No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100118

cibo per l'anima


Soul Kitchen - di Fatih Akin 2010

Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: fa ride' però dé, m'aspettavo di pisciammi addosso

Amburgo, oggi. Zinos Kazantsakis è figlio di immigrati greci, ma è tedesco. Somiglia vagamente a Jim Morrison, ed è proprietario di un capannone nel quartiere di Wilhelmsburg. In questo capannone, Zinos ha messo su un ristorante, il Soul Kitchen, dove lui stesso cucina cibo precotto per una clientela che va di fretta ed è, diciamo, poco raffinata. La sala è affidata a Lucia, che scopriremo, insieme a Zinos, artista concettuale che vive in un loft occupato, e a Lutz, che oltre a servire suona, con la sua band o con collaboratori diversi di volta in volta, per offrire musica dal vivo. Nel retro del capannone vive Sokrates, pensionato con la passione delle barche, sempre in ritardo con l'affitto.
Zinos ha una bella fidanzata, Nadine, che lavora come giornalista ed è in procinto di trasferirsi a Shangai, ed un fratello, Ilias, in carcere per truffa, col vizio del gioco, che sta per beneficiare di un regime di semi-libertà, se riuscirà a dimostrare di avere un lavoro. Qui, con queste due persone "di famiglia", cominciano i guai di Zinos. Ad aggravarli, un vecchio compagno di scuola che adesso lavora speculando su terreni e costruzioni, approfittando della straordinaria efficienza tutta tedesca nel riconvertire aree dismesse o che cambiano destinazione, Neumann, che Zinos incontra casualmente, mentre si reca a cena con la famiglia di Nadine (ma durante la stessa cena conoscerà Shayn, uno chef tanto straordinario quanto rissoso e irascibile), e una devastante ernia del disco, che si procurerà tentando di sostituire la lavastoviglie che, proprio all'inizio della storia, comincia a fare le bizze. Anche questo problema, lo porterà a conoscere un'altra persona, che diventerà importante nello sviluppo della sua vita: Anna, una fisioterapista di origini turche.

Una delle cose più divertenti di Soul Kitchen e della critica che gli gira intorno, è che quasi tutti i critici accreditati non hanno fatto altro che ripetere che, con questo film, Akin "si dà" alla commedia. Chi, invece, scoprendo questo regista con La sposa turca, si è andato a rivedere tutti i suoi film, alcuni anche in tedesco perchè non c'è modo di trovarli altrimenti, e si è imbattuto, ad esempio, in Im Juli, si è fatto una sonora e grassa risata, pensando "e allora quello cos'era? Un dramma?". Detto questo, è vero che questo Soul Kitchen è un film dove Akin guarda più all'edonismo, figlio degli anni '80 ma arrivato fino a noi, mischiato alla cultura dello sballo, del quale anche lui, in gioventù, confessa di essere stato schiavo, che alle riflessioni su temi quasi filosofici, strettamente legati alla ricerca delle radici, che accompagnano i suoi film più intensi (La sposa turca e Ai confini del paradiso). E' anche vero che, forse per la prima volta, non guarda più, appunto, alla domanda "da dove vengo?", che si pongono quasi ossessivamente i suoi protagonisti, nella sua filmografia, a partire da Kurt und schmerzlos: quelli di questo Soul Kitchen sono tedeschi, europei, e nessuno ne dubita, prima di tutti loro, ma non si fanno problemi a riconoscere da dove vengono le loro famiglie (e a ricorrere a rimedi molto ma molto particolari, che vengono da quei paesi). Sono calati perfettamente nella realtà di oggi, e ne sfruttano tutte le possibilità.
Questo, per quanto riguarda la "filosofia" che c'è, forse, dietro al nuovo lavoro di Fatih Akin.
Invece, parlando della resa finale, c'è da notare che il film è leggero, scorrevole anche se la sceneggiatura è intricata, pieno di personaggi simpatici (anche i farabutti) e divertenti, infarcito di battute ilari (anche se prevedibili) e di gag buffe (anche se viste, riviste, e riviste ancora). Spesso poco credibile, molto conciliante, con un finale romantico e pieno di speranza.
Gli attori sono assortiti, quasi tutti li abbiamo già visti sia nei film di Akin, sia in altre produzioni, a parte le tre ragazze, Anna Bederke (Lucia, debuttante), Pheline Roggan (Nadine, era in Kebab Connection, di Anno Saul, sceneggiato da Akin) e Dorka Gryllus (Anna, era in Irina Palm), bellissime nelle loro imperfezioni; tutti fanno la loro parte discretamente, e fra i protagonisti alla fine, a mio giudizio, Bousdoukos (Zinos, anche sceneggiatore) risulta migliore del ben più conosciuto Bleibtreu (Ilias, uno dei più prolifici attori tedeschi, qui in Soul Kitchen c'è anche sua madre, Monica - morta nel maggio 2009 -, che interpreta la nonna di Nadine).
La tecnica è in bella mostra, Akin si sbizzarrisce: riprese dall'alto, tante scene corali di ballo e di feste (che molti registi italiani dovrebbero mandare a memoria, visto che qui da noi non ce n'è uno che le sappia riprendere e neppure "organizzare"), addirittura una scena ripresa con il fish-eye (una sorta di grandangolo), e dei titoli di coda da Oscar (rimanete seduti e godeteveli, sono la parte migliore del film e non scherzo), uniti ad una colonna sonora dove la parte del leone la fa il vero R'n'B, ma dove ci sono perfino Gabriella Ferri e Natalino Otto e musica etnica remixata; ma, alla fine, tutto, ma proprio tutto, cercando di capire perchè non mi ha convinto fino in fondo, risulta un po' ruffiano. So che non mi fa onore dirlo, ma preferisco l'Akin dolente, ferito, alla ricerca di risposte, a questo quasi solare e spensierato.
Non è un passo falso: è solo un film meno impegnato, diretto con grande perizia. Tutto qua.

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