Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Mentre altre ragazze sono entusiaste del matrimonio della loro amica, la quattordicenne palestinese Farha sogna di proseguire gli studi in città come la sua migliore amica Farida. Farha lo pretende da suo padre Abu Farha, ma lui vuole che si sposi. Suo zio Abu Walid chiede ad Abu Farha di prendere in considerazione la richiesta di Farha. Una notte del 1948, un gruppo di milizie locali fa visita ad Abu Farha, che è il capo del villaggio e sindaco, chiedendogli di unirsi alla loro lotta contro la Nakba. Lui rifiuta perché il suo scopo principale è prendersi cura del suo villaggio. (Wikipedia)
Primo lungometraggio per la giovane regista nata in Kuwait da famiglia di origini palestinesi rifugiati in Giordania, e che, in modo abbastanza ovvio, parla dell'origine del "percorso" della sua stessa famiglia. Sono molto d'accordo con quello che ha scritto in proposito Umayyah Cable, assistant professor all'Università del Michigan, recensendo il film per l'Institute for Palestinian Studies: "La sceneggiatura è spesso didascalica, il montaggio a volte è frettoloso e le performance dei più grandi attori del film sono a volte sorprendentemente goffe. Farha non è un gran bel film, ma è comunque spettacolare". Una storia di crudeltà, e non parlo solo dei massacri relativi alla Nakba.
First feature film for the young director born in Kuwait to a family of Palestinian refugees in Jordan, and which, quite obviously, talks about the origin of her own family's "path". I agree very much with what Umayyah Cable, assistant professor at the University of Michigan, wrote about it, reviewing the film for the Institute for Palestinian Studies: "The script is often didactic, the editing is sometimes rushed and the performances of the film's greatest actors are sometimes surprisingly awkward. Farha is not a great film, but it is spectacular nonetheless". A story of cruelty, and I'm not just talking about the massacres related to the Nakba.
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