Khram - Arkona (2018)
Adesso ci occupiamo dell'ottavo disco della band russa Arkona (che prende il nome dalla località che ospita il sito archeologico di Jaromarsburg, Capo Arkona), catalogati sotto l'umbrella term di pagan metal (leggetevi la spiegazione, è interessante), e capitanati, nonché fortemente voluti inizialmente, dalla leader/cantante Maria Arkhipova, detta Masha Scream, e sposata con uno dei membri, il chitarrista Sergei Atrashkevich, detto Lazar.
Band di buon successo in patria, ma famosa anche nel resto d'Europa e negli US, suona un metal dalle aperture epiche, tanto per darvi delle coordinate, meno cupo di quello dei rumeni Negura Bunget, ma come loro, fa uso di strumenti etnici e della tradizione folk, e in passato ha coinvolto cori e musicisti tradizionali. La voce di Masha è ottima sia nelle parti pulite che in quelle gutturali, e il lavoro risulta di grande impatto epico, con diversi pezzi molto lunghi ed articolati. La lingua usata è il russo, e le liriche sono ispirate dal folclore russo e dalla mitologia slava. L'artwork è a cura dell'artista belga Kris Verwimp, che collabora con loro dal loro quarto disco Ot serdtsa k nebu.
Now we take care of the eighth album of the Russian band Arkona (which takes its name from the site that houses the archaeological site of Jaromarsburg, Cape Arkona), cataloged under the umbrella term of pagan metal (read the explanation, it is interesting), and captained , as well as initially fiercely wanted, by the leader/singer Maria Arkhipova, called Masha Scream, and married to one of the members, the guitarist Sergei Atrashkevich, called Lazar.
A band of good success at home, but now also famous in the rest of Europe and the US, it plays a metal with epic openings, just to give you coordinates, less gloomy than that of the Romanians Negura Bunget, but like them, makes use of ethnic instruments and of folk tradition, and in the past involved traditional choirs and musicians. Masha's voice is excellent both in the clean and in the growling parts, and the work is of great epic impact, with several very long and articulated tracks. The language used is Russian, and the lyrics are inspired by Russian folklore and Slavic mythology. The artwork is by the Belgian artist Kris Verwimp, that is working with them since their fourth album Ot serdtsa k nebu.
No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.
20180131
20180130
Per sempre
Forever - Code Orange (2017)
Facciamo per un momento un breve passo indietro al 2017, e parliamo di questo disco che per me arriva fuori tempo massimo, ma che merita di essere considerato. I Code Orange nascono come Code Orange Kids a Pittsburgh, Pennsylvania, intorno al 2008, e all'epoca incontra qualche problema ad andare in tour, in quanto i membri erano tutti alla high school: ancora nel 2012, l'età media della band era di 18 anni! Partono con l'hardcore punk, e virano verso un metalcore/sludge che ogni tanto ricorda i Converge (produce Kurt Ballou, infatti), ma qua e là si sentono influenze varie (tre membri hanno formato pure un progetto parallelo, gli Adventures, molto più orientato al rock). Disco (il terzo per loro) variegato e robusto, molto interessante. Nel quintetto c'è anche una ragazza, Reba Meyers, che inizialmente suonava il basso, e che adesso si occupa della chitarra e delle clean vocals. Da seguire.
Let's take a short step back to 2017 for a moment, and let's talk about this record that comes to me out of time, but that deserves to be considered. Code Orange was born as Code Orange Kids in Pittsburgh, Pennsylvania, around 2008, and at the time it encountered some problems going on tour, as the members were all at high school: still in 2012, the average age of the band was of 18 years! They start with hardcore punk, and veer towards a metalcore/sludge that sometimes reminds Converge (Kurt Ballou is the producer, in fact), but here and there you hear different influences (three members have also formed a parallel project, the Adventures, much more rock-oriented). Variegated and robust disc, very interesting. In the quintet there is also a girl, Reba Meyers, who initially played bass, and now takes care of the guitar and the clean vocals. To follow.
Facciamo per un momento un breve passo indietro al 2017, e parliamo di questo disco che per me arriva fuori tempo massimo, ma che merita di essere considerato. I Code Orange nascono come Code Orange Kids a Pittsburgh, Pennsylvania, intorno al 2008, e all'epoca incontra qualche problema ad andare in tour, in quanto i membri erano tutti alla high school: ancora nel 2012, l'età media della band era di 18 anni! Partono con l'hardcore punk, e virano verso un metalcore/sludge che ogni tanto ricorda i Converge (produce Kurt Ballou, infatti), ma qua e là si sentono influenze varie (tre membri hanno formato pure un progetto parallelo, gli Adventures, molto più orientato al rock). Disco (il terzo per loro) variegato e robusto, molto interessante. Nel quintetto c'è anche una ragazza, Reba Meyers, che inizialmente suonava il basso, e che adesso si occupa della chitarra e delle clean vocals. Da seguire.
Let's take a short step back to 2017 for a moment, and let's talk about this record that comes to me out of time, but that deserves to be considered. Code Orange was born as Code Orange Kids in Pittsburgh, Pennsylvania, around 2008, and at the time it encountered some problems going on tour, as the members were all at high school: still in 2012, the average age of the band was of 18 years! They start with hardcore punk, and veer towards a metalcore/sludge that sometimes reminds Converge (Kurt Ballou is the producer, in fact), but here and there you hear different influences (three members have also formed a parallel project, the Adventures, much more rock-oriented). Variegated and robust disc, very interesting. In the quintet there is also a girl, Reba Meyers, who initially played bass, and now takes care of the guitar and the clean vocals. To follow.
20180129
Sfidare
Defy - Of Mice and Men (2018)
Devo dire che il metalcore, o nu metal che dir si voglia, quel genere che nasce con i Korn e prende poi direzioni varie con Deftones, Papa Roach, P.O.D., Slipknot, è uno di quelli che ascolto con più facilità, un po' come gli altri ascoltano il pop. Gli Of Mice and Men, qui al loro quinto disco (dopo il, pare, definitivo abbandono del cantante Austin Carlile), che fino ad oggi non avevo mai ascoltato, mi pare lo interpretino dignitosamente, componendo canzoni robuste e totalmente orecchiabili, ricordando (appunto) i migliori Papa Roach e lasciandosi andare a una cover di Money dei Pink Floyd che non è malaccio (ma che forse si potevano anche risparmiare), e regalando un disco che sicuramente non sarà nelle top ten di fine 2018, ma che può accompagnare momenti di gioia musicale. Quantomeno in studio, il bassista Aaron Pauley, fino al disco precedente in carica delle clean vocals, e qui pure delle scream, mi pare se la cavi discretamente.
I have to say that the metalcore, or nu metal, if you prefer, that genre that start with Korn and then takes different directions with Deftones, Papa Roach, P.O.D., Slipknot, is one of those I listen with more ease, a bit like the others listen to pop. The Of Mice and Men, here on their fifth album (after the apparently definitive abandonment of the singer Austin Carlile), which until today I had never heard, I think they interpret it with dignity, composing robust and totally catchy songs, remembering (in fact) the best Papa Roach and letting go to a cover of Money by Pink Floyd that is not so bad (but maybe they could also avoid it), and giving us a disc that certainly will not be in the top ten at the end of 2018, but that can accompany moments of musical joy. At least in the studio, bassist Aaron Pauley, up to the previous album in charge of the clean vocals, and here also of the screamy one, I think he is managing not so bad.
Devo dire che il metalcore, o nu metal che dir si voglia, quel genere che nasce con i Korn e prende poi direzioni varie con Deftones, Papa Roach, P.O.D., Slipknot, è uno di quelli che ascolto con più facilità, un po' come gli altri ascoltano il pop. Gli Of Mice and Men, qui al loro quinto disco (dopo il, pare, definitivo abbandono del cantante Austin Carlile), che fino ad oggi non avevo mai ascoltato, mi pare lo interpretino dignitosamente, componendo canzoni robuste e totalmente orecchiabili, ricordando (appunto) i migliori Papa Roach e lasciandosi andare a una cover di Money dei Pink Floyd che non è malaccio (ma che forse si potevano anche risparmiare), e regalando un disco che sicuramente non sarà nelle top ten di fine 2018, ma che può accompagnare momenti di gioia musicale. Quantomeno in studio, il bassista Aaron Pauley, fino al disco precedente in carica delle clean vocals, e qui pure delle scream, mi pare se la cavi discretamente.
I have to say that the metalcore, or nu metal, if you prefer, that genre that start with Korn and then takes different directions with Deftones, Papa Roach, P.O.D., Slipknot, is one of those I listen with more ease, a bit like the others listen to pop. The Of Mice and Men, here on their fifth album (after the apparently definitive abandonment of the singer Austin Carlile), which until today I had never heard, I think they interpret it with dignity, composing robust and totally catchy songs, remembering (in fact) the best Papa Roach and letting go to a cover of Money by Pink Floyd that is not so bad (but maybe they could also avoid it), and giving us a disc that certainly will not be in the top ten at the end of 2018, but that can accompany moments of musical joy. At least in the studio, bassist Aaron Pauley, up to the previous album in charge of the clean vocals, and here also of the screamy one, I think he is managing not so bad.
20180128
Martellando il marciapiede
Pounding the Pavement - Anvil (2018)
Diciassettesimo disco per la band di Toronto, Ontario (Canada), mai dimenticata dagli headbangers della prima ora (come chi vi scrive), e che hanno conosciuto una seconda giovinezza anche grazie al meraviglioso documentario del 2008, che ha raccontato le loro vicissitudini. Nonostante la band sia attiva ormai da 40 anni, la loro dedizione al genere è quasi commovente, e anche questo disco si lascia ascoltare senza annoiare. Vengono in mente spesso i Motorhead, e si ripensa a tutte quelle altre band che hanno preso ispirazione dagli Anvil, e hanno fatto la storia. Si perdona loro la prevedibilità, e si augura loro una vita ancora lunga, ed almeno i soldi per una vecchiaia dignitosa. Certo è che la tecnica sia di Robb Robbo Reiner alla batteria, e di Steve Lips Kudlow alla chitarra, è ancora invidiabile. Molto buono l'apporto del bassista Chris Robertson, con gli Anvil dal 2014.
Seventeenth album for the band of Toronto, Ontario (Canada), never forgotten from the headbangers of the first hour (as me), who are living a second youth thanks to the wonderful documentary of 2008 (Anvil! The Story of Anvil), which recounted their vicissitudes. Although the band has been active for 40 years now, their dedication to the genre is almost touching, and even this record lets you listen without boring. It pop up to your mind the Motorhead, and you think back to all the other bands that took inspiration from Anvil, and made history. Predictability is forgiven them, and we wish them a long life, and at least the money for a dignified old age. Certainly the technique of both Robb Robbo Reiner on drums, and Steve Lips Kudlow on guitar, is still enviable. Very good the contribution of bassist Chris Robertson, with Anvil since 2014.
Diciassettesimo disco per la band di Toronto, Ontario (Canada), mai dimenticata dagli headbangers della prima ora (come chi vi scrive), e che hanno conosciuto una seconda giovinezza anche grazie al meraviglioso documentario del 2008, che ha raccontato le loro vicissitudini. Nonostante la band sia attiva ormai da 40 anni, la loro dedizione al genere è quasi commovente, e anche questo disco si lascia ascoltare senza annoiare. Vengono in mente spesso i Motorhead, e si ripensa a tutte quelle altre band che hanno preso ispirazione dagli Anvil, e hanno fatto la storia. Si perdona loro la prevedibilità, e si augura loro una vita ancora lunga, ed almeno i soldi per una vecchiaia dignitosa. Certo è che la tecnica sia di Robb Robbo Reiner alla batteria, e di Steve Lips Kudlow alla chitarra, è ancora invidiabile. Molto buono l'apporto del bassista Chris Robertson, con gli Anvil dal 2014.
Seventeenth album for the band of Toronto, Ontario (Canada), never forgotten from the headbangers of the first hour (as me), who are living a second youth thanks to the wonderful documentary of 2008 (Anvil! The Story of Anvil), which recounted their vicissitudes. Although the band has been active for 40 years now, their dedication to the genre is almost touching, and even this record lets you listen without boring. It pop up to your mind the Motorhead, and you think back to all the other bands that took inspiration from Anvil, and made history. Predictability is forgiven them, and we wish them a long life, and at least the money for a dignified old age. Certainly the technique of both Robb Robbo Reiner on drums, and Steve Lips Kudlow on guitar, is still enviable. Very good the contribution of bassist Chris Robertson, with Anvil since 2014.
20180127
20180126
Dopo
POST- - Jeff Rosenstock (2018)
Figura intrigante quella del giovane (35) Jeff Rosenstock da Long Island, New York, ritenuto da una parte della stampa specializzata uno dei personaggi più influenti del punk rock attuale. Già nei The Arrogant Sons of Bitches, nei Kudrow e nel collettivo musicale Bomb the Music Industry!, dal 2012 si è messo in proprio, e dopo un mixtape e un paio di singoli, ha fatto uscire il suo debutto We Cool? nel 2015 ed il suo seguito Worry. nel 2016. Il primo gennaio 2018, pare poche ore dopo un concerto di fine anno molto alcolico a Philadelphia, è uscito questo POST-, che ne mette in luce la maestria non solo punk rock. Accompagnato da amici e ex compagni di band (John DeDomenici basso, Mike Huguenor chitarra, Kevin Higuci batteria, e molti altri ospiti), Rosenstock pubblica un disco apparentemente (a livello musicale) "felice" e pieno di sonorità solari tipiche del punk rock americano, ma a livello di tematiche, come ha dichiarato lui stesso, "principalmente preoccupato di perdere la speranza nel tuo paese, in te stesso, e in chi ti circonda": è abbastanza evidente che "post" sta a significare "dopo l'elezione".
Insomma, un ottimo disco DIY (inoltre, il 10% degli incassi provenienti dalle vendite digitali andranno a beneficio di Defend Puerto Rico), che ci mostra una bella realtà del rock statunitense, capace di spaziare attraverso diversi generi, e in possesso di una grandissima capacità di scrivere belle canzoni.
Intriguing figure that of the young man (35) Jeff Rosenstock from Long Island, New York, considered by a part of the specialized press one of the most influential characters of the current punk rock. Formerly in The Arrogant Sons of Bitches, Kudrow and in the musical collective Bomb the Music Industry!, since 2012 he start up on his own, and after a mixtape and a couple of singles, he released his debut We Cool? in 2015 and its following Worry. in 2016. On the first of January 2018, it seems a few hours after a very alcoholic year-end concert in Philadelphia, this POST- came out, which highlights his mastery, not only about punk rock. Accompanied by friends and former bandmates (John DeDomenici bass, Mike Huguenor guitar, Kevin Higuci drums, and many other guests), Rosenstock publishes a record apparently (musically) "happy" and full of solar sounds typical of the American punk rock, but on the lyrics level, as he himself declared, "chiefly concerned with losing hope in your country, yourself, and those around you": it is quite clear that "post" means "after the election".
In short, an excellent DIY album (in addition, 10% of the proceeds from digital sales will benefit Defend Puerto Rico), which shows us a beautiful reality of American rock, able to range through different genres, and in possession of a very large ability to write beautiful songs.
Figura intrigante quella del giovane (35) Jeff Rosenstock da Long Island, New York, ritenuto da una parte della stampa specializzata uno dei personaggi più influenti del punk rock attuale. Già nei The Arrogant Sons of Bitches, nei Kudrow e nel collettivo musicale Bomb the Music Industry!, dal 2012 si è messo in proprio, e dopo un mixtape e un paio di singoli, ha fatto uscire il suo debutto We Cool? nel 2015 ed il suo seguito Worry. nel 2016. Il primo gennaio 2018, pare poche ore dopo un concerto di fine anno molto alcolico a Philadelphia, è uscito questo POST-, che ne mette in luce la maestria non solo punk rock. Accompagnato da amici e ex compagni di band (John DeDomenici basso, Mike Huguenor chitarra, Kevin Higuci batteria, e molti altri ospiti), Rosenstock pubblica un disco apparentemente (a livello musicale) "felice" e pieno di sonorità solari tipiche del punk rock americano, ma a livello di tematiche, come ha dichiarato lui stesso, "principalmente preoccupato di perdere la speranza nel tuo paese, in te stesso, e in chi ti circonda": è abbastanza evidente che "post" sta a significare "dopo l'elezione".
Insomma, un ottimo disco DIY (inoltre, il 10% degli incassi provenienti dalle vendite digitali andranno a beneficio di Defend Puerto Rico), che ci mostra una bella realtà del rock statunitense, capace di spaziare attraverso diversi generi, e in possesso di una grandissima capacità di scrivere belle canzoni.
Intriguing figure that of the young man (35) Jeff Rosenstock from Long Island, New York, considered by a part of the specialized press one of the most influential characters of the current punk rock. Formerly in The Arrogant Sons of Bitches, Kudrow and in the musical collective Bomb the Music Industry!, since 2012 he start up on his own, and after a mixtape and a couple of singles, he released his debut We Cool? in 2015 and its following Worry. in 2016. On the first of January 2018, it seems a few hours after a very alcoholic year-end concert in Philadelphia, this POST- came out, which highlights his mastery, not only about punk rock. Accompanied by friends and former bandmates (John DeDomenici bass, Mike Huguenor guitar, Kevin Higuci drums, and many other guests), Rosenstock publishes a record apparently (musically) "happy" and full of solar sounds typical of the American punk rock, but on the lyrics level, as he himself declared, "chiefly concerned with losing hope in your country, yourself, and those around you": it is quite clear that "post" means "after the election".
In short, an excellent DIY album (in addition, 10% of the proceeds from digital sales will benefit Defend Puerto Rico), which shows us a beautiful reality of American rock, able to range through different genres, and in possession of a very large ability to write beautiful songs.
20180125
Fissazione
Mania - Fall Out Boy (2018)
Mi piace molto la definizione che Pete Wentz, bassista e principale autore dei testi dei Fall Out Boy, dà del genere della band: softcore, sottintendendo che tutti e quattro i componenti provengono dalla scena hardcore punk di Chicago, ma che mescolano la loro attitudine con una sensibilità pop. La prima impressione che si ha, è di ascoltare i Maroon 5 più tosti, e c'è da dire che se si abbandona la ricerca delle radici punk, questo Mania può dare delle grosse soddisfazioni: si capisce perché, oltre che citare band punk rock e metal, i quattro citino anche Prince, Bowie e Michael Jackson. Il soul, l'RnB e una spruzzata di hip hop si riconoscono dentro questo calderone che compone attualmente la musica dei Fall Out Boy, poliedrica ma estremamente interessante e piacevole. Tra gli autori dei 10 pezzi troviamo pure Sia, Jesse Shatkin, Jonny Coffer, Carlo Montagnese, Audra Mae, Burna Boy, segno evidente di un'attenzione certosina. Il risultato è sorprendentemente convincente.
I really like the definition that Pete Wentz, bassist and main author of the lyrics of the Fall Out Boy, gives to the band's genre: softcore, implying that all four components come from the hardcore punk scene of Chicago, but that mix their attitude with a pop sensibility. The first impression you have is to listen to a tougher Maroon 5, and it must be said that if you abandon the search for punk roots, this Mania can give great satisfaction: you understand why, as well as mention punk rock and metal band, the four also mention Prince, Bowie and Michael Jackson. Soul, RnB and a bit of hip hop can be recognized inside this cauldron that currently composes the music of the Fall Out Boy, multifaceted but extremely interesting and enjoyable. Among the authors of the 10 tracks we find also Sia, Jesse Shatkin, Jonny Coffer, Carlo Montagnese, Audra Mae, Burna Boy, a clear sign of a meticulous attention. The result is surprisingly convincing.
Mi piace molto la definizione che Pete Wentz, bassista e principale autore dei testi dei Fall Out Boy, dà del genere della band: softcore, sottintendendo che tutti e quattro i componenti provengono dalla scena hardcore punk di Chicago, ma che mescolano la loro attitudine con una sensibilità pop. La prima impressione che si ha, è di ascoltare i Maroon 5 più tosti, e c'è da dire che se si abbandona la ricerca delle radici punk, questo Mania può dare delle grosse soddisfazioni: si capisce perché, oltre che citare band punk rock e metal, i quattro citino anche Prince, Bowie e Michael Jackson. Il soul, l'RnB e una spruzzata di hip hop si riconoscono dentro questo calderone che compone attualmente la musica dei Fall Out Boy, poliedrica ma estremamente interessante e piacevole. Tra gli autori dei 10 pezzi troviamo pure Sia, Jesse Shatkin, Jonny Coffer, Carlo Montagnese, Audra Mae, Burna Boy, segno evidente di un'attenzione certosina. Il risultato è sorprendentemente convincente.
I really like the definition that Pete Wentz, bassist and main author of the lyrics of the Fall Out Boy, gives to the band's genre: softcore, implying that all four components come from the hardcore punk scene of Chicago, but that mix their attitude with a pop sensibility. The first impression you have is to listen to a tougher Maroon 5, and it must be said that if you abandon the search for punk roots, this Mania can give great satisfaction: you understand why, as well as mention punk rock and metal band, the four also mention Prince, Bowie and Michael Jackson. Soul, RnB and a bit of hip hop can be recognized inside this cauldron that currently composes the music of the Fall Out Boy, multifaceted but extremely interesting and enjoyable. Among the authors of the 10 tracks we find also Sia, Jesse Shatkin, Jonny Coffer, Carlo Montagnese, Audra Mae, Burna Boy, a clear sign of a meticulous attention. The result is surprisingly convincing.
20180124
Cosa succede ora
What Happens Next - Joe Satriani (2018)
Breve introduzione ad uso di chi ignorasse l'esistenza e la provenienza del signore pelato in questione: questo 61enne (in ottima forma) di Westbury, New York, con nonni entrambi italiani, è uno dei più grandi chitarristi viventi, ed è stato l'insegnante di chitarra di tizi come Kirk Hammett, Steve Vai, Larry LaLonde, Rick Hunolt, Andy Timmons, Kevin Cadogan, Alex Skolnick, oltre a far parte dei Chickenfoot, aver suonato come solista per Mick Jagger nel suo tour solista, e aver sostituito temporaneamente Ritchie Blackmore nei Deep Purple durante un loro tour. Questo disco è il suo sedicesimo da solista, e se vi sembrerà di riconoscere lo stile del batterista è perché vi suona l'amico Chad Smith (RHCP, Chickenfoot); neppure il bassista è malaccio, visto che si tratta di Glenn Hughes (e se non sapete chi è, avete due scelte: smettere di leggere, oppure informarvi. Potete comunque fare entrambe). Detto tutto ciò, potrei concludere con la frase che uso quando si parla di chitarristi solisti e i loro progetti solisti, e cioè che proprio Joseph Satriani detto Joe, è l'unico che è capace di farmi ascoltare un intero disco, per di più interamente strumentale (ebbene si, incredibile, ma è perfino riuscito a far suonare Glenn Hughes un disco intero e a non farlo cantare neppure una parola), e a farmelo pure piacere. Ascoltatelo.
Brief introduction to the use of those who ignore the existence and provenance of the bald gentleman in question: this 61-year-old (in excellent shape) of Westbury, New York, with both Italian grandparents, is one of the greatest living guitarists, and has been the guitar teacher of fellas like Kirk Hammett, Steve Vai, Larry LaLonde, Rick Hunolt, Andy Timmons, Kevin Cadogan, Alex Skolnick, as well as being part of Chickenfoot, playing guitar for Mick Jagger on his solo tour, and temporarily replacing Ritchie Blackmore in Deep Purple during one of their tour. This record is his sixteenth solo album, and if you seem to recognize the style of the drummer is because the drummer is the friend Chad Smith (RHCP, Chickenfoot); not even the bassist is bad, due to the fact is Glenn Hughes (and if you do not know who he is, you have two choices: stop reading or inform yourself, you can still do both). Having said all that, I could conclude with the phrase I use when talking about solo guitarists and their solo projects, and that is that Joseph Satriani known as Joe, is the only one who is able to make me listen to an entire record, moreover entirely instrumental (yes, incredible, but he even managed to make Glenn Hughes play a whole record and not let him sing a single word), and make me happy too. Listen to him.
Breve introduzione ad uso di chi ignorasse l'esistenza e la provenienza del signore pelato in questione: questo 61enne (in ottima forma) di Westbury, New York, con nonni entrambi italiani, è uno dei più grandi chitarristi viventi, ed è stato l'insegnante di chitarra di tizi come Kirk Hammett, Steve Vai, Larry LaLonde, Rick Hunolt, Andy Timmons, Kevin Cadogan, Alex Skolnick, oltre a far parte dei Chickenfoot, aver suonato come solista per Mick Jagger nel suo tour solista, e aver sostituito temporaneamente Ritchie Blackmore nei Deep Purple durante un loro tour. Questo disco è il suo sedicesimo da solista, e se vi sembrerà di riconoscere lo stile del batterista è perché vi suona l'amico Chad Smith (RHCP, Chickenfoot); neppure il bassista è malaccio, visto che si tratta di Glenn Hughes (e se non sapete chi è, avete due scelte: smettere di leggere, oppure informarvi. Potete comunque fare entrambe). Detto tutto ciò, potrei concludere con la frase che uso quando si parla di chitarristi solisti e i loro progetti solisti, e cioè che proprio Joseph Satriani detto Joe, è l'unico che è capace di farmi ascoltare un intero disco, per di più interamente strumentale (ebbene si, incredibile, ma è perfino riuscito a far suonare Glenn Hughes un disco intero e a non farlo cantare neppure una parola), e a farmelo pure piacere. Ascoltatelo.
Brief introduction to the use of those who ignore the existence and provenance of the bald gentleman in question: this 61-year-old (in excellent shape) of Westbury, New York, with both Italian grandparents, is one of the greatest living guitarists, and has been the guitar teacher of fellas like Kirk Hammett, Steve Vai, Larry LaLonde, Rick Hunolt, Andy Timmons, Kevin Cadogan, Alex Skolnick, as well as being part of Chickenfoot, playing guitar for Mick Jagger on his solo tour, and temporarily replacing Ritchie Blackmore in Deep Purple during one of their tour. This record is his sixteenth solo album, and if you seem to recognize the style of the drummer is because the drummer is the friend Chad Smith (RHCP, Chickenfoot); not even the bassist is bad, due to the fact is Glenn Hughes (and if you do not know who he is, you have two choices: stop reading or inform yourself, you can still do both). Having said all that, I could conclude with the phrase I use when talking about solo guitarists and their solo projects, and that is that Joseph Satriani known as Joe, is the only one who is able to make me listen to an entire record, moreover entirely instrumental (yes, incredible, but he even managed to make Glenn Hughes play a whole record and not let him sing a single word), and make me happy too. Listen to him.
20180123
Be well, be strong!
Vale - Black Veil Brides (2018)
Quinto disco per la band di Hollywood, California, primo per me. Genere che, almeno su questo lavoro, potremmo definire come abbastanza arena rock, seppure la band si rifaccia al glam rock e, in parte, al metalcore, il disco si lascia ascoltare, in quanto i musicisti sono validi, il cantante Andy Biersack, titolare anche di un personale progetto solista (Andy Black), ha una bella voce, aggressiva e melodica al punto giusto, e i pezzi sono dannatamente catchy. Non è esattamente il mio genere favorito, ma, come detto, il disco non è assolutamente brutto.
Fifth record for the band from Hollywood, California, the first for me. Genre that, at least on this work, we could define as enough arena rock, even if the band is inspired by glam rock and, in part, on metalcore, the album is heardable, as the musicians are valid, the singer Andy Biersack, owner even of a solo project (Andy Black), he has a beautiful voice, aggressive and melodic at the right point, and the tracks are damn catchy. It is not exactly my favorite genre, but, as mentioned, the record is not absolutely bad.
Quinto disco per la band di Hollywood, California, primo per me. Genere che, almeno su questo lavoro, potremmo definire come abbastanza arena rock, seppure la band si rifaccia al glam rock e, in parte, al metalcore, il disco si lascia ascoltare, in quanto i musicisti sono validi, il cantante Andy Biersack, titolare anche di un personale progetto solista (Andy Black), ha una bella voce, aggressiva e melodica al punto giusto, e i pezzi sono dannatamente catchy. Non è esattamente il mio genere favorito, ma, come detto, il disco non è assolutamente brutto.
Fifth record for the band from Hollywood, California, the first for me. Genre that, at least on this work, we could define as enough arena rock, even if the band is inspired by glam rock and, in part, on metalcore, the album is heardable, as the musicians are valid, the singer Andy Biersack, owner even of a solo project (Andy Black), he has a beautiful voice, aggressive and melodic at the right point, and the tracks are damn catchy. It is not exactly my favorite genre, but, as mentioned, the record is not absolutely bad.
20180122
Creature sbagliate
Wrong Creatures - Black Rebel Motorcycle Club (2018)
Come forse si ricorderà chi mi conosce, e chi ha letto sempre questo blog, non ho mai avuto un buon rapporto con la band di San Francisco, California. Disco di debutto folgorante, oramai 17 anni fa, deludenti prove dal vivo, e un pugno di dischi senza nerbo e ripetitivi in seguito. All'ottavo, questo Wrong Creatures, come dice giustamente Pitchfork, sono un po' come quei ribelli che non sanno più contro cosa si ribellano. Vanno avanti per inerzia, seppur padroni di un songwriting degno ed essendo buoni musicisti, ma continuano a commettere gli stessi errori (l'incipit di Echo come una Walk On the Walk Side di quarta mano), e a ripetere gli stessi clichés. Disco che non lascerà traccia alcuna, a differenza di qualche anno fa, sono più incisivi negli episodi lenti che in quelli più sostenuti. Oppure sono io che invecchio.
As may remember who knows me, and who has always read this blog, I've never had a good relationship with the band from San Francisco, California. Debut record that stroke, now 17 years ago, disappointing during their live concerts, and a handful of discs without backbone and repetitive, afterwards. At the eighth, this Wrong Creatures, as Pitchfork rightly says, they are a bit like those rebels who no longer know what they're up against. They go on by inertia, though they are owner of a worthy songwriting and being good musicians, but they continue to make the same mistakes (Echo's opening notes like a fourth-hand Walk On the Walk Side), and repeat the same clichés. Disc that will leave no trace, and, unlike a few years ago, they are more incisive in the slow episodes than in those more sustained. Or maybe I am getting old.
Come forse si ricorderà chi mi conosce, e chi ha letto sempre questo blog, non ho mai avuto un buon rapporto con la band di San Francisco, California. Disco di debutto folgorante, oramai 17 anni fa, deludenti prove dal vivo, e un pugno di dischi senza nerbo e ripetitivi in seguito. All'ottavo, questo Wrong Creatures, come dice giustamente Pitchfork, sono un po' come quei ribelli che non sanno più contro cosa si ribellano. Vanno avanti per inerzia, seppur padroni di un songwriting degno ed essendo buoni musicisti, ma continuano a commettere gli stessi errori (l'incipit di Echo come una Walk On the Walk Side di quarta mano), e a ripetere gli stessi clichés. Disco che non lascerà traccia alcuna, a differenza di qualche anno fa, sono più incisivi negli episodi lenti che in quelli più sostenuti. Oppure sono io che invecchio.
As may remember who knows me, and who has always read this blog, I've never had a good relationship with the band from San Francisco, California. Debut record that stroke, now 17 years ago, disappointing during their live concerts, and a handful of discs without backbone and repetitive, afterwards. At the eighth, this Wrong Creatures, as Pitchfork rightly says, they are a bit like those rebels who no longer know what they're up against. They go on by inertia, though they are owner of a worthy songwriting and being good musicians, but they continue to make the same mistakes (Echo's opening notes like a fourth-hand Walk On the Walk Side), and repeat the same clichés. Disc that will leave no trace, and, unlike a few years ago, they are more incisive in the slow episodes than in those more sustained. Or maybe I am getting old.
20180121
La fine del (fottuto) mondo
The End of the F***ing World - Di Charlie Covell - Stagione 1 (8 episodi; All 4) - 2017
UK, provincia. James è un 17enne che è convinto di essere psicopatico, dopo essersi bruciato una mano immergendola nella friggitrice per "sentire qualcosa", e divertendosi ad uccidere animali fin dall'età di otto anni. Decide di passare al livello superiore, ed uccidere un essere umano. A scuola conosce Alyssa, una nuova compagna ribelle, e decide che sarà lei la vittima. Le si avvicina, fingendo un interesse romantico, e i due iniziano a frequentarsi. James decide che il momento è arrivato, quando Alyssa gli chiede di fare sesso, e prepara il suo fidato coltello da caccia: ma Alyssa rimane bloccata a casa da una stupida festa voluta dalla sua stupida madre, durante la quale il suo inquietante patrigno la importuna, e al tempo stesso le dice chiaramente che se si togliesse per sempre dai piedi, sarebbe meglio. Dopo tutto questo, Alyssa decide che se ne andrà; raggiunge James a casa annunciandogli che se andrà con lui o senza di lui (ma sperando fortemente che James accetti). James, decidendo che la potrà uccidere anche in seguito, accetta di fuggire con lei, ruba l'auto di suo padre e dà lui un pugno in faccia, una cosa che aveva sempre voluto fare.
Se ne è fatto un gran parlare, anche perché è stata messa in onda, pare, quasi a sorpresa, in UK. The End of the Fucking World è una serie ispirata al comic book omonimo di Charles S. Forsman, otto episodi brevissimi (20 minuti), addirittura divisi in due parti, ambientati nel Regno Unito ma con un respiro decisamente americano, dal sapore ribelle anni '90. Sembra non dire niente di nuovo, ma in un'epoca totalmente digitale e connessa, due adolescenti che inscenano la solita fuga rompendo entrambi i cellulari, forse qualcosa dice. Molte citazioni, tarantiniane e no, due giovani attori bravissimi (Jessica Barden è Alyssa, era in Tamara Drewe di Frears e in The Lobster del nostro idolo Lanthimos; Alex Lawther è James, era in The Imitation Game e in Shut Up and Dance in Black Mirror 3) e un cast di contorno interessante, e soprattutto, una durata brevissima che dimostra il fatto che, spesso, si può dire qualcosa anche facendola breve.
There was a lot of talk about it, also because it was aired, it seems, almost by surprise, in the UK. The End of the Fucking World is a series inspired by the comic book of the same name by Charles S. Forsman, eight short episodes (20 minutes), even divided into two parts, set in the United Kingdom but with a decidedly American flavor, rebellious taste of the '90. It seems not to say anything new, but in a totally digital and connected age, two teenagers who staged the usual escape by breaking both phones, maybe is saying something. Many quotes, Tarantino-esque and more, two young actors very good (Jessica Barden is Alyssa, she was in Tamara Drewe of Frears and in The Lobster of our idol Lanthimos; Alex Lawther is James, was in The Imitation Game and in Shut Up and Dance in Black Mirror 3), an interesting cast of secundary characters, and above all, a very short duration that demonstrates the fact that, often, it's possible to say something even making it short.
UK, provincia. James è un 17enne che è convinto di essere psicopatico, dopo essersi bruciato una mano immergendola nella friggitrice per "sentire qualcosa", e divertendosi ad uccidere animali fin dall'età di otto anni. Decide di passare al livello superiore, ed uccidere un essere umano. A scuola conosce Alyssa, una nuova compagna ribelle, e decide che sarà lei la vittima. Le si avvicina, fingendo un interesse romantico, e i due iniziano a frequentarsi. James decide che il momento è arrivato, quando Alyssa gli chiede di fare sesso, e prepara il suo fidato coltello da caccia: ma Alyssa rimane bloccata a casa da una stupida festa voluta dalla sua stupida madre, durante la quale il suo inquietante patrigno la importuna, e al tempo stesso le dice chiaramente che se si togliesse per sempre dai piedi, sarebbe meglio. Dopo tutto questo, Alyssa decide che se ne andrà; raggiunge James a casa annunciandogli che se andrà con lui o senza di lui (ma sperando fortemente che James accetti). James, decidendo che la potrà uccidere anche in seguito, accetta di fuggire con lei, ruba l'auto di suo padre e dà lui un pugno in faccia, una cosa che aveva sempre voluto fare.
Se ne è fatto un gran parlare, anche perché è stata messa in onda, pare, quasi a sorpresa, in UK. The End of the Fucking World è una serie ispirata al comic book omonimo di Charles S. Forsman, otto episodi brevissimi (20 minuti), addirittura divisi in due parti, ambientati nel Regno Unito ma con un respiro decisamente americano, dal sapore ribelle anni '90. Sembra non dire niente di nuovo, ma in un'epoca totalmente digitale e connessa, due adolescenti che inscenano la solita fuga rompendo entrambi i cellulari, forse qualcosa dice. Molte citazioni, tarantiniane e no, due giovani attori bravissimi (Jessica Barden è Alyssa, era in Tamara Drewe di Frears e in The Lobster del nostro idolo Lanthimos; Alex Lawther è James, era in The Imitation Game e in Shut Up and Dance in Black Mirror 3) e un cast di contorno interessante, e soprattutto, una durata brevissima che dimostra il fatto che, spesso, si può dire qualcosa anche facendola breve.
There was a lot of talk about it, also because it was aired, it seems, almost by surprise, in the UK. The End of the Fucking World is a series inspired by the comic book of the same name by Charles S. Forsman, eight short episodes (20 minutes), even divided into two parts, set in the United Kingdom but with a decidedly American flavor, rebellious taste of the '90. It seems not to say anything new, but in a totally digital and connected age, two teenagers who staged the usual escape by breaking both phones, maybe is saying something. Many quotes, Tarantino-esque and more, two young actors very good (Jessica Barden is Alyssa, she was in Tamara Drewe of Frears and in The Lobster of our idol Lanthimos; Alex Lawther is James, was in The Imitation Game and in Shut Up and Dance in Black Mirror 3), an interesting cast of secundary characters, and above all, a very short duration that demonstrates the fact that, often, it's possible to say something even making it short.
20180120
20180119
Mystery Man
The Crown - di Peter Morgan - Stagione 2 (10 episodi; Netflix) - 2017
1957-1964. Nel '57, Elisabetta e Filippo discutono sulla situazione del loro matrimonio, concludendo che il divorzio non è un'opzione. 5 mesi prima, Filippo è in partenza per un tour mondiale, con la "scusa" dell'inaugurazione dei giochi olimpici di Melbourne; Elisabetta trova la foto di una donna nella di lui valigia personale. Si convince che il marito ha una storia con la ballerina russa Galina Ulanova. Elisabetta naturalmente, ha dei grossi grattacapi anche a livello nazionale: si trova coinvolta nella Crisi di Suez, molto probabilmente causata dall'allora Primo Ministro Anthony Eden, voglioso di lasciare il suo marchio sulla Storia, lui, da sempre messo in ombra dal predecessore Churchill, e da sempre nemico di Nasser.
Qualsiasi cosa odori di Storia, e sia ben fatto (a volte anche se non è ben fatto, a dire il vero), a me piace, ma questo ve l'ho già detto in occasione della prima stagione, e probabilmente anche in altre occasioni. Mi piace la struttura di The Crown, con questi episodi che paiono autoconclusivi, ma che portano avanti il racconto sulla vita di questa figura straordinaria, a prescindere dal fatto di come la si possa pensare sulla monarchia. Sempre interessanti i colloqui tra la Regina e il Primo Ministro (chiunque esso sia), belli i silenzi tra Elisabetta e Filippo, bellissima Vanessa Kirby nei panni di Margaret. Il cast è meraviglioso nella sua interezza. Michael C. Hall interpreta John Fitzgerald Kennedy.
Everything that smells of history, and is well done (sometimes even if it is not well done, to be honest), I like it, but I've already told you this on the occasion of the first season, and probably on other occasions too . I like the structure of The Crown, with these episodes that seem self-contained, but which carry on the story on the life of this extraordinary figure, regardless of how you can think about the monarchy. The talks between the Queen and the Prime Minister (whoever he may be) are always interesting, beautiful are the silences between Elizabeth and Philip, beautiful is Vanessa Kirby in the role of Margaret. The cast is wonderful in its entirety. Michael C. Hall plays John Fitzgerald Kennedy.
20180118
Senza croce nessuna corona
No Cross No Crown - Corrosion of Conformity (2018)
Purtroppo, dovete abituarvi al fatto che invecchio, e che sempre di più, anche le recensioni di alcune band saranno marchiate da ricordi. Il primo album del 2018 di cui vi parlo è il decimo della band formatasi a Raleigh, North Carolina, e che ho avuto occasione di vedere live circa 28 anni fa, in un luogo dove ho visto anche tanto basket. I Corrosion of Conformity, abbreviati in C.O.C. da sempre, hanno attraversato più di 30 anni di musica pesante, passando dall'iniziale hardcore punk all'heavy metal venato dal blues e dallo sludge, pagando ogni volta tributo alla più grande band heavy metal di sempre (i Black Sabbath): moltissimi dei pezzi, i riff, le atmosfere, anche di questo No Cross No Crown fanno pensare ai Black Sabbath (e, pensate un po', a me hanno fatto venire in mente perfino i Cathedral). Per quanto li trovi appesantiti fisicamente, i quattro sono in una discreta forma musicale, inaugurando l'anno nuovo con un disco che sicuramente non inventa nulla, ma che diverte e, personalmente, mi ricorda da dove vengo, almeno musicalmente. Pezzo preferito: Forgive Me.
Unfortunately, you have to get used to the fact that I'm getting older, and more and more, even the reviews of some bands will be marked by memories. The first album of 2018 which I speak is the tenth of the band formed in Raleigh, North Carolina, and I had the opportunity to see them live about 28 years ago, in a place where I also saw a lot of basketball. The Corrosion of Conformity, abbreviated as C.O.C. since always, they have gone through more than 30 years of heavy music, passing from the initial hardcore punk to heavy metal veined by blues and sludge, paying tribute to the biggest heavy metal band of all time (the Black Sabbath): many of the tracks, the riffs, the atmosphere, even of this No Cross No Crown, make you think to Black Sabbath (I have even reminded the Cathedral). Although I find them physically a bit overweighted, the four are in a discrete musical shape, opening the new year with a record that certainly does not invent anything, but that amuses and, personally, reminds me of where I come from, at least musically. Favorite track: Forgive Me.
Purtroppo, dovete abituarvi al fatto che invecchio, e che sempre di più, anche le recensioni di alcune band saranno marchiate da ricordi. Il primo album del 2018 di cui vi parlo è il decimo della band formatasi a Raleigh, North Carolina, e che ho avuto occasione di vedere live circa 28 anni fa, in un luogo dove ho visto anche tanto basket. I Corrosion of Conformity, abbreviati in C.O.C. da sempre, hanno attraversato più di 30 anni di musica pesante, passando dall'iniziale hardcore punk all'heavy metal venato dal blues e dallo sludge, pagando ogni volta tributo alla più grande band heavy metal di sempre (i Black Sabbath): moltissimi dei pezzi, i riff, le atmosfere, anche di questo No Cross No Crown fanno pensare ai Black Sabbath (e, pensate un po', a me hanno fatto venire in mente perfino i Cathedral). Per quanto li trovi appesantiti fisicamente, i quattro sono in una discreta forma musicale, inaugurando l'anno nuovo con un disco che sicuramente non inventa nulla, ma che diverte e, personalmente, mi ricorda da dove vengo, almeno musicalmente. Pezzo preferito: Forgive Me.
Unfortunately, you have to get used to the fact that I'm getting older, and more and more, even the reviews of some bands will be marked by memories. The first album of 2018 which I speak is the tenth of the band formed in Raleigh, North Carolina, and I had the opportunity to see them live about 28 years ago, in a place where I also saw a lot of basketball. The Corrosion of Conformity, abbreviated as C.O.C. since always, they have gone through more than 30 years of heavy music, passing from the initial hardcore punk to heavy metal veined by blues and sludge, paying tribute to the biggest heavy metal band of all time (the Black Sabbath): many of the tracks, the riffs, the atmosphere, even of this No Cross No Crown, make you think to Black Sabbath (I have even reminded the Cathedral). Although I find them physically a bit overweighted, the four are in a discrete musical shape, opening the new year with a record that certainly does not invent anything, but that amuses and, personally, reminds me of where I come from, at least musically. Favorite track: Forgive Me.
20180117
Stoccolma (Svezia) - Novembre 2017 (2)
Mentre dunque torno sui miei passi, scopro che il Nationalmuseum è chiuso per restauri, quindi mi fermo al chiosco citato prima, per capire quali sono le escursioni che posso fare. Compro i biglietti per il giro in battello, che parte tra poco, e quelli per il sightseeing in bus, che però farò il giorno seguente, visto che non faccio in tempo a tornare dal battello, in tempo per l'ultima corsa (il sole tramonta prestino, di questi periodi, così a Nord). Nell'attesa, percorro Kungsträdgården, alla lettera il "giardino reale", in realtà la piazza centrale, punto di ritrovo, da dove parte lo "struscio". Di questi tempi con l'ovvia pista di pattinaggio, un sacco di locali, ristoranti, e adiacente a Hamngatan, una dei viali principali, con molti negozi di firme anche importanti. Faccio l'ora di partenza dell'escursione in battello, mi metto diligentemente in coda, e salgo. I percorsi sono due, uno dei quali, quello a nord, è possibile solo in caso di bassa marea, e non è questo il caso. In pratica, si costeggia Djurgarden, fino all'ultima propaggine chiamata Blockhusudden, e dall'altro lato la parte periferica di Kvarnholmen. Terminato il giro, torno verso l'hotel attraversando Gamla Stan e attraversando anche letteralmente, l'omonima fermata della metro, arrivando poi ad un passaggio pedonale lungo il Centralbron. Mi riposo in cabina, riflettendo sul da farsi l'indomani, ceno al ristorante dell'hotel.
Domenica 19 stesso copione, la mattina nevica e c'è un vento fastidiosissimo, che abbassa ulteriormente la temperatura percepita. Colazione, pochissima, perché oggi sto davvero male. Attendo che smetta, mi metto in cammino per raggiungere Stromgatan, da dove partono i bus. La giornata non è nemmeno male, leggermente migliore di quella di ieri, ma le mie condizioni lasciano davvero a desiderare. Salgo sul bus e mi godo, per quanto possibile, il giro e le spiegazioni delle varie bellezze di Stoccolma. Al termine, torno verso l'hotel e mi dirigo dritto ad una farmacia in Gamla Stan, dove compro l'equivalente svedese dell'imodium (e ho detto tutto), poi sfrutto il passaggio che attraversa la stazione della metro perché mi ricordo di aver visto un minimarket, entro e compro banane e pane. Sarà la mia dieta per la giornata. Rientro in cabina e, al calduccio, mi guardo un film e qualche serie. Faccio l'orario indicato dal biglietto, e salgo verso il Münchenbryggeriet. Mi trattengo il minimo indispensabile, e rientro per dormire.
Lunedì 20 check out e taxi per l'aeroporto, sta nevicando. Arrivo a Bromma, mi siedo ad attendo diligentemente l'imbarco. Volo durante il quale non sto ancora benissimo, arrivo a Bruxelles Zaventem, ritiro il bagaglio, faccio una riunione telefonica alla quale non ho saputo dire di no, faccio il check in per i voli seguenti, rientro, e insomma, verso le 17 mi sento in grado di mangiare finalmente qualcosa. Attendo l'imbarco, rientro verso Roma, attendo il volo per Pisa, ed eccomi a casa. Rimangono ormai poche capitali europee, ma decido che adesso mi fermerò un poco, prima di ripartire (a parte la capatina a Lubiana già in programma per fine novembre, per un concerto): questi piccoli malanni in giro mi infastidiscono non poco.
Domenica 19 stesso copione, la mattina nevica e c'è un vento fastidiosissimo, che abbassa ulteriormente la temperatura percepita. Colazione, pochissima, perché oggi sto davvero male. Attendo che smetta, mi metto in cammino per raggiungere Stromgatan, da dove partono i bus. La giornata non è nemmeno male, leggermente migliore di quella di ieri, ma le mie condizioni lasciano davvero a desiderare. Salgo sul bus e mi godo, per quanto possibile, il giro e le spiegazioni delle varie bellezze di Stoccolma. Al termine, torno verso l'hotel e mi dirigo dritto ad una farmacia in Gamla Stan, dove compro l'equivalente svedese dell'imodium (e ho detto tutto), poi sfrutto il passaggio che attraversa la stazione della metro perché mi ricordo di aver visto un minimarket, entro e compro banane e pane. Sarà la mia dieta per la giornata. Rientro in cabina e, al calduccio, mi guardo un film e qualche serie. Faccio l'orario indicato dal biglietto, e salgo verso il Münchenbryggeriet. Mi trattengo il minimo indispensabile, e rientro per dormire.
Lunedì 20 check out e taxi per l'aeroporto, sta nevicando. Arrivo a Bromma, mi siedo ad attendo diligentemente l'imbarco. Volo durante il quale non sto ancora benissimo, arrivo a Bruxelles Zaventem, ritiro il bagaglio, faccio una riunione telefonica alla quale non ho saputo dire di no, faccio il check in per i voli seguenti, rientro, e insomma, verso le 17 mi sento in grado di mangiare finalmente qualcosa. Attendo l'imbarco, rientro verso Roma, attendo il volo per Pisa, ed eccomi a casa. Rimangono ormai poche capitali europee, ma decido che adesso mi fermerò un poco, prima di ripartire (a parte la capatina a Lubiana già in programma per fine novembre, per un concerto): questi piccoli malanni in giro mi infastidiscono non poco.
Renne illuminate in Berzelii Park |
Due vedute del Norrbro, con il Parlamento e il Palazzo Reale sullo sfondo |
La chiesa di Riddarholmen, all'imbrunire |
Il Palazzo di Giustizia |
Uno degli archi d'accesso al palazzo del Parlamento, il Riksdag |
20180116
Stoccolma (Svezia) - Novembre 2017 (1)
Venerdì 17 novembre arrivo con volo Brussels Airlines da Bruxelles all'aeroporto di Bromma, aeroporto minuscolo ma molto vicino al centro. Arrivo verso le 20, sull'aereo ho chiacchierato con un giovane ragazzo svizzero, in italiano, che è capitato accanto a me, mentre per arrivare al mio albergo prendo un taxi, e faccio due parole con l'autista giordano-palestinese, molto giovane anche lui. L'albergo che ho preso è piuttosto economico, e in realtà è formato da tre grosse imbarcazioni ormeggiate in maniera permanente lungo il Riddarfjarden, scelto tatticamente per la posizione, abbastanza centrale e vicinissima al luogo dove domenica sera suoneranno i Mastodon. Arrivo al Rygerfjord guardando la neve ammucchiata un po' dappertutto, e capendo che siamo intorno allo zero. Faccio il check in, mi spiegano come arrivare alla camera (la reception è sull'imbarcazione principale, la mia camera/cabina su un'altra), e direi che la cosa più intelligente da fare è andare in camera e mettersi sotto le coperte. Domattina penserò al da farsi.
Sabato 18 mi sveglio e fuori nevischia. Quando sei sdraiato sul letto, puoi vagamente renderti conto che l'imbarcazione dondola. Normale. Il bagno è ovviamente minuscolo, il letto prende il 90% della camera quindi c'è posto per l'indispensabile. Perdo tempo, sperando che la giornata volga non dico al bello, ma almeno smetta di nevicare. Mi reco nell'imbarcazione principale, dove la reception confina con il banco del bar e dà sul ristorante interno, che fa anche da sala colazioni. Faccio colazione, prendo un po' di mappe, aspetto ancora qualche minuto, e quando smette di nevicare mi metto in marcia. Decido di sfidare la sorte, e farmela a piedi. Primo obiettivo, raggiungere Gamla Stan, poi un paio di musei, dare un'occhiata al centro e vedere di individuare la partenza dei traghetti panoramici e dei bus. L'abbigliamento è pesante, l'ombrello ce l'ho. Percorro il Soder Malarstrand fino al Centralbron, che sta subendo dei lavori, passo sotto e seguo l'indicazione per il centro, mi ritrovo sul Katarinavagen, svolto sullo Skeppsbron e le facciate mi fanno capire che siamo a Gamla Stan. Mi dirigo verso lo Strombron, e, con nessuna fretta, ammiro il Kungliga slottet, il massiccio Palazzo Reale. Svolto a destra in Södra Blasieholmshamnen, davanti al Grand Hotel individuo un chiosco dove posso comprare i biglietti per traghetti e bus, taglio per Nybroviken, mi immetto sulla Strandvagen. Questa, insieme ad altre, è un po' lo "struscio" di Stoccolma, e anche se è sabato mattina, e fa un freddo che a me fa cadere le orecchie, c'è già una buona concentrazione di coppie, famiglie, in giro. Arrivo fino al Djurgårdsbron, bel ponte storico che conduce a Djurgarden, l'isola/parco/giardino, ma anche l'isola dei musei di Stoccolma. Prima fermata, il Museo Vasa. Una struttura mastodontica, all'interno della quale fa bella mostra di sé la nave che dà il nome al museo, una nave che evidentemente era stata mal progettata, visto che navigò per neppure un chilometro, prima di affondare. Museo come dovrebbero essere i musei, e, purtroppo, di quelli che trovi solo all'estero, di quelli che ogni volta che ne visiti uno ti prende il magone pensando a tutto quello che potremmo (e dovremmo) fare in Italia, vista tutta la storia che abbiamo. Purtroppo, inizio a capire che non sto troppo bene, ma stringo i denti, termino la visita, interessante, esco che è quasi l'ora di pranzo, e mi butto dentro al Museo Nordico. Pranzo al ristorante dentro il museo, dignitosamente, e visito i vari piani, che naturalmente ricordano un po' il museo Nazionale Danese, purtroppo con pochi cenni alla civiltà vichinga. Mi accordo che fuori sta piovendo della grossa. Rallento il passo, e spero che smetta. La scelta mi premia: scendo al guardaroba, mi reco (per l'ennesima volta) al bagno, e quando esco, non piove più. Torno quindi verso il centro, percorrendo a ritroso la strada che ho fatto prima di pranzo.
Sabato 18 mi sveglio e fuori nevischia. Quando sei sdraiato sul letto, puoi vagamente renderti conto che l'imbarcazione dondola. Normale. Il bagno è ovviamente minuscolo, il letto prende il 90% della camera quindi c'è posto per l'indispensabile. Perdo tempo, sperando che la giornata volga non dico al bello, ma almeno smetta di nevicare. Mi reco nell'imbarcazione principale, dove la reception confina con il banco del bar e dà sul ristorante interno, che fa anche da sala colazioni. Faccio colazione, prendo un po' di mappe, aspetto ancora qualche minuto, e quando smette di nevicare mi metto in marcia. Decido di sfidare la sorte, e farmela a piedi. Primo obiettivo, raggiungere Gamla Stan, poi un paio di musei, dare un'occhiata al centro e vedere di individuare la partenza dei traghetti panoramici e dei bus. L'abbigliamento è pesante, l'ombrello ce l'ho. Percorro il Soder Malarstrand fino al Centralbron, che sta subendo dei lavori, passo sotto e seguo l'indicazione per il centro, mi ritrovo sul Katarinavagen, svolto sullo Skeppsbron e le facciate mi fanno capire che siamo a Gamla Stan. Mi dirigo verso lo Strombron, e, con nessuna fretta, ammiro il Kungliga slottet, il massiccio Palazzo Reale. Svolto a destra in Södra Blasieholmshamnen, davanti al Grand Hotel individuo un chiosco dove posso comprare i biglietti per traghetti e bus, taglio per Nybroviken, mi immetto sulla Strandvagen. Questa, insieme ad altre, è un po' lo "struscio" di Stoccolma, e anche se è sabato mattina, e fa un freddo che a me fa cadere le orecchie, c'è già una buona concentrazione di coppie, famiglie, in giro. Arrivo fino al Djurgårdsbron, bel ponte storico che conduce a Djurgarden, l'isola/parco/giardino, ma anche l'isola dei musei di Stoccolma. Prima fermata, il Museo Vasa. Una struttura mastodontica, all'interno della quale fa bella mostra di sé la nave che dà il nome al museo, una nave che evidentemente era stata mal progettata, visto che navigò per neppure un chilometro, prima di affondare. Museo come dovrebbero essere i musei, e, purtroppo, di quelli che trovi solo all'estero, di quelli che ogni volta che ne visiti uno ti prende il magone pensando a tutto quello che potremmo (e dovremmo) fare in Italia, vista tutta la storia che abbiamo. Purtroppo, inizio a capire che non sto troppo bene, ma stringo i denti, termino la visita, interessante, esco che è quasi l'ora di pranzo, e mi butto dentro al Museo Nordico. Pranzo al ristorante dentro il museo, dignitosamente, e visito i vari piani, che naturalmente ricordano un po' il museo Nazionale Danese, purtroppo con pochi cenni alla civiltà vichinga. Mi accordo che fuori sta piovendo della grossa. Rallento il passo, e spero che smetta. La scelta mi premia: scendo al guardaroba, mi reco (per l'ennesima volta) al bagno, e quando esco, non piove più. Torno quindi verso il centro, percorrendo a ritroso la strada che ho fatto prima di pranzo.
Gamla Stan con il campanile di Riddarholmen |
Il municipio |
Mariahissen |
Due vedute del Palazzo Reale |
Dall'imbocco dello Strombron, veduta dell'Opera Nazionale |
Strandvagen |
20180115
Bruxelles (Belgio) - Novembre 2017
Vi racconto brevemente del mio ultimo viaggio di lavoro del 2017. Doveva essere più lungo, e doveva "racchiudere" uno dei corsi della Academy per la quale sto lavorando parzialmente, ma poco prima della data sono stato sollevato dall'incarico, per questa volta, quindi mi rimane una brevissima "missione", un incontro di alcune ore con un collega della S&OP, che fino a poco fa si occupava solo del prodotto "gemello" rispetto a quello del quale mi occupo io come Manager del flusso di prodotto, mentre è stato deciso che da adesso sarà il responsabile a livello globale dei due prodotti, quindi il mio referente per questa parte di lavoro (il suo posto sarà preso da un'altra persona a partire da gennaio 2018). Per questo motivo, mi ha chiesto più volte di capire meglio come mi organizzo e di cosa stiamo parlando, e siccome non ci sono state occasioni di incontro che ci abbiano lasciato una mezza giornata di tempo per parlarne, ho tenuto ferma questa mia trasferta a Bruxelles. In realtà, mi torna molto comodo, perché ho un biglietto per vedere gli Ulver giovedì 16 novembre a Bruxelles, e uno per vedere i Mastodon domenica 19, a Stoccolma, più i voli per la capitale svedese, da Bruxelles. Quindi, mercoledì 15 novembre parto da Pisa aeroporto con il volo per Roma delle 12, pranzo a Fiumicino, volo per Bruxelles nel primo pomeriggio, e arrivo nella capitale belga poco prima delle 18. Prendo un taxi per l'hotel Bloom, dove alloggerò. Nel tragitto, trovo un autista di lingua francese e pratico un po' la lingua dei Galli, dando anche qualche dritta al tipo, che mi dice che ha intenzione di farsi le ferie in Toscana con la moglie, la prossima estate. A volte mi sottostimo: ne esco abbastanza bene. E' solo che mi piace di più parlare inglese.
Mi sistemo in camera e sono stanco, mi voglio rilassare, quindi scendo per una cena veloce e ad un'ora più belga che italiana, al ristorante dell'hotel. Mentre rientro in camera incrocio due colleghe italiane, che sono qui per il corso per il quale avrei dovuto fare da trainer: non mi unisco a loro per la passeggiata verso la Grand Place più cena, e mi ritiro nelle mie stanze.
Giovedì 16 novembre quindi mi sveglio di buon'ora, colazione durante la quale incontro le colleghe italiane della sera prima e altri colleghi, taxi e arrivo in sede; formalità per l'ingresso, palazzina dove mi devo recare, passo da un paio di uffici dove saluto un numero discreto di colleghi, poi salgo di un piano ed eccomi dai colleghi della pianificazione. Saluti di rito, e poi io e D. ci troviamo una stanza dove chiacchierare per un paio d'ore. Non è difficile, e tra l'altro, io da D. ho solo da imparare, quindi, almeno su questo lavoro, sono certo che mi saprà dare, nei prossimi mesi, anche qualche suggerimento per migliorare. Potrei dilungarmi sul fatto che, sempre parlando di questo lavoro, su di me hanno fatto una scommessa, non mi hanno dato nessuna formazione, ma in questi 4 anni mi pare di essermela cavata più che dignitosamente, ma non lo farò perché alla fine, vi interessa relativamente. Facciamo quasi l'ora di pranzo, ne approfitto per entrare in qualche altro ufficio e fare qualche altro saluto, poi con tutto il gruppo del Planning, ci rechiamo al ristorante aziendale. Si mangia e si scherza, e dopo pranzo rientro nell'ufficio, faccio un po' di melina, poi, siccome alle 17 ho una riunione telefonica, dico che è meglio se rientro in hotel, così mi preparo. Saluto, mi dirigo all'ingresso, mi faccio chiamare un taxi, arriva, riconosco l'autista, in 20 minuti sono al Bloom, e mi addormento, talmente bene che alle 17 la persona con la quale ho la riunione mi sveglia chiamandomi. Accendo il pc e la richiamo, scusandomi. In meno di 20 minuti non risolviamo la questione, e rimaniamo che ci lavorerà sopra, poi mi farà sapere (ho saputo solo qualche giorno fa che il problema che abbiamo riscontrato sarà aggirato, perché non c'è modo di risolverlo, sul sistema operativo che usiamo). Ci siamo, gli impegni di lavoro sono terminati.
Mi riposo un altro po', ricevo una telefonata da un collega che è anche lui a Bruxelles ma impegnato, e che sarebbe voluto venire al concerto (sarà per la prossima), poi verso le 19 mi vesto, scendo, attraverso la strada, e sono al Botanique, dove assisterò al concerto.
Venerdì 17 novembre sveglia con tutta calma, il volo è a fine mattinata, colazione, check out, taxi per l'aeroporto, formalità, pranzo, controlli, attesa, imbarco. Si parte per il weekend svedese.
Mi sistemo in camera e sono stanco, mi voglio rilassare, quindi scendo per una cena veloce e ad un'ora più belga che italiana, al ristorante dell'hotel. Mentre rientro in camera incrocio due colleghe italiane, che sono qui per il corso per il quale avrei dovuto fare da trainer: non mi unisco a loro per la passeggiata verso la Grand Place più cena, e mi ritiro nelle mie stanze.
Giovedì 16 novembre quindi mi sveglio di buon'ora, colazione durante la quale incontro le colleghe italiane della sera prima e altri colleghi, taxi e arrivo in sede; formalità per l'ingresso, palazzina dove mi devo recare, passo da un paio di uffici dove saluto un numero discreto di colleghi, poi salgo di un piano ed eccomi dai colleghi della pianificazione. Saluti di rito, e poi io e D. ci troviamo una stanza dove chiacchierare per un paio d'ore. Non è difficile, e tra l'altro, io da D. ho solo da imparare, quindi, almeno su questo lavoro, sono certo che mi saprà dare, nei prossimi mesi, anche qualche suggerimento per migliorare. Potrei dilungarmi sul fatto che, sempre parlando di questo lavoro, su di me hanno fatto una scommessa, non mi hanno dato nessuna formazione, ma in questi 4 anni mi pare di essermela cavata più che dignitosamente, ma non lo farò perché alla fine, vi interessa relativamente. Facciamo quasi l'ora di pranzo, ne approfitto per entrare in qualche altro ufficio e fare qualche altro saluto, poi con tutto il gruppo del Planning, ci rechiamo al ristorante aziendale. Si mangia e si scherza, e dopo pranzo rientro nell'ufficio, faccio un po' di melina, poi, siccome alle 17 ho una riunione telefonica, dico che è meglio se rientro in hotel, così mi preparo. Saluto, mi dirigo all'ingresso, mi faccio chiamare un taxi, arriva, riconosco l'autista, in 20 minuti sono al Bloom, e mi addormento, talmente bene che alle 17 la persona con la quale ho la riunione mi sveglia chiamandomi. Accendo il pc e la richiamo, scusandomi. In meno di 20 minuti non risolviamo la questione, e rimaniamo che ci lavorerà sopra, poi mi farà sapere (ho saputo solo qualche giorno fa che il problema che abbiamo riscontrato sarà aggirato, perché non c'è modo di risolverlo, sul sistema operativo che usiamo). Ci siamo, gli impegni di lavoro sono terminati.
Mi riposo un altro po', ricevo una telefonata da un collega che è anche lui a Bruxelles ma impegnato, e che sarebbe voluto venire al concerto (sarà per la prossima), poi verso le 19 mi vesto, scendo, attraverso la strada, e sono al Botanique, dove assisterò al concerto.
Venerdì 17 novembre sveglia con tutta calma, il volo è a fine mattinata, colazione, check out, taxi per l'aeroporto, formalità, pranzo, controlli, attesa, imbarco. Si parte per il weekend svedese.
20180114
I dischi del 2017 (per Jumbolo di fassbinder) / Best 10 albums of 2017
20180113
20180112
Chiaro
All The Way / At Saint Thomas the Apostle Harlem - Diamanda Galás (2017)
Per chi conosce anche solo un poco, Diamanda Galás, definita da Wikipedia una avant-garde soprano a ragione, statunitense nata a San Diego, California, da madre greca e un padre egiziano, direttore di un coro gospel, che le ha insegnato a suonare il piano all'età di 3 anni, sa che per lei, la musica è sofferenza e al tempo stesso, cultura a tutto tondo. Potrei chiudere qui la recensione di questi due dischi, che l'artista (anzi, Artista con la A maiuscola) ha fatto uscire nel 2017, a distanza di quasi 10 anni dall'ultimo Guilty Guilty Guilty, ma vi dirò qualche altra cosa senza importanza: l'importante è che troviate il coraggio, la forza, la pazienza, la curiosità di ascoltarne almeno uno. At Saint Thomas the Apostle Harlem è un live, come moltissimi dischi della sua carriera, ma anche in All the Way ci sono dei pezzi registrati live (due impressionanti versioni del classico folk O Death, una per disco). All the Way è più concentrato su reinterpretazioni (radicali, ovviamente) di traditional e di standard jazz: All the Way, You Don't Know What Love Is, The Thrill Is Gone, Round Midnight, la già citata O Death e Pardon Me I've Got Someone to Kill. Il live, registrato appunto nella chiesa di St. Thomas ad Harlem, NY, nel maggio del 2016, è composto interamente da canzoni (a volte "solo" poesie che lei ha musicato) che l'artista stessa definisce death songs: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi mette in musica la poesia di Pavese, Anoixe Petra scritta da Lefteris Papadopoulos (e già resa nota in Grecia da Marinella), Angels di Albert Ayler, Die Stunde Kommt del poeta tedesco Ferdinand Freiligrath (e già cantata da Marlene Dietrich), Fernand e Amsterdam di Jacques Brel, ancora la già citata O Death, Artemis di Gérard de Nerval.
Non aggiungo altro. Solo brividi.
For those who know, even just a little, Diamanda Galás, defined by Wikipedia an avant-garde soprano with good reason, an American born in San Diego, California, from a Greek mother and an Egyptian father, director of a gospel choir, who taught her to play the piano at the age of 3, knows that for her, music is suffering and at the same time, culture at 360 degrees. I could close here the review of these two records, which the artist (indeed, Artist with capital A) has released in 2017, almost 10 years after the last Guilty Guilty Guilty, but I will tell you something else without importance: the important thing is that you find the courage, the strength, the patience, the curiosity to listen to at least one. At Saint Thomas the Apostle Harlem it's a live, like many records of her career, but also in All the Way there are live recorded tracks (two impressive versions of the classic folk O Death, one per disc). All the Way is more focused on reinterpretations (radical, of course) of traditional and jazz standards: All the Way, You Don't Know What Love Is, The Thrill Is Gone, Round Midnight, the aforementioned O Death and Pardon Me I've Got Someone to Kill. The live, recorded precisely in the church of St. Thomas in Harlem, NY, in May 2016, is composed entirely of songs (sometimes "only" poems that she has put in music) that the artist herself defines death songs: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi put in music the poem of Cesare Pavese, Anoixe Petra written by Lefteris Papadopoulos (and already made known in Greece by Marinella), Angels by Albert Ayler, Die Stunde Kommt by the German poet Ferdinand Freiligrath (and already sung by Marlene Dietrich), Fernand and Amsterdam by Jacques Brel, the already cited O Death, Artemis by Gérard de Nerval.
I do not add anything else. Just chills.
Per chi conosce anche solo un poco, Diamanda Galás, definita da Wikipedia una avant-garde soprano a ragione, statunitense nata a San Diego, California, da madre greca e un padre egiziano, direttore di un coro gospel, che le ha insegnato a suonare il piano all'età di 3 anni, sa che per lei, la musica è sofferenza e al tempo stesso, cultura a tutto tondo. Potrei chiudere qui la recensione di questi due dischi, che l'artista (anzi, Artista con la A maiuscola) ha fatto uscire nel 2017, a distanza di quasi 10 anni dall'ultimo Guilty Guilty Guilty, ma vi dirò qualche altra cosa senza importanza: l'importante è che troviate il coraggio, la forza, la pazienza, la curiosità di ascoltarne almeno uno. At Saint Thomas the Apostle Harlem è un live, come moltissimi dischi della sua carriera, ma anche in All the Way ci sono dei pezzi registrati live (due impressionanti versioni del classico folk O Death, una per disco). All the Way è più concentrato su reinterpretazioni (radicali, ovviamente) di traditional e di standard jazz: All the Way, You Don't Know What Love Is, The Thrill Is Gone, Round Midnight, la già citata O Death e Pardon Me I've Got Someone to Kill. Il live, registrato appunto nella chiesa di St. Thomas ad Harlem, NY, nel maggio del 2016, è composto interamente da canzoni (a volte "solo" poesie che lei ha musicato) che l'artista stessa definisce death songs: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi mette in musica la poesia di Pavese, Anoixe Petra scritta da Lefteris Papadopoulos (e già resa nota in Grecia da Marinella), Angels di Albert Ayler, Die Stunde Kommt del poeta tedesco Ferdinand Freiligrath (e già cantata da Marlene Dietrich), Fernand e Amsterdam di Jacques Brel, ancora la già citata O Death, Artemis di Gérard de Nerval.
Non aggiungo altro. Solo brividi.
For those who know, even just a little, Diamanda Galás, defined by Wikipedia an avant-garde soprano with good reason, an American born in San Diego, California, from a Greek mother and an Egyptian father, director of a gospel choir, who taught her to play the piano at the age of 3, knows that for her, music is suffering and at the same time, culture at 360 degrees. I could close here the review of these two records, which the artist (indeed, Artist with capital A) has released in 2017, almost 10 years after the last Guilty Guilty Guilty, but I will tell you something else without importance: the important thing is that you find the courage, the strength, the patience, the curiosity to listen to at least one. At Saint Thomas the Apostle Harlem it's a live, like many records of her career, but also in All the Way there are live recorded tracks (two impressive versions of the classic folk O Death, one per disc). All the Way is more focused on reinterpretations (radical, of course) of traditional and jazz standards: All the Way, You Don't Know What Love Is, The Thrill Is Gone, Round Midnight, the aforementioned O Death and Pardon Me I've Got Someone to Kill. The live, recorded precisely in the church of St. Thomas in Harlem, NY, in May 2016, is composed entirely of songs (sometimes "only" poems that she has put in music) that the artist herself defines death songs: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi put in music the poem of Cesare Pavese, Anoixe Petra written by Lefteris Papadopoulos (and already made known in Greece by Marinella), Angels by Albert Ayler, Die Stunde Kommt by the German poet Ferdinand Freiligrath (and already sung by Marlene Dietrich), Fernand and Amsterdam by Jacques Brel, the already cited O Death, Artemis by Gérard de Nerval.
I do not add anything else. Just chills.
20180111
Arkangel
Black Mirror - di Charlie Brooker - Stagione 4 (6 episodi; Netflix) - 2017
Una donna si sveglia su una nave spaziale simile a quella di Star Trek, dove l'equipaggio osanna il capitano. Così come per loro, lo stesso "capitano" ha usato il loro DNA per simulare persone reali nel suo gioco (USS Callister). Dopo aver quasi perso la figlia piccola, una donna investe in una nuova tecnologia, che le permette di tracciare la stessa figlia (Arkangel). Un episodio del passato di una donna in carriera, torna a perseguitarla, mentre una addetta di un'agenzia assicurativa va in giro a fare domande ai testimoni di un incidente stradale, con una macchina della memoria (Crocodile). Una nuova app per appuntamenti al buio, permette alle coppie abbinate di conoscere quanto dureranno le loro relazioni (Hang the DJ). Una donna tenta di sopravvivere in una terra pericolosa piena di robot cani da caccia (Metalhead). Una donna entra in un museo dove il proprietario in persona racconta le storie relative agli oggetti ivi conservati (Black Museum).
Non c'è verso. Charlie Brooker è un genio. Del male, del bene, della sceneggiatura, della creatività futuristica e/o futuribile, un sognatore malato, mettetela come volete, ma ogni volta che esce un nuovo episodio di Black Mirror, io personalmente vorrei che non finisse mai, e vorrei che questa serie continuasse all'infinito. Chissà se Brooker ha già pensato a clonare se stesso. Bellissimo e imperdibile, ancora una volta.
There is no way. Charlie Brooker is a genius. Of the evil, of the good, of the screenplay, of the future and / or of the futuristic creativity, a sick dreamer, as you wish, but every time a new episode of Black Mirror comes out, I personally would like it never end, and I would like this series continue indefinitely. Who knows if Brooker has already thought about cloning himself. Beautiful and unmissable, once again.
Una donna si sveglia su una nave spaziale simile a quella di Star Trek, dove l'equipaggio osanna il capitano. Così come per loro, lo stesso "capitano" ha usato il loro DNA per simulare persone reali nel suo gioco (USS Callister). Dopo aver quasi perso la figlia piccola, una donna investe in una nuova tecnologia, che le permette di tracciare la stessa figlia (Arkangel). Un episodio del passato di una donna in carriera, torna a perseguitarla, mentre una addetta di un'agenzia assicurativa va in giro a fare domande ai testimoni di un incidente stradale, con una macchina della memoria (Crocodile). Una nuova app per appuntamenti al buio, permette alle coppie abbinate di conoscere quanto dureranno le loro relazioni (Hang the DJ). Una donna tenta di sopravvivere in una terra pericolosa piena di robot cani da caccia (Metalhead). Una donna entra in un museo dove il proprietario in persona racconta le storie relative agli oggetti ivi conservati (Black Museum).
Non c'è verso. Charlie Brooker è un genio. Del male, del bene, della sceneggiatura, della creatività futuristica e/o futuribile, un sognatore malato, mettetela come volete, ma ogni volta che esce un nuovo episodio di Black Mirror, io personalmente vorrei che non finisse mai, e vorrei che questa serie continuasse all'infinito. Chissà se Brooker ha già pensato a clonare se stesso. Bellissimo e imperdibile, ancora una volta.
There is no way. Charlie Brooker is a genius. Of the evil, of the good, of the screenplay, of the future and / or of the futuristic creativity, a sick dreamer, as you wish, but every time a new episode of Black Mirror comes out, I personally would like it never end, and I would like this series continue indefinitely. Who knows if Brooker has already thought about cloning himself. Beautiful and unmissable, once again.
20180110
Black Sunday
Salem - di Adam Simon e Brannon Braga - Stagione 3 (10 episodi; WGN America) - 2016/2017
John Alden è costretto a seppellire l'amata Mary, morta in seguito agli ultimi eventi della seconda stagione. Tituba, la misteriosa serva, che adesso possiede l'abilità di veggente, ha una orribile visione dell'Inferno sulla Terra. Capisce che l'unica persona che può provare a fermare il Diavolo, incarnatosi nel corpo del piccolo John, è la strega che lo ha partorito, la stessa Mary. Nel frattempo Isaac cerca di ripulire Knocker's Hole, tramite una presa di coscienza generale del popolino, e prendersi una rivincita su Mercy, che è divenuta la tenutaria del bordello locale. Anne, lottando per controllare i suoi poteri, continua a tenere prigioniero della loro casa il marito Cotton. Il Diavolo, con l'aiuto del Barone Marburg e del fratello Belzebù, altro angelo caduto, sta pianificando l'attacco finale contro Dio, e la venuta appunto dell'Inferno sulla Terra.
Incuriosito dall'ingresso nel cast nientemeno che di Marilyn Manson (nei panni di Thomas Dinley, barbiere/chirurgo in combutta con il Demonio), e supportato da mia sorella, alla quale piace farsi paura con storie di streghe (e di vampiri), ho ripreso la visione della terza, ed ultima stagione di Salem. La serie, la cui terza stagione appunto è andata in onda tra la fine del 2016 e l'inizio del 2017, è stata definitivamente cancellata dalla WGN, causa il calo d'ascolti. In effetti, la trama stiracchiata, che mescola Bibbia e profezie demoniache, prende spunto dal mitico processo di Salem e mette in scena figure storiche (oltre che bibliche) realmente esistite ridicolizzandole all'ennesima potenza (Alden, Matter, Mary Wilcott, Tituba, Mercy Lewis, John Hale), promette fuochi d'artificio finali ma il tutto si risolve in una sorta di nulla di fatto. Qualche sussulto viene dagli effetti speciali. Manson se la cava bene, e Janet Montgomery è sempre bellissima. E' tutto.
Intrigued by the entry into the cast none other than Marilyn Manson (in the role of Thomas Dinley, barber / surgeon in league with the demons), and supported by my sister, who likes to be scared with stories of witches (and vampires), I resumed the vision of the third, and last season of Salem. The series, whose third season in fact aired between the end of 2016 and the beginning of 2017, has been definitively canceled by the WGN, due to the drop in ratings. In fact, the stretched plot, which mixes Bible and demonic prophecies, takes its cue from the mythical Salem process and stages historical (as well as biblical) figures actually existed ridiculing them extremely (Alden, Matter, Mary Wilcott, Tituba, Mercy Lewis, John Hale), promises final fireworks but all ends in a sort of nothing done. Some jolt comes from special effects. Manson is doing well, and Janet Montgomery is always beautiful. That's all.
John Alden è costretto a seppellire l'amata Mary, morta in seguito agli ultimi eventi della seconda stagione. Tituba, la misteriosa serva, che adesso possiede l'abilità di veggente, ha una orribile visione dell'Inferno sulla Terra. Capisce che l'unica persona che può provare a fermare il Diavolo, incarnatosi nel corpo del piccolo John, è la strega che lo ha partorito, la stessa Mary. Nel frattempo Isaac cerca di ripulire Knocker's Hole, tramite una presa di coscienza generale del popolino, e prendersi una rivincita su Mercy, che è divenuta la tenutaria del bordello locale. Anne, lottando per controllare i suoi poteri, continua a tenere prigioniero della loro casa il marito Cotton. Il Diavolo, con l'aiuto del Barone Marburg e del fratello Belzebù, altro angelo caduto, sta pianificando l'attacco finale contro Dio, e la venuta appunto dell'Inferno sulla Terra.
Incuriosito dall'ingresso nel cast nientemeno che di Marilyn Manson (nei panni di Thomas Dinley, barbiere/chirurgo in combutta con il Demonio), e supportato da mia sorella, alla quale piace farsi paura con storie di streghe (e di vampiri), ho ripreso la visione della terza, ed ultima stagione di Salem. La serie, la cui terza stagione appunto è andata in onda tra la fine del 2016 e l'inizio del 2017, è stata definitivamente cancellata dalla WGN, causa il calo d'ascolti. In effetti, la trama stiracchiata, che mescola Bibbia e profezie demoniache, prende spunto dal mitico processo di Salem e mette in scena figure storiche (oltre che bibliche) realmente esistite ridicolizzandole all'ennesima potenza (Alden, Matter, Mary Wilcott, Tituba, Mercy Lewis, John Hale), promette fuochi d'artificio finali ma il tutto si risolve in una sorta di nulla di fatto. Qualche sussulto viene dagli effetti speciali. Manson se la cava bene, e Janet Montgomery è sempre bellissima. E' tutto.
Intrigued by the entry into the cast none other than Marilyn Manson (in the role of Thomas Dinley, barber / surgeon in league with the demons), and supported by my sister, who likes to be scared with stories of witches (and vampires), I resumed the vision of the third, and last season of Salem. The series, whose third season in fact aired between the end of 2016 and the beginning of 2017, has been definitively canceled by the WGN, due to the drop in ratings. In fact, the stretched plot, which mixes Bible and demonic prophecies, takes its cue from the mythical Salem process and stages historical (as well as biblical) figures actually existed ridiculing them extremely (Alden, Matter, Mary Wilcott, Tituba, Mercy Lewis, John Hale), promises final fireworks but all ends in a sort of nothing done. Some jolt comes from special effects. Manson is doing well, and Janet Montgomery is always beautiful. That's all.
20180109
Erica & Anna / Bria
The Girlfriend Experience - di Lodge Kerrigan e Amy Seimetz - Stagione 2 (14 episodi; Starz) - 2017
Erica Myles, il direttore finanziario di un super PAC repubblicano statunitense, ingaggia una escort, Anna Garner, per ottenere informazioni compromettenti sul conto di Mark Novak, un membro di una rete di donatori segreti. Bria, una ex escort, entra nel programma protezione testimoni per sfuggire ad una relazione violenta. Lei e Kayla, la figlia del suo ex compagno, sono trasferite in una piccola cittadina del New Mexico, dove sono sorvegliate dal Marshal Ian Olsen, mentre cercano di cominciare una nuova vita. A Bria viene assegnato un lavoro in catena di montaggio, ma le vecchie abitudini sono dure a morire.
I creatori della serie tornano con una seconda stagione dove si dividono i compiti e ognuno scrive e dirige una storia diversa. Kerrigan dirige la storia di Anna ed Erica, mentre Seimetz si occupa di quella di Bria. Stesse atmosfere rarefatte, fredde e spesso silenziose, di sofferenze personali e percorsi particolari, dove il corpo femminile è il mezzo per acquisire di tutto, dal denaro alle informazioni, dall'affermazione personale alla fiducia di un sorvegliante. Intrigante, conturbante, malato. Cast estremamente interessante: Anna Friel è Erica, Carmen Ejogo (ex moglie di Tricky e di Jeffrey Wright) è Bria. Con la Ejogo troviamo anche Tunde Adebimpe (il cantante dei TV on the Radio), nei panni di Ian, e Harmony Korine (regista, sceneggiatore, fotografo, attore, scrittore) nella parte di Paul.
The creators of the series return with a second season where the tasks are divided and each one writes and directs a different story. Kerrigan directs the story of Anna and Erica, while Seimetz deals with that of Bria. Same rarefied, cold and often silent atmospheres, of personal sufferings and particular paths, where the female body is the means to acquire everything from money to information, from personal affirmation to the trust of an overseer. Intriguing, disturbing, ill. Extremely interesting cast: Anna Friel is Erica, Carmen Ejogo (ex-wife of Tricky and Jeffrey Wright) is Bria. With Ejogo we also find Tunde Adebimpe (the singer of TV on the Radio), as Ian, and Harmony Korine (director, screenwriter, photographer, actor, writer) as Paul.
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