al parcheggio, e questo facciamo. Ho prenotato 2 auto, scartoffie, si parte dopo aver installato il GPS. Rapidamente, nonostante sia per me che per mia sorella sia la nostra prima volta con la guida a sinistra, troviamo il nostro albergo, nel centro di Solihull. Mia sorella ha un problemino mentre parcheggia l'auto nel parcheggio dell'albergo: quel che mi aveva anticipato l'amico Cipo è proprio vero: la difficoltà più grande della guida "rovesciata" è prendere le misure con il lato opposto alla guida. Anche per smaltire l'incazzatura, ci sistemiamo ed usciamo (non prima di apprezzare una ragazza della reception che prova a dire qualche parola in italiano, scoprirò che è croata), ho dato un'occhiata in rete e già so che siamo praticamente adiacenti alla zona pedonale e ad un centro commerciale di quelli all'inglese, incastonati nel centro città, ricavati in questo caso dalla copertura di due vie principali, con tanti negozi e ristoranti, con un sacco di gente che passeggia e cazzeggia. In effetti, all'aperto non è proprio quel caldo afoso. Prima di entrare, i piccoli vincono e si "pranza" (saranno oltre le 15) da McDonald's, naturalmente pieno di gente di tutte le età ed estrazioni sociali. Si fanno notare giovanissime inglesine vestite poco, soprattutto con pance rigorosamente scoperte anche se non hanno propriamente la pancia piatta). Ovviamente, siamo nella perfida Albione, per cui anche se è una bellissima giornata, non è che siamo esenti dalla classica pioggerellina inglese. Dopo aver mangiato si entra al Touchwood, si fanno acquisti (mia sorella compra un paio di Converse ad Alessio: sono di gomma come gli stivali da pioggia, colori accesi, ma fatti appunto come le All Star), spesso sono richiesto come interprete, anche se altri se la cavano con l'inglese, i bambini sono stanchi, alle 18 il centro chiude, rientriamo in albergo e ci si riposa un paio d'ore. Si esce verso le 20, si gira un poco ma i ristoranti sembrano tutti pieni: è sabato sera. Non mi fanno entrare in un pub perché ho i pantaloni della tuta. Ma pensa. Poi, un lampo: il centro commerciale è aperto. I negozi, al piano terreno, sono chiusi, ma al secondo piano c'è una pletora di ristoranti di tutti i tipi, e ovviamente sono aperti. C'è perfino un cinema multisala. E vai, da bravi italiani in gita, con PizzaExpress, dove uno dei ragazzi si innamora della cameriera Mary. La pizza non è male, tra l'altro al momento dell'ordine ti chiedono se la vuoi alta o bassa. Intorno al tavolo non si invecchia mai, anche se io devo ricordarmi che sono a dieta. Dopo cena ci si spegne lentamente, siamo tutti stanchi, ci siamo alzati presto e domani qualcuno dovrà gareggiare. Rientriamo al Ramada (dimenticavo: classico inglese lo stile), e facciamo le nanne.
20141016
il mare d'inverno
Che poi, inverno, neppure è autunno... La foto l'ho scattata venerdì 26 settembre, a Marina di Bibbona, località Jolly Beach, un posto dove mi piace andare al mare fuori stagione. Lasciamo perdere che dopo 3 ore lì ho preso l'influenza, nonostante che dalle 9,00 alle 10,30 avevo si, "sotto la cintura", il costume, ma sopra avevo la felpa, visto che l'aria era fresca. Però dai... che bello.
20141015
Il villaggio
The Village - di Peter Moffat - Stagioni 1 e 2 (6 episodi ciascuna; BBC One) - 2013/2014
Bert Middleton è l'uomo più vecchio d'Inghilterra, adesso che è morto l'unico che era più vecchio di lui. 110 anni. Infatti, nell'estate del 1914, Bert dodicenne vede scendere dall'autobus Martha Lane, la figlia del ministri di culto locale, e se ne innamora, nonostante Martha sia già adulta. Le abitudini schiette e cittadine di Martha stridono contro quelle degli abitanti del villaggio, situato nel Derbyshire. Bert vive lì dalla nascita; suo padre John, che ha ereditato una fattoria di famiglia, è un ubriacone che spesso picchia la moglie e maltratta i figli, ed è di certo poco concentrato sul lavoro, visto che rischia continuamente di perdere la fattoria. La madre Grace è una donna favolosa, che sopporta con forza le angherie del marito, che una volta amava, e riempie d'amore i due figli. Il fratello maggiore Joe è per Bert come un padre. Bert ama la scuola, soprattutto per il maestro, il signor Eyre, ma il padre lo vorrebbe sempre a lavoro nei campi. Joe guadagna qualche soldo extra lavorando come water man nella tenuta dei signorotti locali, gli Allingham. La figlia degli Allingham, Caro, un po' sciroccata, gli gira sempre intorno, ma Joe, non appena conosce Martha, comprende che è quella la donna per lui, e la cosa diviene presto reciproca. Nonostante ciò, quando scoppia la Prima Guerra Mondiale, Joe si arruola nell'esercito, con l'incoraggiamento della madre che vuole per lui un futuro lontano dal villaggio, Joe fa l'amore con Caro, il giorno prima di partire. Le conseguenze di questo piccolo fatto accompagneranno la vita del villaggio per anni...
Casualmente, qualche giorno fa scopro questa serie inglese, una sorta di Downton Abbey proletaria (in realtà, anche qua ci sono "i ricchi", gli Allingham, che sono decisamente meno simpatici dei Crawley), già arrivata alla seconda stagione. Leggo addirittura che il creatore, Peter Moffat (da non confondere con il quasi omonimo regista, che ha una T in più nel cognome), con questa serie vuole creare "l'Heimat inglese". Cavolo, mi dico, una chance gli va data al più presto. Detto fatto, mi procuro le due stagioni, mi metto comodo, comincio il primo episodio e... dopo 3 minuti, ho controllato, del pilot, ero già innamorato di questa serie. Fatte le dovute differenze stilistiche, The Village è una serie appassionante, soprattutto se siete un minimo curiosi a livello storico. E' ovvio che la parte sentimentale è ben presente, e fa da filo conduttore di molte sottotrame, ma il quadro complessivo è sempre lì, e soprattutto nella seconda stagione assume una quota importante, e lascia prevedere begli sviluppi per quelle che speriamo siano le prossime stagioni. Come detto prima, The Village è strutturato da un punto di vista "popolare" anziché "aristocratico", e forse per questo la politica (già detto anche questo, ma ribadisco: soprattutto nel corso della seconda stagione) assume importanza vitale. Alla luce di questo sviluppo, importantissimi sono i caratteri così diversi dei due genitori del protagonista, John e Grace, il primo inizialmente attaccabrighe, scansafatiche, tiranno, poi "redento", rimane scansafatiche (per come poteva essere scansafatiche un contadino che se non lavorava un minimo non aveva di che mangiare) perché "perde tempo" a "diffondere il verbo" (paradossale pensare al personaggio che lo avvicina alla "redenzione"), ma fondamentalmente conservatore, seppur sempre innamorato della moglie, la seconda forte, fortissima, granitica, lavoratrice indefessa, caratterialmente spettacolare, amorevole con i figli, caritatevole con chiunque abbia bisogno anche a costo di togliersi il pane di bocca, passionale fino allo sfinimento, fondamentalmente atea, col tempo acquisisce una coscienza politica laburista/riformatrice, comincia come una sindacalista ante litteram, diventa potenzialmente una donna che potrebbe arrivare dovunque. Tra l'altro, i due personaggi sono interpretati da due attori bravissimi, e mediamente famosi. John è John Simm [l'uomo che, così come Damien Lewis sarebbe l'attore che intepreterà Josh Homme il giorno che decideranno di fare un film sui Kyuss, allo stesso modo (Simm) sarà l'attore che interpreterà Thom Yorke il giorno che qualcuno deciderà di fare un film sui Radiohead], già in 24 Hour Party People, State of Play (la serie inglese) e Life on Mars (versione originale UK), Grace è Maxine Peake, già in Silk e in Shameless (versione originale UK, era Veronica), qui davvero meravigliosamente seducente da tanto è appassionata. Naturalmente, come in ogni serie "corale", ci sono un sacco di altri personaggi, minori o no, tra i quali potete scegliere il vostro preferito (o la vostra preferita), così come quello da odiare. Vi assicuro che le prove dell'intero cast sono grandiose. E dopo aver visto questo, Downton Abbey, Heimat, Vientos de Agua, John Adams e tante serie storiche statunitensi, viene da chiedersi perché noi, con tanta storia da raccontare, non ne siamo capaci. Come che sia, The Village è da vedere. Le prossime stagioni saranno ambientate durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Inghilterra del dopo-guerra, e via così.
Bert Middleton è l'uomo più vecchio d'Inghilterra, adesso che è morto l'unico che era più vecchio di lui. 110 anni. Infatti, nell'estate del 1914, Bert dodicenne vede scendere dall'autobus Martha Lane, la figlia del ministri di culto locale, e se ne innamora, nonostante Martha sia già adulta. Le abitudini schiette e cittadine di Martha stridono contro quelle degli abitanti del villaggio, situato nel Derbyshire. Bert vive lì dalla nascita; suo padre John, che ha ereditato una fattoria di famiglia, è un ubriacone che spesso picchia la moglie e maltratta i figli, ed è di certo poco concentrato sul lavoro, visto che rischia continuamente di perdere la fattoria. La madre Grace è una donna favolosa, che sopporta con forza le angherie del marito, che una volta amava, e riempie d'amore i due figli. Il fratello maggiore Joe è per Bert come un padre. Bert ama la scuola, soprattutto per il maestro, il signor Eyre, ma il padre lo vorrebbe sempre a lavoro nei campi. Joe guadagna qualche soldo extra lavorando come water man nella tenuta dei signorotti locali, gli Allingham. La figlia degli Allingham, Caro, un po' sciroccata, gli gira sempre intorno, ma Joe, non appena conosce Martha, comprende che è quella la donna per lui, e la cosa diviene presto reciproca. Nonostante ciò, quando scoppia la Prima Guerra Mondiale, Joe si arruola nell'esercito, con l'incoraggiamento della madre che vuole per lui un futuro lontano dal villaggio, Joe fa l'amore con Caro, il giorno prima di partire. Le conseguenze di questo piccolo fatto accompagneranno la vita del villaggio per anni...
Casualmente, qualche giorno fa scopro questa serie inglese, una sorta di Downton Abbey proletaria (in realtà, anche qua ci sono "i ricchi", gli Allingham, che sono decisamente meno simpatici dei Crawley), già arrivata alla seconda stagione. Leggo addirittura che il creatore, Peter Moffat (da non confondere con il quasi omonimo regista, che ha una T in più nel cognome), con questa serie vuole creare "l'Heimat inglese". Cavolo, mi dico, una chance gli va data al più presto. Detto fatto, mi procuro le due stagioni, mi metto comodo, comincio il primo episodio e... dopo 3 minuti, ho controllato, del pilot, ero già innamorato di questa serie. Fatte le dovute differenze stilistiche, The Village è una serie appassionante, soprattutto se siete un minimo curiosi a livello storico. E' ovvio che la parte sentimentale è ben presente, e fa da filo conduttore di molte sottotrame, ma il quadro complessivo è sempre lì, e soprattutto nella seconda stagione assume una quota importante, e lascia prevedere begli sviluppi per quelle che speriamo siano le prossime stagioni. Come detto prima, The Village è strutturato da un punto di vista "popolare" anziché "aristocratico", e forse per questo la politica (già detto anche questo, ma ribadisco: soprattutto nel corso della seconda stagione) assume importanza vitale. Alla luce di questo sviluppo, importantissimi sono i caratteri così diversi dei due genitori del protagonista, John e Grace, il primo inizialmente attaccabrighe, scansafatiche, tiranno, poi "redento", rimane scansafatiche (per come poteva essere scansafatiche un contadino che se non lavorava un minimo non aveva di che mangiare) perché "perde tempo" a "diffondere il verbo" (paradossale pensare al personaggio che lo avvicina alla "redenzione"), ma fondamentalmente conservatore, seppur sempre innamorato della moglie, la seconda forte, fortissima, granitica, lavoratrice indefessa, caratterialmente spettacolare, amorevole con i figli, caritatevole con chiunque abbia bisogno anche a costo di togliersi il pane di bocca, passionale fino allo sfinimento, fondamentalmente atea, col tempo acquisisce una coscienza politica laburista/riformatrice, comincia come una sindacalista ante litteram, diventa potenzialmente una donna che potrebbe arrivare dovunque. Tra l'altro, i due personaggi sono interpretati da due attori bravissimi, e mediamente famosi. John è John Simm [l'uomo che, così come Damien Lewis sarebbe l'attore che intepreterà Josh Homme il giorno che decideranno di fare un film sui Kyuss, allo stesso modo (Simm) sarà l'attore che interpreterà Thom Yorke il giorno che qualcuno deciderà di fare un film sui Radiohead], già in 24 Hour Party People, State of Play (la serie inglese) e Life on Mars (versione originale UK), Grace è Maxine Peake, già in Silk e in Shameless (versione originale UK, era Veronica), qui davvero meravigliosamente seducente da tanto è appassionata. Naturalmente, come in ogni serie "corale", ci sono un sacco di altri personaggi, minori o no, tra i quali potete scegliere il vostro preferito (o la vostra preferita), così come quello da odiare. Vi assicuro che le prove dell'intero cast sono grandiose. E dopo aver visto questo, Downton Abbey, Heimat, Vientos de Agua, John Adams e tante serie storiche statunitensi, viene da chiedersi perché noi, con tanta storia da raccontare, non ne siamo capaci. Come che sia, The Village è da vedere. Le prossime stagioni saranno ambientate durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Inghilterra del dopo-guerra, e via così.
20141014
The Revolution Will Not Be Televised
Masters of Sex - di Michelle Ashford - Stagione 2 (12 episodi; Showtime) - 2014
1958. Dopo la notte di sesso vero, non come cavie del loro studio, il dottor Masters e Virginia vivono a modo loro il giorno seguente. Parallax è il titolo dell'episodio 2x01, il primo di questa stagione, l'errore di osservazione quando si cambia punto di vista, e la regia di questo episodio ci offre esattamente i due punti di vista di cosa accade dopo. Sullo sfondo, però, lo studio continua con tutte le sue difficoltà, con Bill che non pensa ad altro trascurando completamente la famiglia, che ormai conta un membro in più, con Virginia che mette prima il lavoro di un qualsiasi chiarimento con Bill, con Libby che sempre di più si fida di Virginia, ma al tempo stesso è costretta dall'assenza del marito a "crescere", ad affrontare la valanga di novità che gli anni '60 stanno portando nel mondo e soprattutto negli Stati Uniti, in un Sud con un'altra percentuale di residenti afro-americani. Senza dimenticare la "tragedia" di Barton e Margaret (la di lui omosessualità), le peripezie del dottor Langham, la nuova vita di Betty DiMello, la nuova, profonda amicizia di Virginia con la dottoressa DePaul.
Devo ammetterlo: a questo giro ho fatto un po' di fatica a seguire Masters of Sex. Eppure, sono convinto che gli darò senza dubbio altre opportunità, la prossima estate, quando andrà in onda la terza stagione. Credo che la serie stia cambiando pelle, si stia evolvendo, abbia messo molta carne al fuoco durante questa stagione, ed è per questo che alla lunga è risultata pesante, nonostante presi uno per uno, i vari episodi contengano delle chicche, probabilmente tutti e dodici. L'impressione che voglia emulare, eguagliare o addirittura superare Mad Men, almeno come period drama, è forte, il ventaglio di personaggi è vasto, complesso, se approfondiamo tutti ci vorranno venti stagioni, e quindi vedremo se la showrunner Michelle Ashford (The Pacific, John Adams) ed il suo team saranno forti abbastanza. L'argomento è interessantissimo, vasto e pieno di possibilità, e molti altri (cito a braccio dagli ultimi episodi: Kennedy, ML King, razzismo, omofobia, alcolismo, violenza domestica) sono stati usati ed introdotti; la scrittura è buona, i dialoghi a volte perfino troppo densi, intelligenti, pieni di rimandi e di verità. Come detto, quindi, la seconda stagione non è scorsa liscissima forse perché gli argomenti ed il "riposizionamento" hanno appesantito il tutto, non certo per mancanza di idee ma per abbondanza.
Il cast continua a dare grandi prove, e si sono aggiunti comprimarie eccellenti in parti minori, come Betsy Brandt (qui Barb, una volta Marie Schrader in Breaking Bad) o Artemis Pedbani (Flo Packer).
1958. Dopo la notte di sesso vero, non come cavie del loro studio, il dottor Masters e Virginia vivono a modo loro il giorno seguente. Parallax è il titolo dell'episodio 2x01, il primo di questa stagione, l'errore di osservazione quando si cambia punto di vista, e la regia di questo episodio ci offre esattamente i due punti di vista di cosa accade dopo. Sullo sfondo, però, lo studio continua con tutte le sue difficoltà, con Bill che non pensa ad altro trascurando completamente la famiglia, che ormai conta un membro in più, con Virginia che mette prima il lavoro di un qualsiasi chiarimento con Bill, con Libby che sempre di più si fida di Virginia, ma al tempo stesso è costretta dall'assenza del marito a "crescere", ad affrontare la valanga di novità che gli anni '60 stanno portando nel mondo e soprattutto negli Stati Uniti, in un Sud con un'altra percentuale di residenti afro-americani. Senza dimenticare la "tragedia" di Barton e Margaret (la di lui omosessualità), le peripezie del dottor Langham, la nuova vita di Betty DiMello, la nuova, profonda amicizia di Virginia con la dottoressa DePaul.
Devo ammetterlo: a questo giro ho fatto un po' di fatica a seguire Masters of Sex. Eppure, sono convinto che gli darò senza dubbio altre opportunità, la prossima estate, quando andrà in onda la terza stagione. Credo che la serie stia cambiando pelle, si stia evolvendo, abbia messo molta carne al fuoco durante questa stagione, ed è per questo che alla lunga è risultata pesante, nonostante presi uno per uno, i vari episodi contengano delle chicche, probabilmente tutti e dodici. L'impressione che voglia emulare, eguagliare o addirittura superare Mad Men, almeno come period drama, è forte, il ventaglio di personaggi è vasto, complesso, se approfondiamo tutti ci vorranno venti stagioni, e quindi vedremo se la showrunner Michelle Ashford (The Pacific, John Adams) ed il suo team saranno forti abbastanza. L'argomento è interessantissimo, vasto e pieno di possibilità, e molti altri (cito a braccio dagli ultimi episodi: Kennedy, ML King, razzismo, omofobia, alcolismo, violenza domestica) sono stati usati ed introdotti; la scrittura è buona, i dialoghi a volte perfino troppo densi, intelligenti, pieni di rimandi e di verità. Come detto, quindi, la seconda stagione non è scorsa liscissima forse perché gli argomenti ed il "riposizionamento" hanno appesantito il tutto, non certo per mancanza di idee ma per abbondanza.
Il cast continua a dare grandi prove, e si sono aggiunti comprimarie eccellenti in parti minori, come Betsy Brandt (qui Barb, una volta Marie Schrader in Breaking Bad) o Artemis Pedbani (Flo Packer).
20141013
Uber Ray
Ray Donovan - di Ann Biderman - Stagione 2 (12 episodi; Showtime) - 2014
Mickey è in Messico, e Ray spera in un po' di "pace", se con le sue amicizie ed il suo lavoro di pace si può parlare. E invece, manco per niente. In città c'è un nuovo capo dell'FBI, Ed Cochran, un furbetto di lungo corso non senza scheletri nell'armadio, ma capace di ampie sgomitate per arrivare in cima. Ed è proprio lui che obbliga Ray ad andare a riprendere Mickey in Messico, per fare chiarezza sulla morte di Sully, e per poter sfruttare la situazione a pro suo. Ma se bastassero questi problemi.
Abby è preoccupatissima per il loro matrimonio, si ostina a "normalizzare" Ray, a farlo parlare dei suoi traumi, e lo obbliga ad andare in terapia di coppia con lei. Lui, cerca di risolvere la cosa a modo suo, comprandole una casa al di fuori della loro portata.
Bunchy, a suo modo, è centrato sul suo recupero dal trauma, ed oltre a frequentare gli incontri del suo gruppo di supporto, trova un lavoro che gli piace.
Terry, invece, continua ad essere ossessionato da Frances, che al contrario ormai ha paura della famiglia Donovan. Mentre Conor e Bridget continuano a crescere e ad infilarsi in un guaio dopo l'altro...
Ogni volta che penso, o guardo un episodio di Ray Donovan mi viene in mente il film Get Shorty e quel meraviglioso momento in cui Danny Farina si infila in un taxi, se non ricordo male col naso fratturato da un pugno, e intima all'autista "(to the) fuckin' airport!". Non so perché, non so se c'entri qualcosa, ma in qualche maniera la scrittura e la struttura di questa serie mi ricorda quei bei film di gangster fuori di testa, dove vedevi un sacco di violenza e un sacco di maschilismo ma alla fine, non ti sentivi in colpa. Un po' anche perché so che la serie è stata ideata da una donna, che è pure la showrunner, Ann Biderman. Qualche giorno fa leggevo su un articolo di El País dove si analizzava la diceria che le serie tv sono la nuova letteratura, che Liev Schreiber - il protagonista di Ray Donovan - dice della Biderman "Ann prima di tutto è una scrittrice", e il giornalista puntualizzava che "Ray Donovan è una serie che si distingue per l'uso intelligente delle parole; paradossale, se pensate a quante parolacce usano i protagonisti nei dialoghi. Ma sono proprio i dialoghi, insieme alle prove attoriali e al plot, a fare di questa serie un bel passatempo, come ebbi modo di dire già in occasione della prima stagione. Difficile da spiegare, è meglio che ve la vediate e facciamo prima.
New entry nel cast di questa stagione l'ottimo Hank Azaria (Ed Cochran), l'indimenticata Sherilynn Fenn (la moglie di Cochran), un sempre magnifico Wendell Pierce (Ronald Keith, l'agente che sorveglia Mickey) e la (per me) sorella illegittima di Hilary Swank, Vinessa Shaw (Kate McPherson, la cronista di Boston che indaga sulla morte di Sully).
Per gli appassionati, non si arriva alle vette toccate da Sutter nel suo Sons of Anarchy, ma nell'episodio 2x03 Gem and Loan c'è l'attrice porno statunitense Tori Black che interpreta un'attrice porno (Lexi Steele, anche qui gli esperti si faranno un risolino).
Mickey è in Messico, e Ray spera in un po' di "pace", se con le sue amicizie ed il suo lavoro di pace si può parlare. E invece, manco per niente. In città c'è un nuovo capo dell'FBI, Ed Cochran, un furbetto di lungo corso non senza scheletri nell'armadio, ma capace di ampie sgomitate per arrivare in cima. Ed è proprio lui che obbliga Ray ad andare a riprendere Mickey in Messico, per fare chiarezza sulla morte di Sully, e per poter sfruttare la situazione a pro suo. Ma se bastassero questi problemi.
Abby è preoccupatissima per il loro matrimonio, si ostina a "normalizzare" Ray, a farlo parlare dei suoi traumi, e lo obbliga ad andare in terapia di coppia con lei. Lui, cerca di risolvere la cosa a modo suo, comprandole una casa al di fuori della loro portata.
Bunchy, a suo modo, è centrato sul suo recupero dal trauma, ed oltre a frequentare gli incontri del suo gruppo di supporto, trova un lavoro che gli piace.
Terry, invece, continua ad essere ossessionato da Frances, che al contrario ormai ha paura della famiglia Donovan. Mentre Conor e Bridget continuano a crescere e ad infilarsi in un guaio dopo l'altro...
Ogni volta che penso, o guardo un episodio di Ray Donovan mi viene in mente il film Get Shorty e quel meraviglioso momento in cui Danny Farina si infila in un taxi, se non ricordo male col naso fratturato da un pugno, e intima all'autista "(to the) fuckin' airport!". Non so perché, non so se c'entri qualcosa, ma in qualche maniera la scrittura e la struttura di questa serie mi ricorda quei bei film di gangster fuori di testa, dove vedevi un sacco di violenza e un sacco di maschilismo ma alla fine, non ti sentivi in colpa. Un po' anche perché so che la serie è stata ideata da una donna, che è pure la showrunner, Ann Biderman. Qualche giorno fa leggevo su un articolo di El País dove si analizzava la diceria che le serie tv sono la nuova letteratura, che Liev Schreiber - il protagonista di Ray Donovan - dice della Biderman "Ann prima di tutto è una scrittrice", e il giornalista puntualizzava che "Ray Donovan è una serie che si distingue per l'uso intelligente delle parole; paradossale, se pensate a quante parolacce usano i protagonisti nei dialoghi. Ma sono proprio i dialoghi, insieme alle prove attoriali e al plot, a fare di questa serie un bel passatempo, come ebbi modo di dire già in occasione della prima stagione. Difficile da spiegare, è meglio che ve la vediate e facciamo prima.
New entry nel cast di questa stagione l'ottimo Hank Azaria (Ed Cochran), l'indimenticata Sherilynn Fenn (la moglie di Cochran), un sempre magnifico Wendell Pierce (Ronald Keith, l'agente che sorveglia Mickey) e la (per me) sorella illegittima di Hilary Swank, Vinessa Shaw (Kate McPherson, la cronista di Boston che indaga sulla morte di Sully).
Per gli appassionati, non si arriva alle vette toccate da Sutter nel suo Sons of Anarchy, ma nell'episodio 2x03 Gem and Loan c'è l'attrice porno statunitense Tori Black che interpreta un'attrice porno (Lexi Steele, anche qui gli esperti si faranno un risolino).
20141012
foresta boreale
Taiga - Zola Jesus (2014)
Non ricordo più nemmeno quando ho sentito Zola Jesus la prima volta, ma non è passato molto tempo. Naturalmente, a differenza di quando si è giovani, i ricordo sono meno marcati. Ma sto divagando. Mentre ascoltavo a ripetizione Taiga (uscito il 7 ottobre 2014), cercando come sempre "la chiave", due cose mi son salite alla mente. La prima, essendosi rarefatte le uscite discografiche di Bjork, Zola Jesus, nonostante l'abbondanza di voci femminili belle ed interessanti, mi sembra l'unica in grado di alzare l'asticella, come dicono quelli che amano le metafore sportive. Questo disco lo afferma nuovamente, secondo la mia modesta opinione. La seconda, questo Taiga è uno di quei dischi che non ha una "chiave". E' abbastanza omogeneo, ma diverso dai suoi predecessori. Il percorso di Nika Roza Danilova è stato quasi inverso rispetto a quello che fanno alcuni artisti, partendo da cose più orecchiabili e poi dandosi a qualcosa di meno mainstream. Eppure, non sarà così facile sentire pezzi di questo disco in radio, perché probabilmente i suoni sono troppo avanti. E anche se Dangerous Days, il singolo che ha anticipato di oltre tre mesi l'album, ha un ritornello che è piuttosto catchy, sono sicuro che, almeno le prime volte, chi l'ha suonata pubblicamente aveva qualche dubbio. Se andate sulla scheda Wikipedia di questo disco, alla voce genre trovate synthpop e PBR&B (già citato per FKA twigs), come dire, elettronica si, ma dai '70 a oggi ed oltre. E' già un indizio. Non abbiate paura: la musica di Zola Jesus non è mai stata così accessibile come con questo Taiga. Ci sono le aperture sinfoniche con i fiati, di quelle già sentite in passato e che rendono epica e sontuosa la sua musica, ci sono gli archi che rendono lo stesso pezzo tutto ad un tratto delicato come un ramoscello ghiacciato, e c'è, adesso più che mai, una tendenza al pop r'n'b da classifica, di quello alla Rihanna per intendersi. Proprio così, e se siete stati attenti sapete benissimo che c'era da aspettarselo. Tra l'altro, quest'ultima attitudine si sposa magnificamente con la voce di Nika, provare per credere (Lawless ne è forse uno degli esempi più cristallini, ma ne troverete traccia per tutto il disco). La cosa non rende per nulla, a mio giudizio, il disco "commerciale", tutt'altro. Accessibile si, ma non da far suonare in palestra, per dire. E questo, lo sapete benissimo, è buon segno. Ancora una volta, è un essere femminile che ci fa ascoltare la musica del futuro, guardando contemporaneamente al passato. Ancora una volta, chapeau per Zola Jesus. Uno dei dischi del 2014.
Amazing voice, that of Zola Jesus, but at the same time marvellous capacity for being ahead of all the others. On this Taiga, she choose to become more catchy, more easy in a certain way, but obviously, she did at her own way. So you will find, in the same song, the epicness and the sumptuousness of the horn section, that make it "big", and after five seconds you will find a string section, that will make the same song delicate as a frozen twig. Then, you realize that her voice is more beautiful than ever, and after two minutes you will understand that that song is nothing but a pop/r'n'b song (such as those of Rihanna, for example), played in a unique, electronic way.
Non ricordo più nemmeno quando ho sentito Zola Jesus la prima volta, ma non è passato molto tempo. Naturalmente, a differenza di quando si è giovani, i ricordo sono meno marcati. Ma sto divagando. Mentre ascoltavo a ripetizione Taiga (uscito il 7 ottobre 2014), cercando come sempre "la chiave", due cose mi son salite alla mente. La prima, essendosi rarefatte le uscite discografiche di Bjork, Zola Jesus, nonostante l'abbondanza di voci femminili belle ed interessanti, mi sembra l'unica in grado di alzare l'asticella, come dicono quelli che amano le metafore sportive. Questo disco lo afferma nuovamente, secondo la mia modesta opinione. La seconda, questo Taiga è uno di quei dischi che non ha una "chiave". E' abbastanza omogeneo, ma diverso dai suoi predecessori. Il percorso di Nika Roza Danilova è stato quasi inverso rispetto a quello che fanno alcuni artisti, partendo da cose più orecchiabili e poi dandosi a qualcosa di meno mainstream. Eppure, non sarà così facile sentire pezzi di questo disco in radio, perché probabilmente i suoni sono troppo avanti. E anche se Dangerous Days, il singolo che ha anticipato di oltre tre mesi l'album, ha un ritornello che è piuttosto catchy, sono sicuro che, almeno le prime volte, chi l'ha suonata pubblicamente aveva qualche dubbio. Se andate sulla scheda Wikipedia di questo disco, alla voce genre trovate synthpop e PBR&B (già citato per FKA twigs), come dire, elettronica si, ma dai '70 a oggi ed oltre. E' già un indizio. Non abbiate paura: la musica di Zola Jesus non è mai stata così accessibile come con questo Taiga. Ci sono le aperture sinfoniche con i fiati, di quelle già sentite in passato e che rendono epica e sontuosa la sua musica, ci sono gli archi che rendono lo stesso pezzo tutto ad un tratto delicato come un ramoscello ghiacciato, e c'è, adesso più che mai, una tendenza al pop r'n'b da classifica, di quello alla Rihanna per intendersi. Proprio così, e se siete stati attenti sapete benissimo che c'era da aspettarselo. Tra l'altro, quest'ultima attitudine si sposa magnificamente con la voce di Nika, provare per credere (Lawless ne è forse uno degli esempi più cristallini, ma ne troverete traccia per tutto il disco). La cosa non rende per nulla, a mio giudizio, il disco "commerciale", tutt'altro. Accessibile si, ma non da far suonare in palestra, per dire. E questo, lo sapete benissimo, è buon segno. Ancora una volta, è un essere femminile che ci fa ascoltare la musica del futuro, guardando contemporaneamente al passato. Ancora una volta, chapeau per Zola Jesus. Uno dei dischi del 2014.
Amazing voice, that of Zola Jesus, but at the same time marvellous capacity for being ahead of all the others. On this Taiga, she choose to become more catchy, more easy in a certain way, but obviously, she did at her own way. So you will find, in the same song, the epicness and the sumptuousness of the horn section, that make it "big", and after five seconds you will find a string section, that will make the same song delicate as a frozen twig. Then, you realize that her voice is more beautiful than ever, and after two minutes you will understand that that song is nothing but a pop/r'n'b song (such as those of Rihanna, for example), played in a unique, electronic way.
20141011
20141010
mondo in fiamme
World on Fire - Slash featuring Myles Kennedy and the Conspirators (2014)
Secondo disco di Slash insieme ai Conspirators di Myles Kennedy (si, quello degli AlterBridge), e, a proposito, non capisco perché non vi parlai del primo Apocalyptic Love del 2012, che prosegue sulla buona strada. Si, perché con questa formazione e questo assetto, Kennedy è libero di cantare cose street'n'roll alle quali era abituato ai tempi dei The Mayfield Four, e Slash è libero di dare sfogo al suo estro sul genere che più gli aggrada. I due erano destinati ad incontrarsi, fin dai tempi dei Velvet Revolver (la cosa non è stata chiarita, ai tempi Kennedy era entrato in depressione a causa di un problema all'orecchio, sembra che fu contattato ma lui non ne fece di niente), ma adesso la cosa sembra calzare a pennello, soprattutto al cantante originario di Boston, Massachusetts, che è costretto a lunghi periodi "liberi" dagli AlterBridge (a causa dell'impegno parallelo degli altri tre componenti con i Creed). Come che sia, anche questo disco è una valanga di riff, un songwriting molto classico se rimaniamo dentro i parametri dell'hard rock, splendide esecuzioni vocali e l'orgasmo dei chitarristi solisti. Si, perché, come detto più e più volte, Slash è forse non il più tecnico degli axe hero, ma di certo è uno di quelli con più gusto rock. Ogni suo bridge, ogni sua costruzione, ogni suo tocco, ogni suo giro armonico, e soprattutto, ogni suo assolo, andrebbe studiato a scuola di chitarra. Non aggiungerei altro se non un altrettanto classico it's only rock and roll, but I like it.
Honestly, what would you expect from the magical guitar of Slash and the beautiful voice of Myles Kennedy? Heavy songs, big guitar solos, and powerful ballads? Well, here you are: World on Fire is exactly what you expected!
Secondo disco di Slash insieme ai Conspirators di Myles Kennedy (si, quello degli AlterBridge), e, a proposito, non capisco perché non vi parlai del primo Apocalyptic Love del 2012, che prosegue sulla buona strada. Si, perché con questa formazione e questo assetto, Kennedy è libero di cantare cose street'n'roll alle quali era abituato ai tempi dei The Mayfield Four, e Slash è libero di dare sfogo al suo estro sul genere che più gli aggrada. I due erano destinati ad incontrarsi, fin dai tempi dei Velvet Revolver (la cosa non è stata chiarita, ai tempi Kennedy era entrato in depressione a causa di un problema all'orecchio, sembra che fu contattato ma lui non ne fece di niente), ma adesso la cosa sembra calzare a pennello, soprattutto al cantante originario di Boston, Massachusetts, che è costretto a lunghi periodi "liberi" dagli AlterBridge (a causa dell'impegno parallelo degli altri tre componenti con i Creed). Come che sia, anche questo disco è una valanga di riff, un songwriting molto classico se rimaniamo dentro i parametri dell'hard rock, splendide esecuzioni vocali e l'orgasmo dei chitarristi solisti. Si, perché, come detto più e più volte, Slash è forse non il più tecnico degli axe hero, ma di certo è uno di quelli con più gusto rock. Ogni suo bridge, ogni sua costruzione, ogni suo tocco, ogni suo giro armonico, e soprattutto, ogni suo assolo, andrebbe studiato a scuola di chitarra. Non aggiungerei altro se non un altrettanto classico it's only rock and roll, but I like it.
Honestly, what would you expect from the magical guitar of Slash and the beautiful voice of Myles Kennedy? Heavy songs, big guitar solos, and powerful ballads? Well, here you are: World on Fire is exactly what you expected!
20141009
Witches
Salem - di Adam Simon e Brannon Braga - Stagione 1 (13 episodi; WGN America) - 2014
Secolo XXVII, Salem, Massachusetts, cittadina coloniale governata dai Puritani. Mary, una giovane cittadina, innamorata corrisposta dell'aitante John Alden, sta assistendo alla pubblica esecuzione di una sentenza contro una coppia colta in atteggiamenti osceni. Dopo qualche giorno alla gogna, viene loro marchiata a fuoco una F (fornicator) in fronte. Comanda l'esecuzione George Sibley, ricco e influente selectmen di Salem. In un clima come questo, Mary, segretamente incinta di John, sapendo che quest'ultimo sta partendo per la guerra, deve decidere come sbarazzarsi della creatura che ha in grembo. Le viene in soccorso Tituba, una nativa con poteri da strega, ma ufficialmente serva di Sibley, che la porta nei boschi circostanti e, con un incantesimo, dona il feto al Maligno e trasforma Mary in una strega.
Quando, dopo ben sette anni, John Alden torna a Salem da capitano, trova una situazione che ha del paradossale. Mary, ancora bellissima, è la donna più influente della città: ha infatti sposato nientemeno che George Sibley. Il Magistrato Hale è il politico più influente di Salem, mentre Cotton Mather, figlio del celebre Increase Mather, è il reverendo della città. Ognuno di questi personaggi nasconde un segreto. Se Cotton, conoscitore delle Scritture e della caccia alle streghe, è in realtà un frequentatore assiduo del bordello locale, dove si è perdutamente innamorato di Gloriana, una delle prostitute più belle ed avvenenti, Hale è in realtà uno stregone, all'insaputa della figlia Anne (ma non della moglie). Mary addirittura è divenuta una potentissima strega, insieme a Tituba ha lanciato un incantesimo su George Sibley rendendolo muto e semi-paralizzato, in modo da assumere i poteri politici, e sta "lavorando" assieme a Hale e alle streghe più anziane, nascoste nei boschi, ad un ambizioso progetto di dominio totale su Salem, portando a compimento il Sommo Rito, che ribalterebbe completamente la situazione, rendendo in schiavitù gli umani, e donando il domino al Maligno e ai suoi adepti.
Leggendo in rete qualche recensione su questa serie, che è la prima originale di WGN, America, mi sono chiesto, cercando di essere il più onesto possibile con me stesso, dove va, a volte, il mio giudizio critico quando vedo un po' di figa sullo schermo (figuratevi se la vedo dal vivo). In realtà, al pari di alcuni recensori che stroncano decisamente la serie, credo di essere stato fin troppo severo. Salem parte con alcune curiosità: i titoli di testa su Cupid Carries a Gun di Marilyn Manson e Tyler Bates (compositore di colonne sonore per Rob Zombie, Zack Snyder, William Friedkin, chitarrista per Manson nel tour seguente al loro lavoro su questo pezzo), la presenza, in uno dei ruoli da protagonista, di Shane West, attore ma anche musicista punk-rock (che dopo aver interpretato Darby Crash per il film-biografia What We Do Is Secret fu reclutato dai The Germs per rimettere in piedi la band, con lui al posto di Darby), il fatto che sia una serie co-creata da Brannon Braga (Star Trek: Next Generation, Stark Trek - Generazioni, Star Trek - Primo Contatto, Star Trek: Voyager, Mission: Impossible II, Star Trek: Enterprise, Terra Nova), più altre curiosità minori tipo il fatto di rivedere sullo schermo Iddo Goldberg e Ashley Madekwe dopo Secret Diary of a Call Girl. Metteteci dentro il fatto che, alla fine, l'horror, la stregoneria, il nome Salem, suscitano sempre, almeno in me, un po' di paura e prurito assieme, ed il gioco era fatto. Avevo una discreta curiosità di come la produzione aveva intenzione di sviluppare questa serie, su quali binari intendeva condurla; il timore era di una roba alla The Vampire Diaries, e sicuramente non mi aspettavo un nuovo True Blood. Alla fine, dopo averne "sospeso" la visione per un periodo, usato per dedicarmi a serie che mi interessavano di più, l'ho ripreso e portato a termine senza troppa fatica, segno che in fondo qualcosina di buono c'è, seppur non siamo certamente di fronte ad una di quelle serie che segnano la storia. Ho apprezzato il lato spatter/gore/horror, di certo più simile alle cose di Rob Zombie, che mi piace, che all'horror per adolescenti, appunto, di The Vampire Diaries o di The Originals, non mi dispiace che usino figure (Cotton Mather ed il padre, Tituba, Mary Sibley, John Alden, John Hale, Mercy Lewis) o accadimenti storici (il processo di Salem) realmente accaduti, per poi cambiare e romanzare la storia. Molto meno positivo il fatto che la serie si prenda un po' troppo sul serio, anziché sconfinare ogni tanto nel camp (anche se lo sconfinamento involontario è spesso dietro l'angolo), e la media delle prove del cast, tutti un poco ingessati, forse per via dei costumi d'epoca, chissà. Certo è che Janet Montgomery (Skins, Wrong Turn 3, Black Swan, Human Target, Quell'idiota di nostro fratello), qui nei panni della protagonista assoluta Mary Sibley, inglese di Bornemouth, è davvero una donna bellissima.
Secolo XXVII, Salem, Massachusetts, cittadina coloniale governata dai Puritani. Mary, una giovane cittadina, innamorata corrisposta dell'aitante John Alden, sta assistendo alla pubblica esecuzione di una sentenza contro una coppia colta in atteggiamenti osceni. Dopo qualche giorno alla gogna, viene loro marchiata a fuoco una F (fornicator) in fronte. Comanda l'esecuzione George Sibley, ricco e influente selectmen di Salem. In un clima come questo, Mary, segretamente incinta di John, sapendo che quest'ultimo sta partendo per la guerra, deve decidere come sbarazzarsi della creatura che ha in grembo. Le viene in soccorso Tituba, una nativa con poteri da strega, ma ufficialmente serva di Sibley, che la porta nei boschi circostanti e, con un incantesimo, dona il feto al Maligno e trasforma Mary in una strega.
Quando, dopo ben sette anni, John Alden torna a Salem da capitano, trova una situazione che ha del paradossale. Mary, ancora bellissima, è la donna più influente della città: ha infatti sposato nientemeno che George Sibley. Il Magistrato Hale è il politico più influente di Salem, mentre Cotton Mather, figlio del celebre Increase Mather, è il reverendo della città. Ognuno di questi personaggi nasconde un segreto. Se Cotton, conoscitore delle Scritture e della caccia alle streghe, è in realtà un frequentatore assiduo del bordello locale, dove si è perdutamente innamorato di Gloriana, una delle prostitute più belle ed avvenenti, Hale è in realtà uno stregone, all'insaputa della figlia Anne (ma non della moglie). Mary addirittura è divenuta una potentissima strega, insieme a Tituba ha lanciato un incantesimo su George Sibley rendendolo muto e semi-paralizzato, in modo da assumere i poteri politici, e sta "lavorando" assieme a Hale e alle streghe più anziane, nascoste nei boschi, ad un ambizioso progetto di dominio totale su Salem, portando a compimento il Sommo Rito, che ribalterebbe completamente la situazione, rendendo in schiavitù gli umani, e donando il domino al Maligno e ai suoi adepti.
Leggendo in rete qualche recensione su questa serie, che è la prima originale di WGN, America, mi sono chiesto, cercando di essere il più onesto possibile con me stesso, dove va, a volte, il mio giudizio critico quando vedo un po' di figa sullo schermo (figuratevi se la vedo dal vivo). In realtà, al pari di alcuni recensori che stroncano decisamente la serie, credo di essere stato fin troppo severo. Salem parte con alcune curiosità: i titoli di testa su Cupid Carries a Gun di Marilyn Manson e Tyler Bates (compositore di colonne sonore per Rob Zombie, Zack Snyder, William Friedkin, chitarrista per Manson nel tour seguente al loro lavoro su questo pezzo), la presenza, in uno dei ruoli da protagonista, di Shane West, attore ma anche musicista punk-rock (che dopo aver interpretato Darby Crash per il film-biografia What We Do Is Secret fu reclutato dai The Germs per rimettere in piedi la band, con lui al posto di Darby), il fatto che sia una serie co-creata da Brannon Braga (Star Trek: Next Generation, Stark Trek - Generazioni, Star Trek - Primo Contatto, Star Trek: Voyager, Mission: Impossible II, Star Trek: Enterprise, Terra Nova), più altre curiosità minori tipo il fatto di rivedere sullo schermo Iddo Goldberg e Ashley Madekwe dopo Secret Diary of a Call Girl. Metteteci dentro il fatto che, alla fine, l'horror, la stregoneria, il nome Salem, suscitano sempre, almeno in me, un po' di paura e prurito assieme, ed il gioco era fatto. Avevo una discreta curiosità di come la produzione aveva intenzione di sviluppare questa serie, su quali binari intendeva condurla; il timore era di una roba alla The Vampire Diaries, e sicuramente non mi aspettavo un nuovo True Blood. Alla fine, dopo averne "sospeso" la visione per un periodo, usato per dedicarmi a serie che mi interessavano di più, l'ho ripreso e portato a termine senza troppa fatica, segno che in fondo qualcosina di buono c'è, seppur non siamo certamente di fronte ad una di quelle serie che segnano la storia. Ho apprezzato il lato spatter/gore/horror, di certo più simile alle cose di Rob Zombie, che mi piace, che all'horror per adolescenti, appunto, di The Vampire Diaries o di The Originals, non mi dispiace che usino figure (Cotton Mather ed il padre, Tituba, Mary Sibley, John Alden, John Hale, Mercy Lewis) o accadimenti storici (il processo di Salem) realmente accaduti, per poi cambiare e romanzare la storia. Molto meno positivo il fatto che la serie si prenda un po' troppo sul serio, anziché sconfinare ogni tanto nel camp (anche se lo sconfinamento involontario è spesso dietro l'angolo), e la media delle prove del cast, tutti un poco ingessati, forse per via dei costumi d'epoca, chissà. Certo è che Janet Montgomery (Skins, Wrong Turn 3, Black Swan, Human Target, Quell'idiota di nostro fratello), qui nei panni della protagonista assoluta Mary Sibley, inglese di Bornemouth, è davvero una donna bellissima.
20141008
il pittore
El Pintor - Interpol (2014)
Nonostante, come ben sa chi segue fassbinder, abbia sempre avuto il dente avvelenato nei confronti degli Interpol, soprattutto a causa delle loro deludenti prestazioni dal vivo, i loro dischi finiscono sempre per piacermi abbastanza, e paradossalmente (a causa del loro mood dark), a ravvivarmi le giornate. Nonostante il disco precedente, l'omonimo del 2010, segnasse l'abbandono del bassista originale Carlos Dengler, e potesse preannunciare uno sgretolamento, i newyorkesi sembrano ricompattarsi di fronte alle avversità. Le parti di basso su El Pintor ("il pittore", in castigliano, ma in realtà l'anagramma di Interpol) sono suonate dallo stesso Paul Banks (anche voce, sempre stilosissima, e chitarra), il suono è sempre avvolgente e compatto, affascinante ed elegante, e forse per la prima volta, anche se qualche critico accreditato ha detto di non averne sentito neppure l'eco, un raggio di sole si fa strada nel buio (dark) dello stile Interpol. Dieci pezzi interessanti, undici nell'edizione iTunes (l'inedito è The Depths), dodici nella Deluxe (Malfeasance e una roboante versione live di Slow Hands), per un disco che ci dice che gli Interpol sono ancora qui e vogliono rimanere. Per me che non vado più per concerti, niente di meglio.
You know, if you read this blog, that I have never been gentle with Interpol, because of their lazy attitude in live concerts, but I've always liked their albums. And I like this new El Pintor ("painter" in spanish, but it's only an anagram of Interpol) too, also if the homonymous previous album could lead to suppose a crumbling after, because of the departure of the former bass player Carlos Dengler. On the contrary, this album is full of good songs, Interpol keeps alive the torch of the dark wave, but as they announced first, you can hear a "ray of light" between the notes.
Nonostante, come ben sa chi segue fassbinder, abbia sempre avuto il dente avvelenato nei confronti degli Interpol, soprattutto a causa delle loro deludenti prestazioni dal vivo, i loro dischi finiscono sempre per piacermi abbastanza, e paradossalmente (a causa del loro mood dark), a ravvivarmi le giornate. Nonostante il disco precedente, l'omonimo del 2010, segnasse l'abbandono del bassista originale Carlos Dengler, e potesse preannunciare uno sgretolamento, i newyorkesi sembrano ricompattarsi di fronte alle avversità. Le parti di basso su El Pintor ("il pittore", in castigliano, ma in realtà l'anagramma di Interpol) sono suonate dallo stesso Paul Banks (anche voce, sempre stilosissima, e chitarra), il suono è sempre avvolgente e compatto, affascinante ed elegante, e forse per la prima volta, anche se qualche critico accreditato ha detto di non averne sentito neppure l'eco, un raggio di sole si fa strada nel buio (dark) dello stile Interpol. Dieci pezzi interessanti, undici nell'edizione iTunes (l'inedito è The Depths), dodici nella Deluxe (Malfeasance e una roboante versione live di Slow Hands), per un disco che ci dice che gli Interpol sono ancora qui e vogliono rimanere. Per me che non vado più per concerti, niente di meglio.
You know, if you read this blog, that I have never been gentle with Interpol, because of their lazy attitude in live concerts, but I've always liked their albums. And I like this new El Pintor ("painter" in spanish, but it's only an anagram of Interpol) too, also if the homonymous previous album could lead to suppose a crumbling after, because of the departure of the former bass player Carlos Dengler. On the contrary, this album is full of good songs, Interpol keeps alive the torch of the dark wave, but as they announced first, you can hear a "ray of light" between the notes.
Iscriviti a:
Post (Atom)