No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20160403

Imparando a guidare

Learning to Drive - di Isabel Coixet (2014)
Giudizio sintetico: si può vedere ma anche no (2,5/5)


New York. Wendy è una affermata critica letteraria dalla lingua affilata, che improvvisamente, viene lasciata dal marito Ted. Tutte le certezze che aveva fino ad allora, crollano; naturalmente passa un periodo di completa autocommiserazione, ma la decisione della figlia Tasha di andare a vivere fuori città la mette di fronte alla sua "autoinsufficienza". Decide quindi di ricostruire, poco a poco, la sua vita da single, cominciando dal prendere lezioni di guida. Galeotto un qualcosa che lei, proprio la notte della rottura, aveva lasciato sul sedile di un taxi, guidato dall'indiano Sikh Darwan, un anziano immigrato che, appunto, oltre a guidare il taxi durante la notte, di giorno lavora per una scuola guida.
Sono due culture che si incontrano/scontrano, e due approcci alla vita totalmente diversi: Darwan sta per sposarsi con una donna che non ha mai incontrato di persona, Jasleen, che sta per arrivare dall'India, incerta su cosa troverà.

Isabel Coixet è una regista catalana che ha, da molti anni, cercato di darsi una credibilità internazionale, e ha sempre cercato di non rimanere incasellata dentro un genere. Non ha mai diretto enormi successi di botteghino, ma almeno io la ricordo per alcuni film delicatissimi ed estremamente toccanti quali La mia vita senza me, Le cose che non ti ho mai detto, La vita segreta delle parole; ha diretto altri film ed alcuni interessanti documentari. Questo quello che mi ha spinto a dare una chance a questo Learning to Drive ("incontrato" su un aereo), dove la Coixet ritrova due bravi attori coi quali aveva già lavorato in passato, Ben Kingsley (qui ovviamente Darwan) e Patricia Clarkson (Wendy), e si diverte insieme a loro ad imbastire questo film leggero sulle crisi di mezz'età e sull'incontro di culture, tratto da un articolo apparso sul New Yorker e scritto dalla critica, saggista, poetessa e femminista statunitense Katha Pollitt, chissà, forse vagamente autobiografico.
Il risultato è un film molto delicato ma anche molto, molto leggero, che fa sorridere ma non graffia troppo.

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