No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100513

cocoflop


Cocorosie, 19/11/2005, Firenze, Auditorium Flog

E così siamo ancora una volta dentro all’implacabile Flog per vedere il concerto di una delle band più strombazzate del momento, le Cocorosie. Due album all’attivo, “La Maison De Mon Reve” e il più recente “Noah’s Ark”, collaborazioni e amicizie con Bright Eyes, Devendra Banhart, Antony di Antony & The Johnsons e chi ne ha più ne metta. Quanto dell’hype su di loro sia dovuto a queste “amicizie”, e quanto al loro effettivo valore, specialmente dopo questo concerto, è veramente una cosa soggettiva. Pensate che Bianca ha posato perfino per un servizio di Vogue. Mi ricordo che io stesso mi scandalizzai per una serie di foto “di moda” di Ben Harper; sbagliando, in effetti, ma del resto, questo è un tipico atteggiamento alternativo/conservatore. Sarà perché moriremo tutti democristiani. Perché invece nessuno dei “veri alternativi” si scandalizzi per questa cosa da parte di Bianca, mi sfugge. Non dovremmo, in verità, scandalizzarci di un bel niente. Ma mi sfugge davvero lo sfrenato entusiasmo delle prime file del Flog per la prima parte del concerto, iniziato intorno alle 23,15; personalmente, trovo i pezzi estratti dai due album eseguiti live davvero pesanti, noiosi e, in alcuni casi, davvero brutti. Sarà per la mancanza quasi totale dei campionamenti basati su rumorini, giocattoli, squilli di telefono, mitragliatrici dei dischi volanti del luna park, che restituiscono le canzoni nella loro forma più scarna, e quindi davvero esile, sarà che il lato hip-hop, anzi, trip-hop lascia il campo ad una specie di folk sinfonico acutizzato dalla voce da soprano di Sierra, sarà che nonostante le buone esecuzioni il tutto sembra molto lasciato al caso, ma tutta questa eccitazione non la condivido. Luci basse, Sierra al centro canta e suona l’arpa, Bianca svaria sul palco, suona le tastiere e canta somigliando molto a Roisin Murphy dei Moloko (in verità, anche la voce di Sierra, quando non la usa da soprano, è simile alla sua, ma risulta un po’ più personale), una tipa di colore incita il pubblico e fa da human beat-box, un’altra ragazza bianca maneggia i campionatori. Sierra ha i capelli bicolori e mi pare più figa (giudizio personalissimo ma insindacabile), Bianca è vestita street e porta un cappellino da baseball molto calato sul viso. Non è un caso, alla luce di questa analisi, che il concerto decolli davvero solo tra la fine della prima parte e l’inizio dei bis, momento in cui le ragazze si lasciano andare ed eseguono due cover dove l’hip hop prende davvero il sopravvento, e nelle loro mani fanno diventare due gioielli niente popò di meno che il tormentone pop di Kevin Lyttle Turn Me On e la sboccatissima Big Momma Thang di Lil’ Kim. Tutto questo vorrà pur dire qualcosa: l’idea del trip-hop folk è ottima, ma va affinata e migliorata, e soprattutto dal vivo bisogna spingere sull’acceleratore. Ma anche che, onestamente, la critica musicale è leggermente dopata. Non si sa se dalle case discografiche o solo dalla voglia di arrivare primi sulla Next Big Thing. Lo capiremo solo vivendo. O forse lo sappiamo già, e vogliamo dimenticarlo. Come quelli che si spellavano le mani su uno dei pezzi più brutti degli ultimi 25 anni, appartenente proprio alle Cocorosie. Meno male che, almeno, il biglietto costava poco.

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