No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.
20160430
20160429
Storia americana del crimine
American Crime Story - di Scott Alexander e Larry Karaszewski - Stagione 1: The People v. O. J. Simpson (10 episodi; FX) - 2016
Il processo ad Orenthal James Simpson, ex giocatore di football americano (uno dei più grandi della storia) ed attore, accusato nel 1994 di aver brutalmente ucciso la ex moglie Nicole Brown ed un giovane cameriere (che si trovava nei pressi della casa della Brown), Ronald Lyle Goldman, è ricordato come "il processo penale più pubblicizzato nella storia statunitense" (e, probabilmente, del mondo), o anche "il processo del secolo". Fu una partita a scacchi tra l'accusa, sostenuta dai sostituti procuratori distrettuali Marcia Clark e Christopher Darden, che inizialmente pensavano di avere tra le mani una vittoria facile, e la difesa, formata da una intera squadra di legali di altissimo profilo e visibilità: Robert Shapiro, Johnnie Cochran, F. Lee Bailey, Alan Dershowitz, Robert Kardashian (si, il padre di una delle famiglie statunitensi più conosciute negli ultimi tempi), Shawn Holley, Carl E. Douglas, Barry Scheck e Peter Neufeld. La squadra di avvocati della difesa fu soprannominata, per ovvi motivi, il dream team. La prima stagione della serie antologica American Crime Story, già dal titolo "legata" ad un'altra serie, American Horror Story (è stata fortemente voluta da Falchuck e Murphy, creatori di AHS, e qui figurano come produttori esecutivi), ci racconta gli eventi di quel processo da un punto di vista particolare, dal di dentro, basandosi sul libro The Run of His Life: The People v. O.J. Simpson, dell'avvocato, autore, giornalista e analista legale, Jeffrey Toobin.
Bene, lo dico subito: questa serie è da vedere probabilmente più di American Horror Story. American Crime Story, almeno con questa prima stagione, mi ha letteralmente legato alla poltrona (alla sedia, al letto, fate voi, immaginatemi dove volete che guardo questa serie). Il binge watching è stato furioso e totale, più o meno ai livelli di quello che ho avuto con Mozart in the Jungle, ma in questo caso c'è da tenere di conto che c'è poca figa e soprattutto, la storia è conosciuta, è vera, e si sa già come andrà a finire. Dico, se risulta interessante, ci sarà un motivo. Se vi fidate, quindi, andate pure a guardarvi questa serie, in attesa della seconda stagione, che verterà sulle conseguenze dell'uragano Katrina.
Breve occhiata al cast, tutti superlativi nelle loro prove: John Travolta è Robert Shapiro, Sterling K. Brown è Christopher Durden, Kenneth Choi è il giudice Ito, Cuba Gooding Jr è O.J. Simpson, Bruce Greenwood è Gil Garcetti, Nathan Lane è F. Lee Bailey, Sarah Paulson è un'intensa Marcia Clark, David Schwimmer (il più discutibile) è Robert Kardashian, Courtney B. Vance è Johnnie Cochran.
Davvero bella.
Il processo ad Orenthal James Simpson, ex giocatore di football americano (uno dei più grandi della storia) ed attore, accusato nel 1994 di aver brutalmente ucciso la ex moglie Nicole Brown ed un giovane cameriere (che si trovava nei pressi della casa della Brown), Ronald Lyle Goldman, è ricordato come "il processo penale più pubblicizzato nella storia statunitense" (e, probabilmente, del mondo), o anche "il processo del secolo". Fu una partita a scacchi tra l'accusa, sostenuta dai sostituti procuratori distrettuali Marcia Clark e Christopher Darden, che inizialmente pensavano di avere tra le mani una vittoria facile, e la difesa, formata da una intera squadra di legali di altissimo profilo e visibilità: Robert Shapiro, Johnnie Cochran, F. Lee Bailey, Alan Dershowitz, Robert Kardashian (si, il padre di una delle famiglie statunitensi più conosciute negli ultimi tempi), Shawn Holley, Carl E. Douglas, Barry Scheck e Peter Neufeld. La squadra di avvocati della difesa fu soprannominata, per ovvi motivi, il dream team. La prima stagione della serie antologica American Crime Story, già dal titolo "legata" ad un'altra serie, American Horror Story (è stata fortemente voluta da Falchuck e Murphy, creatori di AHS, e qui figurano come produttori esecutivi), ci racconta gli eventi di quel processo da un punto di vista particolare, dal di dentro, basandosi sul libro The Run of His Life: The People v. O.J. Simpson, dell'avvocato, autore, giornalista e analista legale, Jeffrey Toobin.
Bene, lo dico subito: questa serie è da vedere probabilmente più di American Horror Story. American Crime Story, almeno con questa prima stagione, mi ha letteralmente legato alla poltrona (alla sedia, al letto, fate voi, immaginatemi dove volete che guardo questa serie). Il binge watching è stato furioso e totale, più o meno ai livelli di quello che ho avuto con Mozart in the Jungle, ma in questo caso c'è da tenere di conto che c'è poca figa e soprattutto, la storia è conosciuta, è vera, e si sa già come andrà a finire. Dico, se risulta interessante, ci sarà un motivo. Se vi fidate, quindi, andate pure a guardarvi questa serie, in attesa della seconda stagione, che verterà sulle conseguenze dell'uragano Katrina.
Breve occhiata al cast, tutti superlativi nelle loro prove: John Travolta è Robert Shapiro, Sterling K. Brown è Christopher Durden, Kenneth Choi è il giudice Ito, Cuba Gooding Jr è O.J. Simpson, Bruce Greenwood è Gil Garcetti, Nathan Lane è F. Lee Bailey, Sarah Paulson è un'intensa Marcia Clark, David Schwimmer (il più discutibile) è Robert Kardashian, Courtney B. Vance è Johnnie Cochran.
Davvero bella.
20160428
Bratislava, Slovacchia - Aprile 2016 (2)
Lunedì, primo giorno "pieno", come detto le previsioni lo davano il migliore, inizialmente non sembra, alla fine sarà così. La colazione è nel ristorante, dal nome altisonante di Savoy, e mette un po' in soggezione, ma solo inizialmente: come forse ho già detto o forse no, il diffondersi di queste macchine automatiche per caffè e cappuccino ha definitivamente cambiato il modo di fare colazione all'italiana ovunque, e le brioches sono universali, quindi pollice su, e senza esagerare con le quantità. Mi avvio a piedi verso il castello; lungo la strada naturalmente devo continuamente cambiare l'abbigliamento, un po' perché sudo, un po' perché temperatura, nubi, vento, cambiano continuamente. Il castello è imponente e la vista abbastanza spettacolare, i lavori di ristrutturazione continuano ancora oggi, la manutenzione si nota. Ma non è 'sto granché e soprattutto, di certo non "impiega" l'intera giornata, anzi. Scendo "a valle", e per fortuna si è fatta quasi l'ora di pranzo, quindi comincio a pensare dove andare. La scelta cade sul Gatto Matto, una sorta di ristorante italiano che è pieno, devo aspettare qualche minuto perché si liberi un tavolo, poi capisco perché. A pranzo fanno menù a prezzo fisso, molte persone che lavorano negli uffici, o studenti (ma non solo) vanno lì. Scegli un piatto (pizza, pasta, carne), ti portano la zuppa del giorno, una bevuta, 7 euro e 90. La sera menù alla carta. Scelgo la pizza ed è buona, ma anche la zuppa dice la sua. La giornata volge decisamente al bello, quindi seguo un itinerario che mi son già fatto nella testa, leggermente fuori dal centro storico, fino ad un paio di punti che sembrano di interesse, e li vedete nelle foto di questo post e nel prossimo. Inizia a fare davvero caldo, anche se ogni tanto arriva qualche folata di vento gelido, quindi mi rendo ridicolo togliendo e rimettendo il giubbotto sopra la maglia a manica corta. Non riesco comunque a fare l'ora di cena, quindi rientro in hotel per qualche ora, butto un occhio alle mail di lavoro, mi riposo, guardo qualcosa. Per la cena opto per il Carnevalle, giusto di fronte all'hotel, spesa contenuta, carne buona. E sogni d'oro.
Il Danubio, e sullo sfondo l'UFO |
Il castello |
L'Università Comenio |
Alcuni particolari intorno alla cattedrale di San Martino (i disegni sono di bambini delle scuole locali) |
Uno dei palazzi che si affacciano sulla piazza principale |
La piazza primaziale |
Un'altra veduta del palazzo primaziale |
20160427
UMG
Protestantesima - Umberto Maria Giardini (2015)
Ci ho messo un anno tondo, a decidermi a formulare uno straccio di giudizio su questo ennesimo disco di Umberto Maria Giardini, per chi non fosse pratico di rock italiano, ex Moltheni: mi ricordo che i primi ascolti glieli diedi l'anno scorso in marzo, per le strade di Creta. Secondo disco (senza contare l'EP Ognuno di noi è un po' Anticristo, del 2013, che si pone tra questo e il "debutto" del 2012 La dieta dell'imperatrice) con il suo nome vero, e ci sono da dire due cose che potranno sembrarvi paradossali e cozzanti tra di loro. La prima: netta virata rispetto alla potenza della Dieta. La seconda: la cifra stilistica di Umberto è riconoscibilissima, netta, inconfondibile, tende a far si che, al primo ascolto, sembri sempre di ascoltare lo stesso disco, eppure, quei pochi che lo ascoltano da sempre, lo seguono senza idolatrarlo, lo rispettano come musicista, sanno che addentrandosi nei meandri sinuosi ed accoglienti di uno qualsiasi dei suoi dischi, è come tornare a casa, una casa che quasi ti sei dimenticato, ma che ogni volta ti fa scoprire cose nuove facendoti sentire comodo. Cervellotico, vero? Eppure, è così che mi sento, ascoltando anche questo suo ultimo lavoro.
I testi, le solite gemme finte nonsense, pregne di vita vissuta, demenzialità che nascondono critiche feroci, ormai classici e imperdibili.
Pezzi splendidi come Il vaso di Pandora, o come la ghost track 6 aprile (terremoto de L'Aquila), ci ricordano che quale che sia il suo nome, d'arte o di battesimo, qui c'è un artista.
It took me a year-round, in my mind, to make a shred of judgment on this album, yet another of Umberto Maria Giardini, for those who were not practical Italian rock, former Moltheni: I remember that the first listen was last year in March, along the roads of Crete. Second album (not counting the EP "Ognuno di noi è un po' Anticristo", of 2013, that arises between this one and the "debut" of 2012 "La dieta dell'imperatrice") with his real name, and there are two to say things that may seem paradoxical and clashing with each other. The first: net tack compared to the power of the "La dieta". The second: the Umberto signature style is recognizable, clear, unmistakable, tends to ensure that, at first listen, seems ever to listen to the same album, and yet, those few who listen to him always, follow him without idolize him, respect him as a musician, you know that penetrating in the sinuous meanders and welcoming of any of his records, it's like coming home, a home that you almost forgot, but that every time makes you discover new things making you feel comfortable. Bizarre, right? Yet, that's how I feel, listening also his latest work.
The texts, the usual gems, fake nonsense, soaked with real life, craziness that hide fierce criticism, now classic and unmissable.
Beautiful songs like "Il vaso di Pandora", or the ghost track "6 aprile" (earthquake in L'Aquila), remind us that no matter what its name, art or baptism, here's an artist.
Ci ho messo un anno tondo, a decidermi a formulare uno straccio di giudizio su questo ennesimo disco di Umberto Maria Giardini, per chi non fosse pratico di rock italiano, ex Moltheni: mi ricordo che i primi ascolti glieli diedi l'anno scorso in marzo, per le strade di Creta. Secondo disco (senza contare l'EP Ognuno di noi è un po' Anticristo, del 2013, che si pone tra questo e il "debutto" del 2012 La dieta dell'imperatrice) con il suo nome vero, e ci sono da dire due cose che potranno sembrarvi paradossali e cozzanti tra di loro. La prima: netta virata rispetto alla potenza della Dieta. La seconda: la cifra stilistica di Umberto è riconoscibilissima, netta, inconfondibile, tende a far si che, al primo ascolto, sembri sempre di ascoltare lo stesso disco, eppure, quei pochi che lo ascoltano da sempre, lo seguono senza idolatrarlo, lo rispettano come musicista, sanno che addentrandosi nei meandri sinuosi ed accoglienti di uno qualsiasi dei suoi dischi, è come tornare a casa, una casa che quasi ti sei dimenticato, ma che ogni volta ti fa scoprire cose nuove facendoti sentire comodo. Cervellotico, vero? Eppure, è così che mi sento, ascoltando anche questo suo ultimo lavoro.
I testi, le solite gemme finte nonsense, pregne di vita vissuta, demenzialità che nascondono critiche feroci, ormai classici e imperdibili.
Pezzi splendidi come Il vaso di Pandora, o come la ghost track 6 aprile (terremoto de L'Aquila), ci ricordano che quale che sia il suo nome, d'arte o di battesimo, qui c'è un artista.
It took me a year-round, in my mind, to make a shred of judgment on this album, yet another of Umberto Maria Giardini, for those who were not practical Italian rock, former Moltheni: I remember that the first listen was last year in March, along the roads of Crete. Second album (not counting the EP "Ognuno di noi è un po' Anticristo", of 2013, that arises between this one and the "debut" of 2012 "La dieta dell'imperatrice") with his real name, and there are two to say things that may seem paradoxical and clashing with each other. The first: net tack compared to the power of the "La dieta". The second: the Umberto signature style is recognizable, clear, unmistakable, tends to ensure that, at first listen, seems ever to listen to the same album, and yet, those few who listen to him always, follow him without idolize him, respect him as a musician, you know that penetrating in the sinuous meanders and welcoming of any of his records, it's like coming home, a home that you almost forgot, but that every time makes you discover new things making you feel comfortable. Bizarre, right? Yet, that's how I feel, listening also his latest work.
The texts, the usual gems, fake nonsense, soaked with real life, craziness that hide fierce criticism, now classic and unmissable.
Beautiful songs like "Il vaso di Pandora", or the ghost track "6 aprile" (earthquake in L'Aquila), remind us that no matter what its name, art or baptism, here's an artist.
20160426
Bratislava, Slovacchia - Aprile 2016 (1)
Sempre nell'ottica della conquista dell'Europa (mi riferisco sempre a un vecchio "gioco" con l'amico Massi, chi avrebbe visto per primo tutte le capitali europee), per il mese di Aprile ho prenotato un city break (partenza giorno A, giorni B e C soggiorno, giorno D ritorno) a Bratislava, la capitale della Slovacchia. Ad essere precisi, i voli risultano un po' "storti", nel senso che la combinazione più utile è quella di partire la domenica e tornare il mercoledì, quindi non si "risparmiano" giorni di ferie, ma tant'è. Visto che il volo parte da Orio al Serio, di domenica a mezzogiorno, penso di pernottare il sabato nella zona dell'aeroporto, poi, quasi all'ultimo momento, decido di salire già il venerdì sera, dopo il lavoro. Non ci crederete, vedendo che sono sempre in giro, ma quando sono in sede non riesco mai a staccare (in realtà, come sapete, non "stacco" neppure in ferie), quindi decido di fare così, in modo da dedicarmi un intero sabato di ozio e fancazzismo, che in realtà sfrutterò per aggiornare il blog e vedermi quanti più episodi di quante più serie posso. Quindi, salgo verso Stezzano, hotel Mercure, il venerdì sera, salgo pian piano, ascolto radio e musica, tempo così così, arrivo molto tardi ma è a questo che serve la reception 24/24. Dormo finché ce n'è (non troppo, che la schiena mi sveglia sempre a una certa ora), colazione e poi accendo il pc e mi guardo qualche serie, dopo di che all'ora di pranzo torno al Barracuda, scoperto la volta scorsa al rientro da Riga. Credeteci o no, in questo ristorante a Grassobbio BG, si mangia il pesce molto bene. Pomeriggio in albergo, come detto, blog e serie tv. L'hotel non è che sia in una zona panoramica, anzi: di fronte all'autostrada, in una zona periferica, tra capannoni e vicino ad un casello autostradale, ma la stanza è accogliente e lo staff gentile. La sera "attraverso" l'autostrada, e mangio in una pizzeria dentro un'Esselunga enorme, lo Sbafo, che fa sia a pranzo che a cena, ogni giorno, un giropizza a prezzo fisso, con varie opzioni (solo pizza a volontà, oppure anche bevande e caffè, idea interessante). Domenica si parte, volo molto breve e siamo a Bratislava, una volta conosciuta come Presburgo. Trasferimento prenotato, tragitto breve, e sono all'hotel, in pieno centro storico, vicino alle rive del Danubio. L'edificio è storico, imponente, la hall grandissima, le camere grandi ma spoglie, e l'arredamento stride un po' con l'imponenza dell'edificio. Si affaccia su una delle piazze più importanti della città, più che una piazza una larghissima zona pedonale, la Hviezdoslavovo nàmestie, intitolata ad un famoso poeta e drammaturgo slovacco. Mi sistemo e mi muovo subito per la città, giusto per prendere le misure. Non fa freddo, ma quando spira il vento si capisce che non è propriamente scirocco. Cielo coperto. Bel posto, elegante e tranquillo. Il castello si staglia quasi a protezione, il Danubio l'accarezza. Fuori dal centro storico molti quartieri nuovissimi ed altri vecchissimi, ma qui c'è un'altra aria. Per la cena esagero, e scelgo El Gaucho, ristorante ovviamente di carne. Buono, ma caro. A parte il castello, ho già visto buona parte del centro storico. Domani, visto che le previsioni mettono la migliore delle tre giornate, decido di salire, appunto, al castello.
La cattedrale di San Martino |
La porta di San Michele |
Il castello sullo sfondo |
Tram |
La corte interna del vecchio Municipio |
Il Palazzo Primaziale |
La piazza principale, Hlavné námestie |
Una delle buffe statue del centro storico |
Il Teatro nazionale slovacco |
L'Orchestra filarmonica slovacca |
20160425
Thailandia - Marzo 2016 (8)
Terminiamo la visita al palazzo, ed usciamo. Ci dirigiamo verso un museo, e proprio davanti a questo, ci fermiamo presso un "procacciatore" di affari per tuk tuk, che ci convince a fare un giro su uno di questi, visto che il museo è chiuso. Ci assicura un giro turistico di cose interessanti fuori dagli schemi. Il guidatore è sicuramente uno sniffatore di colla, lo capisco dai tic incessanti e da come tira su col naso incessantemente. Ci porta presso un tempietto insignificante, e poi ci vuole far bere qualcosa in un locale squallido. Passiamo. Allora ci porta presso un negozio di abbigliamento ancor più squallido, dove è chiaro che questi tour sono "sponsorizzati", ma nonostante il guidatore ci preghi di comprare qualcosa, altrimenti lui non riscuote, ci rifiutiamo. A quel punto, lo sniffatore ci porta ad una statua del Budda alta quasi 40 metri. Ci dice che ci aspetta fuori dal mercatino che c'è lì intorno. Diamo un'occhiata, faccio una foto, torniamo al tuk tuk e ci rendiamo conto che se n'è andato. Badate bene: non abbiamo pagato. Ci incamminiamo per strada, C. ha qualche idea, ci pensiamo strada facendo. Chiediamo informazioni ad un vigile, poi saliamo su un autobus cittadino, piano di studenti. Fatichiamo a trovarne uno che parli inglese, e capiamo più o meno la "rotta" del bus, non riusciamo a capire come pagare, il tipo ci dice che non paga nessuno. Scendiamo ad una fermata dello Skytrain, torniamo verso l'hotel, il caldo è prepotente, ci infiliamo in un centro commerciale, e giriamo un po', prendiamo un gelato, si chiacchiera di cose nostre. Si fa una certa, ci avviciniamo all'hotel, e si cena in un locale messicano (buono), consigliato a C. da un collega brasiliano (Alex, che conosco) da qualche tempo riallocato lì nel Sud Est asiatico. Si tirano le somme della mia esperienza lavorativa, non finirò mai di ringraziare C. per questa opportunità, sono un tipo anche troppo sensibile, e lei lo sa. Ci salutiamo calorosamente, arriva il suo autista, saluto anche lui. Rimango da solo, fumo una sigaretta, salgo in camera e mi spengo stanchissimo.
Domenica mattina, colazione e faccio un pensierino a visitare la piscina dell'albergo, desisto pensando al costume bagnato che dovrei infilare nel bagaglio. Lavoro un po', guardo qualche serie tv. Libero la camera, lascio i bagagli nella hall e domando per il pranzo. Pranzo al buffet dell'albergo, grande varietà e molta gente, anche non ospiti, che si abbuffano in maniera insensata. Faccio una battuta all'addetta alla cassa. Ride.
Aspetto un po' al bar dell'hotel a piano terra, bevo qualcosa, poi faccio chiamare un taxi, dritto all'aeroporto. Check in, controlli, lounge. Ascolto un po' di musica, scrivo qualche post sul blog. Imbarco. Stavolta l'assistente con la quale familiarizzo è meno figa, ma parla italiano e insiste per farlo. Rimango sveglio, e vado al bar dopo il decollo. E' spagnola, ha una figlia, suo marito è pilota, vivono a Dubai e le piace molto. Ti credo. Dormo un po'. A Dubai cappuccino e pezzo alla lounge Emirates, e si riparte per Roma. Qui una brasiliana piccola e carina, anche lei se la cava con l'italiano, ma del resto anch'io, dopo qualche ora di sonno e una rasatura sommaria, la saluto con bom dia. In partenza ha insistito per darmi la cena ma io ho rifiutato, per la colazione opto per cappuccino e qualche dolcetto, anche se lei (nome e cognome italiani) insiste per portarmi la colazione continentale. Sono le 7 e qualcosa del mattino, stavolta non mi han fatto portare con me il trolley, e ho talmente l'anima in pace che mi sistemo davanti al nastro di ritiro bagagli, quando una ragazza mi si avvicina proponendomi un questionario di gradimento sull'aeroporto, e lo accetto di buon grado dicendole "tanto ci sarà da aspettare". Invece, il mio bagaglio arriva per primo. Mi scuso, lo raccolgo e termino il questionario con un altro piglio. Esco, navetta, parcheggio. Qua, debbo raccontarvi un piacevole particolare, con un passo indietro. Quando sono arrivato in Thailandia, non trovavo più una delle mie USB, quella dove avevo tutti gli ultimi episodi delle serie che seguo. Eppure ero sicuro di averla messa nel bagaglio. Allora, ho scritto all'hotel dove avevo dormito prima di partire, chiedendo se per caso avessero trovato una USB. Dopo qualche minuto mi rispondo di si. Quindi, esco dal parcheggio e faccio sosta all'hotel, prelevo la chiavetta, e faccio rotta sul paesello, dritto a lavorare.
Questa esperienza la ricorderò per un bel pezzo.
Due foto fatte dopo che un collega mi ha suggerito di fare caso ai cavi elettrici... |
Su un autobus urbano |
Aspetto un po' al bar dell'hotel a piano terra, bevo qualcosa, poi faccio chiamare un taxi, dritto all'aeroporto. Check in, controlli, lounge. Ascolto un po' di musica, scrivo qualche post sul blog. Imbarco. Stavolta l'assistente con la quale familiarizzo è meno figa, ma parla italiano e insiste per farlo. Rimango sveglio, e vado al bar dopo il decollo. E' spagnola, ha una figlia, suo marito è pilota, vivono a Dubai e le piace molto. Ti credo. Dormo un po'. A Dubai cappuccino e pezzo alla lounge Emirates, e si riparte per Roma. Qui una brasiliana piccola e carina, anche lei se la cava con l'italiano, ma del resto anch'io, dopo qualche ora di sonno e una rasatura sommaria, la saluto con bom dia. In partenza ha insistito per darmi la cena ma io ho rifiutato, per la colazione opto per cappuccino e qualche dolcetto, anche se lei (nome e cognome italiani) insiste per portarmi la colazione continentale. Sono le 7 e qualcosa del mattino, stavolta non mi han fatto portare con me il trolley, e ho talmente l'anima in pace che mi sistemo davanti al nastro di ritiro bagagli, quando una ragazza mi si avvicina proponendomi un questionario di gradimento sull'aeroporto, e lo accetto di buon grado dicendole "tanto ci sarà da aspettare". Invece, il mio bagaglio arriva per primo. Mi scuso, lo raccolgo e termino il questionario con un altro piglio. Esco, navetta, parcheggio. Qua, debbo raccontarvi un piacevole particolare, con un passo indietro. Quando sono arrivato in Thailandia, non trovavo più una delle mie USB, quella dove avevo tutti gli ultimi episodi delle serie che seguo. Eppure ero sicuro di averla messa nel bagaglio. Allora, ho scritto all'hotel dove avevo dormito prima di partire, chiedendo se per caso avessero trovato una USB. Dopo qualche minuto mi rispondo di si. Quindi, esco dal parcheggio e faccio sosta all'hotel, prelevo la chiavetta, e faccio rotta sul paesello, dritto a lavorare.
Questa esperienza la ricorderò per un bel pezzo.
20160424
Thailandia - Marzo 2016 (7)
Il palazzo è piuttosto vasto, e pieno di turisti vocianti. Ci mettiamo un bel po' a girarlo.
Una ricostruzione in miniatura di Angkor Wat |
Un particolare dell'enorme e lunghissimo arazzo che circonda il palazzo |
20160423
20160422
Thailandia - Marzo 2016 (6)
Svoltiamo l'angolo, mangiamo qualcosa, ed eccoci quindi al Grande Palazzo Reale, dove si accede solo con abbigliamento consono. Così come alla grande moschea ad Abu Dhabi, devo indossare i pantaloni lunghi, lasciare una caparra che poi viene resa alla restituzione del capo. Code piuttosto lunghe.
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